Introduzione
Federico Faggin, fisico e inventore del microprocessore, ha fatto parlare di sé in questo ultimo anno con una teoria audace che pone la coscienza al centro della realtà, intrecciandola con l’informazione quantistica e il libero arbitrio. La sua visione, esposta con chiarezza in molte interviste online, appare molto chiara grazie all’approfondimento fatto insieme al filosofo e content creator Rick Du Fer. Ascoltando l’intervista si comprende come questa sua teoria rappresenti una svolta rispetto al materialismo scientifico che ha caratterizzato la sua giovinezza. Tuttavia, come ogni proposta filosofica ambiziosa, solleva critiche e interrogativi, come quelli avanzati dal nostro amico Simon quando gli ho chiesto di vedere il video per parlarne insieme. In questo articolo, scritto a quattro mani, vorremmo parlarvi in breve della teoria di Faggin, delle sue implicazioni, i suoi limiti e il suo rapporto con il materialismo e l’idealismo. Al centro, una domanda cruciale: possiamo accettare il mistero senza cercare di racchiuderlo in una teoria totalizzante?
La Teoria della Coscienza di Federico Faggin Spiegata
Io: Simon, iniziamo dalla teoria della coscienza di Federico Faggin, che ha suscitato tanto interesse. Puoi riassumerci i suoi punti chiave in modo chiaro, basandoti sull’intervista con Rick Du Fer?
Simon: Certo, Faggin propone una visione che sfida il materialismo scientifico, che lui stesso ha abbracciato in gioventù. La sua teoria si articola su tre pilastri principali:
- La coscienza come realtà primaria: Faggin rifiuta l’idea che la coscienza sia un epifenomeno del cervello, un sottoprodotto di processi materiali. Per lui, la coscienza è una realtà fondamentale, esistente dall’inizio dell’universo, non riducibile a meccanismi fisici. La paragona all’informazione quantistica, che ha proprietà uniche: è privata, non clonabile e non completamente conoscibile dall’esterno, proprio come l’esperienza soggettiva.
- Informazione quantistica e coscienza: In collaborazione con il fisico teorico Giacomo Mauro D’Ariano, Faggin sostiene che gli stati quantistici rappresentino l’esperienza cosciente. A differenza dell’informazione classica, che è condivisibile e copiabile, l’informazione quantistica è accessibile solo “da dentro” il sistema, rispecchiando la natura intima della coscienza. Ad esempio, il Faggin e il sapore della cioccolata non può essere ridotto a segnali elettrici, ma richiede una dimensione interiore che la fisica classica non spiega.
- Libero arbitrio e entanglement: Faggin collega il libero arbitrio al fenomeno dell’entanglement quantistico. Gli stati quantistici non sono predeterminati, ma si manifestano solo al momento dell’osservazione, suggerendo un’indeterminazione che, per Faggin, implica la capacità della coscienza di creare stati nuovi, non prevedibili algoritmicamente. Questo lo porta a vedere l’universo come un processo di autocoscienza, in cui enti coscienti (simili alle “monadi” di Leibniz) si combinano per generare strutture sempre più complesse, guidate da uno scopo intrinseco.
In sintesi, Faggin propone una realtà duale: una dimensione interiore (la coscienza, rappresentata dalla fisica quantistica) e una esteriore (la materia, rappresentata dalla fisica classica). L’universo è un’esplorazione di sé stesso attraverso la coscienza.
Un’Apertura al Mistero o un Nuovo Dogma?
Io: È una teoria affascinante, quasi poetica. Faggin parla di “mistero”, di “esperienza irriducibile”, di “soggettività”. Sembra voler recuperare l’elemento interiore che la scienza moderna ha schiacciato sotto il determinismo. Non è un’apertura importante?
Simon: In apparenza, sì, ed è proprio questo il suo punto di forza. Faggin denuncia il materialismo scientifico come un “crimine contro l’umanità” perché nega la centralità della coscienza e del significato della vita. La sua intuizione – che l’esperienza soggettiva, come il sapore della cioccolata, non possa essere ridotta a segnali elettrici – è potente e condivisibile. Ma c’è un problema: ogni volta che introduce un concetto, lo lega a una pretesa di teoria finale. La coscienza è reale perché rappresentata dall’informazione quantistica, che a sua volta è l’esperienza interiore degli “enti coscienti”. Sembra un ribaltamento del riduzionismo materialista, ma in realtà costruisce un nuovo sistema totalizzante. Dove prima tutto era ridotto alla materia, ora tutto è riconducibile alla coscienza. L’ansia di chiudere il cerchio rimane la stessa.
Il Movente della Teoria: Spiegare Tutto?
Io: Quindi non è tanto il contenuto della teoria che critichi, quanto il movente? Il bisogno di trovare una spiegazione ultima?
Simon: Esatto, è una questione epistemologica e filosofica. Il problema non è se l’universo sia materia o coscienza, ma perché sentiamo il bisogno di ricondurre tutto a un unico principio ordinatore. Faggin giovane, materialista, voleva spiegare tutto con atomi e leggi fisiche; Faggin maturo vuole spiegare tutto con la coscienza e l’informazione quantistica. Entrambi condividono lo stesso sogno: una teoria del tutto che elimini il mistero della coscienza. Nel mio approccio aristotelico-tomista, invece, il mistero non è un ostacolo, ma una realtà da esplorare con un metodo – atto e potenza, forma e materia, logos e noesis – che non pretende di esaurire il reale.
I Limiti Filosofici della Teoria di Faggin
Io: Capisco. Puoi articolare meglio le critiche specifiche alla teoria di Faggin? Quali sono i suoi limiti filosofici?
Simon: Certamente. Ecco i principali nodi critici, visti da una prospettiva aristotelico-tomista:
- Inversione tra atto e potenza: Faggin considera la coscienza come realtà primaria, quasi un “atto puro”. Ma, seguendo Aristotele e Tommaso, ciò che è primo nell’ordine dell’essere è l’atto puro, non la coscienza in sé. La coscienza è sempre coscienza di qualcosa, implica una relazione tra soggetto e oggetto. Dire che è il fondamento di tutto rischia di dissolvere la distinzione tra conoscente e conosciuto, scivolando verso un idealismo filosofico soggettivo. Faggin parla di coscienza come “potenza creativa”, ma non chiarisce come si relazioni all’atto formale o alla potenza recettiva, creando una confusione metafisica.
- Mancanza di formalizzazione rigorosa: La teoria di Faggin è suggestiva, ma manca di una struttura formale – metafisica, logica o matematica. Non offre un sistema operatorio per distinguere ciò che è coerente, misurabile o predicabile. Nel mio approccio, la coscienza emerge come una struttura negentropica, un processo ordinato che si manifesta attraverso proiezioni, composizioni e collassi informazionali. Faggin si limita a un’analogia tra informazione quantistica ed esperienza soggettiva, senza costruire un quadro logico o verificabile.
- Non testabilità e rischio di metafisica privata: Faggin descrive la coscienza come privata, non clonabile, non accessibile dall’esterno. Questo la rende non falsificabile, né scientificamente né filosoficamente. Siamo di fronte a un sistema che si basa sull’intuizione soggettiva, senza possibilità di verifica o inferenza. Nel mio lavoro, invece, postulo strutture operabili: la coscienza è una funzione di collassi logici su reticoli informazionali coerenti, misurabili in termini di negentropia. Faggin invita a credere, non a ragionare.
- Confusione tra esperienza e sostanza: Faggin identifica l’esperienza soggettiva con la realtà sostanziale, come se la coscienza fosse l’essere stesso. Ma l’essere, nella tradizione aristotelica, precede l’esperienza: è la forma che struttura la materia potenziale. La coscienza emerge a posteriori, come effetto di un ordine intelligibile, non come fondamento ultimo.
- Fusione di logos e noesis: Faggin mescola coscienza, creatività, intuizione e conoscenza, senza distinguere tra logos (la struttura formale della realtà) e noesis (l’atto del conoscere). Per Aristotele e Tommaso, il logos precede la noesis: la realtà è governata da leggi formali che l’intelletto può cogliere, ma non crea. Dire che la coscienza “produce” il reale è una forma di idealismo che non rende conto della necessità e della causalità oggettiva.
Idealismo vs Materialismo: Due Facce della Stessa Medaglia?
Io: Mi colpisce il tuo riferimento all’idealismo filosofico. Faggin sembra passare dal materialismo a una forma di idealismo che, come dici, è speculare al materialismo stesso. È come se, nel tentativo di sfuggire al riduzionismo, cadesse in un altro tipo di “spiegazione totalizzante”. Puoi approfondire?
Simon: Hai colto il nodo cruciale. Faggin critica giustamente il materialismo scientifico, che riduce tutto a meccanismi deterministici e nega la soggettività. Ma nel farlo, compie un salto opposto: pone la coscienza come origine di tutto, quasi una divinità creatrice. Questo è idealismo puro, simile a Fichte o a certo vedantismo non critico. Materialismo e idealismo condividono lo stesso vizio: la pretesa di spiegare l’intera realtà con un unico principio, eliminando il mistero della coscienza. Il materialismo dice: “Tutto è materia, la coscienza è un’illusione”. Faggin ribalta: “Tutto è coscienza, la materia è un’espressione della coscienza”. Entrambi vogliono racchiudere il reale in una scatola concettuale, senza lasciare spazio al non detto.
Un Crimine Contro l’Umanità o un Nuovo Dogma?
Io: Questo mi ricorda una frase dell’intervista a Federico Faggin, quando parla del “crimine contro l’umanità” di negare il valore della coscienza. È un’espressione potente, ma tu sembri suggerire che anche la sua soluzione rischi di essere un altro tipo di “crimine”, perché chiude il reale in una visione dogmatica. È così?
Simon: Esattamente! Faggin denuncia il materialismo per aver schiacciato la coscienza, ma poi costruisce una teoria altrettanto dogmatica, che afferma che la coscienza è tutto. È un fideismo inverso: dove prima tutto si spiegava senza coscienza, ora tutto si spiega attraverso la coscienza. Entrambi sono atti di fede, perché pretendono di risolvere il mistero della coscienza senza accettare la sua irriducibilità. La sua intuizione sul sapore della cioccolata o sull’esperienza interiore è giusta, ma trasformarla in una teoria del tutto tradisce proprio quella soggettività che vuole salvare. Il reale sfugge ai sistemi, e il sapore della cioccolata, l’intuizione amorosa, la presenza viva dell’altro rimangono irriducibili a qualsiasi modello, scientifico o spirituale.
Dall’Esperienza Personale all’Ontologia Universale
Io: Ecco, questo mi fa pensare a un punto dell’intervista con Rick Du Fer che mi ha colpito: Faggin racconta di un’esperienza personale di “illuminazione”, in cui si è percepito come “il tutto che osserva sé stesso”. È un’immagine potente, ma sembra che voglia tradurre quell’esperienza in una teoria universale. Come interpreti questo passaggio dal personale all’universale?
Simon: È il cuore del problema. L’esperienza di Faggin è valida, intensa, e non la metto in dubbio. Ma trasformarla in un’ontologia universale è un passo azzardato. In termini aristotelico-tomisti, l’esperienza è un atto secondo (actus secundus), un’operazione dell’intelletto che presuppone un atto primo (actus primus), l’essere strutturato da forma e materia. Faggin salta questo passaggio e fa dell’esperienza il fondamento ontologico. Inoltre, c’è un aspetto psicologico: dopo aver abbandonato il materialismo, sembra aver bisogno di un’altra “verità assoluta” per colmare il vuoto. Ma il reale non si lascia racchiudere. Come dice il Tao Te Ching, citato da Faggin stesso, “il Tao che si può dire non è il Tao”. La rappresentazione dell’esperienza non è l’esperienza, e la teoria della realtà non è la realtà.
Un’Eredità Idealista: Il Legame con Plotino
Io: A proposito, nell’intervista a Federico Faggin emerge un dettaglio curioso: il padre di Faggin, Giuseppe, era un filosofo idealista che ha scritto una prefazione a Plotino, parlando dell’Uno come “pienezza di vita” e “libertà dalla sofferenza”. Federico, senza aver letto Plotino, sembra riscoprire un idealismo simile. È una sorta di “eredità inconscia”?
Simon: La sincronicità è affascinante! Giuseppe Faggin era un idealista, e Federico, pur partendo dalla fisica, sembra ripercorrere quel sentiero. Questo rafforza la mia critica: l’idealismo filosofico, come il materialismo, è una soluzione facile. Entrambi riducono il reale a un unico principio – materia o coscienza – per evitare l’incertezza del mistero della coscienza. L’esperienza di Faggin, che lo porta a vedere sé stesso come “parte di un tutto”, richiama Plotino, ma anche il confucianesimo o il Tao Te Ching. Il problema è che lui non si ferma all’esperienza: vuole farne una teoria universale, un sistema che spieghi tutto. È come se non riuscisse a tollerare la complessità del reale.
L’Umiltà di Fronte al Mistero
Io: Mi viene un guizzo: forse il problema di Faggin, come del materialismo, è che non è abbastanza umile di fronte al mistero della coscienza. Entrambi vogliono racchiudere l’infinito in una scatola, che sia di atomi o di coscienza.
Simon: Bravissimo! L’umiltà è la chiave. Il mistero non è un ostacolo, ma un invito a scavare. Aristotele, Tommaso, il confucianesimo ci offrono un metodo per esplorare il reale senza possederlo: il logos, la “Legge del Cielo”, la Via. Faggin è importante perché riapre domande cruciali: cos’è la coscienza? Qual è il significato della vita? Ma la sua risposta, pur poetica, è totalizzante. Un approccio davvero spirituale accetterebbe la coscienza come un ponte verso il mistero, non come la risposta ultima. Come dici tu, è più onesto dire: “la coscienza è ciò che ci mette in relazione col mistero” e lasciare che quel mistero ci guidi.
Conclusione: Un Passo Avanti o un Vicolo Cieco?
Io: Quindi, in conclusione, come possiamo leggere la teoria della coscienza di Federico Faggin? È un passo avanti o un vicolo cieco?
Simon: È entrambe le cose. È un passo avanti perché sfida il materialismo scientifico e riporta la coscienza al centro, aprendo spazi di dialogo contro il riduzionismo. È un vicolo cieco perché, nel farlo, cade in un idealismo filosofico speculare, che vuole spiegare tutto attraverso la coscienza. La vera via è un approccio che accetti il mistero della coscienza come parte del reale.La coscienza è cruciale, ma non è il tutto: è un atto informato da un ordine più ampio, che possiamo esplorare senza mai esaurirlo. Faggin ci invita a riflettere, ma dobbiamo andare oltre, verso una visione ospitalmente parziale, che rispetti l’irriducibilità del reale.
Io: insomma, in un’epoca di risposte facili, l’umiltà di fronte al mistero potrebbe essere la chiave per un dialogo autentico sul senso della vita e della coscienza.
Simon: invito comunque a leggere Irriducibile di Federico Faggin e a confrontarvi con le sue idee, tenendo a mente le critiche qui proposte!
Io: la disputa parte esattamente da questo no?
Simon: Esatto, ed è pur sempre il metodo di cui abbiamo parlato e abbiamo deciso di seguire.
Categories: Filosofia, teologia e apologetica

Approfitto di questo nostro intervento a 4 mani per copia-incollare un commento di Trianello su FB che mi pare chiuda il cerchio perfettamente:
“La posizione del realismo conoscitivo secondo San Tommaso d’Aquino non solo è sostenibile, ma si presenta come l’unica filosofia capace di giustificare l’esperienza della conoscenza senza cadere in aporie. Il suo fondamento è la concezione della verità come adaequatio rei et intellectus, un adeguamento in cui l’intelletto si conforma all’essere della cosa conosciuta, ricevendone la forma. Questo avviene tramite un processo che, partendo dall’esperienza sensibile, astrae la natura dell’oggetto, la cosiddetta species intelligibilis. È qui che sorge l’equivoco moderno ed è imperativo comprendere che questa species non è ciò che conosciamo, bensì ciò mediante cui l’intelletto conosce la realtà esterna. San Tommaso stesso insiste su questo punto per evitare di rinchiudere la conoscenza all’interno della mente. Proprio per questa ragione, definire l’Aquinate un “rappresentazionalista moderato” è, come ho scritto sopra, un anacronismo fuorviante. A differenza del rappresentazionalismo classico, che interpone un’idea-oggetto tra la mente e il mondo creando un “velo della percezione”, la species tomista è un mezzo formale e trasparente che attua un’unione diretta e intenzionale tra l’intelletto e la cosa. Non conosciamo le nostre idee, ma le cose attraverso di esse, in un atto che dimostra la natura immateriale dell’intelletto, capace di cogliere l’universale dal particolare. Questa dottrina, un realismo oggettivamente diretto sebbene processualmente mediato, evita le insidie dell’idealismo, che fa del mondo un prodotto della mente, dello scetticismo, che si auto-contraddice, e del materialismo, incapace di spiegare l’atto universale e astratto del pensiero. Afferma, al contrario, la capacità nativa dell’uomo di cogliere l’essere e la verità, ponendo un fondamento solido per ogni scienza e per ogni ricerca razionale”
Sì, questa è la dottrina « classica » A-T sulla conoscenza e ne fonda il realismo.
Ma non è ( direttamente) in relazione colla preoccupazione del Faggin per il quale, come per chiunque capisce come funziona euristicamente la MQ, la questione è capire il perchè del collasso dello stato quantistico quando c’è una misura. Il meccanismo della conoscenza A-T poco c’entra, in quanto l’adaequatio si fa per l’appunto tra una mens ed un ente che ha tutti i sui accidenti ben definiti, mentre un pacchetto di probabilità quantistiche pre-collasso manca ancora di tali accidenti e, quindi, non si spiegherebbe come e perché questa adaequatio possa avvenire oppure questo collasso di un ente indipendente dalla mente. Sola la riflession tra atto e potenza puoʻ portare una risposta a tale apparente paradosso.
In Pace
Symon però comprendi si o no che tale materia informata ma non ancora ( tempo) ubiquitata ( luogo ) è di per sé soltanto sostanziale. Da scienziato devi proporre una corretta e vieppiù migliore traduzione della professione di Fede giacché se così si capisce intellettivamente e coglie empiricamente, salva l’analogia, il consubstantialem è fuorviante, dovendosi avere coessente.
Non mi interessa a me, ma devi indar infondo al concordismo metafisico secondo Luce, altrimenti cianciate di non aver mediazioni a garanzia per esempio della realtà intuitiva ( non tutti i tomisti arrivano a tanto a livello schietto ) come dell’esterna realtà di per sé, quando il nostro Tommaso per darci la visione beatifica supponeva ideozie beote ( ne ho numerate 6 di descrizioni del supporto del Lumen gloriae a partire chiaramente da Bonaventura, che nomino per attestare che tutti gli altri non li rammento ).
Non ho letto ma sarebbe come negare che l’umanesimo marxiano nel suo materialismo dialetticco non sia…idealista, tralasciando che la funzione fu solo esca.
Difatti negate ulteriormente l’attualità della materia prima sia che sia eterna ( e per essere eterna ed infinita deve essere DIO od in sé o per lo meno, noi cristiani, come correlato dell’ipostasi ergo mancherebbero se fosse plausibile altre due descrizioni per il resto delle ipostasi, reputando chiaramente la materia sia l’accostabile al Pater ) sia che sia creata, che senso ha cianciare di creazione continua e sussistenza intrinseca immediata dell’Atto puro in ogni sua secondariazione, se giust’appunto si dà credito alla dynamis.
Che ci sia o no, non è ni-ente ossia: si esiste. Ed è risolto.
Ste cose spiegano anche perché il faggiano pé strada ve urinerebbe in bocca ( non a te, magari a me, intendo il gruppo dei ciancioni perdenti risorse, competenti o no, altri però sono vilemente retribuiti oltremodo per giunta e dunque a peggior ragione ), come un tempo il contadino andava assieme ad Huss, per scrivere.
Semo tutti boni a scrive che sò eretici, LORO.
LA RELAZIONE E’ IL MISTERO. Non giochiamo a fa gli scienziati (che ci vuol almeno duro lavoro ) o gli artisti ( che oggi a quanto pare, è spudorato )…
PER CAPIRCI:
La semplicità divina non si accosta né esaurisce nell’atto puro he anzi la limita
La coscienza contro la preesistenza delle anime, a favore del creazionismo delle stesse, in luce della disputa degli universali, per quato riguarda la personalità, è infinita ed eterna, il che è sola cosa che la rende idoneo ed abile immersione ed unzione sacrametali.
Ma per voi tomisti significa cessare di associare già le processioni eterne ed infinite intra ontiche di DIO a volontà ed intelligenza ( povero Agostino con la memoria ) per spiegare le processioni pericoretiche.
Non sostengo si sbagli, sostengo che siete alquanto farabutti tutti nessuno escluso e DIO mi è testimone nella mia ignobiltà, quando reputate di aver risolto un qualcosa che poi, quando e dove vi serve, la buttate in caciara, siate apofatici difensivisti pure alla Palamas, che coinvolgo tutti.
La Coscienza, intesa come spirito e non anima è chiaramente prima-dopo. Quando e dove si creperà, anche il nous cessa, bene fu corregere Aristotele, ma meglio era ricordarsi e raccordarsi all’unità unica della vita, di cui gli aspetti sono essi stessi solo divagliazioni: non puoi avere una forma sostanziale umana per atomi di Uranio Symon. Cavolo, non ridurti così. Ad ogni formalità corrispondente ricettacolo adatto disposto, la formalità di per sè non vale nulla, ed è qui che Faggin immagino intuisse il coscienziale come Soffio.
E’ chiaro sembro ciarlatano, ma a Daniele nella fossa rispetto il dotto rimodulatore di secolo in secolo?
Comunque il punto critico è il finale fra logos e noesis ma a me sembre si brancoli tutti nel buio ed io punto lo scuro ma mica ho qualcosa da apportare eh.
Caro Daouda, grazie del pungolo. Rispondo per punti, tenendo ferme due coordinate del mio lavoro: (i) non scivolare né nel materialismo né in un idealismo che faccia della coscienza l’atto primo del reale; (ii) usare davvero le distinzioni aristotelico-tomiste (atto/potenza, forma/materia, cause) per leggere anche il nodo del “collasso” in MQ come passaggio da potenza ad atto, non come “magia” dell’osservatore.
1) “Materia informata ma non ancora ubiquitaria.”
Qui sono d’accordo sull’intuizione: prima della misura, ciò di cui parliamo è un ordine di potenze compatibili, non ancora determinate nei loro accidenti (luogo/tempo, ecc.). Nel mio lessico: una forma intenzionale è “in vista” come possibilità reale, ma non è ancora atto secondo in un sostrato con accidenti fissati. La misura (fisica) è un’operazione che seleziona una proiezione coerente: la potenza diventa atto, e con l’atto compaiono proprio quegli accidenti. Non serve invocare la coscienza come causa efficiente del collasso; basta riconoscere che il reale non è solo meccanismo locale e che l’attuazione richiede condizioni di ordine (formale) che la teoria descrive senza “psicologizzarle”.
2) “Consubstantialem” vs “coessente.”
Capisco il tuo desiderio di spostare l’accento dall’idea moderna di “sostanza” a quella di atto d’essere condiviso. Però qui difendo la lingua del Simbolo: consubstantialem Patri dice esattamente l’unità di natura del Figlio col Padre, non una semplice “co-esistenza”. Se per “coessente” intendi “con lo stesso esse divino, identico nell’unità semplice di Dio”, allora stai descrivendo la stessa realtà del homoousios. Ma cambiare il termine rischia di perdere il deposito e aprire ambiguità. Possiamo chiarire che nel senso tomista “sostanza” non è un blocco, ma atto semplice: l’unità consustanziale è unità d’essenza e di actus essendi nella semplicità divina.
3) Creazione continua, dynamis e materia prima.
La creatio continua non significa che la materia prima sia eterna per se; significa che ogni ente finito partecipa qui-ed-ora dell’actus essendi di Dio. La dynamis (potenza) non è “quasi-ente”; è reale come capacità ordinata all’atto, e viene sorretta dall’Atto Puro che è causa prima, non un limite alla semplicità divina. Dire che “se è eterna dev’essere Dio” confonde l’eterno intrinseco (proprio solo di Dio) con la conservatio per partecipazione (propria dei creati). Dunque: materia prima creata, sempre sostenuta; non necessario postularla eterna.
4) “La relazione è il mistero.”
Qui c’è un punto forte che accolgo, ma distinguo: in Dio le relazioni sono sussistenti (processioni trinitarie); nelle creature le relazioni sono accidenti reali fondati su sostanze. La misura quantistica mette in scena relazioni non-locali? Benissimo, ma restano relazioni tra sostanze/forme in atto: non rimpiazzano il fondamento sostanziale, lo mostrano nella sua dimensione formale più profonda. Sì, la relazione “apre” il reale — però senza abolire la distinzione tra ciò-che-è (atto) e il come-sta-in-rapporto (relazione).
5) Coscienza, anima, spirito.
Non assumo pre-esistenza delle anime; qui resto con Tommaso: l’anima umana è forma sostanziale creata da Dio nell’istante della sua unione col corpo, sussiste separata dopo la morte, ma come forma (non come “spirito” separato che fluttua tra prima e dopo). Dire che la coscienza è “soffio” può avere valore poetico; metafisicamente, la coscienza è atto secondo della forma intellettiva, non una sostanza a sé. Per questo dico a Faggin: non fare della coscienza l’atto primo del reale. La libertà e l’intenzionalità sono altissime, ma poggiano su un ordine di essere che non si genera dall’atto cognitivo.
6) Forma e ricettacolo.
Qui ti sottoscrivo senza riserve: ad ogni formalità, il suo ricettacolo disposto. Non tutto può informare tutto. Una “forma umana” non può attuarsi nel reticolo dell’uranio; la disposizione della materia è condizione per l’atto della forma. È precisamente la base per non scivolare nell’idealismo (la mente non “crea” la forma delle cose) e, insieme, per non schiacciare tutto a meccanica (la forma non è riducibile alla somma degli elementi materiali).
7) Semplicità divina e actus purus.
La semplicità non è “meno di” atto puro; è la pienezza in cui essenza ed esistenza sono identiche. Dire che la semplicità “si esaurisce” nell’atto puro la impoverisce; dire che “l’atto puro la limita” la contraddice. L’atto puro è la semplicità: nessun limite, ma assenza di composizione.
8) Logos e noesis.
Concludo dal punto che ti sta a cuore: il logos precede la noesis. L’ordine formale del reale non dipende dal nostro conoscere; la nostra noesis partecipa e si adegua (adaequatio), non istituisce l’essere. Qui sta la mia distanza da Faggin: la coscienza non è fondamento ontologico, ma il luogo nobilissimo in cui l’atto umano si apre all’ordine dell’essere — fino, moralmente, alla voce della coscienza come giudizio pratico (Newman).
Se accetti questa griglia, credo ci ritroviamo su molto del tuo slancio: sì alla centralità della relazione, ma con il fondamento nell’atto; sì al “soffio”, purché resti atto secondo della forma; sì alla creazione continua, senza eternizzare la materia; sì all’analogia seria tra fisica e metafisica, senza confondere livelli. E una stretta di mano sulla tua chiosa più vera: ci vuole meno caciara e più fatica — quella di distinguere, per unire meglio.
Ottima discussione. La condivido in tutti gli aspetti. C’è un filosofo e teologo di cui purtroppo si parla poco, il recente dottore della Chiesa, Santo John Henry Newman, che dovrebbe essere sempre citato, almeno quando si parla di coscienza, specialmente quando si desidera creare un ponte tra materia e spirito.
Secondo Newman, la coscienza è una legge dello spirito, l’eco della voce di Dio, scritta nel cuore dell’uomo e di ogni creatura, che ci guida. Certo, si tratta della coscienza morale, ma guardando alla coscienza come legge dinamica possiamo comprenderne le sue multiformi caratteristiche: essa è un processo, un’interfaccia, un ordine, un’eco.
Tra le recenti scoperte scientifiche due in particolare ci interrogano e stimolano in modo particolare: il caos deterministico e l’entanglement quantistico. Questi fenomeni sono stati rilevati sia nella fisica delle particelle che nel mondo classico, come ad esempio nei sistemi biologici. Entrambi però sono emergenze che richiamano ad un ordine superiore, ad una realtà non locale, al di là di quella locale spazio temporale, e prima ancora ad una legge che genera e guida. Ecco perché concordo con la critica costruttiva di quest’articolo in cui si dice che non si può assolutizzare la coscienza, come origine di tutto il resto.
Il contributo scientifico di David Bohm, che ci spiega il segreto dell’entanglement alla luce della sua interpretazione causale della meccanica quantistica, e ci introduce alla sua comprensione attraverso concetti nuovi come potenziale quantico, ordine implicato ed esplicato, olomovimento, richiama analogamente a principi primi, a variabili nascoste, a una legge ordinatrice e regolatrice.
La sintonia di pensiero tra Newman e Bohm ci aiuta a comprendere il significato profondo della legge della coscienza e delle sue manifestazioni, vista come interfaccia tra Creatore e sue creature, tra ordine implicato ed esplicato, come presenza reale, che possiamo toccare con mano, quando l’ordine complesso e caotico e le sue connessioni (entanglement) si imprimono stabilmente, in filigrana, sul nostro cuore.
Grazie, Caotino: il richiamo a Newman e a Bohm è prezioso, purché resti chiara la distinzione dei piani. In Newman, “coscienza” è anzitutto coscienza morale: l’eco di una Legge scritta nel cuore, un giudizio pratico che obbliga la persona. Nel dibattito su Faggin, invece, “coscienza” indica l’esperienza fenomenica soggettiva. Se confondiamo i due sensi rischiamo di attribuire alla fisica un compito normativo che non le spetta, o alla morale una funzione causale nei processi naturali.
Anche il richiamo a Bohm è stimolante: il suo ordine implicato/esplicato, con il potenziale quantico, suggerisce che esista un ordine non-locale più profondo dell’apparenza classica. In chiave tomista, questo può essere letto analogicamente come traccia di una causalità formale: un ordine che informa i processi senza ridursi a mera meccanica locale. Ma proprio perché l’interpretazione bohmiana è deterministica e non invoca l’osservatore come causa del risultato, essa non fonda una “legge della coscienza” che faccia da interfaccia fisica tra Creatore e creatura. È una teoria fisica; utile come analogia, non come identità.
Dove, allora, sta il ponte? Per la linea aristotelico-tomista che difendo qui, non “dal basso” (dalla coscienza ai fondamenti dell’essere), ma “dall’alto” delle cause: la misura quantistica è il passaggio da potenza ad atto entro un ordine di forme e fini; la coscienza umana è atto secondo che riconosce tale ordine e vi aderisce liberamente. Newman illumina l’aspetto normativo di questa adesione (la coscienza come giudizio pratico), mentre Bohm può ispirare un’analogia sull’ordine formale non-locale. Resta però essenziale non confondere l’analogia con l’identità: l’entanglement non dimostra la coscienza come causa dell’essere, così come il caos deterministico non fonda la libertà morale.
Nel mio approccio della MQ, tratto il “collasso” come un’operazione di proiezione coerente su reticoli informazionali, soggetta a vincoli di ordine/negentropia: non richiede la coscienza come causa efficiente, ma lascia spazio alla coscienza come atto libero che seleziona e giudica entro possibilità realmente ordinate. In questo senso, sono del tutto d’accordo con te: né materialismo né idealismo totalizzanti; piuttosto, umiltà metafisica, distinzione delle cause e uso rigoroso dell’analogia. Newman e Bohm possono dialogare, se li lasciamo ciascuno al proprio livello — la prima come luce morale, il secondo come ipotesi fisica — senza chiedere all’uno di fare il mestiere dell’altro.
Grazie Gaëtan, concordo su tutto. E’ bello far dialogare pensatori di epoche diverse, e di formazione e specializzazione diversa, anche attraverso le analogie, come ben sottolineato.
Ci vuole umiltà, come precisi opportunamente. L’approccio transdisciplinare richiede certamente umiltà, ed anche un po’ di leggerezza. Restando nell’esempio di Newman e Bohm, certamente sono campi diversi, ma nel primo, pur essendo filosofo e teologo, si può notare un forte substrato matematico, tra le righe, leggendo ad esempio la Grammatica dell’Assenso, mentre nel secondo c’è una passione che va oltre la fisica, e lui stesso cita spesso, ad esempio, Aristotele. Forse anche per questo possono dialogare assieme, nel senso proprio del dialogo come lo intendeva Bohm. In Faggin non pare esserci umiltà. Dice « io postulo questo e quello » in modo autoritario, come se le cose dello spirito si lasciassero rinchiudere in qualche teoria a buon mercato. La coscienza poi, come ben sottolinei, ha diverse definizioni: ognuno la definisce un po’ come vuole, è difficile parlarne, se non c’è convergenza verso un’unica definizione. La questione dell’ordine è invece centrale. Ma com’è quest’ordine? Che caratteristiche ha? Diceva proprio Newman: « Il mondo fisico non è stabile, ma è sempre in movimento e sempre in mutamento. Ma un attributo ha di Dio, senza eccezione o difetto, ed è l’attributo dell’ordine. Qui è perfetto nel suo grado finito e secondo la sua specie, è semplicemente la manifestazione dell’armonia e della legge, come lo stesso Creatore infinito. [..]Il mondo naturale è dunque immagine e riflesso della Natura divina, le cui caratteristiche sono la legge (infinita), l’ordine (sovrano), l’unità, l’armonia, la bellezza. Le Opere divine sono fondate sull’unità, multiforme nei suoi atti ed attributi, che sono infiniti, subordinati l’un l’altro, perciò non intersecantesi. Quest’infinità di infiniti, agendo ciascuno nel proprio ordine, si combinano insieme nell’unità infinitamente semplice di Dio. [..] Nella natura, ci sono diversi esempi di unità, di armonia e di legge, che il Creatore ci ha dato a sua immagine. In ognuno di questi esempi, nel suo insieme e nelle sue parti, nei suoi diversi aspetti, ci si presenta sempre la stessa immagine di diritto e di regola; come in quelle sostanze cristallizzate del mondo fisico, che, sia nella massa che nei dettagli, consistono in una reiterazione di un’unica e medesima struttura. »
Si può vedere qui una forte analogia con quanto diceva Poincaré pochi anni dopo: “Se si tenta di rappresentare la figura formata da queste due curve e dalle loro intersezioni in numero infinito.. queste intersezioni formano una sorta di traliccio, di tessuto, di rete dalle maglie infinitamente compatte; ognuna di queste curve non deve mai intersecarsi, ma deve ripiegarsi su se stessa in un modo molto complesso per venire a intersecare un’infinità di volte tutte le maglie della rete. Si rimane colpiti dalla complessità di questa figura che io non tento neppure di disegnare”. Ed infine, pare quasi egli avere una visione delle geometrie frattali della natura, con un secolo di anticipo.
Concordo sulla fecondità dell’analogia Newman–Bohm, purché resti chiara la distinzione dei piani. In Newman la coscienza è giudizio morale (normativo), mentre l’“ordine” di Bohm è un’immagine fisica; utile come analogia, non come identità né “interfaccia” causale. Proprio qui passa il ponte senza confondere le categorie.
Grazie ancora per i tuoi profondi interventi