È Tempo Di Azione Concreta, Pratica, Effettiva – Parte 9

Lo abbiamo visto: essere veramente ecologici vuol dire puntare tutti gli sforzi umani familiari sulle risorse le più perenni, quelle generative e quelle rigenerative e questo dovrebbe avere  come conseguenza produzioni traboccanti dei loro frutti che permettono così indipendenza dal denaro, resilienza accresciuta contro gli avvenimenti negativi che sempre sovvengono prima o dopo, per via della diminuita penuria e, quindi, accresciuta facilità di accesso ai prodotti intensificazione della rete sociale e integrazione delle varie diversità e complementarità produttive ai varî livelli inferiori alla famiglia stessa.

Ovviamente, essere ecologici nel senso ontologico vuol dire radicalmente distanziarci dall’approccio keynesiano dell’economia non solo sui postulati di base che abbiamo già esplicitamente rifiutato come essendo una forzatura contro-natura, ma anche nelle sue conseguenze più lontane, come il voler costruire la nostra realtà economica sulla preferenza per la liquidità che genera tesaurizzazione e che è il meccanismo di base della penuria monetaria necessaria a garantirne il valore; è il rifiuto ecologico di voler un aumento della domanda per incentivare la produzione, ma è più vicino dell’approccio neoclassico descritto dalla legge di Say, in quanto ci si pone dal lato della produzione sovrabbondante delle risorse generative e rigenerative; è quindi il rifiuto di vedere lo stato, nazionale o transnazionale che sia, pompare ingenti quantità di denaro per creare artificiosamente una domanda per attirare un aumento di produzione.

Ma essere ecologici non vuol dire neanche allinearsi alle teorie classiche o neoclassiche dell’economia : di certo il fine dell’ecologia non è riduzione delle famiglie ad una funzione di utilità quantificabile ad esempio in relazione al suo consumo o di blanda massimizzazione dei profitti imprenditoriali; ma è la ricerca di felicità delle singole famiglie e questa felicità strabocca le semplici considerazioni di piatto benessere materiale e non è, per natura, quantificabile; quanto alle imprese ben abbiamo visto che il loro mercato “ecologico” è quello del livello inferiore secondo il principio della sussidiarietà e, quindi, il profitto non può essere massimizzato che in questo specifico contesto limitato alla moneta di sussidiarietà che gli dà il soffitto ecologico.

Aver capito cosa significhi l’ecologia nel suo senso ontologico vuol dire liberarsi dagli schemi mentali marxisti, keynesiani e neoclassici e avventurarsi con la propria testa nella ricchezza del reale in quanto tale senza occhielli ideologici preformattati.

Una barzelletta arci-cinica sentita in gioventù parlava di un irreale premio Nobel in economia, John Banza, che avrebbe proposto la soluzione seguente al governo del suo paese per raddoppiare il PIL pro capite in meno di un anno: ammazzare la metà della popolazione.

A ben guardare, però, l’approccio keynesiano esso ha esattamente lo stesso approccio anche se, ovviamente, non sul periodo di un anno: all’insufficiente domanda in periodo di crisi, esso chiede allo stato di indebitarsi ulteriormente per creare una domanda marginale rinnovata, che spingerebbe alla produzione di un’offerta e quindi capace di ridare lavoro, quindi aumentare i ricavi individuali, il che creerebbe una offerta, privata e non statale questa volta, rilanciando il meccanismo dell’economia. Questo indebitamento inietta liquidità nel sistema, ma ha due effetti maggiori a medio termine: il primo quello di creare inflazione, il che è come creare una tassa pagata da tutta la popolazione del paese quindi una diminuzione del potere di acquisto; il secondo che è quello di aumentare il servizio del debito, cioè per giunta pagare gli interessi, il che va in diminuzione del reddito, e quindi in diminuzione del potere di acquisto. Questa soluzione, quindi, poggia completamente sulla diminuzione del potere di acquisto delle famiglie, che, per mantenerlo a livello pro capite di ognuno dei suoi membri si vede nell’obbligo monetarista di avere mediamente meno figli: ritroviamo la soluzione del mitico John Banza. È l’approccio malthusiano. Ogni volta che uno stato ricorre a queste soluzioni di tipo keynesiano a medio termine si spopolano le famiglie rimpiazzandole con individui in loco o all’estero il cui potere di acquisto pro capite inferiore è largamente sufficiente per i loro fabbisogni reali. Il che è normale, visto che chi non può giocare al tavolo per le poste a 10’000 e più è destinato a perdere o a non sedervisi.

L’approccio neoclassico benché, a prima vista, parzialmente più sano in quanto dando la responsabilità del proprio benessere a ciascuno senza delegarlo ai livelli societali inferiori come allo stato, per akrasia, appare però, dopo una seconda analisi più attenta, viziato dal suo individualismo frenetico, dalla sua ossessione del benessere materiale e del profitto a detrimento della felicità reale, dall’assenza di una comprensione olistica del mondo e, alla fine, dal fatto che conduce alla dominanza oligarchica di pochi e alla povertà generalizzata di molti per garantire il valore alla moneta e alla ricchezza che i primi possiedono.

Mentre il mondo keynesiano ideale è un mondo sempre più spopolato di famiglie e composto di soli individui isolati con potere di acquisto minimo garantito, quello neoclassico è un mondo sempre più sovrappopolato e povero ma sempre pronto a comprare quello che la produzione propone loro in massa a prezzo sempre più basso.

In questa sede lasciamo perdere, per brevità, l’analisi marxista che ha, comunque, mostrato la sua inadeguatezza morale, storica ed economica.

Tutte queste teorie, messi a parte i loro vizi fondatori specifici, hanno in comune un problema ed è che non sono capaci di tener conto in modo positivo della ricerca del Graal: il Graal è quella risorsa magnifica che più si utilizza, più si rigenera, più se ne mangiano i frutti, più c’è frutta, è quella risorsa che va contro la generale entropia di consumo dell’universo. Il Graal è lo spirito dell’essere umano.

Guardate che bello: posso condividere le mie idee senza perderle per me il che è come mangiare la frutta di un albero senza che la quantità di frutta sull’albero diminuisca, la ricchezza altrui non inficia la mia ricchezza, costoro potendo possedere le mie idee, ed io le loro, senza perdere le mie o loro le loro. Anzi, aldilà di questo, come nel caso della fecondazione incrociata, le idee che si incontrano e si scontrano generano nuove idee che possono essere possedute da tutti senza che nessuno ne sia privato e se sono sviluppate in uno spirito di verità, abbiamo reali arricchimenti umani, materiali e spirituali. Lo spirito umano è traboccante per natura: può considerare verità, bontà, bellezza, realtà analitiche e sintetiche, inventare mondi interi, agire nel reale, creare oggetti di ingegneria, spaziare ai confini dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, mettere ordine lì dove c’è caos, amare e lasciarsi amare. E può condividere tutto ciò senza perdere niente di esso: è il “prodotto” ecologico ideale al quale dovrebbe tendere ogni ecosistema che si vorrebbe autoperennizzare, la sua economia dovrebbe essere al centro delle preoccupazioni delle “teorie” economiche.

Ma no! Il punto di vista neoclassico si preoccupa della massimizzazione del profitto, quello keynesiano di quello del potere di acquisto e ambi tramite un solo veicolo al quale tutto si piega: denaro, denaro tesaurizzato da alcuni, o denaro spruzzato a tutti ma di più a chi ne ha di più.

Questi approcci sono antitetici ad un’economia dove l’umano si potrebbe sviluppare secondo la propria natura floridamente naturalmente traboccante: un’economia del troppo e dell’eccesso. Essi hanno bisogno di penuria per sostenersi e funzionare: quindi la gestiscono e l’aumentano a piacere. Concetti come i diritti d’autore, patenti e altri segreti, andando aldilà della giustamente etica riconoscenza quanto alla paternità di un’idea, ma volendo monetizzarla, hanno come fine di creare penuria di idee, affinché assumano un valore da scambiare contro denaro. Questa è la trasposizione di quella stessa volontà che non vuole i contadini usare dei semi che vogliono ma solo quelli catalogati ed omologati e possibilmente sterili, e quindi più rari e sempre da ricomprare: il mondo del denaro ha da garantirsi penurie controllando le fonti di ricchezza naturali e intellettuali.

La stessa tecnica è utilizzata nel campo dell’educazione dove, con la scusa di garantire l’istruzione a tutti, in realtà si abbassano tremendamente i paletti in campo culturale, morale e spirituale, lasciando a terzi fornire idee commercializzabili, etiche monetizzabili, culture consumabili.

Un’ecologia ontologica genuina non può ammettere questo sconvolgimento della natura del Creato e dunque vorrà coltivare primariamente un’economia che permetta all’umana natura di essere attualmente tanto rigogliosa quanto lo è potenzialmente. Le leggi che governano quest’economia centrano le loro finalità sullo sviluppo intellettuale, morale e spirituale dell’umano e non sul potere di acquisto o la tesaurizzazione di moneta o risorse a fini di penuria.

Non solo quindi vedono nell’umano una ricchezza da conservare ma ne vogliono una moltiplicazione: la penuria di umani è il sogno solamente di chi vuol fare ed avere soldi, il cui fine è il PIL pro capite di John Banza.

Una comunità realmente fondata sull’ecologia ha come fine ultimo, non il profitto e il denaro, ma le opere d’arte in tutti i campi, musicale, cantore, architettonico, pittorico,  le opere scientifiche e quelle di ingegneria, la vita spirituale e religiosa: questa società misura il proprio “successo” a livello di ogni famiglia o a livello comunitario con il prodotto umano al suo colmo nella verità, nella bontà e nella bellezza, nella felicità della sua popolazione, e perché traboccante, in quella delle altre comunità che sono in contatto con loro.

L’educazione di tutte le generazioni secondo un’ecologia ontologicamente valida sarà sempre nello sviluppo delle capacità di valutare ogni situazione per quella che è e non quella che si vorrebbe che fosse, nel controllo sistemico per quanto possibile delle tendenze umane sottomesse all’akrasia, nella capacità di prendere rischi per il bene della comunità con durevole resistenza, la facoltà di sempre dare, con sovrabbondanza, quel che è dovuto agli altri, alla famiglia, agli amici, alla comunità: e cosa sono questi quattro punti se non le quattro virtù cardinali?

In un contesto ecologico, tutti hanno come minimo rudimenti pratici in agricoltura, fattoria, foresteria, falegnameria, idraulica, elettricità, panetteria, pasticceria, cucina, farmacia, e tutti, in funzione delle capacità individuali, con rudimenti in poesia, letteratura, matematica, scienze, arte, filosofia e ontologia, religione il tutto innaffiato con l’amore indefettibile di un padre e di una madre, di una famiglia e di una comunità ciascuno secondo la sua insostituibile funzione: questo è il sostrato, come l’humus, necessario per lo sviluppo dell’umano, affinché esso diventi e si mantenga rigoglioso e traboccante.

Tutte le risorse degenerative, generative e rigenerative come anche quelle epifenomeniche devono essere al servizio della creatività umana nel campo del vero, del buono e del bello, sempre riattualizzato, sempre rinnovato, sempre re-inventato.

Un mondo ecologico è quello dove la razza umana si moltiplica in quantità e si siviluppa in qualità intelligentemente, tenendo per quanto possibile la propria originale “akrasia” sotto controllo; dove la società, quindi, tiene in altissima stima le virtù cardinali e le loro variazioni, dove il denaro è considerato un semplice epifenomeno da tenere d’occhio, il tutto al servizio esclusivo della ricerca di verità di bontà e di bellezza nel campo materiale, etico e spirituale; dove le famiglie sono la vetta della detta  società, e dove il giardino è coltivato secondo un’economia che ne rispetti l’ecologia.

In Pace

(Continua)

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