È Tempo Di Azione Concreta, Pratica, Effettiva – Parte 12

La Grande Opera Liturgica descritta nell’Apocalisse, il Sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo sulla Croce, la Santa Messa e la nostra vita quotidiana da cristiani battezzati sono i quattro aspetti di una stessa realtà: la Glorificazione della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, un solo Dio.

Tutto il Creato, spirituale e materiale, è stato voluto dal Creatore per partecipare della Gloria mutuale delle Tre Persone della S.ma Trinità nella gratuita, giusta e sovrabbondante Carità Divina.

È nella messa in opera concreta della liturgia della nostra vita quotidiana, che il battezzato partecipa in modo ordinario ai tre altri aspetti di questa realtà: potremmo stabilire paralleli tra l’Apocalisse e la nostra vita quotidiana, o tra la Passione di Gesù e questa vita, ma il più semplice, nell’ottica di queste riflessioni è contemplare la Santa Messa, che oltre ad essere perfetta nel suo scopo sacrificale ha un altissimo valore pedagogico, per poter vedere nell’ecologia ontologica quelle economie che partecipano della Gloria di Dio.

Per procedere ci baseremo sull’Offertorio della forma straordinaria dell’unico rito romano, il quale è come disegnato apposta per mettere in evidenza la contribuzione corredentiva del Popolo di Dio nelle opere secolari comprese quelle laiche che gli sono specifiche. Quest’Offertorio è come la controparte, perfettamente adattata a tutti di fedeli, del Canone specifico ai sacerdoti ordinati. È nell’Offertorio che ci è dato di riassumere e offrire a Dio stesso tutta la nostra realtà di essere stati creati per Eden, corrotta dal peccato, lottando contro le sue conseguenze, nell’attualità della sua ecologia, della sua famiglia, comunità, società per vivere la propria felicità in giustizia e in giustizia traboccante.

Suscipe, sancte Pater, omnipotens ætérne Deus, hanc immaculátam hóstiam, quam ego indígnus fámulus tuus óffero tibi Deo meo vivo et vero, pro innumerabílibus peccátis, et offensiónibus, et neglegéntiis meis, et pro ómnibus circumstántibus, sed et pro ómnibus fidélibus christiánis vivis atque defúnctis: ut mihi, et illis profíciat ad salútem in vitam ætérnam. Amen

(“Accetta, Padre santo, onnipotente eterno Dio, questa ostia immacolata, che io, indegno servo tuo, offro a Te Dio mio vivo e vero, per gli innumerevoli peccati, offese e negligenze mie, e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, affinché a me ed a loro torni di salvezza per la vita eterna. Amen”)

Qui inizia la nostra relazione quotidiana con Dio il cammino che ci porta a definire un’economia apocalittica, di rivelazione, dal punto di vista di Dio: ciò che non è possibile per gli uomini lo è per Dio.

Il fatto di peccare e il fatto di essere viziosi non è una ragione per non pregare Iddio e per non sacrificare alla Sua Gloria: perché dovrei lasciare il mio peccato impedirmi di compiere l’opera per la quale sono stato creato?

Nella prima ai Corinzi San Paolo ci ricorda che Dio è più forte degli uomini ed in Ezechiele il profeta ci ricorda che Dio vuole la conversione dell’uomo e che costui possa vivere: siamo caduti nel peccato originale e ne siamo stati tirati fuori, ma, purtroppo, la nostra akrasia è una conseguenza ben concreta ed attuale, però vogliamo davvero impedirci di pregare Dio perché abbiamo appena peccato? Lo sappiamo che siamo indegni, ma la forza della Buona Novella è che, ormai battezzati, anche se peccatori, quando preghiamo è lo Spirito stesso che prega per noi per le grazie acquisite dal Sacrificio di Gesù stesso.

La forza di Dio è più grande del nostro peccato: quando preghiamo, anche se abbiamo peccato prima o dopo, quel che rimane al netto di questi è sempre infinitamente più pregnante.

Creati nel Giardino di Eden, decaduti, la giustizia di Dio si esprime nel vivere in un mondo corrotto e soffrirne, ma è appunto il fatto di dover lavorare e partorire nel sudore e nel dolore che ristabilisce questa giustizia e, anche se di per sé non salva, da accesso alla felicità nella sua dimensione la più umana, perché dove c’è vera giustizia c’è felicità.

Nel coltivare il giardino, nell’industriarsi a produrre risorse di ogni qual tipo, esercitiamo giustizia, e giustizia tanto più virtuosamente calibrata quanto più aderente ai principi ecologici discussi nella prima parte di queste riflessioni visto che riflessione dell’ecologia edenica.

L’essere, per noi, nati in questo mondo miserevolmente corrotto è già un ribilanciare la giustizia divina ferita dai nostri progenitori: questo ci permette, stesi sulle nostre croci personali, familiari, comunitarie, sociali, alla stessa stregua del Buon Ladrone accanto a Gesù Crocefisso, di riconoscerci implicitamente, o esplicitamente per alcuni, peccatori, offensori, persone indegne eppur sempre capaci di pregare Dio e di trarne la grazia della forza di offrire malgrado tutto il nostro frutto del nostro lavoro per glorificarLo.

Abbiamo peccato cinque minuti prima, preghiamo e offriamo quel che abbiamo da offrire; pecchiamo di nuovo cinque minuti dopo, ebbene la “differenza” tra la nostra preghiera e il nostro peccato è sempre positiva, in quanto chi prega è sempre lo Spirito Santo, tramite il lavoro che compiamo in esecuzione della pena originale. E, chiediamo al Padre Santo, che questa pena connaturale al nostro stesso vivere sia utile per la nostra salvezza finale, per quella dei nostri, per tutti i fedeli vivi o già morti.

L’Antico Testamento non è un porsi la domanda di come l’universo sia stato creato, che è domanda di per sé un po’ sciocca, visto che tutti ne conoscono la risposta e cioè che è per azione divina, ma è un porsi la domanda del perché ci sia il Male in un mondo creato da Dio per forza in modo perfetto. Il Nuovo Testamento non è una raccolta di discorsi moralizzanti per essere salvati, ma è la proposta del punto di vista di Dio che è il solo che salva.

Non abbiamo che farcene della morale: questa non salverà mai chicchessia e non serve a niente a nessuno preoccuparsi della moralità delle proprie azioni. Quel che conta è compiere le cose come Dio le vede dal Suo punto di vista, cioè con uno sguardo di fede sostenuto dallo Spirito Santo.

Se uno pecca, se uno nasce con il peccato originale, ha compiuto un’ingiustizia: non è seguendo un codice morale alla lettera che gli farà riparare quest’ingiustizia, ma è operare con uno sguardo divino, cioè con la fede del Buon Ladrone, operando in giustizia per la propria felicità e quella delle persone di cui siamo il prossimo, e cioè glorificare sempre il Signore Dio nostro in ogni circostanza, nella situazione nella quale siamo senza fuggirla.

Deus, qui humánæ substántiæ dignitátem mirabíliter condidísti, et mirabílius reformásti: da nobis per huius aquæ et vini mystérium, eius divinitátis esse consórtes, qui humanitátis nostræ fíeri dignátus est párticeps, Iesus Christus, Fílius tuus, Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus: per ómnia saecula sæculórum. Amen.

(« O Dio, che in modo meraviglioso creasti la nobile natura dell’uomo, e piú meravigliosamente ancora l’hai riformata, concedici di diventare, mediante il mistero di quest’acqua e di questo vino, consorti della divinità di Colui che si degnò farsi partecipe della nostra umanità, Gesú Cristo tuo Figlio, Nostro Signore, che è Dio e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen. »)

È nella profondità della nostra umana natura, creata uomo e donna ad immagine di Dio, che è fondata la nostra nobiltà, ma ormai siamo aldilà della tesi del giardino di Eden o dell’antitesi del mondo di corruzione che ci è di pena, ormai siamo entrati nella misteriosa sintesi consorti, cioè aventi la stessa sorte, che la divinità del Cristo Gesù reso possibile dalla sua Incarnazione, Passione e Resurrezione. Ma, in questo brano dell’Offertorio, ci è spiegato come questo avvenga concretamente: mediante il mistero dell’acqua e del vino, cioè del gesto con il quale Gesù aggiunse acqua al proprio vino durante la Santa Cena, come era abitudine ai tempi di allora alfine di rendere il secondo più bevibile, ma anche in memoriale ricordo dell’acqua e del sangue fuoriusciti dal Suo costato dopo la sua morte e la lanciata ricevuta nel Suo Cuore.

Dopo aver offerto, nella preghiera precedente, con il nostro lavoro l’ostia immacolata, pane frutto del nostro sudore, ecco che il vino, anch’esso frutto della giustizia divina compiuta tramite il lavoro umano va da essere mescolato all’acqua.

Con il pane offerto abbiamo avuto la possibilità di riconoscerci indegni peccatori e nondimeno chiedere l’indulgenza divina: mischiando il vino all’acqua andiamo un passo ancora più in là, insegna la Chiesa in questa Sua preghiera, diventiamo, addirittura, consorti della Divinità.

Con il pane abbiamo umanamente macinato il frutto di quella risorsa rigenerativa per eccellenza che è la terra e con il nostro lavoro, tipica risorsa generativa, lo abbiamo mischiato ad acqua e lievito e lo abbiamo passato per il fuoco del forno delle nostre vite: con il vino abbiamo pressato l’uva delle nostre vite facendone una risorsa degenerativa e abbiamo lasciato fermentarne il mosto ed è aggiungendo l’acqua dell’Incarnazione che il sapore agro, grossolano ed improponibile lo ha reso bevibile.

Ancora una volta, è oltrepassando il punto di vista moralizzante e umano capace solo di produrre fermento, ma accettando il punto di vista di Dio, quello stesso che aleggiava sopra le acque alla creazione del mondo, cioè accettando la Sua Incarnazione ed il nostro Battesimo, che possiamo diventare quei sacerdoti, oltre che re e profeti, capaci di rendere perfetta Giustizia a Dio. Ci vogliono quelle gocce d’acqua direttamente dallo Spirito Santo per permetterci partecipare alla divinità del Cristo.

Benché a tutti sia permesso, se lo vogliono liberamente, di pregare Dio con la produzione del pane frutto del loro lavoro all’est di Eden e di ritirarne il beneficio di quella felicità che un esercizio della giustizia permette, non è possibile andare oltre senza l’aggiunta del battesimo nell’acqua e nello Spirito che è elezione gratuita.

Possiamo applicare i dodici principi della permacultura quanto vogliamo per un’ecologia ontologica applicata, possiamo applicarci ad un’economia basata sul triplice principio di sussidiarietà sociale, economico e monetario, possiamo rifiutare di sottometterci a Mammona, ma anche se tutto questo ci dà accesso ad una felicità di giustizia, senza le due gocce d’acqua nel vino delle nostre vite torchiate essa non ci renderà partecipi alla divinità di Colui che degnò farsi partecipe della nostra umanità. Dobbiamo accedere allo sguardo di Dio.

Non vi è necessità della nozione di utilità del nostro lavoro: il mosto fermentato non è bevibile senza l’acqua.

A ben guardare, tutte le nostre opere umane sono inutili in quello in quanto sono: dirigere un’azienda ha significato solamente durante il tempo della direzione, quando cambia il dirigente tutto quello fatto perde valore ed è quello che desidera il nuovo direttore che viene applicato, l’oblio è immediato; quando scriviamo qualcosa, come queste riflessioni, di per sé non serve a niente, perché chi le legge le dimentica semmai sono mai lette; se abbiamo figli, una volta adulti essi sono partiti; se siamo membri di un partito, tutte le azioni fatte sono come foglie al vento; nessuna delle nostre azioni è indispensabile in questo mondo, nessuna ha un valore intrinseco, malgrado che esse siano necessarie per certi versi.

Bisogna avere lo sguardo di Dio su queste fecce del nostro vino quotidiano: quando in gioventù passai qualche settimana in Certosa per discernere se avevo la loro vocazione, mi fu indicato un padre certosino che amava dipingere e dipingeva molto e anche bene, eppure mai le sue opere uscivano dalla sua cella, ma ogni tot anni le bruciava. Un lavoro assolutamente inutile secondo un punto di vista umano, uno spreco di risorse e di genio, eppure dal punto di vista di Dio, il vino al quale Egli mescolando due gocce d’acqua lo faceva partecipe della propria divinità.

Un cristiano che vive aldilà delle tesi e antitesi già discusse, sa che quel che fa non ha nessun valore in sé, che tutto quel che fa può sì, come l’ostia di pane, essere utilizzata per esercitare la giustizia di Dio nel quotidiano, ma Dio può fare pane con sassi e questo agire non è indispensabile alla salvezza, ma è necessario solo per essere come vino aggiunto all’acqua della Fonte di tutte le fonti.

Non sono considerazioni demoralizzanti, sono contemplazioni dal punto di vista di Dio, sono la preghiera positiva che accompagna il nostro operare: il nostro lavoro a niente serve in sé e di per sé per nostra salvezza, ma solo in relazione al punto di vista di Dio, quel che può salvare il ricco che umanamente non passerebbe mai per la cruna di un ago.

Sulla giustizia del nostro lavoro nell’ecologia delle nostre famiglie anche quando umanamente oggettivamente inutili creiamo semplicemente quel ricettacolo di gratuità per le gocce d’acqua divine.

In Pace

(Continua)

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(Inizio)



Categories: For Men Only, Simon de Cyrène

1 reply

  1. Demoralizzanti?! Sono tutt’altro che demoralizzanti! Grazie Simon.

    FIrmato Uno che fra cinque minuti peccherà…

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