Ancora su HUMANÆ VITÆ: Card. Ladaria le suona ai detrattori alla grande!

Di seguito pubblichiamo l’intervento del Card. Luis F. Card. LADARIA, Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, dedicato all’enciclica HUMANÆ VITÆ di Paolo VI. Intervento diretto, lineare nella Tradizione, chiaro nelle spiegazioni e soprattutto senza possibilità di misunderstanding cretidioti.

Grazie Card. Ladaria per questa ottima promozione della dottrina della fede e della morale cattolica!


Desidero salutare cordialmente la Presidente della Fondazione in Spagna, dott.ssa Mónica López Barahona, e ringraziarla per l’invito a partecipare a questo Congresso internazionale sull’Humanae Vitae organizzato dalla Cattedra Internazionale di Bioetica Jérôme Lejeune. Saluto inoltre tutti i partecipanti e auguro loro un piacevole soggiorno a Roma.

L’enciclica Humanae vitae ha affrontato i temi della sessualità, dell’amore e della vita, che sono intimamente interconnessi. Si tratta di questioni che riguardano tutti gli esseri umani in ogni epoca. Per questo motivo, il suo messaggio rimane rilevante e attuale anche oggi. Papa Benedetto XVI lo ha espresso con queste parole: “Ciò che era vero ieri rimane vero oggi. La verità espressa nell’Humanae Vitae non cambia; anzi, proprio alla luce delle nuove scoperte scientifiche, la sua dottrina diventa più attuale e ci spinge a riflettere sul suo valore intrinseco”. Lo stesso Papa Francesco ci ha invitato, nella sua Esortazione post-sinodale Amoris Laetitiae, a “riscoprire il messaggio dell’enciclica Humanae vitae di Paolo VI”, come una dottrina che non solo ha un valore intrinseco per la Chiesa, ma anche per la Chiesa. come una dottrina che non solo dobbiamo conservare, ma che ci viene proposta per essere vissuta. Una norma che trascende l’ambito dell’amore coniugale e che è un riferimento per vivere la verità del linguaggio dell’amore in ogni relazione interpersonale.

È stata sottolineata l’audacia di Paolo VI nel resistere alle pressioni per approvare l’uso di contraccettivi ormonali nei rapporti sessuali all’interno del matrimonio cattolico. Tuttavia, a mio modesto parere, la vera audacia dell’enciclica è molto più profonda. È di carattere antropologico, ed è in questo senso che questa enciclica può aiutarci oggi ad affrontare le sfide antropologiche che si presentano nella nostra società.

L’enciclica, nel rispondere al problema dell’uso dei contraccettivi, colloca il suo giudizio morale in un’ampia prospettiva antropologica, con una visione integrale dell’uomo e della sua vocazione divina. L’enciclica fonda la sua dottrina sulla verità dell’atto d’amore coniugale sulla “connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può spezzare di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: quello unitivo e quello procreativo”. Su questa base, si oppone l’antropologia dominante, che considera l’essere umano come un costruttore di senso attraverso le sue azioni. Questo si traduce, nel campo della sessualità, nell’affermazione che l’uomo non può limitarsi a essere un soggetto passivo delle leggi del proprio corpo, ma che deve essere lui stesso a dare senso alla propria sessualità. È l’antropologia che antepone la libertà alla natura, come se fossero due elementi inconciliabili. Tuttavia, Paolo VI avverte che, prima della libertà, ci sono significati, comprensibili all’uomo dalla ragione, che l’uomo non ha scelto, e che orientano e regolano il suo comportamento. Se l’uomo è capace di riconoscere e interpretare i significati unitivi e procreativi dell’atto coniugale, potrà realizzare correttamente la propria esistenza e portarla a compimento. Per l’enciclica, la natura non è in tensione con la libertà, ma dà alla libertà i significati che rendono possibile la verità dell’atto d’amore coniugale e ne permettono la piena realizzazione. Questa, a mio avviso, è la vera audacia dell’Humanae vitae e conferisce all’enciclica la sua radicale attualità.

Rifiutare l’enciclica non significa solo accettare la morale della contraccezione, ma anche accettare un’antropologia dualistica che vede la natura come una minaccia alla libertà e che ritiene che manipolando il corpo si possano cambiare le condizioni di verità dell’atto coniugale. La possibilità di amare con il sesso ma senza figli si tradurrà nella realtà del sesso senza amore, che non solo ha prodotto una banalizzazione della sessualità umana, ma ha anche portato a una trasformazione della comprensione di cosa sia l’intimità sessuale e di cosa siano le relazioni sessuali a livello sociale.

Solo così si può spiegare l’incapacità delle odierne società occidentali di riconoscere le differenze morali tra l’unione sessuale di un uomo con una donna e l’unione sessuale tra due persone dello stesso sesso. Se è la persona a dover dare un senso alla propria sessualità, attraverso i suoi atti liberi, allora non c’è alcun problema ad ammettere, ad esempio, rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso, poiché l’unica cosa che conta è che questa “unione affettiva” sia liberamente acconsentita. Quindi, secondo questa prospettiva, è la libertà a determinare la verità dell’azione. Non si ritiene necessario che l’atto umano, in questo caso l’atto di amore coniugale, risponda a un significato preesistente, naturale o stabilito da Dio, ma semplicemente che sia un atto libero. L’enciclica si opponeva a questa antropologia ed era in grado di affrontare i problemi che ne derivavano con una visione profetica.

Il rifiuto dell’Enciclica non ha riguardato solo la visione dell’amore e della sessualità, ma anche la percezione del corpo stesso. L’antropologia contraccettiva è un’antropologia dualistica che tende a considerare il corpo come un bene strumentale e non come una realtà personale. L’espressione che dà il titolo a questa conferenza, “Il mio corpo mi appartiene”, riflette questo carattere strumentale del corpo, questo dualismo, in cui il corpo è ridotto a pura materialità e, quindi, a un oggetto suscettibile di manipolazione.

Questa reificazione del corpo non solo comporta la perdita della verità dell’amore umano e della famiglia, ma ha portato a un’allarmante diminuzione delle nascite e a una moltiplicazione del numero di aborti. Il rifiuto dell’indissolubilità dei due significati, che proclamava la regolazione della natalità con l’uso di contraccettivi, si è evoluto nella manipolazione artificiale della trasmissione della vita, attraverso le tecniche di riproduzione assistita.

Prima si è accettata la sessualità senza figli, poi si è accettato di produrre figli senza l’atto sessuale. La vita prodotta non è più considerata, di per sé, come un “dono”, ma come un “prodotto” e viene ora valutata in termini di utilità. Questa utilità, misurata in funzioni concrete, viene ora chiamata “qualità della vita”. La qualità della vita diventa così un concetto discriminante tra vite degne di essere vissute e vite indegne di essere vissute e che quindi possono essere soppresse: aborti eugenetici, eliminazione di persone con disabilità, eutanasia di malati terminali, e così via. Il tutto addolcito da una certa “compassione” verso le persone che si trovano in queste situazioni (eliminazione del malato), compassione verso i loro parenti e verso una società che si risparmierà costi inutili.

Questa manipolazione del corpo, tipica del relativismo morale e presente nell’antropologia contraccettiva, è presente in due ideologie attuali: l’ideologia gender e il transumanesimo. Entrambe partono dalla premessa che non esiste alcuna verità che possa limitare l’attuazione dei loro postulati ideologici. Ancora una volta, la libertà è posta in opposizione alla natura. Questa esaltazione della libertà, slegata dalla verità, fa sì che entrambe le ideologie presentino il desiderio e la volontà come garanti ultimi delle decisioni umane. Ecco perché la continuazione della frase “Il mio corpo mi appartiene” sarà… “e ne faccio quello che voglio”. Questo “ciò che voglio” è l’espressione del solo desiderio come garante della decisione morale. Ma è proprio il corpo umano che appare come un ostacolo, come un limite, alla realizzazione del desiderio.

Se l’ideologia del gender pretende che i cittadini costruiscano socialmente il proprio sesso, sulla base di una presunta neutralità sessuale, allora deve negare una verità antropologica fondamentale come il dimorfismo sessuale (maschile e femminile) insito nella specie umana. Ecco perché l’ideologia del gender nega che l’identità di una persona sia legata al suo corpo biologico: una persona non è identificata dal suo corpo (sesso) ma dal suo orientamento. Cancella ogni relazione con il genere binario per proclamare la diversità sessuale.

Allo stesso modo, nel transumanesimo, la persona è ridotta alla sua mente, o meglio, alle sue connessioni neurali come supporto della sua singolarità. La singolarità è ora l’essenza della persona, senza il corpo, che la identifica e che può essere trasferita a un altro corpo umano, a un corpo animale, a un cyborg o a un semplice file di memoria.

L’ideologia di genere e il transumanesimo sono espressioni di questa antropologia, rifiutata dall’Humanae vitae, che nega al corpo il suo carattere personale e lo riduce a mero oggetto manipolabile. L’identità culturale, sociale e giuridica della persona non è intrinsecamente legata alla sua mascolinità o femminilità. La sua identità personale è ora basata sul suo orientamento, cioè senza connessione con il proprio corpo e senza relazione con il corpo dell’”altro”, del sesso opposto. È un’antropologia che ha separato la vocazione all’amore dalla vocazione alla fertilità. In questo senso è, fondamentalmente, un’antropologia a-storica, che cerca solo il momento presente, un’antropologia del carpe diem.

In questa antropologia, il cyborg appare come la sua piena realizzazione. È attraverso il cyborg che si realizzerà la vera emancipazione biologica:

a) perché renderà possibile la costruzione del corpo e del sesso attraverso le biotecnologie;

b) perché il cyborg rende possibile un mondo senza riproduzione sessuale umana; un mondo senza maternità, il sogno del femminismo radicale.

Il cyborg proietta l’ideologia di genere verso un futuro post-gender e il transumanesimo vuole, attraverso il cyborg, che anche quel futuro sia postumano.

L’unica risposta possibile a queste ideologie è la riscoperta di un’antropologia integrale della persona, come proposto nell’Humanae vitae, come unità di corpo e anima; un’antropologia capace di comprendere la pienezza della libertà nell’integrazione con la natura umana. Solo in questo modo gli esseri umani potranno essere se stessi. Benedetto XVI lo ha espresso così nell’Enciclica Deus caritas est: “L’uomo è veramente se stesso quando il corpo e l’anima formano un’intima unità […] è l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte il corpo e l’anima. Solo quando entrambi sono veramente fusi in un’unità, l’uomo è pienamente se stesso”

Nel ventesimo anniversario della pubblicazione dell’Enciclica Humanae vitae, Giovanni Paolo II ne aveva già rilevato il carattere profetico: “Gli anni successivi all’Enciclica”, disse Giovanni Paolo II, “nonostante il persistere di critiche ingiustificate e di silenzi inaccettabili, hanno potuto dimostrare con sempre maggiore chiarezza che il documento di Paolo VI è sempre stato non solo di grande attualità ma anche ricco di significato profetico”.

Il significato profetico dell’Enciclica trova il suo fondamento nella concezione antropologica integrale di ciò che significa la verità dell’amore, della sessualità e della vita. Un’antropologia integrale che rifiuta, da un lato, il riduzionismo biologico del transumanesimo e, dall’altro, la negazione del corpo da parte dell’ideologia gender. L’enciclica è ancora valida perché è la giusta risposta, da parte del Magistero, alle antropologie dualistiche che vogliono strumentalizzare il corpo e che non sono nuovi umanesimi, postmoderni e secolari, ma veri e propri antiumanesimi. L’enciclica propone un’antropologia della persona intera, un’antropologia capace di unire la libertà con la natura.

Anche oggi si realizza ciò che l’enciclica aveva già annunciato di sé: “Si può prevedere che questi insegnamenti non saranno forse facilmente accettati da tutti: ci sono troppe voci – amplificate dai moderni mezzi di propaganda – che sono in contrasto con quella della Chiesa. A dire il vero, la Chiesa non è nuova ad essere, come il suo Divino Fondatore, “segno di contraddizione” (cfr. Lc 2,34); ma non per questo cessa di proclamare con umile fermezza tutta la legge morale, sia naturale che evangelica”. Anche noi, in mezzo al nostro mondo, siamo chiamati a essere un “segno di contraddizione”, proclamando con umiltà e fermezza la verità dell’essere umano, dell’amore, della sessualità e della vita.

Spero che questo Congresso contribuisca a testimoniare questa verità. Grazie



Categories: Attualità cattolica, Filosofia, teologia e apologetica

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