Viaggio Nella Trama Del Reale (IV)

Spazio, tempo , misure, equazioni di moto

Già alla fine del paragrafo “Proprietà pure e proprietà miste” abbiamo sottolineato che nel caso delle prime il nostro mondo reale è un mondo causale ma non per forza deterministico, mentre nel secondo caso siamo in una realtà causale e deterministica in quanto la realtà che osserviamo è composta (per definizione) di elementi predefiniti già in atto.

Eppure molti tra i lettori non potranno neanche immaginare come sia possibile avere una realtà che sia causale ma non deterministica e questo in quanto il paradigma mentale inculcato loro ormai da più di una decina di generazioni, impedisce loro di interagire con la realtà senza aggiungere inconsciamente come postulato che la realtà che appare loro possa non essere precostituita, un po’ come quella gente, incluso me stesso, che, guardando il sole compiere la sua corsa giornaliera lungo la volta celeste, vedono un altro paradigma e cioè che è la terra che gira su stessa, anche se, personalmente, non ha mai compiuto una sola esperienza dimostrante che la terra giri intorno al proprio asse.

La ragione dell’uso sistemico di questo paradigma deterministico verrà discusso quando parleremo della fisica newtoniana e relativistica basate non sulla logica aristotelica ma su un impoverimento estremo di essa che è la logica booleana, ma per arrivare a ben inquadrare concettualmente questo assioma, inneccesario, del determinismo, ci tocca già di ben capire le nozioni di tempo, di spazio e di equazioni che utilizziamo tutti, senza rendercene conto, nel nostro mondo reale, certo ed esperienziale che ci occupa in questa fase della nostra riflessione.

Certe persone sono assolutamente convinte, in quanto cresciute in tale paradima mentale, che lo spazio sia come un “contenitore” che avrebbe esistenza propria e nel quale tutti gli oggetti fisici sarebbero contenuti e che il tempo sarebbe, per analogia allo spazio, un altro “contenitore” nel quale tutti i movimenti degli stessi oggetti sarebbero anch’essi contenuti: questa concezione semplicistica post-rinascimentale e messa in auge da Newton e dai fisici fino all’inizio del XX secolo, ancora oggi imbratta e ottenebra la comprensione del reale malgrado le congetture teoriche della relatività o della meccanica quantistica e malgrado, soprattutto, che vada direttamente contro il senso comune di quel che sperimentiamo con certezza in prima persona.

Ci sono due realtà che constatiamo in prima persona e che sono incontrovertibili: la prima che abbiamo un corpo che ha un’estensione e la seconda che le proprietà che possediamo, o che osserviamo in altri enti,non cessano mai di passare da potenza ad atto e viceversa, cioè che esiste un moto, cioè che ci sono cambiamenti di stato e di estensione nel nostro mondo esperienziale: questi esistono di per sé, non sono realtà epifenomeniche.

Facciamo una prima esperienza “mentale”: immaginiamo che con il nostro corpo siamo in un vuoto assoluto, senza nient’altro che noi in questo vuoto, ebbene ci sarebbe impossibile dire se occupiamo tutto il vuoto, tali giganti enormi, o dire se siamo un infimo granellino di sabbia in questo vuoto. Per altro, non ci è possibile sapere se ci muoviamo in questo vuoto oppure se restiamo sempre allo stesso punto. Però, osservandoci in questa realtà immaginaria, constatiamo che abbiamo mani e piedi e torso e dita e testa, e che alcuni di questi membri sono più grandi o più piccoli di altri: questo ci permette di ordinare, secondo un traliccio se vogliamo, tutte le nostre estensioni fisiche tra di loro e concludere, ad esempio, che ho un’altezza equivalente a sette teste, una larghezza di tre teste, uno spessore di due piedi, e delle proeminenze e cavità di qualche pollice, tutte queste quattro dimensioni (altezza in quanto grande o piccolo, lunghezza in quanto lungo o corto, larghezza in quanto spesso o sottile, profondità in quanto elevata o lieve) sono misurabili in quanto paragonabili tra di loro e non hanno nessun bisogno di riferirci ad uno pseudo-contenente esterno per essere misurate.

Lo stesso lo posso fare per misurare il moto dando un valore alla sucessione dei vari passaggi da potenza ad atto o viceversa ad ogni cambiamento di stato, per esempio nominare il primo della successione quando alzo il braccio, il secondo quando lo riabbasso, il terzo quando lo rialzo, il quarto quando alzo l’altro braccio: neanche questa numerazione necessita alcun contenitore temporale in quanto tale ma è proprio inerente all’atto del mio essere. Misurare l’estensione o contare i cambiamenti di stato, sono quindi attività di chi osserva, sono realtà epifenomeniche e non realtà in sé: il tempo e lo spazio non esistono in sé.

Quando immaginiamo la Luna intorno alla Terra e questa intorno al Sole, a causa di questo erroneo paradigma newtoniano che ci vizia nella nostra riflessione, crediamo che questi astri sono come sospesi nel vuoto di una grande scatola chiamata Spazio: in realtà niente è sospeso nel vuoto ma tutto poggia sempre su degli enti corporali che esistono. Se guardiamo intorno a noi e discutiamo con amici, codesti non hanno un posto in una scatola, chiamato “spazio”, ma hanno i piedi sulla terra, terra che ha un’estensione in quanto corpo, e in ragione della quale è possibile misurare una distanza, alla stessa stregua che possiamo misurare la distanza tra la nostra mano sinistra da quella destra a ragione della loro relazione al nostro corpo. Nel quadro della Terra , della Luna e del Sole, tutti e tre questi corpi celesti “poggiano” su una realtà fisica che è il loro campo gravitazionale, campo che, connaturale a tutti i corpi possedenti una massa, sempre si estende fino ad altri corpi su qualunque distanza (ci sono anche altri campi simili come, ad esempio, quello elettromagnetico). I corpi senza massa, come i fotoni, non sono in nessun luogo, o, più precisamente, non è mai possibile misurarne una distanza e neanche hanno una misura di tempo in quanto non hanno mai subito nessun cambiamento di stato: il tempo che un fotone scorre è sempre uguale a zero dal suo punto di vista, anche se, tra il momento quando è stato generato e quello in cui è stato misurato, cioè per forza distrutto, possono essere trascorsi fino a 13.5 miliardi di anni per un osservatore ad esso esterno.

Se i moti già compiuti certamente influenzano quelli da compiere, non è detto che li determinino: quest’assunto è squilibrato, ben troppo forte e non corrisponde in niente o ben poco alla nostra esperienza: il passaggio da uno stato ad uno seguente, esprime certamente una serie che è connessa, però non fuori dal soggetto che la attua (un “Tempo” a se stante che tutto incanalerebbe) ma proprio nel soggetto stesso e se si mostra l’esistenza di una causa per ogni cambiamento registrato, questo non garantisce o suppone l’unicità di codesta, cioè il tempo non è mai un agente determinante in sé ma è sola numerazione di una serie di constatazioni di realtà in atto.

Con l’introduzione di concetti come il tempo in quanto computo del moto e della distanza in quanto quello dell’estensione, possiamo introdurre nel nostro mondo esperienziale in concetto di misura, che è nella sua formulazione la più astratta il computo delle proprietà in atto degli enti che si desiderano misurare.

In quanto il tempo e lo spazio non sono realtà esistenti in sé, è impossibile definire il computo del tempo in assoluto, ma un secondo s è definito come il computo di 9’192’631’770  cambiamenti di stato dell’atomo di Cesio 133, alla temperatura teorica dello zero assoluto, e corrispondenti alla transizione tra due livelli “iperfini” del suo stato fondamentale; quanto al metro, esso è definito come la distanza percorsa dalla luce nel vuoto durante un 1/299 792 458imo di quel secondo s. Proprio primordiali sono il moto in quanto cambiamento di stato ed il luogo dell’estensione misurata.

Ogni misura è fondata su un computo che è (a) per sua natura è sempre ordinale, ed è (b) capace di discriminare tra l’attualità della proprietà considerata o di quella della sua proprietà ortogonale (sia la proprietà A e attuale sia -A lo, terzo escluso, cf. figura 1).

In linea di principio è possibile misurare qualunque realtà di cui abbiamo certezza esperienziale: ad esempio ci è possibile dire su una scala ovviamente soggettiva, se la sensazione di benessere che proviamo è superiore o inferiore a 5 su una graduazione teorica di 10, dove 10 sarebbe il paradiso e 0 l’inferno come li immaginiamo; oppure possiamo dire che un incidente è arrivato dopo che il sole era allo zenith ma prima che ci fosse il tramonto. Come vediamo nel primo caso la qualità di benessere sperimentata è sia superiore a cinque (A), ma non può essere inferiore (-A) nella stessa misura, e ciò è rappresentato dal traliccio della figura 1 qui sopra. Mentre nel secondo caso misuriamo il “quando” un evento sia accaduto dopo mezzogiorno, escludendo quelli avvenuti in mattinata, e esercitiamo una seconda misura dove verifichiamo che tale evento ha avuto luogo prima del tramonto e non dopo il tramonto: cioè per dare quella forchetta di tempo durante il quale quell’evento occorse, abbiamo in realtà compiuto due misure, e due misure di proprietà tra loro compatibili che non cambiamo l’atto misurato, in questo caso abbiamo il traliccio della figura 4 che illustra questo strumento di misura dove “c= dopo mezzogiorno” , “-c=prima di mezzogiorno“, “m dopo il tramonto“, “-m=prima del tramonto” ed il risultato della misura attuale è ” c “AND”-m “, ortogonale a tutte le altre e che che non può essere cambiata una volta compiuta.

A priori, è impossibile misurare l’estensione di una realtà in potenza od il suo movimento: le qualità potenziali sono, sì, realtà connaturali all’ente di cui fanno parte ma sono radicalmente aspaziali e atemporali. Solo le realtà in atto, gli enti e le loro qualità, sono misurabili secondo la loro estensione o secondo la successione dei loro moti o altre grandezze materiali come il peso, la carica elettrica, la temperatura, l’energia, il lavoro e così via di seguito.

Come già stabilito più su, la misura di una proprietà potenziale necessita forzatamente il passaggio dalla potenza all’atto della proprietà misurata nell’ente considerato: quel che si computa, cioè quel che è ormai in atto, corrisponde allo stesso concetto di misura di cui sopra. Però in questo caso cambia, come abbiamo già discusso più sopra, lo statuto epistemologico dello strumento di misura: mentre nel caso della misura di proprietà già in atto lo strumento è solo un paziente dell’oggetto osservato che è l’agente, nel caso della misura di proprietà potenziali, lo strumento è la causa agente del passaggio dalla potenza all’atto della proprietà da osservare che ne diventa il paziente, ma, sotto l’aspetto della misura porpriamente detta, è anche il paziente della detta proprietà in quanto ormai in atto e quindi diventata agente della misura.

Bisogna, a questo stadio, fare un paio di distinzioni importanti per riflettere correttamente sulla relazione tra strumento di misura e il passaggio all’atto di una potenzialità. Per cominciare, ci sono ovviamente proprietà che si intende misurare che sono accidentali all’ente considerato e ci sono proprietà proprie alla natura di tale ente. Nell’esempio dei gessetti più sopra chiaramente la loro lunghezza è una proprietà accidentale e dato un gessetto in potenza esso può essere raccorciato pur sempre restando quel gessetto anche se più corto di prima, mentre la sua frangibilità è una proprietà specifica alla sua natura e, quando verificata, il gessetto proprio non esiste più in quanto frantumato o polverizzato. In quanto le proprietà accidentali non sono proprie alla natura specifica di un ente, la loro attualizzazione avverrà per via di una causa agente esogena che ne determinerà la forma (atto) finale. In quanto potenzialità proprie alla natura stessa dell’ente considerato, se esse non sono state attualizzate è perchè vi è una causa accidentale all’ente che impedisce tale riduzione all’atto: la loro attualizzazione avverrà per rimozione di questa causa che l’impedisce e l’ente stesso è come la causa endogena dell’attualizzazione della propria potenzialità.

Una misura reversibile è tipicamente quella che farà passare una potenza all’atto una realtà accidentale all’ente considerato, mentre una misura irreversibile o entropica si riferirà abitualmente ad un passaggio dalla potenza all’atto dell’ente stesso. Tipicamente, quando filtriamo un fascio di luce con un flitro a 622THz, chiaramente il fascio di luce precedente non esiste più e solo rimane la luce con quel colore blu lì.

Possiamo interpretare gli stati “puri” di cui più sopra, come essendo quegli enti che sono pienamente in atto senza più alcuna potenzialità non accidentali, cioè in uno stato di “entelechia”, mentre quegli stati che non hanno ancora tutte le loro potenzialità in atto possiamo dire che sono, ancora, in uno stato di “energia”. Un processo di misura entropico tipicamente conduce un ente, più o meno completamente, da uno stato di “energia” a quello di uno stato di “entelechia” levando le cause che impediscono tale “entelechia” di realizzarsi.

La rimozione di tale causa, che chiameremo neghentropica in quanto impedente la realizzazione dell’ente nella sua entelechia, non ha quindi nessuna natura deterministica, l’accessione dalla potenza all’atto essendo propria dell’ente considerato e non dello strumento di misura che lo ha come “liberato” dal carcano neghentropico, carcano neghentropico che sempre è, proprio per definizione accidentale rispetto all’ente che si misura: non si può, quindi, pretendere che l’azione dello strumento di misura in quanto causa agente del passaggio dalla potenza all’atto della detta proprietà determini in avanzo il risultato stesso della misura: quest’ipotesi deterministica è, ancora una volta, un assioma che non è fondato nel nostro mondo esperienziale. Se questo fosse vero, visto che sarebbe un assioma, per assurdo, allora se chiedessi ad uno stesso gruppo di persone (1) se dovessero votare tra Tizio e Caio chi sceglierebbero, (2) se dovessero votare tra Caio e Sempronio chi sceglierebbero, (3) se dovessero votare tra Tizio e Sempronio chi sceglierebbero, una volta ottenuta una risposta per (1) e per (2) allora dovrei già avere per certa la risposta alla domanda (3), il che è cosa men che vera, come lo constatiamo ad ogni votazione popolare. In questo caso il traliccio logico da applicare non è quello della figura 4 come nel caso di proprietà attuali ma è quello del traliccio della figura 12 del Modus BOCARDO (che è analoga al principio della causalità universale della figura 2 e alla figura 5 delle proprietà implicate tra di loro) dove il passaggio all’atto della proprietà da misurare implichi sia il passaggio dalla potenza all’atto “c” (=scelgo Tizio in (1)) oppure all’atto “m“(=scelgo Caio in (2)) e la misura susseguente nei due casi rispettivi essendo sia che il risultato “non è m” (=non è Caio in (2), cioè può essere Tizio o Sempronio) oppure che “non è c” (=non è Tizio in (1), cioè può essere Caio o Sempronio) salvo restando quelle che “non sono né “m” né “c”” (=né Tizio néCaio, cioè solo Sempronio), quando in atto. Dunque l’assioma deterministico è falsificato.

Un’equazione di moto è una narrazione, che può anche esprimersi secondo le regole ortografiche di una formula nel quadro sintattico di una teoria matematica, che ha il fine di descrivere le relazioni quantitative tra le varie proprietà misurabili attuali e potenziali di un ente o di un insieme di enti: essa sempre esprime una congettura più o meno robusta circa la realtà narrata.

L’equazione di moto di una realtà fisica considerata in atto è, in linea di principio, capace di descriverne le sue proprietà attuali, dal momento della loro attuazione a quello della loro scomparsa; non solo, ma può anche descrivere le condizioni dell’attualizzazione e della scomparsa delle proprietà attuate, ovviamente fintantocché tali condizioni sono attuali. La struttura logica per difetto è dunque quella della figura 4 di proprietà commutabili tra di loro, in quanto non entropiche visto che si considerano solo realtà già in atto, sulla quale si construiscono esperienze e sillogismi fondati sul Modus BARBARA della figura 16.

Nel caso di queste equazioni di moto, a causa di queste commutabilità delle proprietà da narrare e della forma generica del Modus Barbara, la discussione si centra quindi sulla ricerca di possibili simmetrie presenti nell’attualità che si desidera descrivere: sim-metria (συμ-μετρία) vuol dire co-misurabilità (tipicamente la figura 4), e può essere intesa come ricerca di una forma di “armonia” nella realtà attuale. Vi sono simmetrie discrete come tutte quelle nel nostro mondo finito esperienziale (e simmetrie continue quando si vorrà immaginare realtà infinite nel piccolo o nel grande) ; vi sono simmetrie locali, direttamente osservabili da noi (o simmetrie globali se vogliamo avere valenze universalistiche); vi sono simmetrie interne, cioè proprie agli enti in quanto tali indipendentemente dalle solo estensioni e moti e simmetrie esterne cioè in relazione a misure di estensioni (spazio) o di moto (tempo). Ad esempio, nel caso di un’equazione di moto, bisogna ammettere che tale narrazione sarà sempre la stessa che si cambi il punto di vista dell’osservatore per traslazione, rotazione, distanza e così via di seguito e questo determinerà la forma precisa di tale equazione di moto (galieleana, newtoniana, eisteininiana, etc), lo stesso vale per le equazioni che descrivono i fenomeni elettrodinamici rispetto alle invarianze di gauge, e così via di seguito.

Un principio razionale a fondamento della pretesa di narrare un’equazione di moto è basato essenzialmente sulla nozione che tale equazione di moto descrive il risultato sperimentale, cioè la misura, in qualunque momento precedente, presente e susseguente, come anche a qualunque distanza se si facesse, oppure no, tale misura: vi è quindi sempre sottinteso il fatto che tale misura possa avvenire in qualunque luogo e tempo (“sim-metrìa” spazio e tempo), secondo i paramentri e ipotesi fisiche descritte dall’equazione e senza che tale misura modifichi l’attualità delle proprietà osservate: a ben guardare un’equazione di moto descrive in realtà il moto dello strumento di misura, cioè come l’ente agente (quello che si misura) agirà sul suo paziente, lo strumento di misura, cioè quando questi risponderà sì, oppure no, nella sua interazione con l’agente. Per esempio, quando un’equazione “descrive” una traiettoria (parabolica) di un grave lanciato in aria e ricadente in terra, questo in realtà ci dice che se lo strumento che misura la presenza del grave, ad un momento dato e ad un luogo dato, la risposta sarà positiva se tale strumento si trova sulla detta traiettoria e negativa se fuori da essa: è quindi della traiettoria giusta o sbagliata dello strumento di misura di cui si parla.

Nel mondo reale esperienziale, in realtà, un’equazione di moto sarà sempre quindi solo una congettura da falsificare con un ragionamento di tipo BOCARDO ( o se vogliamo valutarne la robustezza con uno di tipo DARII o DARAPTI) ma non sarà mai una narrazione capace di descrivere un passaggio entropico da potenza ad atto, in quanto tale potenza, abbiamo visto è caratterizzata dal fatto che sia aspaziale e atemporale e la struttura logica del suo apparire nell’attualità di certo non è secondo il traliccio della figura 4 ma secondo quello della figura 5. Abbiamo visto che nessuno strumento di misura può misurare una tale realtà potenziale senza prima farla passare dalla potenza all’atto (il famoso gessetto frangibile in potenza, ma di cui, quando infranto, possiamo solo constatatre la rottura): cosa potrà esprimere una narrazione del moto nel reale che tenga conto di questa fattualità entropica? Prima di tutto non potrà esprimere nessuna simmetria nello spazio e nel tempo, ci sarà sempre per forza un prima della misura e un dopo la misura con la nuova proprietà attuata, quindi una profonda asimmetria che rappresenta questa riduzione entropica della potenza all’atto; come conseguenza immediata, siamo in un contesto intrinsecamente non deterministico a priori, e cioè, niente, epistemicamente parlando, permette di “prevedere” il risultato specifico, esperienziale della detta misura, dunque il solo elemento misurabile è il discriminare tra attualità possibili e attualità non possibili data le potenzialità che si desidera misurare.

Nell’esempio, più sopra circa la scelta tra Tizio, Caio e Sempronio, si arriva alla conclusione che le domande (1) e (2) non determinano il risultato (3) in modo univoco e determinista, date le risposte precedenti, ma che, potenzialemente la risposta potrà essere sia Tizio, sia Caio, sia Sempronio senza esclusione di nessuno dei tre. E qui vediamo subentrare la nozione di probabilità alla condizione che sia possibile svolgere tale esperimento entropico un numero di volte superiore a uno, e alla condizione sine qua non che la potenza consideranda non sia specifica all’ente individuale in quanto tale, ovviamente.

Un’equazione di moto in questo contesto entropico, sarà quindi la narrazione della variazione di probabilità del passaggio entropico da una potenza all’atto causata dallo strumento di misura (in questo caso agente), e, quando avvenuta, della susseguente misura dell’attuale proprietà dell’ente misurato, premessa la congettura che tali potenze non siano specifiche al solo ente attualmente misurato.

Nota Bene 3: la misura di una potenzialità entropica, in quanto concerne un’aspetto della realtà fisica che è atemporale e aspaziale proprio nella sua natura, necessita da un lato la rimozione della causa neghentropica e, quindi un’azione “agente” da parte dello strumento di misura su tale causa accidentale che “parasita” l’ente nella sua accessione all’entelechia, e d’altra parte l’effetto ottenuto concerne l’ente in quanto tale. Ricordiamo l’esempio qui sopra del ponte rompibile, che è rotto in quanto ponte, indipendentemente dal fatto che sia lungo 10 metri o 300’000 kilometri, una volta fatto saltare in un qualunque punto della sua struttura: la proprietà potenziale di essere rompibile è atemporale e aspaziale, quando rotto lo è in quanto entità. Quest’osservazione è per sottolineare la nozione di “Località della causalità” che discuteremo più volte nei prossimi capitoli: nel nostro modo reale, certo perché esperienziale, esso si traduce con un principio già discusso, e cioè che solo quando all’agente corrisponde al paziente, la causa del primo “si imprime” nell’effetto del secondo.

Breve Riassunto del Reale Certo ed Esperienziale

Prima di cominciare ad esaminare la portata epistemica e le strutture logiche del mondo reale aldilà di quel che è sempre certo per ognuno di noi, vale la pena di riassumere brevemente i momenti capitali delle nostre riflessioni.

Il mondo reale, quello di ognuno di noi, quello che gustiamo in prima persona, quello che non siamo più capaci di guardare tale quale è, ma solo tramite l’uso di paradigmi culturali che ci sono stati imposti, è un mondo di una bellezza a mozzare il fiato: è un reale radicalmente asimmetrico, che sia nel senso dell’estensione che in quello del moto; è un mondo entropico che, essenzialmente, non può mai tornare “indietro”, dove l’attualità e l‘entelechia vincono sulle potenze e l’energia in modo irreversibile; è un mondo costituito da enti individuabili e discernibili tra di loro; è un mondo causale ma non deterministico; è un mondo che esiste con certezza perchè sempre provato da ognuno di noi con certezza; è un Reale la cui trama logica è rappresentata simbolicamente dalla figura 3, dove ogni punto rappresenta un essere indipendente e diverso dagli altri e che sorge nell’attualità del nostro reale in quanto tale, causato ma non determinato; è un mondo dinamico, in un senso “squilibrato”, non come la figura 8 del traliccio logico RGB, ma secondo quello apparentemente imperfetto delle figure 5 e 2, squlibrio apparente che in realtà esprime la sua capacità di moto verso l’entelechia e non di essere una realtà statica, esattamento come il camminare è reso possbile solo dallo squilibrio dinamico del corpo che lo attua..

Forse è venuto il momento di riferirsi ad una serie di riflessioni che abbiamo mandato avanti nel 2016 circa la Complessità e Informazione quando affermavamo praticamente che il mito della caverna platonico è un’impostura intellettuale: non sono sul muro della caverna delle ombre che appaiono generate da una realtà ideale ordinata esterna alla caverna di cui si tratta. In realtà, siamo in un mondo dove il demiurgo rompe le simmetrie disordinate descritte da elementi sempre più confusi tra di loro e permette, così, l’apparire di un mondo asimmetrico e ordinato dove ogni realtà è identificabile e unica e non determinista. Il mondo delle idee platoniche è il mondo delle risposte che si pretendono certe ma non sono vere, nel senso che non sono mai perfettamente adeguate al reale che rappresentano, ma ne sono solo un’astrazione: sola la conoscenza dell’individualità nella sua profonda asimmetria e nel suo proprio ordine intrinseco, cioè la sua entelechia, è certa e vera proprio per definizione.

E anche il momento di ricordare l’emozione che proviamo di fronte a quell’arte-filosofia giapponese del Wabi Sabi che tenta di cogliere emozionalmente tale squilibrio apparente, proponendo una bellezza transiente dove anche l’imperfezione, che in realtà è rottura di simmetria, è colta nella sua impermanenza.

Figura 20: Kintsugi, l’Arte dell’Entropia secondo il Wabi Sabi

(Continua la prossima settimana con “Aldilà delle Certezze Esperienziali, Oggettività ed Obiettività” )

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Categories: Cortile dei Gentili, Filosofia, teologia e apologetica, Simon de Cyrène

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