È Tempo Di Azione Concreta, Pratica, Effettiva – Parte 7

Lungo le nostre riflessioni, nella Realtà, lontani da considerazioni ideologiche, cioè in un mondo dove una mela è una mela, una pera una pera, abbiamo molto concretamente famiglie e comunità, il lavoro umano, risorse degenerative, generative coestensive al nostro lavoro, rigenerative e epifenomeniche come il denaro; viene quindi adesso naturale il porsi la domanda sul come tutte queste realtà interagiscono tra di loro sempre con il fine di indurci ad un’azione concreta che sia fedele all’ontologia e all’umano.

È ovvietà che nessuna famiglia, clan, tribù, società civili di taglia e funzioni diverse abbia in tasca l’insieme delle risorse necessarie al sostenimento della propria ricerca di felicità. Però è anche un’altra ovvietà che non c’è necessità per una famiglia data di avere accesso all’insieme delle risorse o lavoro disponibili sul nostro pianeta.

Ricordiamoci il primo principio che abbiamo stabilito all’inizio della nostra riflessione: “il nucleo fondante della società non è l’individuo (isolato), ma l’individuo in quanto agente sociale e in primis nella sua famiglia e che la famiglia è il vertice supremo in termini di valori sociali e che tutte le altre realtà gli sono strutturalmente inferiori il più queste realtà sono inclusive di insiemi più grandi, ad esempio il comune è inferiore alla famiglia, la provincia inferiore al comune, lo stato inferiore alla provincia, una confederazione di stati inferiore al singolo stato, l’ONU inferiore a tutti gli stati, e questo in quanto, per il principio di sussidiarietà, la struttura inferiore deve supplire solo a quello che la struttura superiore non può fare e sempre a solo al servizio di quella superiore.

Questo vuol dire che ogni famiglia ha il diritto di usare delle risorse inferiori necessarie alla sua felicità nella misura in cui non è nelle sue possibilità di avervi direttamente accesso in quanto tale. Questo vuol anche dire che la comunità immediatamente inferiore ad una famiglia data ha il dovere di mettere a disposizione tali risorse: in primis la famiglia allargata, il clan, la tribù, la cerchia di amici, poi il comune, la valle, la provincia e così via di seguito.

Quindi ogni famiglia deve al contempo valutare di cosa ha bisogno per la propria felicità senza limitarsi al solo benessere e con cosa essa possa contribuire alle realtà inferiori cosicché anche altre famiglie possano usufruirne: quali risorse o frutti di tali risorse possono essere messi concretamente a disposizione.

L’ecologia ontologica porterà quindi alla messa in opera di economie ad hoc tante quante per ogni famiglia e alle strutture ad essa inferiori.

Il modo con cui questa contribuzione avviene può cambiare asseconda delle realtà socio-economiche  contemplate: ad esempio, per la felicità di una famiglia data il padre porta in casa il frutto del suo lavoro e lo da contro niente in cambio alla sua famiglia, la madre aggiunge valore con il proprio lavoro, come fare il pane e la pasta, cucire, i figli in cambio aiutano la madre ed il padre per quanto possibile, il catechismo è insegnato e l’accesso ad una relazione personalizzata con il Cristo è offerta dai genitori ai figli; siamo in una pura economia del dono, dove le risorse sono messe a disposizione di tutti purché esse portino ad un accrescimento della felicità familiare e niente è solitamente chiesto in cambio nel senso di una contropartita.

Altro esempio: a livello della famiglia allargata o di un clan questa struttura di dono può benissimo essere implementata dove ognuno porta quel che può per la famiglia e non aspetta niente in ritorno in quanto contropartita ma dove riceve quel di cui ha bisogno. Oggi porto le uova delle gallina e domani mi porterai l’insalata, oggi insegno matematica ai tuoi figli e domani tu insegni il catechismo ai miei, oggi vengo ad aiutarti ad arare e domani tu vieni aiutarmi a pulire le stalle.

È quando scendiamo ad un livello più basso che può essere necessario un gestione sistemica razionale per assicurarsi che il necessario sia sempre garantito: mentre a livello superiore un membro della famiglia che non giocherebbe il giuoco sarebbe poco a poco, de facto, messo da parte ricevendo sempre meno e, alla lunga, obbligandolo a partecipare meglio a scanso del proprio “akratico” individualismo, è chiaro che a livelli inferiori questi lunghi tempi non siano possibili e, quindi, una gestione è necessaria per garantire un certo livello di contropartita. È quel che avviene quando qualcuno ha accesso a risorse da un terzo che non è membro della famiglia: il credito creato è iscritto, tabulato e gestito in conseguenza.

Dobbiamo però già renderci conto che tale credito ha un costo: se qualcuno aiuta a ridipingere i muri di casa mettendo il suo lavoro a disposizione, ma che non può ricevere i due chilogrammi di mele e le tre galline promesse, costui dovrà ben pure gestire questa mancanza di risorse per un certo tempo, sia lavorando di più altrove, sia mangiando le proprie risorse conservate per questo fine, impedendogli di scambiarle per altri fini nel frattempo. Un credito costa sempre più caro che uno scambio immediato: intrinsecamente e, quindi, includerà questo costo supplementare nella controparte richiesta, ad esempio chiedendo tre chilogrammi di mele e quattro galline al posto.

La razionalità ecologica familiare vuole quindi che si eviti al massimo di usare di credito verso terzi per ottenere le risorse necessarie ai propri scopi familiari. In fine dei conti, in funzione delle risorse a disposizione e dei crediti necessari all’interno di una cerchia sociale inferiore alla famiglia, il costo del credito medio sarà differente dalle altre equivalenti: se il costo del credito corrisponde a 10% in un clan sarà del 5% in un altro e così via di seguito e sarà dipendente dalla composizione umana concreta di ogni clan, dall’accesso alle risorse disponibili e così via di seguito.

Ovviamente più ci si allontana dal nucleo familiare iniziale verso delle realtà sempre più inferiori per trovare le risorse necessarie più il loro costo aumenterà, le garanzie necessarie aumentando per poter concludere una transazione.

La razionalità familiare dovrebbe essere quindi di scegliere sempre risorse vicine in termini di struttura sociale, geografica e di concentrarsi con fermezza su di esse tentando, per quanto possibile, di aggiungere il proprio valore aggiunto per non ricorrere a quello più caro prodotto altrove: questa è economia basata su un’ecologia ontologica.

Ovviamente è tecnicamente possibile scambiare tabulati con certificati di debito: questi possono essere un pezzo di carta firmata dal debitore, oppure può essere un debito che un terzo ha verso sé stessi e che sia trasferibile, cosicché chi ha venduto una gallina ha un documento che gli permette di reclamare la controparte a chi ha comprato paglia al suo debitore e la promessa di due costolette di maiale. Ovviamente il costo del debito è qui moltiplicato per due, per tre o così via di seguito. Questo certificato di debito è la definizione stessa di denaro e vale quanto vale il certificato stesso più la reputazione di chi lo ha emesso: se è il signorotto del villaggio che ha diritto di battere moneta e che lo emette esso sarà proporzionale alle risorse che possiede , se è un comune esso sarà al massimo garantito dagli averi propri di tale comune, se è una comunità esso sarà garantito dagli averi della detta comunità.

Il valore il più giusto della moneta è quello relativo alla struttura sociale la meno inferiore dove lo scambio di risorse deve aver luogo: qui vi è la nozione di più giusto nel senso che una famiglia trova per definizione nel circolo il meno inferiore le risorse le meno care, dal dono tra membri del clan, al tabulato presso i mercanti del villaggio ed è solo quando una risorsa data non è stata prodotta nel cerchio immediatamente inferiore o che vi è proposta ad un prezzo esorbitante che una famiglia razionale dovrebbe ricorrere a risorse e a prezzi più alti in un cerchio sociale inferiore successivo.

Il costo dell’accesso ad una moneta sarà sempre più alto quanto più si vorrà accedere a cerchi sempre più inferiori a quelli familiari.

Ora però si pone un’osservazione: se vivo in un villaggio nelle Alpi svizzere e posso, diciamo, sovvenire all’80% dei miei fabbisogni familiari nel mio villaggio e con gli scambi e doni tra membri del clan e quelli degli amici , eppoi un altro 16% con scambi con il resto della valle, un altro 3.2% nel cantone dove vivo, 1.6% in Isvizzera e 0.2% fuori della Svizzera, perché mai dovrei utilizzare quotidianamente il franco svizzero per il 99.8% delle mie transazioni quando in realtà ne ho bisogno solo per l’1.6% delle mie attività, e perché mai dovrei utilizzare l’Euro, il Dollaro, lo Yen quando assieme essi rappresentano solo lo 0.2% dei miei bisogni razionali?

Usando del franco svizzero in realtà pago una soprattassa di cui non ho che ben poco beneficio, rendendo il franco svizzero, per la mia famiglia nel mio villaggio, più caro che mi è necessario e quindi più difficile di accesso, quindi più scarso, quindi impoverendomi.

La questione non è semplicemente teorica: se l’accesso alla moneta è difficile, essa valendo troppo, non mi sarà possibile comprare risorse e lavoro disponibili nel mio comune ma finanziariamente senza sufficiente valore nella moneta usata.

Ci possiamo allora ritrovare in situazioni simili alla seguente: una vecchia signora ha un orto ma non può coltivarlo perché è troppo anziana e non può impiegare un operaio agricolo del villaggio che è disoccupato perché essa non ha sufficienti liquidità. Vi sono due bisogni che sono fuori dal circuito monetario del franco svizzero: non serve moneta che permette di fare affari tra il cantone del Vallese e quello di San Gallo quando il problema è tra due vicini. Ovviamente un accordo può essere passato tra la vecchietta e l’operaio dove in cambio del lavoro del secondo l’80% della raccolta gli sarà donato: un piccolo contratto stabilendo questo, abbiamo creato moneta localissima, eppur sempre moneta è se questo contratto è trasferibile a terzi, ad esempio al macellaio che vende la carne all’operaio.

E questa moneta costa pochissimo paragonata al franco svizzero al quale né la vecchietta né l’operaio hanno accesso a causa della sua scarsità.

Un’ecologia ontologica, e quindi razionale, cercherà sempre, quindi, adottando nella pratica il principio di sussidiarietà, di massimizzare gli scambi ai livelli sociali i più alti possibili minimizzando quella necessaria agli scambi ai livelli i più inferiori, come quelli internazionali: questo permette di valorizzare al massimo le risorse ed il lavoro locale senza avere da finanziare strutture inferiori con costi giganteschi.

La perversità nel voler utilizzare moneta internazionale, nazionale per scambi tra vicini o, addirittura, all’interno di una famiglia appare evidente con la storia economica di alcuni paesi europei, i quali avendo da pagare troppo caro per avere accesso a moneta straniera, sono stati obbligati di svendere il proprio parco di produzione agricola, industriale e di R&D  a paesi terzi dove il costo del lavoro era più basso, lasciando intere fasce della popolazione disoccupate, che pur bisogna metter sotto perfusione per sfamarle, incrementando così il costo della moneta ancora di più, aumentandone per eterogenesi dei fini la scarsità globale, accrescendo il numero di poveri, arricchendo meccanicamente paesi e persone terzi.

La situazione di crisi economica attuale dovuta alla pandemia del Covid-19 nel 2020 illustra ancora una volta la perversità del sistema nel quale viviamo se lo paragoniamo ad un’ecologia ontologica: la produzione si è abbassata, quindi la quantità di lavoro pagabile con moneta transnazionale (Euro) è diminuita e quel che si propone è di finanziare con moneta cara il lavoro non fornito cosicché il consumo possa continuare nella speranza di rilanciare la produzione. Ma ci sono due problemini connessi: il primo è che l’iniezione di denaro ne diminuirà in un primo tempo la scarsità e quindi il suo valore scenderà e tutti potranno comprare, ma meno di prima in termini di potere di acquisto; il secondo è che il consumo andrà primariamente lì dove il prezzo dell’euro è ottimizzato in termini di costi, cioè non nella produzione locale ma nelle transazioni internazionali tra paesi europei, e cioè la moneta partendo di nuovo all’estero essa arricchirà i paesi che producono meglio sul piano internazionale, impoverendo la gente locale e aumentando la disoccupazione detta strutturale.

Eppure la logica direbbe che se la produzione è scesa drammaticamente, invece di metter un gesso su una ferita sanguinante come quella di aumentare il debito del paese per avere più soldi carissimi, la soluzione sarebbe, piuttosto, di rimettere tutti al lavoro e, per fare questo dare accesso a moneta meno cara che permette di valorizzare il lavoro a disposizione, ad esempio pagando imprese nazionali con moneta nazionale, imprese regionali con moneta regionale, imprese provinciali con moneta provinciale, imprese comunali con moneta comunale.

In altre parole concepire la moneta secondo il principio di sussidiarietà: tra l’altro queste “monete di sussidiarietà” potrebbero in linea di principio essere perfettamente gestiste e valorizzate nella loro eterogeneità ed scambiate in modo continuo  grazie alle tecnologie informatiche contemporanee.

Questo metterebbe dal giorno all’indomani tutto un paese al lavoro, sfamando tutti con il valore aggiunto di quella risorsa generativa, la quale è “quasi” consustanziale al lavoro umano.

E questa decisione non ha bisogno di nessuna approvazione governativa: questo può essere messo in moto, anzi lo deve, a livello locale, in un cerchia di amici connessi su internet, in un comune, inventariando le risorse degenerative, generative, rigenerative e il lavoro a disposizione in una cerchia data e producendo riconoscenze di debiti garantite da tale cerchia usando di un’unità di valore accessibile a tutti.

Così si fanno le rivoluzioni senza sangue, in modo cristiano, cambiando le cose nel proprio piccolo, a livello di cellula familiare o di cerchi di amici, senza lamentarsi, lavorando, ragionando sempre come un padre (povero) di famiglia numerosa, focalizzandosi non tanto sul benessere quanto sulla felicità reale della propria famiglia, privilegiando risorse rigenerative, e generative accompagnate da lavoro intenso ed efficace, aiutandosi con la famiglia allargata, con il clan, con la tribù, con gli amici, con i concittadini.

(Continua)

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Categories: For Men Only, Simon de Cyrène

1 reply

  1. A proposito di famiglia numerosa. Oggi si sta insistendo troppo sull’idea che una coppia non debba avere troppi figli, come se esistesse un numero « sostenibile » di figli. Per me i figli non sono mai abbastanza. Mi capita di incontrare cattolici che pensano di avere assolto ai loro doveri perché hanno famiglie di 5 o 6 figli. Ma se potevano farne altri 5 o 6, perché si sono fermati? Il limite dovrebbe essere solo quello naturale, quello fisiologico. Se due si sposano a venticinque anni, dovrebbero dare alla luce una dozzina di bambini, se non di più. Porre dei limiti è un controsenso.

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