È Tempo Di Azione Concreta, Pratica, Effettiva – Parte 11

Come già accennato più su, nei Vangeli non si vede mai Gesù lavorare, mentre vediamo gli Apostoli nell’esercizio dei loro mestieri, non ultimo San Paolo che si glorificava di fabbricare tende per sovvenire ai propri bisogni. Eppure, i Suoi insegnamenti spessissimo si propongono in un linguaggio economico tale da essere ben capito nel quadro dell’ecologia dei Suoi tempi al fine di poter essere recepito più facilmente su quello spirituale dai Suoi contemporanei.

Nel nostro contesto culturale del XXI secolo dobbiamo rileggere quel trattato di economia pratica che propone la Buona Novella per compiere lo stesso percorso spirituale che Gesù ci indica con sapienza e buon senso: è nell’ecologia evangelica che possiamo mettere in evidenza l’economia apocalittica che ci rivela, per l’appunto, la sintesi della nostra elezione umana e familiare nella Carità divina.

Se prendiamo il Vangelo di San Matteo come base esemplare, vediamo immediatamente come, quando lo Spirito induce Gesù nel deserto per essere tentato dal diavolo, le tre proposte sataniche le più attraenti per un’anima corrotta dall’akrasia originale sono utilizzate da Lui per indicarci il cammino della trascendenza nella realtà quotidiana: l’uomo non vive di solo pane ma di ogni parola proferita da Dio; l’uomo non va contro la propria natura (gettandosi nel vuoto) voluta da Dio; l’uomo non adora Mammona ma solo sceglie Dio. La sintesi a seguito delle tesi e antitesi sviluppate nelle righe più sopra si ritrova in queste affermazioni: l’uomo vive della parola di Dio che è sempre creatrice quando viene pronunciata, tutti le creature vi partecipano quindi, e tutto quel che l’uomo produce come il pane per sfamarlo ha da essere vissuto nel contesto di tale parola divina; l’uomo ha da capire l’ecologia della propria natura e ha da metterla in opera con sguardo ontologico; infine, l’uomo ha da sviluppare un’economia della sua relazione con Dio dove l’essere sé primeggia sull’avere per sé, un obbligo etico alla felicità, quindi.

Questo trittico esprime la nozione di Giustizia, in quanto virtù sine qua non necessaria alla felicità: siamo felici, in realtà, solamente quando esercitiamo la giustizia, quando abbiamo dato a tutti, compresi a noi stessi, quel che spetta loro e più ancora. L’infelicità metafisica o psicologica è sempre legata al fatto che non abbiamo reso giustizia a coloro di cui noi siamo il prossimo, Dio stesso incluso. Per questo la nozione di benessere non ha un legame diretto con la felicità: essere bene è un non soffrire e un godere, certo con equilibrio, ma non è sorgente di felicità di per sé; se un’altra persona soffre o non gode di vacanze alle Hawaii in niente questo tange il mio stare bene ed il mio godermi le vacanze in famiglia; mentre, invece, se una persona non può avere buona salute perché gli ho dato un lavoro insalubre da fare e non può andare in vacanza perché lo ho truffato, allora, anche se mi godo benissimo le vacanze, in realtà rimango infelice perché non ho esercitato la giustizia; non solo, ma essendo stato creato in quanto Adamo ed Eva ad immagine di Dio, se la mia giustizia non si è esercitata in modo traboccante e generoso, la mia felicità sarà meno perfetta: se un figlio ci chiede di leggergli una storiella per cinque minuti e facciamo lo “solo” stretto necessario, la nostra giustizia non è completa, se invece abbiamo traboccato e gliel’abbiamo letta per quindici minuti allora siamo davvero felici, allo stesso modo che se la propria moglie ci chiede di sbarazzare la tavola ma in più gli laviamo i coperti anche se non ci è stato chiesto, come insegna lo stesso Gesù quando ci parla della Sua interpretazione legge del taglione o circa l’amore del prossimo che ci induce a fare molti passi di più che quelli necessarî.

La felicità edenica di avere Dio presso di noi nel giardino, questa felicità dell’esperienza della trascendenza alla quale siamo destinati per elezione divina, la possiamo ritrovare dopo il peccato originale lungo i passi di Gesù, il Cristo, in modo supernaturalmente superlativo esercitando la virtù di Giustizia quale Egli ce la indica  fin dall’inizio della Sua vita pubblica grazie alle Sue risposte alle tentazioni nel quale lo Spirito lo aveva condotto: solidarietà con tutte le creature, spirituali e materiali, parole di Dio; fedeltà alla propria natura umana; obbligo alla felicità nella Giustizia, adorando Dio e non le sue creature.

Dopodiché Gesù va a chiamare i Suoi primi discepoli, i quali sono tutti al lavoro alla pesca: i fratelli Simone ed Andrea ed i fratelli Giacomo e Giovanni. Illuminante momento: la chiamata, l’elezione è familiare, è nelle famiglie che l’appello di Dio riecheggia, ed è al lavoro, nel giardino loro, nel caso particolare il mare di Galilea sulle loro barche. L’elezione di noi cristiani avviene nel nostro giardino edenico, dopo il peccato originale, sottomesso a Mammona ed è nel quadro dell’atavica condanna a lavorare nel dolore e nel sudore che l’appello del Signore si realizza.

Quando Elia è mandato dal Signore a scegliere il proprio successore Eliseo, trova costui ad arare il campo con i buoi e l’aratro: ed Eliseo sgozza i buoi e li brucia usando del legno dell’aratro che ha sfasciato a questo fine eppoi segue Elia lasciando dietro di sé i propri genitori per adempiere la chiamata di Dio. All’opposto il giovane ricco del Vangelo, eppur chiamato da Gesù Stesso, non è capace di vendere tutti suoi beni e seguirLo sui due piedi. Gesù il Cristo ci incontra nel nostro giardino e sconvolge la nostra ecologia malata dal peccato originale per proporci un’economia divina che ci trascende e ci innalza a livello di figlio di Dio.

Il susseguente discorso sulla montagna ci indica a quale ecosistema la Buona Novella si rivolge: ai poveri di YHVH, coloro che non sono sottomessi alla ricerca di beni in sé, che li possiedano oppure no, e che, liberati da Mammona, hanno quindi la piena libertà di accedere al regno dei cieli; a coloro che senza violenza, senza furto, senza sopraffare il giardino e chi vi abita hanno quindi l’uso della Terra promessa, regno di Dio; a coloro che hanno fame e sete di giustizia e che, esercitandola, ne saranno colmi e quindi saranno felici; a coloro che traboccano con generosità la giustizia rendendola ancora più giusta perché applicata con misericordia; a coloro che cercano la verità con onestà e in semplicità, cioè ai cuori puri, i quali soli conosceranno Dio. È il sottobosco di cui abbiamo parlato più volte: tutta quella realtà che esiste e si sviluppa sotto gli altissimi fusti dei più maestosi alberi della foresta, quella di coloro che adorano Mammona e il potere di acquisto, quelli che non badano ai metodi utilizzati e alle loro conseguenze sulle famiglie ed gli individui i cui sentieri incrociano, quelli  a cui non interessa la giustizia ma solo il proprio benessere, quelli che pensano essere i soli al mondo e che il mondo debba essere al loro servizio, quelli ai quali non interessa la verità ma solo i discorsi che solleticano piacevolmente le loro orecchie viziose.

Questo è il sottobosco dove un approccio ecologico ontologico prende tutto il suo significato: dentro il quale e sul quale costruire la felicità di ogni famiglia santificandola.

La necessità di un’economia sovrabbondante, dove il dono ne è il fondamento, è implicita al Suo insegnamento sull’elemosina.

Il Suo rifiuto di tesaurizzare è espresso nel Suo insegnamento sui beni terrestri dove mette in evidenza l’inezia di voler servir due maestri al contempo, Dio e Mammona  e ricorda che bastano le risorse generative e rigenerative che Dio stesso mette a disposizione anche agli uccelli nei cieli e ai gigli nei campi e rimette le cose a posto: è nel cercare il Regno di Dio e la Sua Giustizia che troviamo in sovrappiù di che vestirci e mangiare meglio di Salomone, e non il contrario. Qui è la chiave esplicita dell’ecologia e dell’economia apocalittica, la rivelazione kerygmatica che solve tutte le tesi ed antitesi sul Gardino di Eden di cui abbiamo parlato così a lungo finora: non è cercando questi che troviamo il Regno di Dio, ma è cercando il Regno di Dio che troviamo Eden.

Le parabole esposte nel capitolo tredicesimo sono pura esposizione di un economia che ha una sana ecologia alla sua radice. La parabola del seminatore ci illustra quel che nessuna banca o istituto finanziario umano sarà mai capace di garantire: per qualche grano perso sul cammino, per qualche altro bruciato dal sole per assenza di buona terra, per qualche altro soffocato dalle erbacce, alcuni cadono nella buona terra e producono 3’000%, 6’000%, 10’000%. E questo è all’immagine del regno di Dio: ed è perché il nostro giardino deve essere all’immagine del regno di Dio che applichiamo quei principi di permacultura che abbiamo citato all’inizio delle nostre riflessioni.

Cosiccome lasciare loglio ed il buon grano crescere assieme e non tentare di separarli troppo presto tra di loro ci indica quell‘inclusione della diversità e quella cura per le regioni limitrofe dei nostri campi agricoli, umani, sociali.

Le parabole del granello di senape o del lievito come i miracoli della moltiplicazione dei pani e dei pesci come sempre si riferiscono alla pletorica generosità del mondo naturale e soprannaturale: fruttuosità che non è un traguardo dell’umano sforzo ma gratuità divina che si innesta nel nostro reale.

L’insegnamento sulla remissione dei debiti al povero, cioè ancora volta la centralità di un’economia del dono inverso chi non ha abbastanza è ribadita con forza nel quadro della Sua parabola circa il perdono.

La parabola dell’operaio dell’undecima ora mostra quanto il valore del lavoro non sia da essere monetizzato in quanto tale: il lavoro stesso vale altro che qualunque moneta, la moneta degli operai della prima ora vale dodici volte di più che quello degli ultimi; il prodotto del lavoro degli ultimi costa dodici volte di più che quello della prima ora in termini monetari: non è Mammona che giudica del lavoro degli operai o del loro prodotto, ma, bensì, questi lo giudicano; sembrava che questo denaro valesse tanto che poteva pagare dodici ore di lavoro, mentre invece, alla fine, vale solo un’ora di lavoro, dodici volte meno.

Con la parabola dei talenti, vediamo quanto sia apprezzato lo spirito imprenditoriale di chi avendo cinque talenti fu capace di produrne altri cinque, e di chi avendone due ne produsse altri due, mentre è condannata la tesaurizzazione del solo talento in quanto tale e quando mettendolo in banca per un vile tasso di interesse sarebbe stato meglio per il suo detentore.

Tutto l’insegnamento di Gesù quando si riferisce al Regno dei Cieli, mostra quindi un’economia che è quella dell’ecologia di Eden, una realtà divina che è, che non è andata perduta, che ancora adesso governa l’ecologia ontologica e che si riflette nella realtà dei Suoi esempi concreti.

È capendo la portata spirituale di queste parabole “economiche” che capiamo la pregnanza anche materiale dei loro insegnamenti: nel nostro sottobosco sociale, culturale, economico le leggi dell’economia che dobbiamo applicare hanno da essere, per quanto possibile e sensato, quelle del Regno di Dio che già le attuano in modo ineffabile.

Se, per i discepoli di Gesù, al ricco sembra impossibile entrare nel regno dei cieli perché sarebbe più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, Gesù dichiara che se prendiamo il problema dal punto di partenza giusto, cioè quello di Dio, allora questo diventa possibile.

È seguendo il passo di Gesù, in quanto Figlio di Dio, che possiamo trascendere la nostra fatica umana nel nostro giardino e trasfigurarla in un incontro con la Trascendenza sul monte Tabor e chiudere in noi il ciclo apertosi con il consumo del frutto proibito.

Quest’opera del popolo di Dio che, spinto dallo Spirito Santo, tenta di sublimare la realtà quotidiana nella quale è immerso per offrirla a Dio, come Abele offrì i frutti del suo lavoro, è l’umana liturgia quotidiana, per antonomasia, che si unisce a quella stessa che il Cristo Gesù offre al Padre sulla Croce in modo cruento e sull’altare in modo incruento: essere figli di Dio è essere, non solo re e profeti, ma anche sacerdoti e realizzare nel nostro giardino la Liturgia eterna che il Figlio offre al Padre per ristabilire con perfezione la Giustizia in tutte le cose glorificandoLo.

In Pace

(Continua)

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1 reply

  1. Mi pare che solo in questo senso acquista vigore e chiarezza il passo in cui Gesù dichiara : “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.”
    Senza una prospettiva divina non esiste idea di felicità come perseguire la sua giustizia e con esso precisa consapevolezza di cosa significa “famiglia” e di quale sia il suo bene.
    O almeno, dopo la lettura, mi par di poter dire questo…

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