È Tempo Di Azione Concreta, Pratica, Effettiva – Parte 13 e Fine

Il bello rimane però da essere messo in evidenza: è il momento di fare l’elogio dell’inutilità del nostro agire quotidiano. Cosiccome il Creato è inutile alla Gloria divina che non ne abbisogna, cosi anche la gratuità che ne discende della sua messa in esistenza da parte del Creatore partecipa dell’auto-traboccante Essenza divina che per pura Carità permette ad esseri finiti di partecipare alla Sua Gloria senza che ve ne sia alcuna necessità.

L’oggettiva inutilità del nostro agire all’est di Eden, a parte lo scontare la propria condanna in seguito al peccato originale causa della nostra akrasia, ha come conseguenza di introdurci in un mondo di gratuità: visto che quel facciamo non ha utilità intrinseca ma solamente circostanziale, allora siamo liberi da ogni interesse particolare e possiamo agire senza nessun tornaconto specifico e possiamo sviluppare la nostra gratuita creatività.

È questa inutilità che ci permette di evitare di essere una semplice risorsa generativa ma ci trasforma in una risorsa rigenerativa, cioè ci fa passare dal piano dell’azione umana tipicamente generativa, cioè co-estesa alla quantità di lavoro messa in opera, al piano del Giardino dove le risorse sono, l’abbiamo visto, rigenerative. La mera ricerca di efficacità e di efficienza costringono l’umana fatica al mondo piatto delle risorse generative: l’affrancarsi permette di entrare in un’ecologia ontologica rivisitata non dai quattro fiumi di Eden ma dall’acqua della gratuità che percola dal costato di Cristo e di fruttificare chi 3’000, chi 6’000, chi 10’000% del contributo umano iniziale.

Cosciente di questa inutilità, l’uomo riscattato da Cristo guarda, quindi, il mondo dall’alto della croce del Buon Ladrone, vicino al punto di vista di Dio: egli sa che il suo operare non ha nessun valore salvifico, qualunque esso sia, e dunque sa che può anche fare qualunque altra cosa inutile finché la compie dal punto di vista di Dio, fintanto che lascia questo vino perfezionato dall’Acqua.

Con la Morte e la Resurrezione di Gesù, il Cristo, anche Eden è rivisitato: Adamo ed Eva da abitanti del Giardino diventano il Giardino stesso, sono così come trasmutati in Esso, in quanto inutili e, pertanto, nella gratuità, nella sovrabbondanza, nel rigoglio; tutte le proprietà del Giardino sono le loro, senza eccezioni; in aggiunta anche il paese dove sono stati cacciati, all’est di Eden, ormai non solo è il luogo dove si esercita la giustizia divina nella loro pena ma è anche il luogo dove la famiglia, le varie comunità, e realtà sociali, ognuna disposta in giustizia secondo il principio di solidarietà, partecipano anch’esse di questa gratuità realizzando, ad un livello umano centrato sulla famiglia, come un’immagine terrena dell’auto-traboccante Essenza divina.

La fatica quotidiana umana è dell’ordine delle cause circostanziali, pertanto i suoi effetti lo saranno pure e saranno sempre, per natura, effimeri, deperibili, decadenti e sottomessi all’inesorabile legge universale dell’entropia: ogni processo umano messo in moto è destinato a non realizzarsi e a decomporsi prima di giungere il fine preposto dalla vanità dell’uomo.

Nelle mani, alla fine, abbiamo solo sabbia che scorre, scivolando via e che non possiamo trattenere saldamente, eppure questo è il pane, ostia immacolata, segno della soddisfazione della pena originale, e questo è il vino imbevibile, simbolo della nostra fermentazione: con l’Incarnazione tutta questa decadenza, nella sua gratuità, può essere trasformata in partecipazione alla divinità e resa essenziale.

 Offérimus tibi, Dómine, cálicem salutáris, tuam deprecántes cleméntiam: ut in conspéctu divínæ maiestátis tuæ, pro nostra et totíus mundi salute, cum odóre suavitátis ascéndat.
In spíritu humilitátis et in ánimo contríto suscipiámur a te, Dómine: et sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi, Dómine Deus.
Veni, sanctificátor omnípotens ætérne Deus: et benedic hoc sacrifícium, tuo sancto nómini præparátum.

(«Ti offriamo, o Signore, questo calice di salvezza, e scongiuriamo la tua clemenza, affinché esso salga come odore soave al cospetto della tua divina maestà, per la salvezza nostra e del mondo intero.

Con spirito di umiltà e con animo contrito, possiamo noi, o Signore, esserti accetti, e il nostro sacrificio si compia oggi alla tua presenza in modo da piacere a Te, o Signore Dio.

Vieni Dio eterno, onnipotente, santificatore, e benedici questo sacrificio preparato nel tuo santo nome.»)

È ancora una volta un’ecologia del rigoglio e della rigenerazione: dalle offerte effimere e deperibili, dal grano che muore in terra, dal chicco d’uva pressato, misto a qualche goccia d’acqua del nostro vivere in Cristo, cioè di vedere le cose dal punto di vista di Dio, dall’alto delle nostre croci intorno alla Sua, ne traiamo la fonte della nostra glorificazione della Trinità, la sola realtà solida ed imputrescibile che sia. È su questa base di giustizia sublimata nella gratuità del dono che la nostra offerta, il calice, si trasforma in incenso soave, per la salvezza delle moltitudini.

Questo sacrificio si iscrive nella giustizia divina stessa: quel che è reso sacer, cioè messo da parte per il Signore, è quella realtà ecologica e quell’economia dell’est di Eden frutto della nostra condanna originale e non è qualunque cosa. Non è denaro epifenomenico, non è risorsa superflua, non sono processi temporali effimeri e vanagloriosi, ma è pura gratuità di una pena generosamente accettata, vissuta secondo la nostra natura umana di uomo e donna all’immagine di Dio, è un guardare il mondo quotidianamente con uno sguardo di Dio.

Il prendersi in mano per agire secondo il buon senso economico di un’ecologia che tiene conto della reale ontologia del Creato, l’applicarsi a esercitare le virtù cardinali, ad accudire i nostri giardini, a centrare e a cimentare la società umana intorno alla famiglia, a sviluppare le nostre comunità, a girare le spalle a mammona e al suo servo chiamato potere di acquisto, a dare valore in ogni comunità dalla più piccola, come la famiglia, alla più grande, all’umana gratuità sui piani materiali, culturali, spirituali di ciascun membro ridando importanza centrale a coloro di cui siamo i prossimi concreti.

La nostra vita quotidiana, quando ci sforziamo di viverla positivamente come giusta pena dell’originale condanna iscritta nella nostra realtà umana, individuale, familiare e sociale, cioè vivendola con buon senso, fuori da ogni consumismo e dipendenza schiavizzante dal potere d’acquisto, con lo spirito di rendere attuale questa realtà intramontabile ancora in atto in noi del Giardino terrestre, rispettando le gerarchie ontologiche secondo la loro natura voluta da Dio, sempre presenti anche se deturpate dai nostri peccati individuali e collettivi, è il pane ed il vino che possiamo offrire come nostra partecipazione alla Gloria divina.

E allora possiamo, ormai sacerdoti come Abele e Melchidesech, andare implorare la Santa Trinità

Súscipe, sancta Trinitas, hanc oblatiónem, quam tibi offérimus ob memóriam passiónis, resurrectiónis, et ascensiónis Iesu Christi, Dómini nostri…

(“Accetta, o Santissima Trinità, questa offerta che ti facciamo in memoria della passione, risurrezione e ascensione di nostro Signore Gesù Cristo… “)

E concludere gli occhi rivolti al Cristo Sacerdote:

Suscípiat Dóminus sacrifícium de mánibus Tuis ad laudem et glóriam nominis sui, ad utilitátem quoque nostram, totiúsque Ecclésiæ suæ sanctæ.

(“Il Signore riceva dalle Tue mani questo sacrificio, a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa.”)

In Pace

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