“Traditionis Custodes” : “Non Sanno Nemmeno Cosa Gli È Stato Tolto”

Sono felicissimo di poter condividere questo articolo del Dr. Michael Fiedrowicz, professore alla facoltà di di teologia di Treviri apparso ieri in tedesco su CNA-Deutsch e tradotto con Deep-L. (Grassetti neri e rossi e sottolineature mie)

Questo articolo riassume con competenza tutti i punti già da noi messi in evidenza:

(a) l’orrore della nozione di avere dei libri liturgici specifici definire la nostra fede in modo univoco

(b) il parallelismo con quanto avvenne durante la crisia ariana

(c)la damnatio memoriae della Fede della Chiesa cattolica

(d) la necessità per noi tutti di fare come fecero i nostri antenati durante la crisi ariana con la medesima speranza cristiana: Deus Vult!

Buona lettura.

In Pace

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Il Prof. Dr Michael Fiedrowicz (nato nel 1957) è un esperto di Storia della Chiesa e della Liturgia. Alcuni anni fa ha pubblicato il libro “Die überlieferte Messe: Geschichte, Gestalt und Theologie des klassischen römischen Ritus” presso le edizioni Carthusianus Verlag, anche rintracciabile in “The Traditional Mass: History, Form, and Theology of the Classical Roman Rite” (Angelico Press, 2020) Per CNAdeutsch ha messo a disposizione il suo contributo per la pubblicazione, che è già apparso in forma stampata nelle “IK-Nachrichten” dell’associazione di fedeli “Pro Sancta Ecclesia”. La pubblicazione alla CNA è stata approvata anche da questa parte. Ringraziamo sinceramente entrambi i titolari dei diritti.

Il professor Fiedrowicz insegna alla facoltà di teologia di Treviri presso la cattedra di storia della Chiesa antica, patrologia e archeologia cristiana. È un sacerdote dell’arcidiocesi di Berlino.


“Non sanno nemmeno cosa gli è stato tolto”

Prof. Dr. Michael Fiedrowicz

Lex orandi-lex credendi

Il 16 luglio 2021, giorno della festa di Nostra Signora del Monte Carmelo, è stata promulgata l’Esortazione Apostolica in forma di Motu proprioTraditionis custodes sull’uso della Liturgia Romana prima della riforma del 1970. L’articolo 1 recita: “I libri liturgici promulgati dai Papi San Paolo VI e San Giovanni Paolo II in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.”


Per apprezzare tutte le implicazioni di questa disposizione, è necessario sapere che il termine lex orandi – legge o regola di preghiera – fa parte di una formula più ampia coniata nel V secolo. Il monaco gallico Prospero di Aquitania, tra il 435 e il 442, formulò il principio: “affinché la regola della preghiera determini la regola della fede” (ut legem credendi lex statuat supplicandi). Sullo sfondo c’era una controversia teologica sulla grazia. La questione era se anche il primo inizio della fede (initium fidei) procedesse dalla grazia di Dio o dalla decisione dell’uomo. Prosper si riferiva alla preghiera di intercessione e di ringraziamento della Chiesa, che è significativa per la dottrina della grazia: “Ma teniamo anche conto dei misteri delle preghiere sacerdotali, che, tramandate dagli apostoli, sono solennemente offerte uniformemente in tutto il mondo e in tutta la Chiesa cattolica, affinché la regola della preghiera determini la regola della fede” (indiculus 8). Prosper enumera poi varie richieste fatte dalla Chiesa nelle sue preghiere ufficiali e ne deduce la necessità della grazia divina, poiché altrimenti la petizione e il ringraziamento della Chiesa sarebbero inutili e senza senso. Per Prosper, quindi, la fede della Chiesa si manifesta nella preghiera della Chiesa, così che la preghiera ufficiale della Chiesa è lo standard con cui la fede della Chiesa deve essere letta.


Già il maestro di Prosper, Agostino, aveva sviluppato l’idea che la preghiera della Chiesa testimonia la sua fede e la rende riconoscibile. Il principio lex orandi-lex credendi faceva ormai parte della comprensione di base della dottrina cattolica. La liturgia, come le Scritture e la Tradizione, è un locus theologicus, un luogo di scoperta, una fonte di conoscenza e una testimonianza di ciò che la Chiesa crede. Papa Pio XII ha definito la liturgia “un riflesso fedele della dottrina tramandata dai nostri antenati e creduta dal popolo cristiano” (Lettera Enciclica Ad Coeli Reginam, 1954). Allo stesso modo, egli sottolineò: “La liturgia nel suo insieme, quindi, contiene la fede cattolica nella misura in cui testimonia pubblicamente la fede della Chiesa” (Enciclica Mediator Dei, 1947).


L’unica espressione di tutti gli elementi del Rito Romano?


Papa Francesco, tuttavia, ora definisce, o piuttosto riduce, la liturgia del Rito Romano a ciò che è espresso nei libri liturgici promulgati da Paolo VI e Giovanni Paolo II. Questi libri sono “l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”. Se si assume il significato originale [cioè il valore nominale] della terminologia qui usata, allora anche la lex credendi – ciò che è da credere – dovrebbe essere presa solo da quei libri. Ma è vero? Questi libri sono davvero gli unici che bastano per poter leggere la fede cattolica da essi?


Certo, la lettera papale che accompagna il motu proprio suggerisce che tutti gli elementi essenziali del Rito Romano prima della riforma liturgica si possono trovare anche nel messale di Paolo VI: “Coloro che desiderano celebrare con devozione la forma liturgica anteriore non avranno difficoltà a trovare nel Messale Romano, riformato secondo lo spirito del Concilio Vaticano II, tutti gli elementi del Rito Romano, specialmente il Canone Romano, che è uno degli elementi più caratteristici.” Lasciando da parte l’esperienza della pratica liturgica, dove il Canone Romano non è quasi mai usato nel Novus Ordo – né nelle funzioni parrocchiali, né nelle chiese episcopali, né nelle liturgie papali – ci si deve chiedere se effettivamente “tutti gli elementi del Rito Romano” si trovano nei nuovi libri liturgici. A questa domanda può rispondere affermativamente solo chi considera obsoleto molto di ciò che ha caratterizzato il Rito Romano per secoli e ne ha costituito la ricchezza teologico-spirituale, come è evidentemente il caso di Papa Francesco.

Riforma liturgica: damnatio memoriae

Questo includerebbe tutto ciò che è stato sradicato dalle forze trainanti della riforma liturgica, sia per accomodare i protestanti in uno sforzo ecumenico fuorviante o per soddisfare la presunta mentalità dell'”uomo moderno”.

Per citare solo alcuni esempi:

Le feste dei santi furono abolite o degradate nella gerarchia liturgica.

Le preghiere dell’Offertorio con l’idea chiara e inequivocabile del sacrificio sono state sostituite da una preghiera da tavola ebraica.

Il Dies irae, la struggente rappresentazione del Giudizio Universale, non fu più tollerato nella Messa da Requiem.

L’avvertimento dell’apostolo Paolo nell’epistola del Giovedì Santo che chi si comunica indegnamente mangia e beve la condanna (1 Cor 11,27) fu omesso.

Le Orazioni: quei “più bei gioielli del tesoro liturgico della Chiesa” (Dom Gérard Calvet OSB), che sono tra i componenti più antichi del suo patrimonio spirituale e sono completamente impregnati di dogma, costituiscono praticamente una ‘summa theologica’ in nuce, esprimendo la fede cattolica in modo integrale e conciso…

Le sole Orazioni del Rito Classico, di cui solo una piccolissima parte è stata incorporata immutata nel Messale di Paolo VI, contengono e conservano numerose idee che sono state indebolite o sono scomparse del tutto nelle successive versioni modificate, ma che appartengono indissolubilmente alla fede cattolica:

il distacco dai beni terreni e il desiderio dell’eterno;

la lotta contro l’eresia e lo scisma;

la conversione degli infedeli;

la necessità di ritornare alla Chiesa cattolica e alla verità assoluta;

i meriti, i miracoli, le apparizioni dei santi;

l’ira di Dio contro il peccato e la possibilità della dannazione eterna.

Tutti questi aspetti sono profondamente radicati nel messaggio biblico e hanno inequivocabilmente plasmato la pietà cattolica per quasi due millenni.

Oltre a queste modifiche dirette al Rito Romano stesso, tuttavia, non dobbiamo dimenticare le altre concomitanze che rivelano una comprensione di base profondamente cambiata della Santa Messa: preziosi altari maggiori distrutti, con tavoli da pranzo al loro posto; preziosi paramenti bruciati o venduti; “Tinnef e Trevira” (M. Mosebach) fecero il loro ingresso,[1] il canto gregoriano e la lingua sacra latina furono banditi dalla liturgia.

L’approccio della riforma liturgica ricorda in parte la damnatio memoriae nell’antica Roma, la cancellazione della memoria dei governanti non graditi. I nomi sugli archi di trionfo venivano cancellati, le monete con le loro immagini fuse. Niente deve più ricordarli. Tutti i cambiamenti che hanno effettivamente avuto luogo nel corso delle riforme liturgiche assomigliano inequivocabilmente a una damnatio memoriae, una deliberata cancellazione della memoria della liturgia cattolica tradizionale.

Paralleli nel quarto secolo

Nella storia della Chiesa ci sono state più volte situazioni simili. A metà del IV secolo, la divinità di Cristo e quella dello Spirito Santo furono negate: Figlio e Spirito erano solo creature di Dio. Vescovadi e chiese erano ampiamente nelle mani degli eretici ariani. Quelli che rimanevano ortodossi si riunivano in luoghi remoti per il culto. Nel 372, il vescovo Basilio di Cesarea diede una descrizione commovente della situazione:

Gli insegnamenti dei padri sono disprezzati, le tradizioni apostoliche sono ignorate, e le chiese sono piene delle invenzioni degli innovatori. I pastori sono stati cacciati, e al loro posto portano lupi rapaci per sbranare il gregge di Cristo. I luoghi di preghiera sono abbandonati da coloro che vi si riunivano, le terre desolate sono piene di lamenti. Gli anziani si lamentano confrontando il tempo passato con quello presente; i giovani sono ancora più pietosi perché non sanno nemmeno cosa è stato loro tolto. (Epistola 9:2)

Queste parole del quarto secolo si applicavano senza dubbio anche alle generazioni nate dopo il Concilio: per molto tempo non sapevano nemmeno cosa fosse stato loro tolto, conoscendo solo l’aspetto attuale della Chiesa.

Due espressioni o una sola?

Papa Benedetto XVI, con il motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, ha reso nuovamente accessibili i tesori dell’immutato deposito della fede della Chiesa, in modo che le giovani generazioni possano ora conoscere nuovamente e testimoniare con la propria esperienza ciò che originariamente era stato loro sottratto. L’allora Pontefice ha parlato di “due espressioni della lex orandi della Chiesa”, l’espressione ordinaria (ordinaria expressio) che si trova nel Messale promulgato da Paolo VI, e l’espressione straordinaria (extraordinaria expressio) che si trova nel Messale Romano riedito da San Pio V e Giovanni XXIII (SP, art. 1). Nel suo più recente motu proprio, Papa Francesco si riferisce direttamente a questo passaggio (espressione della ‘lex orandi’) nella scelta delle parole e nella struttura della frase, ma si pone in diametrale opposizione ad esso determinando ora come valida solo una “singola forma di espressione” (l’unica espressione) della lex orandi (TC, art. 1).

Ma quale significato può ancora rivendicare la forma tradizionale della liturgia per la coscienza di fede della Chiesa? Se il recente motu proprio e la lettera che lo accompagna rendono subito evidente che il vero obiettivo a medio o lungo termine è la distruzione totale della liturgia tradizionale, e che per il momento le viene ancora concesso un periodo di grazia con drastiche restrizioni che mirano rigorosamente a impedire ogni possibilità di ulteriore espansione, allora – se non si dovesse concretizzare una resistenza decisiva – il lamento di San Basilio il Grande sulla sorte delle giovani generazioni del suo tempo avrà ancora una volta una nuova forza: “Perché non sanno nemmeno cosa è stato loro tolto.

Salvare la Sposa di Cristo dall’amnesia

I regolamenti appena emanati ricordano spaventosamente quello che l’autore George Orwell descrisse come una tetra visione del futuro nel suo romanzo 1984 del 1948. C’è la dittatura di un Partito, che governa in uno stato di sorveglianza totalitaria: “Il Grande Fratello ti osserva”. In questo stato ci sono diversi ministeri. Il Ministero della Pace prepara le guerre. Il Ministero dell’Abbondanza gestisce l’economia socialista della scarsità. Non si parla di un Ministero della Salute, ma c’è un Ministero della Verità, che diffonde la propaganda ufficiale della menzogna: il partito ha sempre ragione. Perché sia così, ogni memoria del passato deve essere cancellata. Non devono più essere possibili confronti, tutto deve sembrare senza alternative. Il Ministero della Verità è impegnato a cambiare tutto ciò che ricorda il passato e che potrebbe rendere possibile un tale confronto. Orwell scrive:

Già non sappiamo quasi letteralmente nulla della Rivoluzione e degli anni precedenti la Rivoluzione. Ogni documento è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni immagine è stata ridipinta, ogni statua e strada ed edificio è stato rinominato, ogni data è stata alterata.[2]

Associare le parole di Orwell al recente Concilio non sembra illegittimo, poiché il Vaticano II è stato ampiamente celebrato come una “rivoluzione della Chiesa dall’alto”. Si crea così una situazione paradossale: affinché la Sposa di Cristo, la Chiesa, sia preservata dall’amnesia, dalla perdita di memoria, i cattolici fedeli alla tradizione dovranno ora dimostrarsi controrivoluzionari, i fedeli conservatori dovranno assumere il ruolo di ribelli, per essere essi stessi alla fine trovati, davanti al giudizio della storia e soprattutto agli occhi di Dio, i veri e unici traditionis custodes, custodi della tradizione, che meritano davvero questo nome.

NOTE
[1] “Tinnef” significa oggetti fatti di plastica riciclata. “Trevira” è un tipo di tessuto in poliestere.
[2] Edizione Signet Classics, p. 155.



Categories: Attualità cattolica, Ermeneutica della continuità, Filosofia, teologia e apologetica, Liturgia e Sacra scrittura, Magistero, Simon de Cyrène

22 replies

  1. Continua , in queste critiche, ad esserci un vulnus di fondo che le mette su un piano parallelo alla realtà ed anche alla Verità.
    Se l’oggetto della critica fosse la sola frase « unica espressione della lex orandi » esse sarebbero comprensibili e lecite.
    Nel momento in cui però si continuano ad evidenziare le differenze (ovviamente in meglio ) del VO rispetto al NO si entra in un aspetto completamente diverso , e cioè si ipotizza che la Chiesa 50 anni fa abbia progettato una liturgia PEGGIORE (e quindi non equivalente ) a quella precente .
    Nei confronti di Dio la liturgia VO e NO sono invece certamente equivalenti, altrimenti dovremmo supporre una eresia sostanziale da parte della Chiesa , incluso ovviamente Paolo VI che promulgò la liturgia del NO.
    Tutte le differenze quindi sono soltanto di tipo umano , gusti personali, rispondenza alle proprie sensibilità , scenografiche e coreografiche , emozionali, posto che nessuna celebrazione potrebbe riassumere tutte le caratteristiche positive di Dio e la storia della salvezza fino ai vangeli, senza durare probabilmente almeno 1000 ore.
    Da questo punto di vista si potrebbe discutere per un secolo delle differenze , soggettivamente migliori o peggiori, di un rito rispetto all’altro.
    La realtà è che però la Chiesa ed il Papa avevano il diritto di limitare l’uso del VO , e che per 35 anni questo uso è già stato limitato senza che i molti cattolici , che oggi se ne sentono orfani, battessero ciglio !
    Quello che « ci siamo persi » la Chiesa di 50 fa aveva già deciso che fosse perdibile , a suo INSINDACABILE GIUDIZIO, come insindacabile è stato il motu proprio di Benedetto XVI verso una « apertura » e insindacabile è il motu proprio di Francesco che giudica sbagliato l’utilizzo che in questi anni è stato fatto di questa apertura.
    Pertanto chi critica Francesco per la frase « sull unica espressione della lex orandi » utilizzando come argomento le differenze tra VO e NO dimostra che la critica non è ogettiva , ma strumentale e legata alla propria personale passione per questo o quel rito. In pratica cerca un cavillo « giuridico » per definire invalida una decisione che non gradisce, secondo le migliori regole del relativismo.

    • Il tuo commento non è onesto intellettualmente, Viandante.

      (1) La sola frase « unica espressione della lex orandi » è incriminabile se, e solamente se, si può dimostrare che, affermandola, si nega (almeno parte de) la fede stessa del cattolicesimo: è una necessità logica.

      (2) La lista che è fatta delle “differenze” non riguarda “differenze” ma vere e proprie “SOPPRESSIONI” di elementi che costitusicono l’integralità della fede cattolica da sempre (parlo di fede cattolica, intendiamoci, mica di fede bergogliana, per essere chiari): questa lista quindi dimostra mica tanto che il VO è migliore del NO ma che il NO NON può essere definitorio della lex credendi in modo UNIVOCO come dovrebbe esserlo secondo l'”espressione” dello stesso Francesco: è il cuore della dimostrazione che il punto (1) qui sopra richiede.

      (3) Tutte le differenze NON sono quindi soltanto di tipo umano anche se sono PURE di tipo umano.

      (4) Che il No e il VO siano, ambi, espressioni della lex orandi/credendi non è messo in dubbio da nessuno, su questo non ci piove: dal punto di vista di Dio tutti e due realizzano l’unico sacrificio della Croce ed in questo senso sono tutti e due validssimi, visto che così ha detto la Chiesa.

      (5) Però come ben dici tu ci sono ANCHE differenze UMANE tra i due riti e queste differenze NON sono insindacabili come tu ben esprimi: quindi si può benissimo dire che una è peggiore dell’altra senza essere di per sé eretici, ad esempio Francesco dice che il novus ordo è migliore secondo lui, così dicono i modernisti che non hanno l’integrità della fede cattolica; se loro dicono che un rito è migliore di un altro secondo i loro criteri, allora anche noi possiamo dire che un altro rito potrebbe essere migliore secondo altri criteri. I criteri che utilizziamo noi per dire quali riti sono migliori sono quelli che la Chiesa ha affermato durante due milenni, incluso il S.S: Concilio Vaticano II nella Sua Sacramentum Concilium E, PER GIUNTA, aggiungiamo che sul PIANO PASTORALE (eminentemente non dogmatico) non c’è paragone: il nuovo rito non è mai stato pastoralmente capace di arrestare il processo di mondanizzazione e di mancanza di attrattività della Chiesa e in particolare presso le giovani generazioni durante 50 anni, mentre il VO appena “liberalizzato” ha crescite incredibili in termini demografici lì dove è reso accessibile.

      Pertanto chi critica Francesco per la frase « unica espressione della lex orandi » utilizzando come argomento le soppressioni di articoli di fede cattolica avvenute tra VO e NO dimostra completa oggettività e piena attinenza alla realtà aldi fuori di ogni approccio ideologico ed UN REALE AMORE per la Chiesa nel pieno rispetto delle altre sensibilità che non desidera obbligare a niente: siamo in pieno OGGETTIVISMO lontano dall’assolutismo tirannico di chi ha posizioni menzognere, esse sì relativistiche, da mantenere ad ogni costo.

      In Pace

      • Gentile Simon. Non sarebbe male se trattenesse la tendenza ad accusare di disonestà intellettuale tutti coloro che hanno una idea diversa dalla sua. Per disonestà intellettuale si intende qualcuno che, pur di sostenere le proprie ragioni , altera consapevolmente la realtà e la verità.
        Ora su questo argomento , a meno che lei non ritenga di essere superiore ad ogni altra persona , molti cattolici (anche molto preparati, anche con cariche molto elevate nella Chiesa alle quali sono arrivati attraverso un percorso di selezione e scrutini di verifica formali e sostanziali fatti da terzi ) hanno idee e sensibilità molto diverse dalle sue, e si possono trovare facilmente argomentazioni un po’ strumentali da una parte e dall’altra. Pertanto accusare il proprio interlocutore di essere un bugiardo (perché tale è la disonestà intellettuale ) , perché esprime pareri diversi, non è a mio parere un modo corretto di tenere un dibattito, e vorrei concordare di evitare giudizi di questo tipo che nulla aggiungono alla sostanza. Grazie anticipate

        • Disonesto intellettualmente è qualcuno, come te, che a fronte di argomenti a lui avversi, senza darsi la pena di controbatterli, ripete la sua tesi, senza dimostrarla, imperturbabile.
          Ad esempio, con questa tua risposta non ti sei dato la pena di discutere un solo degli argomenti che ti ho portato ( mostrando quindi , involontariamente, che sono inoppugnabili, almeno da te) ma ti limiti a usare uno pseudo argomento di autorità dicendo che ce ne sono tanti altri che la pensano differentemente: e visto che ce ne sono altrettanti ( e li abbiamo pubblicati) che la pensano come me è chiaro che anche questo tuo argomento non rientra nel quadro di un dialogo sincero.
          In Pace

        • Nel momento in cui al tuo punto 2) sostieni che tra il NO e il VO sono state fatte delle « vere e proprie “SOPPRESSIONI” di elementi che costitusicono l’integralità della fede cattolica da sempre » , automaticamente definisci che il NO non contiene tutti gli elementi che costituiscono l’integralità della fede cattolica , ed è quindi inferiore al VO. È un tuo giudizio in quanto la Chiesa ha già deciso che il NO sia liturgia efficace e sufficente per questo tempo, e che quindi le eventuali differenze rispetto al VO sono ininfluenti . L ‘ ha deciso la Chiesa , non io.
          Da questo tutto deriva e nel mio primo commento c’era a mio parere già tutto, perche’ se per 35 anni di NO nessuno si è lamentato di dover chiedere una deroga al vescovo per il VO, è evidente che le lamentazioni odierne sono anche strumentali ad altro. Chi legge con occhi semplici ha già capito, e chi fa finta di non capire non capirà mai
          Salve.

          • Errato: se si mostra che, ed è oggettivo, basta guardarne la lunghissima lista fatta dal professore nell’articolo, che un grande quantità di verità di fede sono state soppresse passando dal VO al NO, non si dice che il NO è peggiore del VO, ma solamente che i suoi libri NON possono essere l'”unica” espressione della lex orandi/credendi della Chiesa cattolica.
            Se a te sembra che questo implichi che il NO sia peggiore del VO è opinione tua, ma non è l’argomento centrale.
            Certo è che, di fronte a questo fatto incontrovertibile, il fondamento stesso del documento papale esprime la volontà di sopprimere de jure e de facto tutti quegli elementi della nostra fede che non sono parte dei libri in questione, il che è volontà eretica e damnatio memoriae alle quali ogni cattolico degno di questo nome deve disobbedire e agire come coloro che si opponevano all’eresia ariana.
            In Pace

            • Attenzione, mi pare ci siano due errori in questo tuo ragionamento.
              Il primo è riferire l’elenco fatto dallo studioso come un elenco di “verità di fede” soppresse nel passaggio da VO a NO. Per “Verità di fede” infatti si intendono in “visione ristretta” i 21 dogmi del Credo e in “versione larga”, le verità dogmate e le dichiarazioni dottrinali. Sarebbe interessante esaminare ognuno di queste “verità” e confrontarsi con un manuale di dogmatica in mano o anche solo il nuovo libro di Cavalcoli (https://www.ibs.it/verita-di-fede-tutti-dogmi-libro-giovanni-cavalcoli/e/9788864099293), ma la questione è un’altra: la soppressione non riguarda le verità di fede, ma al massimo il ricordo di tali verità di fede (che sono sono alcune, non certo tutte).

              L’elenco infatti è piuttosto una serie, certo cospicua, di elementi di preghiera liturgica che sono stati soppressi nella riforma cercata dal CVII e promulgata da Paolo VI, questo ovviamente non perché abolendo il loro ricordo nella liturgia, sono state anche abolite dalla fede cattolica, ma perché il ricordarle o meno attraverso le Orazioni non è stato considerato né elemento fondamentale per la validità della liturgia stessa né probabilmente pastoralmente utile in questo periodo. Non piace? Mi spiace, ma è cosi.
              SIa chiaro: legittimo criticare questa scelta o preferire una forma rispetto ad un’altra. Ma a mio avviso non bisogna mai arrivare a pensare di non accettarla o dichiarare che a causa di questa soppressione, si siano eliminate anche le stesse verità di fede. D’altra parte la celebrazione eucaristica – che è una delle liturgie – non ha mai previsto che si leggesse da capo a piedi il Catechismo e nemmeno mi pare che sia stato riscritto il Catechismo, eliminando alcune delle verità di fede (o presunte tali).
              Per altro quali siano le caratteristiche obbligatorie del rito per essere valido e per essere pienamente rispondente a quello che il rito stesso pretende per essere COMPLETO, è compito della Chiesa stabilirlo. E’ stato fatto e la costituzione apostolica missale romanum di Paolo VI ne è la prova.

              Il punto ora è questo: si sta dicendo che il VO ha le Orazioni che contengono in nuce una sorta di summa theologica del Catechismo cattolico e quelle dell’NO no? Evvabuò, diamola per buona, e quindi? Si sta anche dicendo che la si ritiene una scelta che non si apprezza? Eh, capisco, ma tant’è.
              O si sta dicendo che senza quelle orazioni tali “verità” non esistono più nella fede cattolica?
              Spero di no perché sarebbe un palese non sequitur: semplicemente, come ho già detto, al massimo non vengono più ricordate ad ogni messa.
              E ancora, qualora non si stia dicendo che tali verità non esistono più nel Catechismo della Chiesa, si sta dicendo che senza le orazioni del VO, l’NO è ovviamente monco e pertanto se quelli sono gli unici libri da utilizzare, essi sono necessariamente insufficienti per espletare quello che è il compito della Liturgia eucaristica? Si sta cioè, in altre parole, dicendo che l’NO da solo non basta per la celebrazione eucaristica in casa cattolica?
              Se si… beh, ritengo che questa sarebbe una posizione davvero scomoda da mantenere poiché a me pare contrasti con il volere dei Papi preconciliari che hanno benedetto una idea di riforma liturgica che bastasse a sé stessa (cfr. Pio XII già citato su blog), quindi del Concilio che l’ha definita e infine dei Papi che l’hanno voluta studiatissima (vedasi la Commissione Consilium ad exquendam Costitutionem de sacra Liturgia di Paolo VI), l’hanno promulgata (senza prevedere alcune eccezione o forme di rito “straordinario”!) e pure variata (come San Giovanni Paolo Magno).

              Ora non so se è questo che si sta dicendo, a me per altro sembra comunque che lo studioso non dica affatto questo. Anzi, sembra dire semplicemente “Il VO aveva tante cose belle che richiamavano molte verità del Catechismo”. Può essere, ma tant’è. E nel punto in cui ricorda il Summorum di Benedetto XVI mi sembra dica semplicemente “il Papa ha detto cosi per motu proprio e ora Francesco ha detto il contrario con medesimo atto di magistero pastorale”. E’ vero, ma … pota… tant’è. Non arriva mi pare né a dire che le verità sono cancellate né che Papa Francesco ha chiaramente una volontà eretica. E giustamente, chioso io.
              Attenzione: nemmeno sto dicendo che qualcuno qui lo sta propugnando. Sto facendo domande.

              Questo testo mi pare un lamento, legittimissimo e forse per certi versi doveroso, sicuramente onesto. Stop. Tutto qui.

              Chiudo.
              L’NO non solo può benissimo essere l’unico rito della Chiesa Cattolica, ma dovrebbe proprio esserlo poiché questa è stata la volontà implicita della Riforma liturgica e dei Papi che l’hanno promulgata. E si torna a quanto già da me espresso.

              Mi piace questa cosa? No, ma tant’è. VOrrei che il NO fosse abolito e si tornasse al VO? Vorrei che il VO non avesse più concessione per indulto? Vorr… il punto è proprio questo: non serve a nessuno dire cosa vorrei perché non cambia nulla. La liturgia eucaristica è questa, fine.

              Mi dispiace di nuovo ripetermi, ma lo faccio sia per chi è appena arrivato sul blog sia perché si dice che repetita juvant,. IO la vedo cosi:
              Il Concilio ha domandato (con soli 4 voti contrari su più di 2000 Vescovi!)) che i libri liturgici fossero “riveduti quanto prima, servendosi di persone competenti e consultando vescovi di diversi paesi del mondo”, senza ovviamente mai citare che comunque quelli antichi dovevano restare come forme straordinarie o robe simili.
              Così è stato fatto (cfr. Consilium ad exquendam Costitutionem de sacra Liturgia) e la Chiesa stessa ha promulgato, con costituzione apostolica, il Messale Romano pel tramite di San Paolo VI, messale che è sempre stato pensato come unico!
              Ci si è pure accertati che non esistono problemi ereticali nel NO, di alcun genere e si è concluso che il messale è quello (vedasi lo studio del capo della Congregazione della fede del tempo, dovuto ala l’esame critico di Ottaviani, a cui seguì la Prefazione all’edizione 1970 del messale di Paolo VI).
              Per anni (14 per l’esattezza) l’NO non era il Novus Ordo, ma l’ORDO MISSAE Cattolico romano, stop.
              Questo fino alla Lettera Circolare inviata, in data 3 ottobre 1984, dalla Congregazione per il Culto Divino ai Presidenti delle Conferenze Episcopali nella quale si fece l’indulto di concedere di poter celebrare la S. Messa usando il Messale Romano secondo l’edizione del 1962 (http://www.unavox.it/doc03.htm)

              Il resto è storia recente.

              Dunque tutto a posto? Affatto, TC è stata una vera e propria bomba giuridico pastorale del Papa sul quale non sono affatto d’accordo, ma questo è quanto per ora.

              PS: sull’eresia ariana. E’ vero che la storia la fanno i vincitori e quindi coloro che si opposero all’eresia ad oggi non vengono chiamati eretici. Ma ci tengo far presente che nemmeno i fedeli che credevano alla medesima eresia per fiducia nel proprio Vescovo o nella Chiesa possono essere chiamati “eretici” poiché semplicemente, appunto, si fidano e affidavano al proprio Vescovo o al proprio prete o al Papa, magari anche per ignoranza invicnibile o senza alcuna cattiva fede o semplicemente perché – visti i tempi in cui si svolse il tutto – manco lo sapevano o capivano la questione. Lascio qui un appunto, chiaramente fallibile e da approfondire.

              • Non posso risponderti immediatamente perché sto dando un corso all’università. Però no, non ci sei, nessuno sta dicendo quel che tu dici si stia dicendo.
                In Pace

                • Ho aggiunto nell’edit al commento che erano solo domande, questo prima che leggessi il tuo commento.
                  Beh, meglio cosi. 🙂

                • Sono in pausa e ti rileggo: davvero non capisco da dove trai queste tue domande, in quanto non c’è niente in quel che è stato detto che possa causarle.
                  Non è immaginando quel che non si è detto che si può stabilire un dialogo: questa è una fallacia argomentativa.
                  Meglio sarebbe che tu riproponessi la tua perplessità citando espressamente quel che è stato detto piuttosto che di ricamare… 😉
                  In Pace

                • Ok ti rileggo meglio e provo a chiederti direttamente sulle tue parole. Chiedo venia intanto.

                • Ok, non trovo il nesso fra questa frase

                  “La lista che è fatta delle “differenze” non riguarda “differenze” ma vere e proprie “SOPPRESSIONI” di elementi che costitusicono l’integralità della fede cattolica da sempre”

                  E questa

                  “Che il No e il VO siano, ambi, espressioni della lex orandi/credendi non è messo in dubbio da nessuno, su questo non ci piove: dal punto di vista di Dio tutti e due realizzano l’unico sacrificio della Croce ed in questo senso sono tutti e due validssimi, visto che così ha detto la Chiesa”

                  Perchè quelle soppressioni è soppressione di elementi che costituiscono l’integraliità della fede e non di orazioni che ricordano alcuni aspetti?

                • Beh, a dire il vero non sono io che lo dico ma Francesco quando afferma che i nuovi libri liturgici ( che hanno soppresso lembi interi di orazioni relative alla nostra fede cattolica) sono l'”unica” espressione della lex orandi/credendi: essendo l'”unica” vuol dire che la fede cattolica ( cioè bergogliana e, in realtà post-cattolica) di oggi non è la stessa di quella della Chiesa cattolica dalla Pentecoste del 33 ad oggi. Quindi la domanda la dovresti porre a lui, mica a me: io non sono d’accordo per niente con la sua affermazione.
                  In Pace

              • Non sarei mai stato in grado dii fare un commento così completo e ti ringrazio Minstrel. Rilevo che se però lo avessi fatto io sarei stato bannato da tutti i blog del regno. 🙂

  2. Verrebbe da chiedersi perche’ questo Motu Proprio sia intitolato Custodi della Tradizione .Infatti il titolo sembra una beffa, essendo il contenuto del Motu Proprio punitivo nei confronti di coloro che cercano di custodire la tradizione liturgica cattolica.Un certo sarcasmo contro i tradizionalisti quasi a dire voi credete di essere i « custodi della tradizione » invece no, i veri custodi della tradizione siamo noi ( quelli che intendono la tradizione solo a partire dalla riforma liturgica di PaoloVI in poi) . E’ insomma una lotta di potere all’interno della Chiesa: chi sono i veri custodi della tradizione? Autoproclamandosi veri custodi della tradizione i consiglieri dell’attuale papa, fanno iniziare la tradizione da dopo il Concilio Vaticano II. Sono i veri seguaci della teoria della Scuola di Bologna, per cui il CVII e’stato una rottura e non il proseguimento di tutta la storia precedente la chiesa .
    Gia’questo ci fa capire che il presupposto di imporre il NO come unica lex orandi, parte dal presupposto che solo ora ,dopo il CVII , si e’ arrivato ad una fede matura, mentre prima, i duemila anni prima del CVII, erano stati portatori di una tradizione imperfetta , di una imperfetta comprensione del messaggio cristiano e quindi di una imperfetta liturgia.
    Per i teorici della rottura , il CVII e’stata una rivoluzione copernicana nella storia della chiesa ,paragonabile a passare dal credere la teoria tolemaica della Terra al centro, alla teoria copernicana del sole al centro.
    Cioe’essi considerano la fede di prima e quindi la liturgia di prima, in gran parte superate proprio perche’erronee.
    Da qui il vero e proprio disprezzo e senso di fastidio mostrato in piu’,occasioni dal papa Francesco verso un modo pre-conciliare di vivere anche fisicamente la liturgia (mani giunte, in ginocchio alla consacrazione, ecc.).
    Quello che TC colpisce quindi non e’ solo la liturgia tradizionale ma colpisce tutta la fede tradizionale prima del CVII. Si fa iniziare la tradizione da tale avvenimento e i nuovi custodi della tradizione sono coloro che permettono di chiamare tradizione solo cio’ che si e’ stabilita dopo il CVII.
    Tutto cio’e’molto grave e pare assurdo .

    • A ben guardare si fa iniziare la tradizione da Bergoglio in poi: (1) mai i predecessori si sarebbero sognati firmare un tale documento eretico (2) tutti i cardinali, vescovi e sacerdoti scelti dai predecessori sono stati eliminati (3) gli insegnamenti dei predecessori sono stati cancellati.
      Non ci si può dire cattolici se ci si dice pro-bergoglio e pro-TC: no way.

      Sì, è gravissimo e assurdo per chi crede la Chiesa Una Santa Cattolica e Apostolica: per chi ha, quindi, davvero oggettivamente incontrato il Cristo nella propria vita.

      In Pace

      P.S.: A prescindere dalla persona stessa di Bergoglio e delle sue erranze che dobbiamo disattendere con fermezza, appunto perché cattolici, e a rischio della nostra Salvezza , la nostra fedeltà al Papa, quando insegna e comanda quel che la Chiesa insegna e comanda, deve sempre rimanere ferma, inossidabile esenza oscillare per quanto ci riguarda: il primo Vicario di Cristo per ognuno di noi è proprio la nostra coscienza retta e ben formata dalla Chiesa e la sua Tradizione Viva.

  3. Scusate, ma Bergoglio non ha semplicemente detto: con la mia autorità voglio che da ora si usi solo il NO e che il VO venga solo autorizzato dai vescovi? Può piacere o no, ma non ha squalificato tutte le precedenti versioni. Per quali motivi non lo so. Diciamo: il solito pasticcione!

    • Invece di trattarlo di “pasticcione” perché non ammettere, molto più semplicemente, che ha scritto quel che ha scritto perché voleva scrivere quel che ha scritto?
      La domanda seguente è sapere cosa voleva scrivere e la risposta è che ha scritto quel che voleva scrivere.
      La terza domanda è capire perché voleva scriverlo e la risposta è perché voleva che fosse scritto così.
      La quarta domanda è sapere se abbiamo capito quel che ha scritto e la risposta è che finché la nostra comprensione combacia con la lettera di quel che ha scritto, abbiamo capito quel che ha scritto e quel che voleva scrivere.
      (Sì, se avesse giusto tolto l’aggettivo “unica” non sarebbe stata un’affermazione eretica, però si sà, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi)
      In Pace

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