È Tempo Di Azione Concreta, Pratica, Effettiva – Parte 3

Osservare, interagire, condividere e decidere: abbiamo visto che questo conduce l’ecologo ontologico a scoprire le risorse che gli sono a disposizione e a riflettere su come utilizzarle. Vi sono tre tipi di risorse: quelle che si consumano poche volte o solo una volta e che, una volta esauriti, non possono essere rigenerati. Sono risorse degenerative: come una macchina, ad esempio, più la si utilizza più degenera e, alla fine, in quanto risorsa sparisce, consumata.

Vi sono nel Giardino di Adamo & Eva risorse generative, quelle che sono il frutto del loro lavoro: più lavorano, più hanno campi che producono, ma quando cessano di lavorare allora l’accesso a queste risorse sparisce. È tutto il campo ontologico del lavoro quotidiano e che, con il peccato originale, diventa il fulcro del pianto e del sudore di ogni essere umano.

Ma nel bel Giardino di Adamo & Eva che il Signore ha preparato loro vi sono descritte essenzialmente tantissime risorse rigenerative, cioè risorse che diventano sempre più rigogliose con generosità e multiformità: ad esempio gli alberi fruttiferi, che ogni anno, una volta piantati, producono sempre più frutta, e più tardi ancora offriranno ombra e domicilio per i figli e nipotini e gli uccelli del cielo, e legna dai rami secchi per il focolare casalingo, e i cui semi saranno all’origine di tanti altri alberi quanto il contesto lo permetta.

Questa è la natura intrinseca della realtà: l’essere è rigenerativo per essenza. Una sana ecologia è costruita intorno a realtà rigenerative: lì dove l’effetto di leva di massimo, un semplice buco eppoi decenni di frutta senza fare altro che andare a coglierli. Da una coppia, une miriade di discendenti; da un maestro un’infinità di competenti; da un seme, un campo; da una piccola goccia di amore obbediente allo Spirito Santo un mare di Grazie.

L’Essere è sempre cosa buona, facoltosa, generosa: ogni volta che vedo, da una patata da me piantata in terra, dieci patate prodotte, da un semino di pomodoro da me lasciato incubare, kilogrammi di pomodoro, da un nocciolo di mela messo da me in terra, tonnellate di mele durante decenni, da quattro galline uova quotidiane, allora mi dico che le priorità degenerative che la società ci impone sono, semplicemente, idiote.

Questa società ci chiede di produrre risorse generative per poi acquistare risorse degenerative oggetto di consumismo: in altre parole di rendere quel che è generativo per farne un tutto degenerativo, visto che quel che produciamo va a finire in risorse da esaurire al più presto possibile.  Ma questo processo è contrario alla nostra natura umana, al nostro essere famiglia: la famiglia, il mio essere Adamo & Eva, è dell’ordine del rigenerativo non del degenerativo.

Non è saggio, non è razionale, non è efficiente, non è effettivo, non è veritativo, non è santificante imbarcarsi in un sistema degenerativo che è l’opposto della nostra natura la più intima che è rigenerativa.

Per questo il sistema social/economico nel quale siamo vuole la distruzione della famiglia, realtà intrinsecamente rigenerativa che si oppone, se non altro per una forma quasi ontologica di inerzia, ad una cultura del degenerativo: per questo esso schiaccia, frantuma, atomizza le famiglie volendo solo individualità solitarie e offrendo loro, non la felicità alla quale hanno diritto per natura, ma solo piaceri, attività degenerative, e succedanei menzogneri.

L’azione concreta è, nel vagliare le risorse delle nostre famiglie e del nostro giardino, quale siano quelle degenerative, quelle generative e quelle rigenerative: la conversione comincia proprio qui, nel focalizzarsi su quelle risorse rigenerative con assoluta fermezza, sui figli e discendenti, sulla cultura, sulla vita spirituale, sugli alberi frutticoli, sui legumi perenni, sull’imparare a pescare invece di acquistare pesci, sui valori familiari. Ogni famiglia deve capire quello di cui ha bisogno nella propria perennità santificante.

La seconda azione concreta concerne nel rifiutare nella misura del possibile, il che è differente per ogni famiglia, di partecipare alla cultura degenerativa ricentrando le proprie attività sulle risorse generative e rigenerative: comprare un hamburger da consumare, un’automobile per farsi vedere, un vestitino alla moda da usare una stagione durante una settimana in tutto, partire in vacanza consumando turismo sono attività degenerative per eccellenza anche se rispondono a bisogni legittimi come il mangiare, lo spostarsi, il vestirsi, il distrarsi e divertirsi. Ma non corrispondono alla nostra natura la più intima: possiamo mangiare quel che abbiamo prodotto dalla farina, all’olio d’oliva, al pomodoro per farne, per generare, una pizza; possiamo comprare o fabbricare prodotti di qualità, fatti localmente e la cui durata è la più lunga possibile e facili da riparare; possiamo distrarci con amici ed in luoghi maestosi senza frenesia consumistica, rendendo visita ad amici e familiari, aiutandoli in cambio; o qualunque altra soluzione che sia la più generativa o rigenerativa possibile.

Questa è ricerca della felicità semplice, veramente umana e trampolino naturale per una vita spirituale e soprannaturale che ci rende sempre più consoni all’Essere divino.

Benché sappiamo che Gesù stesso era un artigiano falegname come suo padre putativo, San Giuseppe, mai Lo vediamo, nelle testimonianze evangeliche, lavorare nel senso di produrre risorse generative: i miracoli compiuti sono tutti rigenerativi che sia la guarigione o la rianimazione di malati, il cambiare l’acqua in vino, il trovare una didracma in un pesce per pagare un dazio, la moltiplicazione soprabbondante di pani e pesci. Anche quando viaggia o mangia pesci, o organizza la Pasqua Lui dorme o fa lavorare altrui: questo è certamente un segno evidente della Sua natura divina ma anche della perfezione di quella umana.

Imitare il Cristo Gesù è quindi certamente privilegiare un’ecologia rigenerativa per quanto realisticamente possibile hic et nunc in quanto più conforme alla natura dell’Essere stesso e, quindi, alla nostra.

A questo punto però ci conviene riflettere un poco su cosa sia il peccato originale e quali ne siano le conseguenze per la nostra natura: aldilà della realtà fattuale della caduta di Adamo & Eva, lo iato tra la felice perfezione del paradisiaco giardino quale è la nostra natura umana e l’esperienza esistenziale che ne abbiamo hic et nunc è qualcosa che interpella la mente che riflette in termini metafisici e ontologici. Allo stesso modo che la conoscenza dell’esistenza di Dio non è un atto di fede ma il risultato dello sforzo intellettivo umano, così anche il peccato originale con le sue conseguenze può essere messo in evidenza senza atto di fede nella sua esistenza.

La questione sorge da una problematica già evidenziata nel platonico Protagoras quando Socrate si mostra convinto che nessuno può compiere atti malvagi in conoscenza di causa ma solo per ignoranza: punto di vista che Aristotele (Etica Nicomachea, VII, 2) contrattacca in quanto l’evidenza del reale è che è perfettamente possibile scegliere liberamente, cioè senza vincoli e consapevolmente, di compiere un atto malvagio e che questo avviene quando la natura umana è indebolita, cioè quando, anche sapendo che sarebbe una scelta malvagia, essa desidera compiere tale atto per un bene inferiore immediato.

Vi è in queste persone una mancanza di controllo si sé, chiamata akrasia: esse sanno che non è bene per la salute fumare sigarette, eppure, avendone una sottomano, decidono che il piacere immediato che ne ricaverebbero, fumandola, ha la priorità sulla ricerca del bene superiore che è la propria salute.

Ovviamente il problema è capire dove si situa e quale sia il grado di colpevolezza della persona che sperimenta tale “malattia” della volontà, tale akrasia: infatti se tale akrasia è il meccanismo per il quale pur sapendo che si deve fare il bene in realtà si fa il male scegliendo un bene minore immediato ad uno superiore meno immediatamente tangibile per mancanza di imperio su sé stessi, la responsabilità morale della scelta ricade su chi ha causato tale akrasia all’origine.

Ovviamente, vi sono anche persone intrinsecamente viziose e cioè che hanno scelto in piena conoscenza di causa di godere del male o del minor bene in quanto tale e, ovviamente, sono responsabili della propria akrasia e quindi di tutti gli atti che ne decorrono.

Sempre nell’Etica Nicomachea (III, 7) Aristotele sottolinea che, all’origine, ogni uomo che si trova in seguito in questa situazione di assenza di controllo di sé, non era nell’obbligo o “programmato” per diventare tale e se ora lo è, è perché ad un momento iniziale lo ha voluto, forse prima nelle piccole cose, fino al punto in cui è ormai impossibile essere altrimenti che sottomesso alla propria akrasia.

Il grido stesso di San Paolo quando ci ricorda che facciamo quel che non vogliamo e vogliamo quel che non facciamo ci ricorda quanto questa akrasia sia parte integrale della nostra umanità e del nostro agire quotidiano fino al punto di intaccarne la natura.

Siamo quindi di fronte ad un dilemma: sia siamo creati imperfetti da Dio stessi, il che non è possibile visto che siamo creati alla Sua immagine, sia siamo la causa responsabile di questa imperfezione e se diciamo responsabile vuol dire liberamente scelta. Il racconto del Peccato Originale illustra come sia possibile risolvere questo dilemma: tutto il genere umano discende da Adamo ed Eva e l’akrasia che subiamo è dovuto alla loro scelta iniziale che vizia, letteralmente, la creazione divina.

Ma se questo vizio ereditario è stato liberamente scelto deve anche essere possibile di liberamente rinunciarvi anche se solo minimamente, parzialmente ed imperfettamente: questa considerazione ha come conseguenza che si è sempre responsabili degli atti malvagi che si compiono per akrasia ma solo nella misura in cui non si combatte fattualmente ma almeno minimamente, parzialmente anche se imperfettamente, questo vizio.

Questo è il nocciolo fondamentale che smonta l’ipotesi di base di tutto il costrutto circa la bontà dell’economia intesa in senso liberal capitalistico: l’homo oeconomicus non sceglie statisticamente sempre quello che è più razionale e migliore per lui, ma sceglie statisticamente sempre quello in cui la sua akrasia si conforta, non quindi quel che è meglio per la sua famiglia e la società, ma quel che soddisfa le proprie passioni individualistiche anche se tale scelta ha impatti negativi personali a medio a lungo termine e questa è l’origine profonda della spinta consumistica in una società annegata in questa menzogna.

Non è quindi possibile accettare tale ideologia che prona una sottomissione ai propri vizi e che, per natura, porta per forza ad una dissoluzione del tessuto familiare e quindi sociale come ormai lo constatiamo senza più veli.

La presa di coscienza della propria akrasia, mancanza di quell’impero su noi stessi, corruzione della nostra volontà, la difficoltà di fare quel che è bene a scapito di quel che piace deve essere centrale in qualunque riflessione concreta sull’azione che si voglia realistica, efficace ed effettiva nel bene.

La scelta di convertirsi e distogliere lo sguardo e il centro delle proprie attività dalle risorse degenerative, per ricentrarle in priorità su quelle generative e rigenerative, vuol dire essere coscienti del peso del peccato originale che ci impedisce di farlo liberamente: vuol dire fare già uno sforzo di purificazione della propria mente per non pensare come il mondo, già schiavo del peccato originale e di tutti gli altri vizi che ne decorrono.

Combattere il peccato originale che ci inchioda nell’ideologia mercantile liberal-capitalista vuol dire combattere fattualmente, almeno minimamente, parzialmente anche se imperfettamente, i suoi presupposti, falsi ed irenisti, irrealisti e malvagi di quest’ultima nelle azioni concrete che poniamo.

Facciamo tutti l’esperienza che siamo più bravi a consigliare terzi che a seguire i nostri propri stessi consigli: la ragione profonda ne è questa mancanza di imperio su noi stessi. Il modo migliore per sapere cosa si debba fare è quello di chiedere consiglio: ma questo non garantisce che si farà quel che si dovrebbe fare, a causa della nostra akrasia. La bellezza di definire la famiglia come agente razionale economico e non l’individuo è che Adamo deve tenere conto del parere di Eva, e quando l’uno tira giù, l’altro dovrebbe tirare un po’ su, lo sguardo non essendo portato su quel che “piace” ma su quel che è il meglio per la famiglia che si è supposti amare: ciò non garantisce sempre e comunque la soluzione la più razionale, ma permette di combattere fattualmente, almeno minimamente, parzialmente anche se imperfettamente gli effetti delle akrasie individuali.

L’altra azione concreta è quindi, durante la valutazione delle risorse che si hanno e che si desiderano sviluppare, di sempre tenere in conto che siamo sottomessi alle conseguenze del peccato originale e che solo nel dialogo intenso e limpido con il solo fine del bene razionale familiare e sociale si potrà concretamente mettere in opera decisioni che rivoluzionano il mondo che ci circonda e sul quale abbiamo impatto concreto.

Vi è un’analogia, forse, da proporre a riflessione per noi cattolici che ci siamo abituati: cosiccome la Chiesa rimane sempre unita attorno al Vicario di Cristo che è il  Papa ma che il Papa può insegnare solo quel che la Chiesa insegna e che la Chiesa non può insegnare altro che quel che il Papa insegna, così anche quel che è bene per la famiglia non può essere male per la società, e quel che è bene per la società deve essere bene per la famiglia. E, infatti, se quel che la società propone è male per la famiglia, quel che la società propone è male per sé stessa e se quel che la famiglia fa è buono per la società allora è buono anche per lei stessa.

In Pace

(Continua)

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