Sulla via pulchritudinis con Beato Angelico

“E se mancassimo del vostro ausilio il nostro ministero diventerebbe balbettante ed incerto, avrebbe bisogno di fare uno sforzo, di diventare esso stesso artistico, anzi profetico. Per assurgere alla forza di espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l’arte”

Paolo VI, Insegnamenti II, [1964]

Sulla scia del precedente articolo, dedicato ad un primo approfondimento sull’arte in generale e su quella contemporanea in particolare, ci sembra giusto richiamare l’attenzione dei nostri lettori nei confronti di un anniversario liturgico che ricorre oggi.

Il 18 febbraio infatti la Chiesa festeggia la memoria liturgica del grande Beato Angelico, patrono degli artisti quale emblema dei maestri di talento al servizio della fede.

Vogliamo approfittarne rileggendo con voi della parte più profonda (più “bella”) del discorso che il Papa emerito Benedetto XVI tenne agli artisti il 21 novembre 2009 in occasione di un incontro presso la Cappella Sistina. Un discorso sincero e prezioso, colmo delle tante citazioni che Ratzinger amava e sapeva mettere nelle sue parole, denso nella sua consueta profondità. A tratti anche malinconicamente pungente nei confronti della cultura moderna, suicida di sé stessa, oggi tanto i voga. Grassetti nostri.

“Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello.

Una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto. L’espressione di Dostoevskij che sto per citare è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: “L’umanità può vivere – egli dice – senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo. Tutto il segreto è qui, tutta la storia è qui”. Gli fa eco il pittore Georges Braque: “L’arte è fatta per turbare, mentre la scienza rassicura”. La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza. La ricerca della bellezza di cui parlo, evidentemente, non consiste in alcuna fuga nell’irrazionale o nel mero estetismo.

Troppo spesso, però, la bellezza che viene propagandata è illusoria e mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento e, invece di far uscire gli uomini da sé e aprirli ad orizzonti di vera libertà attirandoli verso l’alto, li imprigiona in se stessi e li rende ancor più schiavi, privi di speranza e di gioia. Si tratta di una seducente ma ipocrita bellezza, che ridesta la brama, la volontà di potere, di possesso, di sopraffazione sull’altro e che si trasforma, ben presto, nel suo contrario, assumendo i volti dell’oscenità, della trasgressione o della provocazione fine a se stessa. L’autentica bellezza, invece, schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé. […]

Si parla, in proposito, di una via pulchritudinis, una via della bellezza che costituisce al tempo stesso un percorso artistico, estetico, e un itinerario di fede, di ricerca teologica. Il teologo Hans Urs von Balthasar apre la sua grande opera intitolata Gloria. Un’estetica teologica con queste suggestive espressioni: “La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto”. Osserva poi: “Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma che ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione”. E conclude: “Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare”. La via della bellezza ci conduce, dunque, a cogliere il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità. Simone Weil scriveva a tal proposito: “In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa”. Ancora più icastica l’affermazione di Hermann Hesse: “Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio”. […]

Voi siete custodi della bellezza; voi avete, grazie al vostro talento, la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. Siate perciò grati dei doni ricevuti e pienamente consapevoli della grande responsabilità di comunicare la bellezza, di far comunicare nella bellezza e attraverso la bellezza! Siate anche voi, attraverso la vostra arte, annunciatori e testimoni di speranza per l’umanità! E non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti, con chi, come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita! La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi li esalta e li nutre, li incoraggia a varcare la soglia e a contemplare con occhi affascinati e commossi la méta ultima e definitiva, il sole senza tramonto che illumina e fa bello il presente.”

Esigete la bellezza, esigete Dio.



Categories: Sacra Arte

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3 replies

  1. Grazie, Minstrel.

    Avrei anche messo in grassetto questa frase di H-U v. Balthasar : “La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto“.

    Ricordare il Beato Angelico è poi chiave: in campo pittorico, secondo me, con lui abbiamo l’equivalente di Dante in campo poetico, il sommo del Bello e, quindi, della sua arte.

    In Pace

  2. Minstrel, non me ne volere, ma, parlando di bellezza, “suicida di sé stessa” nun se po’ proprio vede’, e nemmanco sentì, per dirla con Trilussa. 🙂
    Tornando seri, perché l’esortazione di BXVI agli artisti è caduta nel vuoto? Io penso perché sia un po’ come parlare dei colori a un cieco, o delle note a un sordo. Non basta essere artisti per sapere cosa è bello e perseguirlo, magari solo impegnandosi un po’ di più; bisogna conoscere Dio, oppure bisogna essersi già imbattuti nel bello (che è la stessa cosa), ma averlo anche riconosciuto come tale, perché riconoscere il buono il vero e il bello è necessariamente un’esperienza religiosa.
    Questo però non è semplice per chi solitamente frequenta il brutto e il male oggettivo. Se vedi solo cose poco edificanti non potrai che edificare il nulla. Se il tuo parametro di riferimento è il brutto, non vorrai neppure sentir parlare di canoni estetici, anzi li schiferai come spazzatura, perché senza Dio neppure i canoni classici della bellezza (ad es il rapporto aureo nelle proporzioni o l’armonia nella musica) potranno riverberare nulla nell’anima. Li vedrai come pura ipocrisia formale. Non so se concordi.

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