Il nuovo post di Andrea Tornielli riporta un bella testimonianza di una fedele di cui egli è stato protagonista diretto.
La signora testimonia di aver pregato “per trent’anni perché questo avvenisse, e ora con Francesco, i miei genitori sono tornati in chiesa, sono tornati a confessarsi e a fare la comunione“.
Tornielli quindi intravede in questi segnali la forza del messaggio della misericordia di Dio che Papa Francesco ha messo in campo.
Ci torno perché giusto ieri stavo studiando il copione di un musical dedicato alla figura di San Francesco; musical a cui un Don, mio carissimo amico, mi ha chiesto di partecipare come protagonista. In breve eccomi a studiare un monologo in cui Francesco illustra la sua concezione teologica. E’ una piccola omelia che ci potrebbe aiutare a comprendere il motivo per il quale Papa Francesco ha scelto il tema della misericordia per scardinare le posizioni più estreme.
E il motivo per cui ci sta riuscendo alla grande.
Mi permetto, nel trascrivervi questo monologo, di aggiungerci alcune considerazioni personali che spero possano aiutare nella lettura.
“C’è tanto, tanto da fare per portare la pace fra gli uomini, per migliorare questo nostro mondo. Altrimenti il male avrà la meglio.
Perché siamo un po’ tutti lupi di Gubbio. Essere cinici, cattivi, egoisti è facile e va di moda. Il confine fra la cattiveria e la crudeltà poi si può scavalcare quando meno te lo aspetti. Basterà un frate con una corda che gli fa da cintura intorno a un ruvido saio a redimere un lupo di Gubbio? Non lo so; ma se indossa quel saio sa che deve provarci a tutti i costi. Ogni lupo si può ammansire; ma solo con la carezza del perdono. Il perdono spiazza l’egoismo, gli fa intravedere una luce a lui sconosciuta, forse lo disarma perché essere perdonati non è solo essere perdonati: è presa di coscienza, è voglia di dire «Forse non lo farò più».”
La luce che gli autori del musical qui citano è la luce della “misericordia” di Dio. E’ quella luce che illumina sub specie aeternitatis la realtà che l’uomo sta vivendo. La luce della misericordia di Dio è l’abbraccio del padre misericordioso che corre incontro al figlio e che rivela all’uomo come anche una realtà difficile, come quella del peccato, acquisti un senso nel disegno se compresa nel pentimento. E’ quella comprensione “di senso”, “presa di coscienza”, che richiama la preghiera a Dio di grazia, di partecipazione per grazia alla sua vita divina (che è l’essenza pura della fede cristiana!). In modo complementare infatti cristianamente si domanda a Dio non di cambiare la realtà che si sta vivendo (come si domanda perdono per ciò che è stato fatto e che oramai DA PARTE DELL’UOMO è fatto!), ma di mostrarci la medesima realtà come la vede lui! E’ il “passi da me questo calice, ma sia fatta la tua volontà”.
L’egoismo e la cattiveria dei nostri tempi sono solo manifestazioni di paura e insicurezza. Chi grida, inveisce e batte i pugni sul tavolo con prepotenza lo fa solo per ribadire ingenuamente la sua esistenza perché ha paura che essa svanisca e si diventi invisibili agli altri.
Sarò tacciato dai soliti di “psicologismo”, ma questa è una bella verità. Chi non crede a colui che tutto vede, come può dare senso profondo alla propria esistenza, sentirsi visibile, amato? E’ il classico modo di fare dei bambini che hanno molto bisogno di affetto e di sentirsi amati, importanti; quei bambini che sanno che ad ogni marachella che combinano, seguirà necessariamente la mamma che sarà tutta concentrata su di loro. Poco importa se è arrabbiata. Le attenzioni (furenti) della mamma lo fanno ingenuamente esistere.
E purtroppo oggi si vive spesso soltanto di “visibilità”. E allora questa paura diventa attaccamento estremo alla vita propria e solo propria. Diventa come un grido disperato di vergogna di non essere all’altezza del bene e dell’amore.
Per ovvia conseguenza l’anima creata che non tende al suo creatore è un’anima frustrata, castrata nell’unica libertà possibile che è quella di divenire in toto ciò per cui è nata.
Il male compiuto da un uomo visto come grido disperato di vergogna per la propria esistenza, che si disarma con il perdono dell’unico creatore di questa stessa esistenza è il tema di questo monologo. Mi sembra possa essere in effetti una bella parafrasi del “miserando atque eligendo” di Papa Francesco.
Due cose, tra l’altro, troppo lontane, troppo invisibili rispetto a una bella casa o a un bel vestito nuovo. Ecco perché questa paura spesso porta a dare importanza spropositata al denaro e al possesso delle cose. Perché si ha paura che altrimenti non si esista. Mentre invece, per esistere veramente, e per gustare e godersi il bene e l’amore, bisogna privarsi di tutto, anche di se stessi. Via l’egoismo, via l’ambizione, via la voglia di possesso e potere. Ricordatevelo: solo spogli si diventa più leggeri e si può volare fin dove abita l’amore. E l’amore, vi assicuro, abita in alto. Più in alto persino di Dio.
Il continuato del dialogo appena scritto è quello che è. Il finale poi, dal sapore Eckartiano, è davvero una sparata senza senso se non spiegato a dovere. Sul palco, diciamo così, farò finta di dimenticarlo…
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