Fratelli Tutti (IV): Capitolo Secondo

(CNS photo/ IPA/Sipa USA, Reuters)

(B) Analisi del capitolo 2

Fratelli Tutti è un documento sociale dove Papa Francesco si autocita ben 186 volte, dove l’imam Ahmad Al-Tayyeb è citato ben 5 volte, senza paragoni con i predecessori che hanno riflettuto sulla dottrina sociale della Chiesa come San Giovanni Paolo Magno citato solo 3 volte, o San Giovanni XXIII solo una volta e, degli altri, niente.

Però, in un enciclica dove anche Cristo è citato solo 9 volte, il Capitolo Secondo fa figura di benvenuta eccezione in quanto vi si cita il nome di Gesù ben 22 volte: la ragione ne è che il Santo Padre vi propone una riflessione circa la parabola del Buon Samaritano.

Da un punto di vista metodologico è perfettamente lecito voler utilizzare di un’analogia per dare una chiave di lettura ad avvenimenti e usarla come base, nella misura e nel quadro in cui questa analogia è operante, per proporre possibili soluzioni ed alternative.

In linea di massima si può utilizzare qualunque chiave di lettura nella misura in cui sia possibile stabilire tale analogia o addirittura tale metafora, basta dare il nesso ed illustrare quanto funzioni, dove funzioni e proporne i limiti.

Posso, ad esempio, dire che mia moglie è la luce della mia vita: la metafora va spiegata quando affermo che grazie a lei ho avuto una vita riscaldata dal suo amore e illuminata dalla sua presenza. Ovviamente, andrei fuori proposito se dicessi che grazie a questo non dovrei aver più bisogno di avere luce elettrica in casa e risparmiare sulla bolletta, quando lei è in casa.  Potrei anche dire che lei è una roccia e come una roccia è sempre stata una presenza stabile ed affidabile, ma non sarebbe appropriato dire che, quindi, la utilizzerò per un arroccamento nel giardino.

Occhio quindi ad utilizzare un’analogia propriamente senza creare una fallacia disonesta facendo dire all’”analogato” l’opposto di quel che è l’analogo.

La scelta dell’analogia è quindi funzionale a quel che si vuole esprimere: essa non ha nessuna portanza veritativa in sé, ma il suo interesse è nel mettere certi aspetti in relazione che sarebbero più difficili da spiegare in modo più astratto. L’uso stesso delle parabole da parte del Cristo Gesù, procede da questo bisogno.

Quando ci si avvicina alle Sacre Scritture, tradizionalmente ci sono quattro livelli di senso che possono essere dati che tutti esprimono diversi livelli e tipologie di analogia e metafore: quello letterale (anche corrispondente al Pshat ebraico); quello allegorico (allusivo Remez presso gli ebrei); il senso tropologico, cioè quel che si deve moralmente dedurre per fare quel che Dio voglia sia fatto (corrisponde all’allegorico Drash ebreo); il senso anagogico che permette di penetrare i misteri dei fini ultimi quelli che saranno pienamente comprensibili alla fine dei tempi, è un senso escatologico (in ebraico Sod, ma in questo caso ha un sapore cabalistico).

Per chi fosse interessato il CCC ai § 115-119 illustra e spiega questi punti e sottolinea l’importanza della concordanza tra i quattro sensi: riportiamo qui i primi due paragrafi in questione.

115 Secondo un’antica tradizione, si possono distinguere due sensi della Scrittura: il senso letterale e quello spirituale, suddiviso quest’ultimo in senso allegorico, morale e anagogico. La piena concordanza dei quattro sensi assicura alla lettura viva della Scrittura nella Chiesa tutta la sua ricchezza.

116 Il senso letterale. È quello significato dalle parole della Scrittura e trovato attraverso l’esegesi che segue le regole della retta interpretazione. “Omnes [Sacrae Sripturae] sensus fundentur super unum, scilicet litteralem”: Tutti i sensi della Sacra Scrittura si basano su quello letterale

117 Il senso spirituale. Data l’unità del disegno di Dio, non soltanto il testo della Scrittura, ma anche le realtà e gli avvenimenti di cui parla possono essere dei segni.

117.1. Il senso allegorico. Possiamo giungere ad una comprensione più profonda degli avvenimenti se riconosciamo il loro significato in Cristo; così, la traversata del Mar Rosso è un segno della vittoria di Cristo, e quindi del Battesimo.

117.2 Il senso morale. Gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente. Sono stati scritti per ammonimento nostro

117.3 Il senso anagogico. Possiamo vedere certe realtà e certi avvenimenti nel loro significato eterno, che ci conduce verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è segno della Gerusalemme celeste.

Riguardo a questa parabola, nei paragrafi che vanno dal numero 56 al numero 62, il Santo Padre offre un riassuntivo di una panoramica biblica sulla nozione dell’amore per il prossimo.

Dal numero 63 al numero 71 c’è un tentativo, legittimo anche se, per definizione, non può essere univoco, di stabilire alcuni sensi allegorici ai differenti momenti della parabola nel quadro dell’intenzione del Pontefice, in usuale stile omiletico.

Dal numero 72 al numero 86 che chiude questo capitolo, si tenta di dare un senso morale al senso allegorico dei punti precedenti di cui possiamo estrarre alcune belle perle:

77. “Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni…”

78.” È possibile cominciare dal basso e caso per caso, lottare per ciò che è più concreto e locale, fino all’ultimo angolo della patria e del mondo, con la stessa cura che il viandante di Samaria ebbe per ogni piaga dell’uomo ferito. Cerchiamo gli altri e facciamoci carico della realtà che ci spetta, senza temere il dolore o l’impotenza, perché lì c’è tutto il bene che Dio ha seminato nel cuore dell’essere umano. Le difficoltà che sembrano enormi sono l’opportunità per crescere, e non la scusa per la tristezza inerte che favorisce la sottomissione. Però non facciamolo da soli, individualmente…”

Altri numeri come il numero 86 sono opinabili, si vogliono politicamente corretti con affermazioni leggere e “facili”, piacevolmente mondane specialmente nel contesto anticattolico della società odierna e che non valgono neanche la pena di soffermarvici: basta sapere che nessuno è obbligato da queste affermazioni che non sono correlate in modo alcuno con il testo discusso né al Magistero Autentico della Chiesa.

Più interessante è andare a scovare come sia possibile esprimere tali inezie, sul piano teologico ed etico, partendo da questo passo del Vangelo: per questo bisogna risalire alla radice della dimostrazione stessa e scoprirne il difetto originale.

Contrariamente a quel che è affermato nel punto 72 la parabola non inizia con i briganti, ma il primo personaggio di questa storia è un Dottore della Legge: se non si è attenti al senso letterale della parabola la si può deformare, ovviamente, in tutti i sensi quando si passano ai livelli analogici, tropologici e anagogici. Sole le interpretazioni capaci di rendere conto di tutti questo livelli coerentemente, abbiamo visto, possono dare al testo tutta la sua ricchezza.

La domanda posta da Gesù non è quella del punto 64. “Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva.”  Ma bensì questa: “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”  domanda maieutica che risponde alla domanda del Dottore della Legge “E chi è mio prossimo? …. (cioè, colui che devo amare come me stesso?)”

Tutto quest’episodio non è quindi un rispondere alla domanda a proposito di chi dovrei essere, io, il prossimo ma di “chi è il mio prossimo” così che lo possa amare come me stesso.

Tradizionalmente nella Chiesa ed in particolare nei magnifici insegnamenti dei Padri della Chiesa, tale confusione non viene fatta e sono quindi capaci di dare pienezza a tutti i sensi di quest’episodio.

Mi si permetta di citare quasi per intero un sermone davvero illuminante circa questa parabola (tratto dal blog  La Corsia dei Servi)

“…

“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”.

Gerusalemme, che significa “visione di pace”, rappresenta qui, secondo i Padri, il Paradiso terreno, il Giardino dell’Eden; Gerico invece, che significa “Luna”, rappresenta il mondo in cui tutto è mutabile, instabile come la Luna stessa; l’uomo rappresenta Adamo e la sua discesa da Gerusalemme a Gerico è la caduta di Adamo tramite il Peccato Originale.

“L’uomo incappò nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e lo lasciarono tramortito.”

Questi briganti sono, nelle parole di sant’Ambrogio, gli “angeli della notte e delle tenebre” che, dopo il Peccato Originale, hanno spogliato Adamo dei doni sovrannaturali che aveva ricevuti da Dio e l’hanno lasciato nello stato della natura caduta, dove è difficile conoscere la verità, agire bene, compiere i nostri doveri e dove è facile essere attratti e sedotti dalle nostre emozioni.

Cosa succede poi nella Parabola?

“Un sacerdote lo vide e passò oltre, e così fece poi un levita.”

San Giovanni Crisostomo interpreta il sacerdote come il sacrificio dell’Antico Testamento, il levita come la Legge dell’Antico Testamento; né l’uno né l’altro può guarire l’uomo caduto e dunque, nella storia, tutti e due passano senza fermarsi.

“Un samaritano che percorreva la medesima strada si avvicinò a lui e vedendolo provò compassione per lui.”

Questo samaritano non è altri che Cristo stesso: anch’Egli scende da Gerusalemme a Gerico, ossia dal Paradiso a questo mondo, e porta con sé il rimedio di cui l’uomo caduto ha bisogno, che nessuno prima di Lui nell’Antico Testamento poteva dargli.

“Avvicinandosi, fasciò le ferite versandovi olio e vino e, mettendolo sul suo cavallo, lo condusse in un albergo ed ebbe cura di lui.”

Questa frase ci parla del rimedio portato dal Signore: l’olio e il vino sono i Sacramenti, l’olio simbolizza il Battesimo, la Cresima, il Sacerdozio e l’Estrema Unzione mentre il vino simbolizza la Santa Eucaristia; il fasciare simbolizza i Comandamenti; il cavallo, secondo tutti i Padri, è la sacra umanità di Nostro Signore mediante la quale siamo salvati.

Beda il Venerabile, commenta: “Fu conveniente che egli lo pose sul suo cavallo e lo guidò così, poiché nessuno che non sia unito a Cristo tramite il Battesimo entrerà nella Chiesa”.

L’albergo, dunque, simbolizza la Chiesa e san Giovanni Crisostomo spiega: “L’albergo è la Chiesa che accoglie i viaggiatori, che sono stanchi del loro viaggio attraverso il mondo e oppressi dal peso dei loro peccati. Qui, il viaggiatore stanco viene sollevato quando depone il peso dei suoi peccati e viene ristorato con nutrimento salutare: questo è il significato delle parole ebbe cura di lui; tutto ciò che è fuori dall’albergo è conflittuale, dannoso e malvagio, mentre dentro l’albergo c’è solo pace e salute”.

Quanto ai due danari, questi possono significare i Comandamenti della Carità verso Dio e verso il prossimo o, secondo altre interpretazioni, la promessa della vita presente e la vita futura.

In breve, Nostro Signore Gesù Cristo ci descrive in questa Parabola tutta la storia della nostra Salvezza: Adamo ha peccato ed è caduto, e con lui tutta l’umanità; Iddio alla vista della sua miseria è commosso per la Sua Misericordia, scende dal Cielo e assume la nostra umanità che diviene il mezzo della nostra salvezza; ci dona i Comandamenti e i Sacramenti, ci conduce nella Chiesa che ci dà il rifugio fin quando Egli tornerà. Tutta la Parabola parla della Misericordia di Dio, e questo esempio dovrebbe far nascere in noi la gratitudine verso Dio e il desiderio di amare Dio e il nostro prossimo come Dio ci ha amati.

C’è un’altra visione ancor più profonda della Parabola: la persona sofferente è Cristo stesso. Stiamo quindi ben attenti ai nostri doveri perché, come Nostro Signore ci dice nel Vangelo di san Matteo: “Quando hai fatto questo buon atto ad uno dei più piccoli dei miei fratelli, lo hai fatto a Me”.”

Ritornando al testo citato nella lettera circolare del Vescovo di Roma, quando il Dottore della Legge risponde che il suo prossimo è il Buon Samaritano, egli riconosce che è Cristo stesso, venuto a salvarlo che è il suo Prossimo e che deve amare come Dio stesso, anzi, andando ancora più profondamente nel significato di tutto ciò, il comandamento stesso va, ormai, da essere letto in un modo rinnovato: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, ed il Cristo Gesù come te stesso”.

Questa è la causa finale di tutto questo episodio: non si può adorare Dio se non si ama il Figlio. Tutti i sensi sono coerentemente interpretati tra di loro compreso sul piano anagogico qualora uniamo la nostra riflessione e preghiera a quella dei Padri della Chiesa e della Chiesa stessa la quale è tutta tesa verso il Cristo stesso.

Dare una risposta ad una domanda non formulata, che è quel che ha fatto il Santo Padre in questo testo, vuol dire, semplicemente, torcere il collo al testo stesso per fargli dire quel che si vuole sia detto e no, umilmente, per tentare di ascoltare quel che lo Spirito e la Chiesa dice attraverso esso proiettando le proprie ossessioni ed ideologie al posto dell’affiato divino che libera davvero.

Non che il Santo Padre abbia espresso eresie o neanche cose di per sé, a priori, errate: giusto che le sue affermazioni poco hanno a che fare con la parabola scelta se non cambiandone il senso litterale originario.

Se si fosse attenuto alla parabola avrebbe dovuto insegnare che di fronte a tutti i mali da lui messi in evidenza nel suo primo capitolo, reali o ideologicamente immaginati che siano, la soluzione sarà sempre il Cristo, che è il Vero Buon Samaritano, e la Chiesa che è il vero alberghiere, posizionando così correttamente la Chiesa Cattolica di cui è il simbolo sullo scacchiere delle vicissitudini umane: ma ovviamente questo non gli avrebbe permesso di scrivere questo suo pamphlet così politicamente corretto ed allineato sul pensiero unico mondano.

Qualcuno potrebbe argomentare che questo documento non si voleva un insegnamento cristiano per cristiani, ma un’esortazione “eticheggiante”  a tutto il pianeta: l’onestà intellettuale, avrebbe dovuto dettare al Santo Padre di presentare questo testo come le sue riflessioni personali non usando fraudolentemente, le categorie usuali del Magistero Cattolico come quello di Enciclica: il suo predecessore quando pubblicava le sue riflessioni personali, di ben altro spessore spirituale ed intellettuale e di perfetta ortodossia, non esitava a ricordare formalmente che non erano Magistero Autentico.

D’altro canto, restiamo onesti, immaginiamo`un istante il Grande Imam così spesso citato dal buon Papa Francesco in questo testo, scrivere, per assurdo, questo stesso documento, ma , mutatis mutandis, citandoci Maometto e altri Hadith e commentandoli al posto di questo passo evangelico: francamente, che ce ne calerebbe a noi cattolici? Giusto perché è il Grande Imam a scriverli? Le storie di Maometto e di Buddha possono solo parlare a chi crede in questi personaggi: citarli, da un punto di vista di argomento di autorità, non aggiunge un palmo di autorevolezza per i credenti di altre religioni, casomai diminuisce psicologicamente la portata del messaggio che si vuole comunicare. E se questo è vero per noi, lo è anche per loro rispetto a questa lettera circolare.

Nel prossimo episodio, non senza curiosità, ci accingeremo a capire come e su che basi il nostro buon Santo Padre Francesco “pensa generare un mondo aperto”.

In Pace

(Fratelli Tutti (I): Valore Magisteriale)

(Fratelli Tutti (II): Contesto Storico)

(Fratelli Tutti (III): Capitolo Primo)

(Continua con l’analisi del capitolo terzo)



Categories: Attualità cattolica

4 replies

  1. Ho come l’impressione che, in questo caso, il commento della parabola del buon Samaritano sia finalizzato a sponsorizzare un determinato comportamento politico nei confronti dei migranti:
    « 72. La parabola comincia con i briganti. Il punto di partenza che Gesù sceglie è un’aggressione già consumata. Non fa sì che ci fermiamo a lamentarci del fatto, non dirige il nostro sguardo verso i briganti. Li conosciamo. Abbiamo visto avanzare nel mondo le dense ombre dell’abbandono, della violenza utilizzata per meschini interessi di potere, accumulazione e divisione. La domanda potrebbe essere: lasceremo la persona ferita a terra per correre ciascuno a ripararsi dalla violenza o a inseguire i banditi? Sarà quel ferito la giustificazione delle nostre divisioni inconciliabili, delle nostre indifferenze crudeli, dei nostri scontri intestini? ».

    E siccome i fatti stanno ad attestare che la maggioranza dei cattolici sono più propensi ad aiutare i prossimi (congiunti, parenti, coinquilini, conoscenti, parrocchiani…) in difficoltà che dei migranti con lo smartphone,
    74. In quelli che passano a distanza c’è un particolare che non possiamo ignorare: erano persone religiose. Di più, si dedicavano a dare culto a Dio: un sacerdote e un levita. Questo è degno di speciale nota: indica che il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace. Una persona di fede può non essere fedele a tutto ciò la fede stessa esige, e tuttavia può sentirsi vicina a Dio e ritenersi più degna degli altri. Ci sono invece dei modi di vivere la fede che favoriscono l’apertura del cuore ai fratelli, e quella sarà la garanzia di un’autentica apertura a Dio. San Giovanni Crisostomo giunse ad esprimere con grande chiarezza tale sfida che si presenta ai cristiani: «Volete onorare veramente il corpo di Cristo? Non disprezzatelo quando è nudo. Non onoratelo nel tempio con paramenti di seta, mentre fuori lo lasciate a patire il freddo e la nudità».[58] Il paradosso è che, a volte, coloro che dicono di non credere possono vivere la volontà di Dio meglio dei credenti.

  2.  » L’onestà intellettuale, avrebbe dovuto dettare al Santo Padre di presentare questo testo come le sue riflessioni personali non usando fraudolentemente, le categorie usuali del Magistero Cattolico come quello di Enciclica  »
    In realtà usare le encicliche adducendovi pensieri propri è successo già varie volte e finalmente un’intera enciclica si presenta per quel che è ossia, dal punto di vista magisteriale, una non enciclica.
    Evidentemente la gente sarà costretta a leggere le encicliche passate per sincerarsi di certi abusi e non potrà più dire « è un’enciclica papale » o cos’altro per discolparsi.
    p.s. in Giovanni 8,49 Gesù DIO all’accusa di avere un demonio ed essere samaritano curiosamente risponde solamente alla prima, che, potendo riferirsi all’essersi Lui fatto peccato nel senso di Paolo, si può poi anche inserire nella polemica della figliolanza spirituale o carnale da Abramo rispetto al dottore della legge e sacerdoti vari

    • E’ scritta male in ogni caso, sembrano pensierini sparsi senza alcuna sostanza sotto. E sono pure d’accordo politicamente..

  3. Chi sono per Gesù, secondo quanto leggiamo nei Vangeli, i fratelli?
    – E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? (Mt 5.47)
    – Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti». Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; (Mt 12.47-49)
    – Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! (Mc 3.33-34)
    – Gli fu annunziato: «Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti». Ma egli rispose: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica». (Lc 8.20-21)

    Se dunque Gesù non considera fratelli i pagani ma solo coloro che “ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”, come fa il nostro Santo Padre ad affermare che Gesù. nella parabola del buon Samaritano ci invita a considerare fratelli tutti gli esseri umani?
    Attraverso due esatte constatazioni:
    1. Ai tempi di Gesù erano considerati fratelli solo coloro che appartenevano al popolo ebraico.
    2. Gesù afferma che dobbiamo farci prossimi ai bisognosi che la vita ci pone accanto indipendentemente dal fatto che siano nostri fratelli o meno.
    Ed un ragionamento fallace:
    -.Siccome Gesù insegna che prossimo non è un prerogativa legata all’essere fratelli ma prossimo è chiunque ci è vicino,
    – ne consegue che anche la fratellanza non è più legata a determinate persone ma comprende qualunque persona, è una fratellanza universale.

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