Il Testamento Del Magister Ludi (II)

Novellina di una ricerca agaposofica della metasofia.

Meraviglia

Meraviglia

Introduzione

Telesforo avanzava con un passo costante ma allegro i suoi piedi calzanti scarponcini da trekking che da tempo ormai non irritavano più la pelle dei suoi piedi sposandone perfettamente le forme; le sue braccia oscillavano avanti ed indietro colla regolarità di un pendolo appoggiandosi alternativamente sui due bastoni da marcia; lo zaino alquanto pesante lo obbligava a mantenere la schiena dritta e a guardare l’orizzonte del paesaggio invece di lasciarsi andare curvato la testa chinata ad osservare il sentiero; una leggera sudorazione gli faceva risentire il piacere dello sforzo intrapreso già da qualche ora in qua e gli dava psicologicamente l’energia supplementare per continuare lo sforzo fisico che si era imposto per quel dì.

Ormai erano passate un paio di settimane da quando aveva lasciato il porticciolo fortificato di Konk Kerné ed era sceso verso il sud-est lungo la costa frastagliata del Morad, il Breizh Aod; si era soffermato à  Beg Meilh per aspettare che l’Izelvor, la marea bassa,  gli permettesse di passare per il Roudour del Gois, il guado che si stirava nel bel mezzo del mare e lungo circa 5 chilometri, più a sud, per condurlo all’isola di Her; lì si era finalmente riposato un paio di giorni ospite del monastero del nuovo ordine di San Filiberto che aveva rimesso all’onore l’antichissima e strettissima, alcuni dicono eccessiva, regola di san Colombano, antecedente addirittura quella di san Benedetto; aveva poi riattraversato il guado e ripreso la marcia in direzione del nord inseguendo Sterenn, la stella del Nord,  per poi superare il massiccio montagnoso ormai alquanto eroso dell’Ar Mor e adesso, dopo aver camminato per Krec’h ha Traoñ  ben sei giorni, dall’altura sulla quale si trovava,  poteva finalmente contemplare la meta che si era fissato spuntare tale una gemma di smeraldo di forma conica e  incastonata su un supporto di avorio esso stesso circondato da zaffiri luccicanti, Un Tredemarzh,  la meraviglia delle meraviglie!

Dopo essersi  rifocillato con qualche sardina già arrostita la sera precedente, una focaccetta e qualche sorso di acqua fresca, riprese il cammino in modo arzillo intonando anche qualche canto per condividere colla natura circostante la sua gioia di essere presto giunto a meta.  Qualche ora più tardi, dopo aver attraversato un altro braccio di mare a guado, era giunto ai piedi del villaggetto arroccato alla stessa roccia dalla quale si innalzava il monastero e la sua abbazia rammentandogli l’immagine dantesca del purgatorio,  la stradina principale spiraleggiando verso l’alto intorno alla massa rocciosa conica che si elevava con elegante maestà fino a toccare il cielo, quasi una torre di Babele.

Nei vicoletti strettissimi,  incassati tra case di due o tre piani costruite in pietra, ormai nessuna vista panoramica era più possibile salvo qualche squarcio  luminoso che gli dava ancora più voglia di salire ancora più su. I suoi muscoli cominciando a dargli segni premonitori di possibili crampi ai polpacci, fu felice di vedere finalmente un monaco vestito di una tonaca blu scura a cui chiedere dove fosse l’entrata per il monastero: il frate barbuto gentilmente lo accompagnò fino ad una piccola porta sulla destra del vialino salente alla prospiciente abazia, aprendosi attraverso un muro di pietre e di antichi mattoni spesso un paio di metri. Malgrado l’ora vespertina fu accettata con grazia la sua richiesta di incontrare Dom Albertus Urmaenn per presentargli la lettera di raccomandazione di cui si era armato prima di partire.

Seguì  il frate portinaio anch’egli avvolto in una tonaca blu scura lungo un sentiero lapidato con cura estrema che correva lungo il fianco settentrionale della roccia, opposto al villaggio, in un giardino magnifico di essenze locali, fiorito con amore e aperto, tale un balcone naturale, sullo spazio infinito del mare:  il punto di vista era mirifico, guardando al nord, il sole sulla sinistra colorando il cielo con tonalità arancioni e gialle che si riflettevano in un luccichio sempre in movimento sul mare appena raggrinzato da una leggerissima tramontana, stese di sabbia larghissime in quelle ore di bassa marea oceanica circondando l’isola, strette a sud da prati di erba e fondendosi nel mare infinito quasi senza soluzioni di continuità se non il colore sfumantesi.

Il sentiero alquanto in salita lo portò all’entrata principale e veramente monumentale del monastero: entratovi  subito accedette ad un immenso scriptorium dove decine e decine di monaci da un lato un po’ a parte sulla sinistra preparavano pergamene raschiando pelli di capretti e tendendole su cavalletti, mentre più in là altri ricopiavano con bella calligrafia gotica testi antichi ed altri, più vicini alle alte finestre che somigliavano a lunghissime feritoie, si occupavano di creare illuminazioni e miniature, ispirandosi apparentemente dai libri di Kells, Lindisfarne, Ashmole o di Aberdeen. Gli odori di inchiostro e quello delle pelli si mescolavano con grazia nel  suo spirito alla vista di quell’operosità dedicata alla bellezza e alla cultura, quando notò un ronzio, come una cantilena cantata in sordina da tutti monaci, troppo leggera per essere disturbante, ma ben presente.

Continuò a seguire il monaco suo cicerone e uscì da quella grande sala per un portale all’angolo opposto da quello dove era entrato per poi salire lungo scalinate scolpite a volte a mo’ la roccia stessa e altre volte costruite in una massoneria solida fino a giungere al piano superiore dove c’era, proprio al di sopra dello scriptorium, come un lazzaretto accogliente quel giorno una decina di malati accuditi da alcuni monaci : le finestre erano qui più larghe che al piano sottostante ed i letti separati  in differenti  comparti individuali, ognuno identificato con il nome di un santo, l’aria che vi si respirava era ricchissima in fragranze marine e grandi pitture di ispirazione religiosa spiranti speranza naturale e sovrannaturale adornavano i muri. Dopo aver attraversato questa immensa infermeria,  passò un’altra porta situata al lato opposto dall’entrata e, via una larga scalinata, accedette ad una larghissima cappella, probabilmente funeraria in quanto un catafalco per ora vuoto vi troneggiava: segnandosi colla croce davanti al Santissimo  nel Suo Tabernacolo, dopo una genuflessione, continuò a salire lungo corridoi e altre scalinate fino a giungere al piano più alto dove, aperta una nuova porta , gli apparve un’immensa sala perfettamente illuminata e circondata da decine di altissime, anche se strette, vetrate, ognuna inquadrata tra due finissimi e lunghissimi pilastri di pietra in stile gotico, il cui pavimento era lastricato da graniti. Lunghissimi tavoli fiancheggiavano i muri lungo i loro quattro lati doppiati da banchi altrettanto lunghi quanto la sala stessa cioè circa dodici metri per trenta: l’ora del pasto doveva essere vicina in quanto piatti e stoviglie vi erano già posati come anche piccoli cestini di pane tranciato disposti con regolarità.

Dopo aver attraversato anche questa sala, in fondo ad essa penetrò nel luogo il più bello del monastero: la Meraviglia. Un chiostro magnifico, a mo’ di un giardino sospeso nell’aria, vicino al cielo, aperto all’ovest sulle terre, le sabbie e l’oceano circondante e proprio in quell’ora illuminato dagli ultimi raggi di un sole ancora regnante per un po’ senza compromessi e fiero di esserlo. La Meraviglia era questo giardino di sculture di pietra adornanti il fusto ed i capitelli delle decine di colonnine in righe duplicate che sostenevano il tetto circondante il chiostro stesso, lasciandone la parte centrale aperta e, ormai, accogliente un giardino, stavolta veramente vegetale, alla francese, ben curato fin nei suoi minimi dettagli.  Al centro , un vecchio monaco,  barbuto e canuto,  si teneva in piedi, voltandogli le spalle, guardando ad ovest attraverso le aperture intagliate negli arabeschi  minerali che fungevano da cornice multi-secolare allo sguardo orante di chi si dedicava con carità alla contemplazione della divinità.

In Pace

Inizio della novella qui: Prefazione e Prologo

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