In Italia è in uscita domani il nuovo libro dell’oncologo Veronesi per quelli di Einaudi. Il dottor Veronesi intreccia, in 154 pagine tascabili, momenti della sua vita biografica con le interpretazioni personali di queste esperienze. Letteralmente, in breve, pare sia un libro con la solita tesi di fondo: non v’è alcun Dio.
Inutile sottolineare infatti che tutte le disgrazie, che il medico ha vissuto in prima e seconda persona, hanno dato allo stesso la certezza che Dio non è.
Leggiamo da questo articolo alcuni stralci oggi pubblicati su Repubblica.
Già la guerra gli ha posto un dilemma:
Oltre alle stragi dei combattimenti, ho toccato con mano anche la follia del nazismo e non ho potuto non chiedermi, come fece Hannah Arendt prima e Benedetto XVI molti anni dopo: “Dov’era Dio ad Auschwitz?”.
La scelta di fare il medico è profondamente legata in me alla ricerca dell’origine di quel male che il concetto di Dio non poteva spiegare.
E naturalmente, il suo lavoro… :
Allo stesso modo di Auschwitz, per me il cancro è diventato la prova della non esistenza di Dio. Come puoi credere nella Provvidenza o nell’amore divino quando vedi un bambino invaso da cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno davanti ai tuoi occhi? Ci sono parole in qualche libro sacro del mondo, ci sono verità rivelate, che possano lenire il dolore dei suoi genitori? Io credo di no, e preferisco il silenzio, o il sussurro del “non so”.
Posizione legittima anche se, ci permettiamo di dirlo, poco razionale e il perché è quello che vorremmo spiegare con i prossimi due articoli.
Sarebbero molti i modi per rispondere a questa posizione che si presenta nel profondo come la solita “tiritera” epicurea. Personalmente penso che la prima cosa da farsi per il nostro argomento, sia smontare l’armamentario falsamente logico retrostante tale tiritera. Per farlo ci vengono in soccorso i Padri della Chiesa, in primis Sant’Agostino, con la loro ferrea ed eufemisticamente poco attaccabile teodicea.
Approfitto pertanto di questa news letteraria per ripubblicare su questo blog, due miei “vecchi” articoli dedicati proprio a questo ramo della teologia.
Li pubblico in risposta a quello che mi pare sia in fondo un grido di dolore. Un urlo sopito dietro quella che appare una (debole) sicumera presente in queste frasi del libro: un Dio” buono” non può esistere.
Caro Dott. Veronesi: le dedico dunque queste riflessioni, ne faccia quello che vuole.
Prego che lei assista e insieme cerchi di curare ancora molti malati.
E prego che, prima o poi, le capiti in cura un uomo come mio padre, il quale di fronte alla malattia diede a tutti (medici compresi) una lezione di coraggio, di fede, di forza d’animo e di accoglimento del proprio percorso che vale più di tutte queste mie righe e probabilmente (mi permetto) di tutte le sue messe insieme durante la sua lunga vita.
E’ una preghiera sincera: non si prega per fare la volontà nostra, ma sempre e solo per comprendere una volontà altra. La pace non è nella guarigione, ma nella comprensione di quale straordinario momento di possibile pace sia quella prova di dolore.
Prego che lei trovi pace.
Buon lavoro.
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Articoli redatti sulla scorta di quanto appreso dalla
lezione 16 della “Storia critica del pensiero filosofico”
di Giuseppe Barzaghi OP non sono stati né revisionati né approvati dal Docente in questione.
Data l’inevitabile ed anomala lunghezza del post dividerò in due parti la trattazione. Nella prima si esporrà e confuterà l’argomento epicureo, nella seconda si tratterà del problema del male approfondendolo alla radice.
PROLOGUS
Innazitutto una premessa: non voglio ne posso trattare in questa sede della storia della Teodicea: non è il posto adatto e non sono competente. Tanto meno pretendo di fornire risposte complete a tutti gli interrogativi di questo settore teologico: non è la mia vita fare il teologo in teodicea e non sono competente.
La mia intenzione personale è semplicemente (tra)scrivere con parole mie (SOTTOLINEO!), per rendere leggibile a me stesso e agli sventurati visitatori della mia pagina, l’ultima ora di quella lezione che considero una vera chicca sperduta nel mare magnum del web.
Fonte principale dell’approfondimento dunque è la lezione citata, nonché (per le informazioni storiche) il libro: “Compendio di Storia della Filosofia”, sempre di Giuseppe Barzaghi OP, edito dalla ESD nel 2006.
Lo scopo interno della trattazione è demolire completamente il dogma laicista che suonerebbe in un latino maccheronico così: “Si malum est, Deus non est!”.
In una affermazione: se Dio esiste ed è onnipotente e buono, il male non può esistere.
In una domanda: come può esistere un Dio onnipotente ed assolutamente buono se esiste il male?
Si dimostrerà che ciò non è solo possibile, ma è necessario arrivando dunque ad affermare che, necessariamente, “si malum est, Deus est!”.
Si comincia con gli epicurei.
LA PROVA EPICUREA DELL’INESISTENZA DI DIO
Probabilmente molte persone che non credono all’esistenza di Dio si affidano nella loro sicumera all’argomento dell’esistenza incontestabile del male. L’esistenza del male dimostra incontestabilmente l’inesistenza di Dio, o quanto meno di un Dio buono. Fine del cinema.
Probabilmente però molte di queste persone non sanno che tale dimostrazione affonda le proprie radici nella filosofia antica; è attestato infatti che fu pensata per la prima volta dagli Epicurei nei loro giardini (341 – 270 a. C.).
Molto probabilmente pochissime di queste persone sanno che tale presunta dimostrazione epicurea dell’inesistenza di Dio è arrivata fino a noi non già per gli scritti degli epicurei stessi, ma solamente grazie a Lattanzio, Apologeta e Padre della Chiesa, che la trascrisse e la commentò.
Non ci aspettiamo naturalmente un grazie, basta solo saperlo.
Andiamo avanti.
L’argomento epicureo si sviluppa in questo modo:
posta l’incontestabile esistenza del male, si aprono per Dio quattro, e solo quattro, possibilità. E per ogni possibilità ne discende necessariamente un giudizio su Dio.
- Non vuole e non può eliminarlo. Ne discende dunque Dio è impotente e cattivo.
- Vuole e non può eliminarlo. Ne discende dunque che Dio è buono ma impotente.
- Non vuole, ma può eliminarlo. Ne discende dunque che Dio è potente ma cattivo.
- Vuole e può eliminarlo. Unica possibilità di avere un Dio Potente e Buono. Ma il male esiste dunque ne discende che un Dio onniotente e Buono non esiste.
Lattanzio, dal canto suo, forniva un commento a tale argomento cercando di sostenere l’ammissibilità di una collera divina, ma ora gli strumenti a disposizione dell’approfondimento teologico sul rapporto Male-Dio si sono molto raffinati. Come si diceva lo studio di questo rapporto, dopo Leibniz, si definisce “Teodicea”, che è letteralmente chiamare Dio in giudizio per valutare come sia possibile la sua assoluta bontà ed onnipotenza di fronte al male.
Dividiamo la soluzione razionale alla domanda in due parti. Prima si dovrà demolire l’argomento epicureo tanto caro alla laicità moderna. In seconda battuta si dovrà cercare di esplicare in modo logico il problema del male, chiarimento che avverrà come si diceva nella seconda parte.
OBIEZIONE ALL’ARGOMENTO EPICUREO
La soluzione al problema sollevato dagli Epicurei parte dal mostrare come tale problema nasca da un presupposto falso che trasforma l’intero ragionamento in un sofisma. Il ragionamento epicureo non fa una grinza da un punto di vista logico, ma partendo da un presupposto fallace il ragionamento stesso decade automaticamente.
Dietro le quattro possibilità infatti si cela una idea FALSA di Dio. Difatti pensare che Dio “Voglia” e “possa” eliminare il male è demolire ciò che Dio è necessariamente! Dio, per essere Dio, deve necessariamente essere semplicissimo, cioè non dipendere da nulla poiché se dipendesse da qualcosa, quella cosa dalla quale Dio dipenderebbe sarebbe più Dio di Dio, dunque quella cosa sarebbe Dio! Dunque se Dio è semplicissimo, cioè non dipende da nulla, ne consegue necessariamente che Dio non dipende nemmeno dalla “volontà di poter far qualcosa”. Dio è atto puro proprio perché semplicissimo. Non è possibile cioè pensare in Dio una POTENZA di volontà poiché significherebbe che Dio dipende da questa potenza stessa, ma Dio non può dipendere! In Dio non c’è potenza, solo atto. Ne consegue, in base ad una rigorosa grammatica teologica, che non si può separare in Dio la Volontà e la Potenza dalla essenza stessa di Dio! Porre il problema come fanno gli epicurei significa presupporre che Dio nella sua sostanza sia diverso dal suo potere e dal suo volere. E che in Dio il volere sia cosa diversa dal potere.
Ma questo è un assurdo poiché in Dio tutto è il suo essere! In Dio potere è il suo essere. Volere è il suo essere. E potere e volere sono la stessa cosa e coincidono con l’essere stesso di Dio.
In pratica si compie l’errore di interpretare Dio come fosse un uomo; alla faccia di chi dice che il teista costruisce Dio antropologizzando il mistero della realtà…
Esplico meglio la sostanziale differenza fra la creatura e Dio.
Il mio volere e il mio potere mi qualificano nel mio essere, ma non coincidono completamente. Cioè io sono ciò che sono perché DIPENDO da ciò che voglio e da ciò che posso. Voglio una birra trappista gelata, dipendo da questa voglia. Voglia che posso soddisfare e quindi la soddisfo, fermandomi al primo bar decente. Una volta ordinata, posso bere questa birra perché, finché Dio vuole, ho ancora forze sufficenti per alzare il bicchiere fino alla bocca e tracannare. Questo però significa che io dipendo da queste forze e dal poterle usare. Poi alzo gli occhi e vedo gli uccelli volare. Vorrei essere li con loro, ma non posso.
Il mio essere uomo, animale razionale, mi porta a concludere che posso: bere una birra, goderne, comprendere il mondo che mi circonda con in bocca questo splendido gusto, ma non posso volare. Nel contempo so che l’essere uccello significa non poter bere birra, godere, comprendere anche solo in modo limitato ed amare il mondo, ma posso volare. Sinceramente: resto uomo!
Questo esempio ci fa capire come il mio essere dipenda dal mio volere e dal mio potere, come in me volere e potere siano cose distinte e non coincidano assolutamente con il mio essere il quale, appunto, ne dipende totalmente.
Ma in Dio, se è Dio e cioè assoluto e semplicissimo come dicevamo prima, questa distinzione è fasulla. Dio non può dipendere altrimenti non è Dio. Dunque in Dio tutto è riconducibile alla sua essenza! Ad esempio: io sono un uomo, ma non sono l’umanità altrimenti significherebbe che l’essere uomo coincide con l’essere Minstrel! Ma anche Marco e Paolo e Giuda sono uomini. L’umanità non coincide con il mio essere. Invece in Dio la divinità coincide con l’essere Dio! Dio vuole tutto ciò che può e può tutto ciò che vuole. In Dio volere e potere sono la stessa cosa: sostanza divina per essenza.
Dunque l’argomento in questione parte da un’idea falsa di Dio e argomenta basandosi su un Dio che DIPENDE dal Male per concretizzare cosa sia sé stesso ontologicamente! Ma allora significa che se Dio dipende dal male, il male è maggiore di Dio dunque il Male è Dio. Ma questo è un assurdo e lo si capirà più avanti analizzando la natura del male.
Restando alla questione ora è chiaro che se si parte dal presupposto che Dio non coincida con il suo volere e non coincida con il suo potere, l’argomento regge e funziona, ma funziona su una figura che non è Dio ne può esserlo necessariamente! Presupponendo un’idea falsa di Dio si pretende dunque una conclusione Vera su Dio.
Pertanto la prova dell’inesistenza di Dio epicurea non prova affatto l’inesistenza di Dio, quanto piuttosto la necessaria inesistenza di Dio che abbia questi presupposti assimilabili all’essere creatura.
Tante grazie, lo sapevamo già.
“Quia parvus error in principio magnus est in fine” come trascrive San Tommaso nel Proemio del De ente et essentia.
Naturalmente resta il problema del male e della sua esistenza. Aver smontato il rapporto fasullo costruito dagli epicurei (e ripreso con sicumera da parecchi laicisti oggi) non risolve comunque il problema fra Dio (inteso correttamente ora) e l’esistenza del male.
Questo rapporto sarà approfondito nel prossimo post dedicato alla teodicea; post con il quale cercheremo dunque di dimostrare che non solo l’esistenza del male non prova che Dio non esiste (cosa appena dimostrata), ma che l’esistenza del male è quasi l’argomento più forte utilizzabile in apologetica per esplicare l’esistenza di Dio e quindi poter dire “Si malum est, Deus est!”
Categories: Filosofia, teologia e apologetica
Magnifico: aspetto il seguito con impazienza.
Già si riscontra il “solito” problema: questi “gran” ateisti non si riferiscono allo stesso Dio che noi conosciamo.
Dovrebbe essere un punto di incontro e una base comune questo comune non accettare delle nozioni sbagliate di Dio : in questo esempio “epicureo” come lo chiami tu chi, razionalmente, potrebbe ammettere un “dio” in cui volontà e atto siano separati e in potenza?
Se il discorso fosse davvero onesto da parte loro si concentrerebbero a capire Dio e non sbattersi la faccia contro le loro proprie sgangherate idee su “dio”: chissà, forse un giorno ne incontreremo uno…
In Pace
Forse questo potrebbe essere un “senso” da dare al nostro cortile dei gentili: lavorare cogli atei per combattere assieme tutte queste false nozioni di “dio”.
Con quelli di buona volontà dovrebbe essere possibile: il risultato potrebbe essere un documento che mostra quel che abbiamo in comune nel rigetto dei falsi dèi generati dalle nostre idee erronee e le ragioni di questo rigetto.
In Pace
Magari!
C’è un ma: l’accettazione di un Dio con le caratteristiche necessariamente divine come le intendiamo noi demoliscono da sole pressoché la totalità delle tesi atee contemporanee, per lo meno quelle del cosdietto “New Atheist”.Sposare e comprendere a pieno l’immagine di Dio rende tale “entità” (virgolette d’obbligo) non solo possibile come ipotesi razionale, ma forse addirittura più razionale del semplice “dal nulla, tutto!” (esemplifico); ed è una cosa che credo “emotivamente” un ateo di oggi non riesca letteralmente ad accettare.
A me è sempre sembrato che i cosidetti New Atheist siano tali perché si pensano superiori razionalmente ai credenti. Punto. La sicumera è qui, fine. Dovessero concepire che le loro presunte razionalità sono in realtà pura ideologia, non sarebbero nemmeno gli atei che si professano.
Cioè, mi sembra che la proposta Simon sia bellissima ed impossibile perché obbliga l’ateo contemporaneo ad abbandonare la sua incredulità irrazionale.
Insomma, in una parola già detta: magari! 😀
Eh ma così hai svelato tutto 😉
Presto presto presto cancella questo tuo post 😀
Fatto 😀
Certo, Minstrel, costoro probabilmente non possono farcela, ma noi lo possiamo fare: per giunta aiuterebbe tutti, in primis chi, avendo la testa pienamente nel reale sa che Dio esiste, potrebbe avere accidentalmente false immagini della Divinità. Cioè questo esercizio depurerebbe pure noi dal punto di vista dell’immaginario metafisico. Le affermazioni ridicole di un Odifreddi su quel che lui concepisce come “dio” ci insegnano proprio su quel che Dio non è: per noi è conoscenza apofatica.
D’altro canto sarebbe interessante spendere, in seguito, un po’ di tempo sulle ragioni d’ateismo degli “atei virtuosi” i quali, a differenza della superficialità e a-scientificità dei New Atheists, hanno davvero qualcosa da dire che merita, a differenza delle esternazioni dei secondi, tutto il nostro rispetto: riflettere a costoro in certi casi ci può condurre a piû conoscenza catafatica.
A presto
In Pace
In pratica suggerisci un corso di grammatica teologica.
Si, sarebbe il massimo. 🙂
Sì, Simon, una a caso….c’est moi 🙂
A volte mi sono chiesta se io non sia un pò panteista, ma non so bene come farmi l’autoanalisi. Per me Dio è Qualcuno, è Persona però mi domando se io non gli attribuisca anche qualche caratteristica in senso panteistico.
@minstrel
Quelle lezioni si trovano anche scritte/stampabili ?
Grazie, attendo la seconda parte.
Mi sono permesso di linkare tale articolo in un commento su UCCR
http://www.uccronline.it/2014/11/18/caro-veronesi-il-cancro-dimostra-che-solo-cristo-risponde-alluomo/
Altro elemento di riflessione: la differenza tra male etico (comportamenti contro l’umano) e male nella natura (terremoti, malattie, etc). Mentre l’esistenza del primo garantisce quasi “sperimentalmente” l’oggettiva libertà dell’essere umano e potrebbe quasi essere considerato “benvenuto” al proposito, il secondo ci indica qualcosa di ancora più primitivo nella lettura dell’origine del mondo ed è sempre “malvenuto”…
A presto.
In Pace
Fra 2 giorni apparirà la seconda parte!
Nel frattanto disputiamo sul post di Aristarco visto che non ho molto tempo per divertirmi su quello di Paolo. 😛
Quanto al tuo post sul Cardinal francese Simon, che dire: è un bel casino! Altro che queste “banalità” epicuree… 😉 Insomma, ce sto a pensà!
Solo l’apokatastasi risolve questo dilemma, ed ovviamente la differenziazione tra eternità e perpetuità.
Dio è eterno, il paradiso e l’inferno perpetui, l’uomo ergo in definitiva il creato, è chiamato a divenire per Grazia quel che è Dio stesso nella persona del Figlio.
Difatti rimanere creatura non serve a niente. Il peccato ed il dolore sono solo conseguenze ovvie.
Anche perché ammettere il male significa limitare la perfezione di Dio, ossia avere un Dio talmente coglione che ha creato un aborto. Certo , l’uomo , e prima ancora i diavoli lo hanno reso effettivo, ma Dio aveva già in sé questa possibilità. Si dirà che era per poter far scegliere, noi ovviamente, ed è sicuramente così, ma non ha senso rispetto a Dio stesso.
In realtà allora si parla di relatività, che si ha che per esserci abbisogna di una costante di riferimento.
D’altronde l’empio che ha consolazioni fisiche, psichiche e spirituali, accresce la sua pena, mentre il giusto che non ha consolazioni fisiche, psichiche e spirituali, accresce i meriti.
Se invece le ricevesse, cos’altro sarebbero se non premi? Se invece l’empio subisse l’ira divina subito ed evidentemente, cos’altro sarebbe se non giusto?
Tutto è nelle mani di Dio.
Forse non si rendono conto le persone che se non fosse possibile creare una specie che viva di parassitismo, ad esempio , il mondo non sarebbe possibile empiricamente.