Riflessioni Quaresimali (Virili) I

2Timoteo 4,6-9
6 Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. 7 Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. 8 Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione.

Ho scelto questo testo di San Paolo e, per illustrarlo, questa magnifica fotografia del Santo Patrono del nostro blog dove si mette a ginocchio malgrado le immani sofferenze dovute alla sua malattia trascinando così, con la sua esemplare pietà, anche i rappresentanti di altre Chiese e Communità Ecclesiali, in quanto l’Apostolo dei Gentili descrive in tre frasi come dovrebbe essere vissuta la vita in quanto tale e, in particolare, la Quaresima di quest’anno da parte di chi si dice cattolico cioè di chi pone la propria fede in quel che la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica insegna in fedele continuità dalla Pentecoste dell’anno 33 fino ai nostri giorni.

In particolare questo passaggio paolino rieccheggia la preghiera dell’offertorio del giovedì dopo le ceneri scorso estratta dal salmo 24: “Ad te , Domine, levavi anmam meam: Deus meus, in te confido, non erubescam. Ne irrideant me inimici mei, etenim universi, qui te expectant, non confundentur.”

A poco serve voler vivere la Santa Quaresima se non sappiamo perché lo vogliamo e se non sappiamo perché lo vogliamo e non accondiscendiamo a questo sapere liberamente non saremo mai capaci di andare fino in fondo ai nostri ingaggi per questi prossimi quaranta giorni.

Chester Barnard che ha molto riflettuto su cosa genera l’autorevolezza del leader sui suoi seguaci aveva messo l’accento su tre elementi indispensabili affinché questa si dispieghi: (1) assicurarsi che costoro ben capiscano cosa devono fare e come; (2) far ben capire quanto la loro contribuzione partecipa e sia necessaria al quadro generale; (3) quale sia il premio personale per loro.

Se vogliamo vivere bene la nostra Quaresima, quest’anno, che è il solo che conta, in quanto solo l’Adesso esiste, dobbiamo quindi, umanamente parlando, garantirci di aver ben penetrato questo trittico ed il testo citato della lettera a Timoteo ce ne dà gli elementi come anche la preghiera dell’offertorio.

(1) Cosa dobbiamo fare: combattere la buona battaglia, spargere il proprio sangue, terminare la corsa e sciogliere le vele

(2) Quale è il quadro generale: ricevere la corona di giustizia da Dio stesso assieme a tutti coloro che Ne attendono la manifestazione

(3) Nessuno tra quelli che hanno fiducia nel Signore sarà confuso

Carissimi amici e lettori: diciamocelo chiaramente, noi tutti quel che cerchiamo nella vita terrena e aldilà di essa è la felicità; non la gioia che passa e che ha un sapore amaro quando non si riposa sulla felicità, gioia che, per definizione, essendo passaggera non ci può rendere felici visto che già sappiamo, per l’appunto, che l’ombra della sua fine già la copre, come anche la nostra vita è coperta dall’ombra della nostra fine terrena.

Cerchiamo la felicità, ma San Paolo non ci sembra parlare di felicità ma di “corona di giustizia” quando le vele saranno sciolte: il paese di latte e miele ( “Educam vos …ad terram fluentem lacte et melle“) che leggiamo durante l’uffizio delle letture, la Chiesa meditando proprio oggi la chiamata di Mosé da parte di “Io Sono Chi Sono ” (Ego Sum Qui Sum) e alla sua promessa.

Eppure San Paolo è in questo coerente con la concezione di felicità tale quale è concepita da chi ha buon senso: l’ “Eudaimonia”, la felicità si raggiunge umanamente quando si vive la virtù della giustizia, e per il Filosofo, tale virtù di giustizia si esercita nella Polis partecipando al Bene Comune secondo il proprio stato.

Infatti, quand’è che proviamo una vera felicità, umanamente parlando? Quando abbiamo fatto tutto quel che potevamo fare di quel che dobbiamo fare.

La sera (della giornata o della propria vita) quando guardiamo alle nostre azioni e che ne esaminiamo le conseguenze e quando constatiamo che abbiamo fatto tutto quel che potevamo fare rispetto agli altri, a coloro di cui siamo in carica in primis, e così via di seguito secondo le nostre responsabilità, allora proviamo la pace dello spirito che è il segno esterno della nostra felicità. È nell’esercizio virtuoso delle nostre responsabilità nel quadro della nostra autorità che realizziamo la giustizia e quindi siamo felici. Non nell’esercizio dei nostri “diritti”.

A volte ci chiediamo a cosa corrisponderà il paradiso per coloro che vi saranno ammessi: nel ricevere la corona di giustizia da Dio stesso. Questa è la pace vera e anche se i nostri occhi ed i nostri sensi vedranno cose che non possiamo descrivere, possiamo già gustare il nostro stato di animo spirituale in quanto sopranaturalmente connaturale a quel che che sperimentiamo ogni volta che sappiamo aver fatto quel che dovevamo fare e cioè l’aver esercitato giustizia nella nostra vita.

Il fine della nostra vita è chiaro: il ricevere la pace e la felicità che ci dà la corona di giustizia consegnataci dal Signore non solo a me ma a tutti coloro che la hanno conseguita. Questo è il nostro quadro generale.

Quale conseguenza ne discenderà direttamente per ognuno di noi personalmente se operiamo per quest’opera di giustizia in questa vita, facendo sempre quel che possiamo dover fare? La risposta esplicita la dà la Chiesa quando recita il salmo qui sopra citato e che esplicita San Paolo: la sicurezza, cioè la Speranza, di non essere mai confuso dai miei nemici e di mai arrossire di essere quel che sono. E questo punto è primordiale, in quanto se ci accingiamo con fermezza nella ricerca della giustizia, chi si irride di noi sarà, lui, confuso, senza speranza e perfido, mentre noi, come San Paolo avremo la certezza di aver combattutto la buona battaglia e di aver conservato la fede. Il terzo punto di forza di Chester Barnard, in questo contesto, è quindi proprio questo: quel che ho da guadagnare è la Speranza e la Fede.

Rimane adesso, per noi, per questa Quaresima, cioè questa Vita Adesso, la sola che sia ed esista, da capire cosa dobbiamo fare concretamente e come.

Ancora una volta San Paolo ci indica molto concretamente cosa sia il più essenziale da farsi: lottare fino alla fine, correre fino alla vittoria e cioè dare il proprio sangue in libagione, per ottenere la corona di giustizia. E il primo, e solo vero, atto di giustizia, dal quale discendono secondariamente tutti gli altri atti di giustizia , è di dare a Dio quel che è di Dio: cioè noi stessi. Il Signore ci chiama e ci ha eletti, tramite il Santo Battesimo, a diventare terra sacra, come quella che oggi Mosé disgraziatamente calpestò ( “Ne appropies … huc, solve caleamentum de pedibus tuis, locus enim in quo stas terra sancta est“).

La nostra lotta vitale è questa, è quella che dobbiamo ben capire: siamo ormai Terra Sacra, siamo l’espressione stessa della Giustizia divina, ci dobbiamo sempre porre dal punto di vista di “Io Sono Chi Sono” , siamo eletti e la nostra battaglia, la nostra corsa, sono quelle stesse di Dio. Dobbiamo radicalmente, senza alcuna tiepidezza, entrare in questa terra sacra che il Santo Battesimo ci ha concesso di calcare: è una conversione virile che ci è richiesta e possibile perché atto di giustizia divina.

Allora, forse, durante questi prossimi giorni, potremmo riflettere sul nostro modo di esercitare la nostra giustizia: facciamo tutto quel che possiamo dover fare nel quadro del nostro stato? Quanta pace ho ogni sera considerando l’esercizio della mia giustizia nei confronti di chi sono responsabile e del campo della mia autorità? Quanto mi “godo” la felicità della virtù di giustizia? Eppoi, sono davvero dalla parte di Dio? Sono davvero la Sua Terra Sacra? Gli dò la Giustizia che gli devo? Combatto e corro per questo? Quanto assaporo la Speranza e la Fede che quest’esercizio volontario, quindi libero, quindi caritatevole, della Giustizia divina nella mia vita mi dà? E per questa Quaresima, perché non sceglierei di esercitare la mia giustizia umana su un punto preciso e godermi quella divina nella mia vita su un altro punto preciso?

In Pace



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2 replies

  1. Apocalisse 14,13: Audivi voce de cielo dicentem mihi : scribe : beati mortui qui in Domino moriuntur.Amodo jam dicit Spiritus, ut requiescant a laboribus suis : opera enim illorum
    sequuntur illos.
    Udii una voce dal cielo che mi diceva : scrivi: beati i morti che muoiono nel Signore . D’ ora in poi, dice lo Spirito, essi si riposeranno delle loro fatiche, perche’ vanno dietro ad essi le opere loro.

  2. Grazie Simon. Lasci molto su cui riflettere. Da par mio non posso che rileggere con attenzione queste tue parole, che fra l’altro – in un certo senso – preannunciano molto bene il contenuto vivo del tuo prossimo libro in uscita a breve (cosi, tanto per farlo sapere anche ai nostri lettori 😉 ) e aggiungere una notazione “poetica” al tutto.
    In questo periodo quaresimale la diocesi di Roma ha avviato una serie di incontri con Franco Nembrini dedicati al Miguel Manara. SI possono seguire in diretta il sabato sera sul canale YouTube di Don Fabio Rosini: https://www.youtube.com/channel/UCrUd83AZ6UMwwx7dakEu7Hg

    Durante la prima puntata, Franco ha letto il primo quadro di questa opera teatrale nella quale il protagonista, al culmine della sua discesa agli inferi di una vita fatta di lussuria e gioie effimere, eleva quella che appare insieme una bestemmia (poiché confessa il suo ateismo completo) e una richiesta di aiuto disperata.
    Non bisogna essere nell’abisso del Manara per comprenderne il desiderio di felicità che qui tu, Simon, tratteggi. E’ un desiderio comune, anzi è IL desiderio umano per eccellenza Bisogna solo essere onesti con sè stessi, ognuno si chiarirà il luogo di perdizione dove si trova e in quale luogo di salvezza voglia andare.

    “Tutti: Gloria a Manara nel profondo degli inferni!
    Manara: Sono lieto, signori, di vedere che mi amate cosi di buon cuore. E mi commuove davvero l’augurio cosi cordiale di vedermi bruciare anima e corpo di una fiamma nuova, assai lontano da qui. Vi giuro, sul mio onore e sulla testa del vostro Papa, che l’inferno di cui cianciate non esiste, che non è mai esistito altro che nella testa di messia folle o di qualche monaco malvagio.
    Ma noi sappiamo che nello spazio orfano di Dio esistono terre illuminate da una felicità più ardente della nostra; pianeti ignoti e meravigliosi, immensamente lontani dal nostro. E allora vi scongiuro: scegliete uno di questi remoti mondi incantati e speditemi là, questa notte stessa, attraverso un varco famelico del sepolcro! Perché il tempo scorre lento, signori. Spaventosamente lento. E io sono improvvisamente stanco di questo schifo di vita.
    Non conquistare Dio è una cosa da nulla, si sa. Ma vi assicuro che perdere Satana è una pena immensa e noia senza fine”
    e ancora, più avanti: “Ah! Come colmarlo, quest’abisso delle vita? Che fare? Perché il desiderio è sempre lì, più forte che mai, più folle che mai”.

    Personaggio realmente esistito, Miguel dopo aver rinnegato Dio, aver compiuto male senza fine (e chi di noi può dire non avere peccati di cui vergognarsi?) – con l’onesta di chi comprende il suo status e che con il suo vivere non si è avvicinato nemmeno per un momento alla vera felicità e che è quella che da sempre ha cercato -, si convertirà e alla fine di una vita travagliata morirà in odore di santità (è venerabile grazie a San Giovanni Paolo II).

    Che tutti noi possiamo arrivare alla fine del nostro libro e chiuderlo come chiude il Manara stesso: “Tutto è dove deve essere e va dove deve andare: al luogo assegnato da una sapienza che (il cielo sia lodato!) non è la nostra”

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