Tassidermia metafisica

Approfittiamo della calura estiva per continuare il nostro progetto di traduzione degli articoli più interessanti dedicati al problema mente-corpo- realtà del filosofo tomista americano Ed Feser. Quest’oggi rilanciamo un articolo uscito da poco nel quale Edward critica in modo lucido la metafisica della concezione meccanicistica della natura propria della scienza moderna, rilancia come suo solito l’uso dell’unica visione ontologica della natura finora pensata dall’uomo che fornisce più soluzioni che problemi (leggasi aristotelismo tomista!) e si aggancia al moderno problema dei “qualia”. Chi ci segue da tempo non troverà grandi novità in questo scritto, ma repetita juvant, soprattutto se la ripetizione avviene mediante ottimi esempi e un articolo che pare una sorta di vera introduzione al problema che attanaglia la scienza moderna e contemporanea: l’aver appoggiato la sua casa sulla sabbia di una metafisica sbagliata.
Buona lettura!


Ho sottolineato spesso che la ragione per cui la coscienza pone un problema così persistente al materialismo ha più a che fare con l’arida concezione della materia che abbiamo ereditato dalla prima filosofia e scienza moderna, non alla coscienza stessa. Barry Dainton esprime la stessa idea un paio di volte nel suo libro Self . Ad esempio, scrive:

La convinzione di Cartesio secondo la quale la coscienza non potrebbe essere fisica è radicata nell’austera concezione della natura di base delle cose materiali che lui e gli altri rivoluzionari scientifici hanno appoggiato. Uno dei principali progressi della rivoluzione scientifica fu l’adozione di una concezione atomistica e meccanicistica del mondo fisico. Così facendo le forme scolastiche animate sono state escluse dal regno fisico, insieme a tutte le proprietà fenomeniche cioè le proprietà che incontriamo nella nostra esperienza ordinaria. Secondo la nuova visione scientifica del mondo, le stesse cose fisiche possiedono solo proprietà “primarie”, come massa, movimento, carica, forma e così via. Le cose materiali non possiedono proprietà esperienziali come colore, suono, calore o dolore.

Come Cartesio fu forse il primo ad apprezzare chiaramente, se il mondo fisico è come dice la nuova scienza, inevitabilmente esperienze e soggetti coscienti ne sono banditi.   In questo caso, il dualismo – in qualche modo – sembra inevitabile .   (p. 153)

Dainton prosegue osservando che mentre la fisica contemporanea non attribuisce alla materia lo stesso elenco di proprietà di Cartesio e altri primi moderni, essa lascia comunque fuori dalla sua lista degli aspetti esperienziali. Per questo il materialismo contemporaneo si trova di fronte la medesima difficoltà nei confronti della coscienza dei materialisti del tempo di Cartesio. Dainton conclude cosi:

Quindi la relazione tra il mondo fisico e la coscienza rimane profondamente sconcertante; anzi, spesso si dice che questo è il più grande mistero rimasto insoluto (anche se coloro che lavorano alle frontiere della cosmologia e della fisica delle particelle potrebbero non essere d’accordo). (pagg. 158-9)

Questa ultima affermazione mi pare interessante. Dainton dunque individua cosi i tre più grandi misteri che la scienza deve affrontare:
1. La relazione tra il mondo fisico e la coscienza
2. Le frontiere della cosmologia
3. Le frontiere della fisica delle particelle

La lista è allungabile, ma per ora rimaniamo con Dainton. E lo faccio dichiarando che tutti e tre i misteri sono una conseguenza del passaggio dall’aristotelismo scolastico alla concezione meccanica della natura. Ecco perchè.

La conquista dell’abbondanza

La concezione scolastica aristotelica della materia è molto più ricca e pluralistica di quella del quadro meccanico mondiale ed è in armonia con il cosiddetto senso comune, poiché è come se lo sistematizzasse e aggiungesse in essa nozioni sulle quali “l’uomo della strada” non aveva contezza. Essa vede il mondo naturale formato da innumerevoli sostanze fisiche distinte, proprio come fa il buon senso. Postula l’esistenza di caratteristiche qualitative come il colore in quelle sostanze, proprio come fa il buon senso. E sostiene che ci sono tipi diversi ed irriducibili di sostanza fisica, proprio come fa il buon senso. In particolare, gli oggetti inanimati, gli esseri viventi non senzienti e gli esseri viventi senzienti sono irriducibilmente diversi, anche se tutti sono materiali.

Per dare un senso a tutto, la filosofia scolastica aristotelica impiega nozioni come atto e potenza, forma sostanziale e materia prima, causa efficiente e finale, sostanza e attributi, essenza e accidenti, Immanenza contro trascendenza e così via. Tale concezione sostiene che semplicemente non possiamo rendere giustizia all’attuale mondo fisico di cui facciamo esperienza, in tutta la sua ricchezza e diversità, senza riconoscere questo quadro concettuale come scheletro fondante dell’ordine naturale. 

Ciò che il quadro meccanico del mondo ha fatto è stato di prosciugare tutta questa ricchezza del reale, appiattirne tutta la diversità e sostituire lo scheletro organico di cui sopra con una fredda struttura d’acciaio, proprio come un tassidermista. Questo ha fatto: ha negato la distinzione e la diversità delle cose fisiche. Tutti gli oggetti materiali sono, nella realtà del punto di vista meccanico, solo variazioni di un solo ente. Tali oggetti sono semplici particelle in movimento incolori, senza suono, inodori, insipide e la loro natura e le loro interazioni devono essere descritte in termini puramente matematici. E le loro differenze numeriche sono superficiali o addirittura illusorie, come le loro differenze di natura. L’intero mondo fisico può essere visto come un unico grande blocco e gli oggetti apparentemente diversi in esso come modalità di questa unica sostanza. O, in alternativa, si può vedere come un vasto mare di particelle e gli oggetti apparentemente diversi come semplici onde sulla sua superficie. Una pietra, un albero, un cane sono oggetti che vengono dal buon senso tutti distinti fra loro. Per il quadro meccanico del mondo, in realtà sono solo variazioni locali in un unico sistema di un singolo tipo: vortici diversi nello stesso mare di atomi, diverse strutture geometriche nello stesso spazio di coordinate cartesiane e avanti cosi.

Il filosofo della scienza Paul Feyerabend ha giustamente definito tutto questo come la “conquista dell’abbondanza” della scienza moderna, chiamando cosi la sostituzione della “ricchezza dell’essere” con un’ “astrazione”. L’astrazione in questione è un quadro matematico e tutto ciò che non può essere inserito in esso viene ridefinito, spiegato o semplicemente eliminato. Colore, suono, gusto, odore, calore, freddo, dolore, piacere sono tutti rimossi dalla natura e trasferiti in un soggetto cosciente. E se questo soggetto viene a sua volta identificato come qualcosa di materiale, allora la realtà di queste qualità viene effettivamente negata, implicitamente (nelle versioni riduzioniste del materialismo) o esplicitamente (nelle versioni eliminativiste).  L’astrazione riduce anche tutte le modifiche che avvengono al movimento locale e il movimento locale a sua volta ad una successione di punti in uno spazio di coordinate astratto. Il vero cambiamento pertanto scompare e con esso il tempo poiché, per l’aristotelico, quest’ultimo non è che la misura del cambiamento.

Nuova metafisica, come la vecchia metafisica

Feyerabend rintraccia la tendenza a cercare di sostituire la ricchezza del mondo naturale con un’astrazione statica in Parmenide ed proprio cosi. Per coloro che hanno occhi per vedere, Parmenide oggi rivive in ogni fisico che crede seriamente che il mondo naturale possa essere completamente catturato nella nozione di “universo a blocchi quadridimensionale” o nell’idea di una “funzione d’onda universale“. Tali costrutti non sono meno fantastici e falsi rispetto all’effettiva realtà concreta del monismo parmenideo

Questo non vuol dire che tali nozioni siano completamente false. Esse catturano la realtà, ma solo nel modo parziale e distorto che è proprio di qualsiasi astrazione. E non vuol dire che siano del tutto astratte poiché il monismo Parmenideo è la fonte dei successi tecnologici e predittivi che danno forza retorica (anche se non logica) alle argomentazioni di coloro che pretendono che queste astrazioni siano il quadro più completo della metafisica della natura.

Ora, torniamo all’elenco di Dainton. Con “frontiere della cosmologia”, intende l’avanguardia di una scienza che è stata definita nei tempi moderni dalla relatività generale . E per “frontiere della fisica delle particelle”, intende l’avanguardia di una scienza che nei tempi moderni è stata definita dalla meccanica quantistica . 

Il quadro della natura offerto dalla relatività generale, a me pare, è essenzialmente un’approssimazione di una descrizione di un mondo puramente attualizzato e privo di potenzialità. Non è proprio quello, ma è un’approssimazione. È un modello altamente parmenideo della natura. Nel frattempo, il quadro della natura offerto dalla meccanica quantistica è un’approssimazione di una descrizione del mondo che è puramente potenziale e in alcun modo attualizzato.  Non è proprio quello, ma è un’approssimazione. È un modello della natura altamente eracliteo (o meglio, alcune interpretazioni della meccanica quantistica sono così. Interpretazioni come l’interpretazione dei “molti mondi” di Everett attualizzano efficacemente tutte le potenzialità e trasformano la meccanica quantistica in un altro teorema parmenideo).

Ora, la realtà materiale concreta reale è in realtà una “mix” di attualità e potenzialità. Quindi, se provi a rappresentarlo interamente in termini di atto senza potenza, o interamente in termini di potenza senza atto, sei destinato a finire con impantanato in vari enigmi e paradossi (per altro non nuovi a chi comprende i limiti delle visioni parmenidee ed eraclitee).  Inutile dire che un quadro della natura che identifica nell’atto gran parte della realtà sarà molto difficile da coniugare con un quadro che identifica gran parte della realtà nella potenza.

Questa, a mio avviso, è la profonda ragione metafisica per cui le frontiere della cosmologia e della fisica delle particelle rimangono misteriose, come dice Dainton, e perché la relatività e la meccanica quantistica rimangono difficili da riconciliare tra loro. Se Aristotele si risvegliasse dalla sua tomba e vedesse tutti questi neo-parmendei e neo-eraclidei con le mani nei capelli direbbe semplicemente: “Ma ragazzi, che vi aspettavate?”

La vestizione del cadavere

Dainton si concentra comunque su quel che identifica come il primo mistero: la relazione tra coscienza e mondo fisico. Egli introduce nella sua opera due possibili modi non materialisti di affrontarlo che stanno suscitando crescente attenzione nella recente filosofia: dualismo naturalistico e monismo russelliano (chiamato cosi per Bertrand Russell). Entrambe queste visioni accettano la concezione meccanica della natura, ma cercano in diversi modi di reincorporare caratteristiche fenomeniche o qualitative come il colore, il suono e cosi via. Oggi giorno i filosofi in genere si riferiscono a queste caratteristiche chiamandole “qualia” dell’esperienza cosciente, cosicché il problema è di solito inquadrato cosi: come adattiamo i “qualia” al mondo materiale?

Il dualismo naturalistico sostiene che i “qualia” non sono fisici (questa è la parte dualista), ma che sono correlati a determinate caratteristiche fisiche del cervello in virtù di leggi della natura ancora sconosciute (e questa è la parte naturalistica). 

Il monismo russelliano sostiene che la fisica ci fornisce solo una descrizione della struttura matematica della natura, ma non della natura intrinseca delle entità che hanno quella struttura (questa è la parte russelliana della visione). Suggerisce quindi che i “qualia” che conosciamo dall’introspezione delle nostre esperienze coscienti non solo ci danno la conoscenza della natura intrinseca della materia che costituisce il nostro cervello, ma offre anche un modello per la natura intrinseca di tutta la materia (questa è la parte monista) . Per questo talvolta si afferma che il monismo russelliano porta a una sorta di panpsichismo.  Il motivo è che poiché il “qualia” è mentale e il monismo russelliano lo considera come modello per la natura intrinseca di tutte le entità materiali, ciò implica che tutte le entità materiali hanno proprietà mentali e cioè che la mente è ovunque.

Ora, sebbene entrambe queste opinioni siano superiori al materialismo nel riconoscere francamente la realtà e l’irriducibilità della coscienza, esse sono comunque poco più che ulteriori variazioni sullo stesso errore meccanicistico, non certo delle correzioni.  Si limitano a vestire il cadavere della natura propria della concezione meccanica, piuttosto che riportarlo in vita. 

Ancora una volta, il buon senso e l’aristotelismo scolastico considerano la materia più o meno come sembra. Attenzione che ciò non significa negare che la scienza rivela che nella materia c’è molto di più di quanto il senso comune o la filosofia aristotelica sappiano. Semplicemente si insiste sul fatto che la scienza non dimostra che nella materia c’è meno di quanto il senso comune e la filosofia aristotelica suggerisce.

Una conseguenza di ciò è che, proprio come presuppone il buon senso, la coscienza è realmente negli animali non razionali (non umani). Questo non perché gli animali non razionali abbiano proprietà non fisiche, ma perché essi sono semplicemente di un diverso tipo di materia rispetto alle cose inanimate. Non tutta la materia è uguale.  L’immagine del mondo meccanico presuppone invece il contrario. Questo è il motivo per cui Cartesio sostenne, notoriamente, che gli animali siano privi di coscienza. Dal momento che ripensava la realtà all’interno dell’arida concezione meccanicistica della materia, vedeva gli animali come composti da un solo tipo di materia, pertanto concludeva – abbastanza ragionevolmente, se si accetta quella concezione – che essi non avevano coscienza. L’unico altro posto in cui la coscienza può trovarsi, nella foto della realtà di Cartesio, è nelle res cogitans o nella sostanza pensante. E poiché gli animali mancano di intelletto, mancano di res cogitans.

Questo è anche il motivo per cui, nella filosofia della mente non materialista contemporanea, si suppone comunemente che attribuire “qualia” agli animali non umani (come i pipistrelli, nel famoso esempio di Thomas Nagel) significhi attribuire loro proprietà non fisiche. Questa almeno è la conclusione di coloro che ragionano sulla materia secondo la concezione meccanicistica. Se invece si pensa alla materia sotto la prospettiva propria del buon senso e dell’aristotelismo, tutto cambia. Gli animali non umani hanno “qualia” e sono quindi coscienti, ma ciò non implica che ci sia qualcosa di non materiale in loro, bensì semplicemente che la materia non è così arida come suppone la concezione matematica puramente quantitativa della filosofia meccanica.

La medesima concezione scolastica poi esclude (contro il monismo russelliano) che tutta la materia possieda “qualia”. La materia animale si, ma la materia che compone pietre, rame e acqua no. Supporre altrimenti fa ricadere in una concezione meccanicistica della materia, che porta al problema della cancellazione dei “qualia”, che poi vorresti riportare in qualche modo nel discorso creando un corto circuito continuo di problemi. Con una analogia: è come uccidere un animale, sventrarne il cadavere, e poi pentirsene e cercare di “ricostruirlo” piazzando gli organi in modi bizzarri: i reni nelle orbite degli occhi, gli intestini nella gola, i muscoli delle gambe dove dovrebbero esserci le braccia e cosi via. L’approccio giusto quando quello che vuoi è analizzare un animale che “funziona” correttamente non è iniziare l’analisi uccidendolo.  Così se si vuole una concezione della natura che comprenda senza problemi al suo interno “qualia” e coscienza, l’approccio giusto  non è iniziare con una concezione meccanicistica della materia.

Se il monismo russelliano è vestire un cadavere, il dualismo naturalistico è legare gli organi all’esterno del cadavere sventrato, in stile Ed Gein perchè accetta essenzialmente la concezione meccanica della materia, si rammarica di abbandonare i “qualia” e quindi semplicemente li riattacca per così dire all’esterno di questa idea arida di materia. Tutto questo quando basterebbe accettare che i “qualia” non dovrebbero essere eliminati dall’inizio della riflessione.

In metafisica o filosofia della natura, la concezione meccanica della materia fu semplicemente un errore. Come altre astrazioni e in quanto metodo ha certamente una sua utilità. Ma è semplicemente un’astrazione metodologica piuttosto che una vera rappresentazione del mondo naturale concreto in tutta la sua ricchezza e diversità. Fingere il contrario è come scambiare un cadavere per un vero essere vivente. E cercare di rattopparlo nel modo in cui fanno il dualismo naturalistico e il monismo russelliano è un esercizio di tassidermia, o addirittura di dissacrazione del cadavere.  La vera soluzione al problema della relazione fra coscienza e mondo fisico è una: resuscitare il buon senso e la concezione aristotelica della natura.

Nota che sto solo parlando qui del tipo di coscienza che condividiamo con animali non umani. Le capacità intellettuali che caratterizzano gli animali umani sono una storia diversa. Sono incorporei .  Ma questo è “un altra storia e si dovrà raccontare un’altra volta“.   I lettori interessati a approfondire le questioni discusse in questo post sono invitati a consultare Aristotele’s Revenge . 

Edward Feser

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Categories: Filosofia, teologia e apologetica

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5 replies

  1. Il vulgum pecus dimentica che la matematica è semplicemente un’invenzione umana, come un gioco di Lego e che l’uso che ne fa la fisica è quindi dell’ordine della convenienza in quanto abbastanza efficace per i fini che si propone. Meccanica quantistica e relatività generale sono dunque due giochi differenti, giocati l’uno con lego e il secondo con i duplo: ma non « esistono » in un mondo, in un empireo platonico, come neanche la matematica.
    Ottimo articolo.
    Grazie
    In Pace

    • A te! Sapevo che proponeva immagini che secondo me potevano essere interessanti anche per te per poi rilanciare le tue riflessioni.

  2. Il quadro della natura offerto dalla relatività generale, a me pare, è … una descrizione di un mondo puramente attualizzato e privo di potenzialità…. È un modello altamente parmenideo della natura. Nel frattempo, il quadro della natura offerto dalla meccanica quantistica è … una descrizione del mondo che è puramente potenziale e in alcun modo attualizzato.”

    Qui il Feser centra con intelligenza l’essenziale differenza tra il mondo newtoniano, di cui la relatività (ristretta e) generale è l’ultima discendente e la meccanica quantistica: le esperienze di Wheeler mostrano quanto la meccanica quantistica descriva potenza e non atto. Il passaggio dalla potenza all’atto essendo espresso in MQ da un proiettore. L’esperienza di Wheeler mostra quanto la potenza (nel senso aristotelico) sia reale in quanto si può agire su di essa senza che sia in atto.

    Agli inizi del blog avevo fatto una serie di articoli al soggetto: sola la logica aristotelica è capace di rendere conto della meccanica quantistica e della sua relazione con quella classica e che questo necessitava di lasciar perdere una mera logica booleana, atta a descrivere solamente sistemi in atto di tipo newtoniano.

    Sembrano discussioni cavillose eppure no: è nel nostro relazionarsi con il reale, e nella concezione di tal relazionarsi che ci definiamo in quanto uomini e donne fatti assieme ad immagine di Dio.

    In Pace

    • Pure io ho trovato interessantissimo questo passaggio, soprattutto perché in poche righe chiarisce perchè ad oggi è impossibile metafisicamente una teoria del tutto di stampo meccanicistico. Al che mi fa sorridere ripensare agli ad amici simpatizzanti dello scientismo che osannano il mistero delle due teorie e quando ti permetti di dargli soluzione ti dicono “la metafisica è poesia, lascia perdere” 😛

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