Viaggio Nella Trama Del Reale (II)

Categorie esperienziali

Abbiamo tre grandi categorie di proprietà che possiamo verificare esperienzalmente con certezza e ontologicamente fondate sulla loro propria ed inerente potenzialità e/o attualità:

(1) le proprietà già in atto, osservabili senza dover indurre un passaggio da potenza ad atto in esse (ad esempio, questo cubetto di ghiaccio è molto freddo e lo posso constatare senza modificarlo): queste proprietà, in quanto già in atto, agiscono sull’osservatore se questi ha in potenza la capacità di osservarle, è l’osservatore che passa dalla potenza all’atto (ad esempio, un daltonico non può osservare un fiore rosso in campo di erba verde, in quanto non ne ha la potenza; mentre chi ha una buona visione passa dalla potenza di poter vedere il rosso all’atto di osservare il colore rosso di tale fiore).

(2) le proprietà che esprimono potenzialità dell’ente osservato e che, per essere osservate, esigono un loro passaggio dalla potenza all’atto (ad esempio, la possibile proprietà di poter sciogliersi del cubetto qui sopra, necessita, per essere verificata che il cubetto sia fatto sciogliere) in questo caso è un cambiamento, un moto ontologico dell’ente che si desidera osservare che svela la possibilità di attuare la caratteristica: a volte questo avviene indipendentemente dalla volontà dell’osservatore, mentre altre volte tale cambiamento è intenzionalmente causato dall’osservatore (esperimento) e nei due casi è la capacità dell’ente considerato ad essere un paziente della causa agente, cioè dello strumento di misura, che lo farà collassare da pura potenza per ridurlo ad una proprietà attuale, il che determinerà il successo, o meno, dell’osservazione esperienziale.

Abbiamo due tipi possibili di proprietà “potenziali”:

(2a) le osservazioni reversibili quando il passaggio dalla potenza all’atto non impedisce un ritorno a sola potenza della detta proprietà (ad esempio, una volta constatato che il cubetto di ghiaccio si scioglie, lo possiamo ricostituire ri-mettendolo in un congelatore);

(2b) le osservazioni irreversibili, che soprannominiamo “entropiche”, quando una volta che il passaggio dalla potenza all’atto è compiuto a causa dell’azione dello strumento di misura, è impossibile tornare indietro come è nel caso (2a) (ad esempio, per sapere se questo gessetto è frangibile, lo debbo rompere, ma una volta rotto non è più un gessetto infrangibile, ma un gessetto definitivamente rotto).

Questo avviene quando le proprietà da osservare sempre necessitano un passaggio dalla potenza all’atto, durante il quale, come ben sappiamo dall‘assioma 6 qui sopra, si perdono alcune proprietà per guadagnarne altre. Se questa perdita di alcune proprietà è irreversibile, del tipo sapere se un gatto è mortale, uccidendolo, diremo, d’ora innanzi, che tale proprietà è “entropica”: una proprietà entropica è sempre e solo potenziale, in quanto la sua misura sempre condurrà ad un “collasso” definitivo di tale proprietà in un atto irreversibile causato dall’uso dello strumento di misura.

Consideriamo ancora una volta la figura 2, assumendo che P= “questo gatto è mortale“, il solo modo per sapere se questa proprietà è vera è di ucciderlo, e Q=”questo gatto può morire o è morto“: a questa analogia del “modus ponens” non esiste nessun “modus tollens” analogo nel nostro mondo esperienziale. Infatti quest’ultimo suonerebbe “Se nessun gatto può morire o è morto, allora (mantenendoli in vita= contro esperienza dell’uccidere) tutti i gatti non sono mortali” il che non solo è un’affermazione impossibile da verificare nel nostro mondo esperienziale finito, ma, per giunta, anche falsa.

Questa proprietà di poter affermare solo figure del modus ponens (resp. solo del modus tollens, ma mai le due assieme), nel quadro delle proprietà entropiche, la possiamo chiamare “induzione per falsificazione“: e cioè, benché non possiamo affermare come vere o false altre proposizioni che non siano esempi individuali o proprietà particolari, possiamo però sempre tentare di trovare esempi individuali o particolari che falsificherebbero congetture più universali: se non posso accingermi a dimostrare con certezza che tutti i gatti non sono mortali, posso però sempre dimostrare la falsità di tale proposizione, trovandone almeno uno e uccidendolo. Anche se sono in una situazione nella quale non posso affermare che “ogni P è Q” posso sempre tentare di mostrare che “qualche, o almeno uno, Q non è mai P“; o, se non posso mai dimostrare che “nessun P è Q“, posso sempre tentare di mostrare che “qualche, o almeno uno, Q è P“. Certamente la falsificazione popperiana del tipo “Non tutti i gatti sono immortali” o “Esistono gatti mortali” è sperimentalmente verificata nel nostro modo reale.

Il fatto che la misura della proprietà di un ente distrugga, o modifichi l’ontologia attuale di tale ente in modo irreversibile è tutt’altro che eccezionale ma, anzi, è qualcosa di molto comune nel nostro mondo esperienziale, ad esempio quando la luce di una lampadina colpisce un oggetto, questo assorbe tutte le frequenze d’onda salvo quella del suo colore, diciamo il verde, tutti gli altri fotoni della luce bianca della lampadina sono stati annullati e solo quelli verdi continuano ad esistere, lo stesso avviene quando guardiamo un arcobaleno generato dalla luce del sole: quando osserviamo il violetto, tutti gli altri colori, cioè fotoni con altre frequenze cromatiche, sono stati annullati in quella direzione verso la quale guardiamo il violetto. Per altro il giallo, il rosso, il blu ed il verde non hanno nulla a che vedere con il violetto, e potremo dire che le proprietà del “non-violetto” sono “ortogonali” al violetto: questa esclusione ci permette di definire il violetto come essendo quella proprietà che è perfettamente ortogonale a tutto quel che non è violetto, cioè, simbolicamente, non “non-violetto”, -(-V).

La figura 3 qui sotto rappresenta un insieme finito di tantissime proprietà tutte ortogonali tra di loro, come potrebbe esserlo l’insieme delle properietà della luce bianca di cui sopra: ogni elemento è definito come essendo l’ortogonale di tutte le altre proprietà che siano state misurate. Finché il numero di queste proprietà rimane finito, come tutto ciò che è nel nostro mondo esperienziale, la somma di tutte queste proprietà corrisponde bene alla descrizione di tutto il sistema ed il principio del terzo escluso rimane così soddifatto: se l’insieme di queste proprietà fosse infinito, ovviamente tale principio non lo sarebbe perfettamente ma solo ipoteticamente.

Figura 3. Traliccio di proprietà ortogonali

Notiamo anche che la figura 3 è simile alla figura 1, e non è per caso visto che la figura 3 rappresenta la concomitanza di un grande numero di proprietà, con la differenza però che essa esprime la non attuazione di queste proprietà, salvo una, cioè quella considerata.

Nota Bene 1: nel nostro mondo esperienziale normale reale dobbiamo essere attenti ad una confusione semantica che è la causa di enormi problemi concettuali quando non diramata. Quando una donna è incinta non sappiamo prima del parto (o dell’ecografia o della presa di sangue ad hoc) se il bimbo nel suo grembo è un maschietto o una femminuccia: nel linguaggio corrente potremmo dire che il suo infante è potenzialmente un bimbo o una bimba, con una probabilità del 50% per ogni caso: questo linguaggio è però abusivo, in quanto non c’è nessuna potenza sul piano ontologico rispetto a questo aspetto, in realtà il sesso del nascituro è già in atto fin dalla sua concezione e al momento della “misura” ci troviamo nel caso (1) dell’osservazione di proprietà già in atto. Quando riceviamo una scatoletta di penne rosse, siamo nella stessa situazione anche se il colore delle matite sono tutte da scoprire individualmente ed esperienzialmente. Un esempio realmente potenziale è quello di sapere se tale scimmia è capace, educandola, di reagire secondo Pavlov: far passare dalla potenza all’atto, la misura, consisterà quindi ad educarla per vedere se acquisisce tale riflesso: saremo dunque nel caso (2) e probabilmente (2a) se è possibile fargli disimparare detto riflesso. A causa di questa confusione semantica ci troviamo quindi, spesso, di fronte a persone che non sono capaci di fare la differenza tra la nozione di potenzialità sul piano epistemico, come nell’esempio della signora incinta qui sopra, e potenzialità nel suo significato ontologico, il più sovente erroneamente riducendo quest’ultimo al piano precedente.

La verifica di una proprietà ontologicamente potenziale implica per forza l’uso di una causa in atto ed è quindi intrinsecamente inconcepibile constatarla senza l’agente che la renderà attuale esperienzialmente, al costo di perdere definitivamente la caratteristica propria alla sua potenzialità. Questo ha come conseguenza, sul piano concettuale, che le caratteristiche stesse dello strumento di misura in atto impatteranno forzatamente il passaggio all’atto della detta potenzialità da osservare.

Esperienze e osservazioni multiple: Quando vogliamo osservare più proprietà in parallelo, esse possono avere tra di loro differenti categorie di relazioni e le possiamo classificare in tre grandi categorie: (A) le proprietà che sono indipendenti tra di loro nella loro attuazione negli enti che li posseggono, esse sono dette “commutabili” tra di loro; (B) le proprietà che sono “implicazioni”, cioè “conseguenze” di altre proprietà che le causano; (C) le proprietà “mutualmente non commutabili” tra di loro.

(A) Per illustrare il caso delle proprietà che sono indipendenti e ortogonali tra di loro prendiamo una scatoletta di gessetti e decidiamo di misurare la proprietà “ha una massa “m” superiore a cinque grammi” di ciascun gessetto, e anche, osservandole individualmente, di verificare se sono, ciascuna, di un bel colore “celeste” “c”.

Avremo allora solo quattro stuazioni possibili: gessetti che sono più pesanti di 5 gr e celesti; gessetti più pesanti di 5 grammi e di un altro colore che celesti, gessetti meno pesanti di 5 gr ma celesti, e gessetti che hanno meno di 5 grammi e non celesti. Possiamo rappresentare tutte queste categorie di gessetti con il traliccio seguente, dove ben vediamo che ogni categoria è ben “ortogonale” a tutte le altre, (cioè non ha niente a che fare con le altre e ciò è rappresentato dallo 0 in basso) e che, tutte assieme, ben descrivono tutto il contenuto della scatoletta di gessetti (rappresentato dall’1, in alto).

Figura 4: Traliccio di due proprietà commutabili tra loro

Come lo constatiamo il traliccio rappresentato nella figura 4 è in tutto simile al traliccio delle figure 1 e 3 più sopra, cioè il principio di non-contraddizione applicato non ad una sola proprietà “P” ma a due concomitanti “m” e “c”. Anche qui il principio di non contraddizione 0 è ben soddisfatto da ogni elemento cosiccome il principio del terzo escluso.

(B) Guardiamo ora cosa implicano coppie di proprietà che sono implicazioni l’una dell’alltra. Torniamo adesso alle nostre scatolette di gessetti e stavolta vogliamo misurare la lunghezza di ogni gessetto e avremo gessetti corti “c” se sono meno lunghi di tre centimentri e gessetti medi “m” se sono meno lunghi di sei centimetri.

Possiamo, ad esempio, procedere nel modo seguente: prendiamo dalla scatoletta i gessetti e mettiamo a destra quelli corti e a sinistra gli altri, poi guardiamo tra quelli non corti quali sono i medi e notiamo che ce ne sono alcuni, oppure, viceversa, scartiamo i non medi e e tra questi andiamo a scegliere i corti; a priori rimmarranno anche gessetti che non sono né corti né medî ma che pur erano nelle scatoletta. In riassunto abbiamo quattro possibilità di base: essere corto (c), essere non corto (-c), essere medio (m) essere non medio (-m) e, per giunta, possiamo immaginare le combinazioni seguenti: essere medio e corto (m”AND”c) che è impossibile cioè 0; essere al contempo medio e non corto (m”AND”-c) che è la stessa cosa che essere, semplicemente, medio; non essere medio ed essere corto, equivalente a essere corto; non essere né medio né corto (-m”AND”-c) cioè essere tra i due casi. Questo ci conduce al traliccio rappresentato nella figura 4 qui sotto:

Figura 5: Traliccio di proprietà implicate tra di loro

Quel che è interessante, ma non sorpendente, è notare che la struttura logica di due proprietà implicantesi le une alle altre è identica a quella della figura 2 che rappresenta il traliccio del principio di causalità universale con i suoi modi ponens e tollens. Il che è un’illustrazione dell’ Ipotesi Imperativa di Coerenza Logico-Ontologica Realista di cui sopra. Anche in questo caso, come in quello della causalità, benché vediamo che il principio di non contraddizione sia sempre soddisfatto, notiamo che il principio del terzo escluso non sia “perfettamente” attuato in quanto nell’ 1 non vi sono direttamente rappresentati tutti gli elementi contenuti nella scatoletta (mancano all’appello i pezzetti né corti né medi che sono rappresentati per difetto).

(C) L’osservazione di una proprietà “entropica” A in concomitanza con un’altra dello stesso tipo B, solitamente dà due risultati differenti se si osserva prima B eppoi A oppure prima A eppoi B: diciamo allora che le osservazioni di tali proprietà non sono commutabili tra di loro (o più impropriamente che le due proprietà non sono tra loro commutabili) La stragrande maggioranza delle osservazioni certe che facciamo a nostro livello esperienziale, sono, in realtà tali.

Ad esempio consideriamo una scatola piena di gessetti bianchi: una prima proprietà vantata dal commerciante che li vende è che non possano essere sbriciolati senza una forza minima specifica, equivalente ad un colpo ben assestato di un martello pesante 5Kg, mentre la seconda proprietà è la garanzia del fabbricante che ogni gessetto può coprire di bianco una lavagna di due metri quadrati. Nel nostro mondo esperienziale possiamo essere certi molto facilemente: ci basta usare un martello per schiacciare ogni gessetto per provare che si sbriciolano oltre la forza minima in questione: il problema è che, quando avremo sbriciolato tutti i gessetti per provare che davvero non resistono aldilà di una certa forza, non avremo più nessun gessetto a disposizione per testare la seconda proprietà; e viceversa è anche vero, se controlliamo che ogni gessetto copra bene i suoi due metri quadrati di lavagna, non ne rimane alcuno per testarne la resistenza al martello.

Con queste proprietà entropiche abbiamo quindi un principio di indeterminazione sistemico dal quale non possiamo scampare: il più precisamente misuriamo una di queste proprietà sempre meno potremo affermare che tutti i gessetti iniziali soddisfano l’altra proprietà, al punto che, avendo misurato con estrema precisione una delle proprietà, nulla sapremo della realtà dell’altra: il risultato è che, se vogliamo poter utilizzare quei gessetti ad altro fine che sbriciolarli o consumarli senza altra ragione che vedere quanto durano, dobbiamo accettare che queste due proprietà rimangano epistemicamente incerte nel nostro mondo esperienziale.

Proprietà “pure” e “miste”.

La questione da dibattere in questo paragrafo è sapere se è possibile, nel mondo Reale e certo che è questo nostro mondo esperienziale, distinguere sperimentalmente due situazioni apparentemente simili ma estremamente diverse quali quelle due descritte nel Nota Bene 1 del paragrafo precedente, ossia distinguere tra una situatione epistemicamente potenziale ed una ontologicamente potenziale.

In altre parole, se, considerato un insieme finito di enti in linea di principio compartenti una simile proprietà, sia possibile distinguere sperimentalmente il caso dove ogni elemento sia già in atto e “preparato” da un terzo attore sconosciuto secondo le differenti possibilità offerte dalla sua potenza o se il passaggio dalla potenza all’atto si fa in modo genuino durante la misura stessa, cioè in parole povere se è possibile distinguere sperimentalmente un potenza di probabilità dalla probabilità di una potenza.

In termini ancora più filosofici la questione è sapere se solo esistono entità in atto, ma di cui non conosciamo tutto, o se la potenza di un ente è tanto reale quanto il suo atto, proprio in quanto potenza, cioè se fa parte della forma dell’ente anche se non è ancora attuata: cioè sapere se la nozione di potenza è puro costrutto filosofico, simbolico e linguistico, come la nozione di “Nulla” oppure se è un elemento reale della nostra realtà esperienziale.

Immaginiamo l’esperimento seguente: mettiamo in un recipiente 100 gessetti la cui potenza di “essere ciascuno frangibili al 50% con un colpo di martello di 5Kg (cioè già 50 rotti) e al 75% con un secondo colpo (cioè altri addizionali 25 rotti, per un totale di 75)” è una congettura che non è già stata misurata. Un’apertura in basso al recipiente e un piano inclinato permettono a tali gessetti di rotolare uno per uno lungo detto piano, ma per rendere l’esperienza più accattivante metteremo delle fessure nel senso della larghezza del piano di 1 o 2 o 3 centimetri per filtrare gessetti che già sarebbero stati rotti. Rotolando lungo il piano inclinato solo i gessetti più lunghi di 3 centimetri arriveranno in basso e saranno considerati non rotti ma interi e a costoro solo sarà dato una sola martellata e ammettiamo che 50 si rompino passando dalla potenza all’atto, poi i gessetti, rotti o no, continuano a rotolare più giù lungo il piano inclinato; tutti i pezzetti rotti finendo nelle nuove fessure, solo i 50 non infranti arrivano al luogo successivo dove ricevono un secondo colpo di martello e di nuovo un 50% dei rimanenti, cioè altri 25 gessetti, si rompono.

Se qualcuno volesse imitare questo comportamento con oggetti non frantumati non lo potrebbe perché solo due alternative concrete sono possibili: (1) o rimette semplicemente tutti gessetti rotti e non rotti nel primo recipiente in alto, ma tutti gessetti frantumati (75) misurando ormai meno di tre centimetri non arriveranno al test perché passeranno attravero le fessure del piano inclinato, e il numero di gessetti interi rimasti, cioè 25, non infranti dopo questo terzo colpo sarà solo inferiore o uguale a 25, quindi un massimo di 25% del totale invece del 50% della congettura; (2) o incolla pazientemente ciascuno dei gessetti frantumati e rimette il tutto nella scatoletta e ricomincia la misura come se niente fosse, ma il numero di gessetti rotti essendo quel che è, anche se incollati, il loro tasso di frantumazione sarebbe sempre troppo alto rispetto al caso precedente.

Chiameremo i gessetti la cui potenzialità ontologica non è stata ancora misurata, enti allo stato “puro“, mentre gli altri, “ricostruiti” o semplicemente utilizzati dopo essere stati rotti, enti allo stato “misto“: statisticamente i due comportamenti sono differenziabili anche se individualmente non ci è dato di distinguerli, in quanto, individualmente, solo possiamo constatare una realtà in atto.

I due processi di misura dello stato puro e di ri-assemblaggio per misurare lo stato misto, darà lo stesso risultato differente sia che siamo stati noi, in prima persona a farlo,. oppure in modo completamente automatizzato senza che ce ne occupiamo. e, quindi, ciò non ha nulla a che vedere con la nostra psiche che interagirebbe con i risultati durante la misura.

Il passaggio da potenza ad atto concerne l’ente a cui appartengono le proprietà e non sempre e per forza la sua situazione accidentale spazio-temporale: ad esempio la proprietà “questo è un ponte “rompibile” con 100Kg di TNT” quando lo si bombarda con questa carica per misurare se tale proprietà potenziale è vera oppure no, esso diventa un ponte rotto quando la misura entropica è fatta, che esso sia lungo dieci metri o diecimila chilometri, che chi vi si incammina da un lato o dall’altro, o che lo si sta a guardare in mezzo, che lo si sappia oppure no. In seguito, riuscire a fare esplodere, oppure no, di nuovo un lato del ponte, sempre di un ponte rotto oramai si tratterrà.

Nota Bene 2: supporre che nella scatoletta composta solamente di enti allo stato puro, in realtà essi siano già stati testati e quindi già in atto ma che si comporterebbero come se fossero gessetti ancora rompibili è un errore concettuale, perché sarebbe una congettura supplementare non basata su alcun dato esperienziale e necessiterebbe che esista un ente “terzo” che conosca l’atto nella quale si risolverà la potenza del gessetto individuale quando sarà mosso dall’atto proprio dello strumento di misura, e ciò benché tale proprietà non misurata non sia ancora in atto, il che è un ossimoro. Ciò che è potenza è in potenza ed in quanto tale è intrinsecamente inconoscibile perché solo quel che è in atto ha una forma che può essere conosciuta.

Approfondiamo adesso le implicazioni di questa differenza tra stati puri e stati misti (o composti) esistenti nel mondo reale riferendoci all’esperienza che tutti abbiamo rispetto della luce. Sapppiamo che usando un prisma per scomporre la luce del sole otteniamo uno spettro svariegato di colori come nella figura 6 qui sotto.

Figura 6: Spettro di luce bianca, ogni striscia verticale rappresenta un colore differente.

Tipicamente i colori sono definiti da singoli fotoni con singole proprietà di frequenza e, quindi, di lunghezza d’onda, come ricordato nella tabella qui sotto:

Ovviamente, è possibile definire un colore unico, cioè una frequenza fotonica unica specifica per ogni colore il che li rende totalmente indipendenti gli uni dagli altri, ad esempio Violetto 669 THz, Violetto 670 THz, Violetto 671THz, etc, avremmo così 305 colori spettrali differenti invece dei soli 7 tradizionali e, se fossimo ancora più fini, potremmo definirne migliaia. Il traliccio logico che li rilega è esattamente quello della figura 3 qui sopra, cioè perfettamente ortogonale (in quanto un violetto di 700THz non è un Giallo di 510 THz) ma con, ad esempio 305 punti: ogni fascio di luce può essere scomposto in un sottoinsieme più o meno largo, vedi tutte, di queste 305 frequenze, il che è rappresentato dal l’1 del Terzo Escluso. Ognuna di queste 305 frequenze può essere considerata come uno stato puro.

Per altro ben sappiamo dalla pratica del nostro mondo reale che è possibile mischiare colori così che la nostra percezione fisiologica abbia l’impressione di vedere colori apparentemente fondamentali, ma in realtà stati misti di altri colori. Il modello RGB ne è un esempio:

Figura 7: modello RGB

partendo da soli tre colori di base, il Rosso, il Verde (G) ed il Blu, è possibile ottenere il Giallo (Y) in quanto ortogonale al Blu, il Magenta in quanto ortogonale al Verde (G) ed il Ciano in quanto ortogonale al Rosso, mentre il Bianco (W) li include tutti, questa struttura può essere rappresentata dal traliccio seguente:

Figura 8: traliccio RGB

Come vediamo il Nero ha una funzione di 0, cioè esprime il fatto che Verde, Blu e Rosso sono tra loro ortogonali, il Ciano può essere decomposto in Verde e Blu, il Giallo in Verde e Rosso, il Magenta in Blu e Rosso, mentre il Bianco, esprime il Terzo escluso e cioè che con questi colori si possono riprodurre tutti i colori della luce visibile e ha la funzione di 1 nel traliccio.

La prima osservazione da fare è la radicale differenza tra il traliccio della figura 3 che descrive la struttura logica degli stati puri e questo traliccio della figura 8 che descrive una logica di stati misti o composti.

La seconda osservazione da fare è che possibile avere un modello CMY dove tutti i colori sono ricostruiti con una base non più RGB ma con il Ciano, il Magenta ed il Giallo: in altre parole posso descrivere il Rosso come una combinazione di Magenta e Giallo, il Blu come una combinazione di Magenta e Ciano, ed il Verde come quella di Giallo e di Ciano.

È ormai chiaro che se facciamo esperienze nel contesto di questa struttura logica di stati misti avremo dei risultati differenti che se ne facciamo nel contesto di stati puri.

Ad esempio, se facciamo passare un fascio di luce di uno stato puro, ad esempio 622 THz (un tipo di Blu) attraverso un filtro, sia questo filtro è calibrato su questa frequenza precisa e la lascia passare, sia la blocca definitivamente ad esempio, se il filtro è calibrato su Ciano 580 THz (n.b. nei fatti un tipo di Verde). Mentre invece se creo una luce blu mista componendola con una doppia sorgente di Magenta e di Ciano, la componente di Ciano passerà, non solo, ma se subito dopo rifaccio passare questa luce Ciano in un filtro Blu, ebbene ci sarà ancora della luce Blu che continuerà a passare.

Facciamo adesso il seguente esperimento nel nostro mondo esperienziale per sapere, se un fascio di luce blu è uno stato misto o uno stato puro pur non avendo accesso o conoscenza della sorgente: costruisco un’apparecchiatura composta di due parti, una delle parti consiste in una serie di filtri blu monocromatici selezionando ciascuna delle 25 frequenze di Blu (secondo la tavola qui sopra), mentre la seconda parte consiste in un primo filtro Ciano seguito da un filtro Blu. Se la luce di questo fascio è cromaticamente pura nel senso dato qui sopra, ci sarà solo una probabilità su 25 possibili frequenze che la luce passi (4% per ognuna a intensità costante) ad esempio per il filtro a 622 THz, mentre nel secondo caso, se il fascio di luce è composto di Magenta e di Ciano, sola la componente Ciano passerà, il che dimezzerà l’intensità del fascio, ma il Ciano “rimanente” stesso può essere scomposto a sua volta tra Verde e Blu, e ancora una percentuale significativa di luce blu passerà il secondo filtro.

Se dunque la prima sperimentazione dà su per giù un 4% di risposta positiva per ognuna delle 25 frequenze disponibili di Blu (quindi, in totale, bene avremo un 100% di luce Blu) allora è luce di stati puri di Blu, mentre nessuna luce composta (Magenta e Ciano) passerà mai per i filtri, in quanto ad essi ortogonali; d’altro canto, nel secondo strumento, se è luce composta avrà il comportamento descritto, mentre la luce di stati puri di Blu sarà già stata filtrata via dal primo filtro Ciano e non passerà, ovviamente, per il secondo filtro: il passaggio dalla potenza all’atto, osservazione entropica del caso puro, non si situa dal lato dell’osservatore, ma solo dello strumento di misura che non permette il passaggio di uno stato puro ortogonale a quello del filtro, cioè siamo in un mondo causale, ma non deterministico, causale perché è il filtro in atto che permetterà alla potenza del fascio di luce blu di passare, oppure no, e non deterministico perché la distribuzione delle frequenze specifiche di Blu del fascio in questione non è stata determinata a priori; nel caso dello stato misto siamo invece in un contesto pur sempre causale ma, però, deterministico, in quanto è la composizione del fascio a monte della misura, cioè le intensità delle componenti Magenta e Ciano effettive e prestabilite, che determineranno il risultato finale.

Se mettessimo un gatto con una pistola sulla sua tempia che sarebbe attivata dal passaggio di luce Blu allo stato puro di 622 THz dopo la strumentazione descritta qui sopra, il problema non è dell’ordine della potenza ontologica, visto che ontologicamente si è passati entropicamente dalla potenza all’atto grazie al filtro nel caso di stati puri che ha fatto la misura, (mentre nel caso di stati misti era già in atto), ma solo della potenza epistemica: il gatto è già sia morto sia vivo, ma non lo sappiamo finché non guardiamo. In finis, possiamo osservare solo quel che è in atto nel reale, in quanto agente, e quel per cui abbiamo l’ontologica potenza di osservare, in quanto pazienti, esattamente come lo vive il gatto.

(Continua la prossima settimana con “Esperienze e Sillogismi” )

(Articolo Precedente qui)



Categories: Cortile dei Gentili, Filosofia, teologia e apologetica, Simon de Cyrène

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