È Tempo Di Azione Concreta, Pratica, Effettiva – Parte 6

Tutte queste riflessioni sull’ecologia ontologica e l’economia che ne deriva considerate nella loro radicalità esistenziale, anche senza dimenticare gli effetti del peccato originale, devono però tener conto di una realtà parassitaria che, benché chiaramente non necessaria ontologicamente, gli si avvinghia, a volte stritolandola: quella del denaro.

Scommetto che chiunque abbia letto le precedenti righe si sia detto, in un momento o in un altro, “tutto bene ma io intanto ho bisogno di soldi per sbarcare il lunario per tutta la famiglia: tutto questo è impraticabile, senza soldi non si può vivere anzi, nel reale quotidiano, bisogna vivere per i soldi, a comprova anche i preti e monaci mi stanno sempre a chiedere soldi.”

Bisogna rendersi conto che il denaro non ha nessuna esistenza in sé:  esattamente come l’effetto di perspettiva non esiste in sé (non ci sono case o alberi che diventano in sé realmente più piccoli quando ci allontaniamo da loro) ma è un epifenomeno, certo reale in quanto effetto, ma non sussistente in sé senza lo sguardo, così anche il denaro è solo un epifenomeno, in quanto non c’è niente, a parte l’essere stesso, che abbia valore in sé, e il valore del denaro è un epifenomeno tutto nell’importanza soggettiva o sociale che ne diamo.

Non sarà quindi mai possibile connettere direttamente l’ontologia al denaro, in quanto questi è, per essenza, epifenomenico: le regole che governano il mondo del denaro sono quindi, per natura, a-ecologiche e a-economiche e questa loro neutralità può, quindi , essere utilizzata anche in modo anti-ecologico e anti-economico, il che avviene quando si lascia andare la briglia dell’akrasia soprattutto quando si parte dai postulati erronei del pensiero liberal-mercantilista, come già abbiamo visto.

Guardiamo assieme con uno sguardo ontologico a questo epifenomeno chiamato denaro: esso svolge sempre due funzioni in parallelo indipendentemente dalla forma fisica e simbolica che prende (un numero su uno schermo di pixel incorniciato da altri pixels con il logo di una banca, un pezzo di carta sporca stampata con i simboli dello stato nel quale si vive, il lingottino d’oro, etc.), la prima è quella di essergli assegnata un valore in sé dagli individui e dalla società , la seconda è quella di metro di misura per paragonare il valore tra realtà a priori incongruenti tra di loro (cosa ci sia in comune tra il valore intrinseco di un pezzo di terra con conifere o quello di una vacanza a Capri rimane cosa misteriosa, ma che il denaro riesce a stabilire simbolicamente per convenzione sociale).

Il valore del denaro riposa su tre dimensioni: il suo valore intrinseco (quello di un gruppo di pixels sullo schermo è anche negativo perché per guardarlo o utilizzarlo bisogna anche spendere elettricità, abbonamenti a reti telematiche e così via di seguito; quello delle banconote vale… carta straccia; il lingotto d’oro ha un valore reale positivo in funzione di cosa si può fare con l’oro in quanto risorsa); il suo potere d’acquisto che è convenzione sociale e non è intrinseco ma chiaramente estrinseco; la sua desiderabilità immediata soggettiva, altamente estrinseca, che ne governa poi la domanda sul mercato.

Desiderabilità e potere d’acquisto sono in relazione diretta con l’akrasia in quanto, abbiamo visto, quel che avviene nella realtà quotidiana è che non si sceglie il più sovente quel che è il bene per la propria famiglia e società ma quel che soddisfa i propri vizi. Vi è anche una comunità di natura tra vizi e denaro nella misura in cui il valore morale che se ne dà è dell’ordine del desiderio immediato e non nell’ordine del bene, il bene essendo dell’ordine dell’essere e, abbiamo visto, della permanenza.

Bisogna considerare che il denaro che nessuno desira non ha nessun valore altro che quello intrinseco della risorsa che è: un mucchio d’erba falciata vale quanto la pacciamatura che può offrire, carta straccia quanto essa si può decomporre per farne cartoni o carta riciclata; lingotti d’oro quanto i gioielli o i circuiti elettronici che si possono produrre; un insieme di pixels vale quando non esiste in quanto smette di costare.

Perché abbia valore deve essere oggetto di desiderio, in primis per il potere di acquisto che conferisce grazie alla sua accettazione sociale; se vale vicino a zero tutti cercheranno di sbarazzarsene, per questo si dice che la cattiva moneta caccia la buona, in quanto tutti si tengono la buona per non scambiarla in quanto vale di più e circola solo quella considerata meno buona.

D’altro canto, tale valore della moneta deve essere accessibile al corpo sociale sennò perderebbe il suo interesse in quanto accessione al potere di acquisto che necessita un certa liquidità: se avessimo solo monete di valore minimo di mille euro non sarebbero utilizzabili per comprare risorse che sono valutate solo cinque centesimi.

Bisogna quindi che tale denaro trovi il suo “giusto” valore tra sopravvalutazione e sottovalutazione sociale e questo implica, in particolare che abbia almeno un minimo si scarsità: quando la moneta non è più scarsa essa è come un pacco di carta straccia e non vale più niente. La scarsità implica quindi la necessità di una certa povertà: senza poveri, cioè gente avente difficoltà ad ottenerla, la moneta non avrebbe valore, proprio per definizione.

Ma per poter avere poveri è ovvio che ci devono per forza essere pochi ricchi che tratterranno sufficientemente il denaro così che i molti poveri non possano avere accesso a troppo denaro con il rischio di fargli perdere valore.

Quando assistiamo a processi di svalutazione massiva iniettando ingenti liquidità sul mercato, in un primo tempo assistiamo ad una crescita di quantità di denaro nelle tasche di tutti arricchendoli, poveri compresi, in un secondo tempo alla diminuzione del potere d’acquisto di ogni unità monetaria (inflazione) che tocca ricchi e poveri ed in un terzo tempo in un arricchimento ulteriore dei ricchi affinché la moneta rimanga comunque abbastanza scarsa per avere valore.

A contrario, processi di rivalutazione della moneta distruggendo moneta, in un primo tempo diminuirebbe la quantità nelle tasche di tutti impoverendoli, ricchi compresi, in un secondo tempo aumenterebbe il potere d’acquisto di ogni unità monetaria (deflazione), in un terzo tempo porterebbe ad un impoverimento dei ricchi, anche tassandoli, per via della necessità di avere moneta abbastanza liquida per essere ancora socialmente utile.

Una società con ricchi meno ricchi e poveri meno poveri è più giusta, eppure tutti puntano su scelte dettate dall’akrasia e non dalla ricerca del bene comune che richiede l’esercizio di virtù come la pazienza longeva ed il coraggio di resistere in tempi più duri.

La questione da porci è sapere se questo potere d’acquisto è utilizzato virtuosamente oppure no: la risposta già l’abbiamo dedotta quando riflettiamo circa un’ecologia ontologica, il potere d’acquisto è sensato quando ci dà accesso ad addizionali risorse generative e rigenerative.

A ben guardare nelle nostre società consumistiche il 99% delle risorse monetarie delle nostre famiglie vanno in risorse degenerative, il che è conforme al fatto che ben pochi sono coloro che combattono la propria akrasia e che molti perdono così ogni speranza di felicità.

Guardiamo però la relazione tra questa risorsa epifenomenica che è il denaro e gli altri tre tipi di risorse ontologiche paragonandoli.  Se acquisto un risorsa rigenerativa, compro, ad esempio, con l’equivalente monetario oggidì di dieci chilogrammi di mele, un albero che mi darà dopo qualche anno decine di chilogrammi di mele ogni anno per decine di anni: vuol dire che creo cento volte, mille volte più valore da questa risorsa che tenendomi il montante iniziale in tasca. Il che vuol dire che il valore del denaro diminuisce paragonato a quello dell’albero che si rigenera. E come quel che vale di più è meno utilizzato per scambi commerciali esso prenderà valore, perché più scarso, mentre la moneta ne perderà. Chi è in questo atteggiamento ecologico considera l’investimento rigenerativo ben più interessante e desiderabile che il possedere moneta.

A contrario se acquisto una risorsa degenerativa, questa risorsa essendo, per definizione distrutta a relativamente breve termine, sarà la moneta che sarà sempre più desiderata e gli agenti economici correranno sempre di più dietro il denaro che diventa per loro oggetto specifico di desiderio, più di qualunque risorsa degenerativa che potranno mai acquistare.

E infatti, quando negli anni Settanta del secolo scorso le nostre società industriali ebbero da scegliere, in seguito al primo shock petrolifero, dopo la guerra dello Yom Kippur, tra dare lavoro a tutti, il che è una scelta rigenerativa, o aumentare il potere di acquisto consumistico aumentando i salari, scelsero, anche a causa dei movimenti sindacali, la seconda soluzione lasciando andare la disoccupazione alla grande: fu una scelta societale che si protrae ancora fino ai nostri giorni. E questa scelta anti-rigenerativa fu moltiplicata esponenzialmente dall’altra scelta anti-rigenerativa per antonomasia che fu quella di impedirsi di avere figli dalla seconda metà degli anni Sessanta in poi.

Lì dove il denaro ha una relazione dinamicamente più equilibrata è con le risorse generative: infatti se il mio potere di acquisto mi dà accesso ad una risorsa che si sviluppa in funzione del lavoro che ci metto, più lavorerò e creerò valore aggiunto alla società, meno il denaro varrà a paragone (la soddisfazione di vedere la propria impresa aver successo è incommensurabile anche alla quantità di denaro prodotta) , e meno lavorerò più varrà, ovviamente, (infatti chi non lavora o lavora poco è radicalmente dipendente dal denaro) e troverò quindi, statisticamente, il giusto medio dove il frutto del mio lavoro equivale al denaro che ci ho messo per poter fare questo lavoro. È il campo dell’impresa privata e dell’investimento che mi spinge a produrre più del montante iniziale che ci ho messo: è simile alla risorsa rigenerativa, ma mentre quest’ultima dà rendimenti (quasi) senza lavoro umano, essa permette un comportamento economico similare a condizione che ci si metta sangue e sudore.

Il denaro è una realtà che necessita l’ingiustizia sociale della presenza di pochi ricchi e di molti poveri per poter esistere e sostenere la propria funzione di garante di poter d’acquisto.

Il denaro prende potere assoluto solamente in una configurazione dove la scelta societale è focalizzata sul corto termine, centrata sull’acquisizione di risorse essenzialmente degenerative, sottomessa di pieno grado all’akrasia umana originale.

In Pace

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Categories: For Men Only, Simon de Cyrène

6 replies

  1. Il denaro è una realtà che necessita l’ingiustizia sociale della presenza di pochi ricchi e di molti poveri per poter esistere e sostenere la propria funzione di garante di poter d’acquisto.

    Con questo ragionamento potrei sostenere che anche la « tunica di pelle » comporta ingiustizia perché alcuni sono bassi, brutti e deboli o no?

    • No.
      In Pace

      • « La scarsità implica quindi la necessità di una certa povertà: senza poveri, cioè gente avente difficoltà ad ottenerla, la moneta non avrebbe valore, proprio per definizione. »
        Quello che volevo far capire il sequitur logico è misero: per definizione la diversità produce gerarchia quindi in realtà il presupposto è che l’unica via di scambio sia monetario ( ergo si deve aver imposto un corso forzoso ) come anche spostare il discorso di per sè sull’allocazione dei beni che per natura non sono usufruibili e disponibili per tutti allo stesso modo per questo esorbitavo rispetto alle condizioni fisiche della « tunica di pelle ». In secundis poi si può essere ricchi di beni anche senza denaro.
        Il sugo della faccenda è che mi sembra illogico chiedersi questa cosa dimenticandosi che la moneta nasce per lo scambio. Se tutti avessimo la stessa quantità e qualità di moneta ciò nonostante saremmo ugualmente più ricchi o più poveri l’uno rispetto all’alto indipendentemente dagli scambi susseguenti per una semplice questione di ereditarietà

        • Ovviamente si parlava di ricchezza di denaro e non di altro: e questo ragionamento vale per qualunque risorsa, quelle non scarse valgono poco.
          Non sono ancora entrato nell’analisi del denaro in quanto elemento di scambio, ma mi sono concentrato sulla sua dimensione di risorsa. Il denaro in quanto elemento di scambio sarà analizzato nelle prossime puntate.
          La differenza fondamentale con la tunica è che la tunica vale quel che è, una tunica, in quanto è qualcosa che esiste in sé indipendentemente dalla scarsità di tuniche; mentre nel caso del denaro, non avendo valore in sé in quanto epifenomeno sociale, la sua scarsità è socialmente voluta implicitamente alla sua invenzione: quindi i ricchi e i poveri di denaro sono « voluti » in quanto tali per garantire la scarsità desiderata. Se tutti avessero la stessa quantità di denaro, questi non varrebbe nulla: è nel suo differenziale, lungo il gradiente di disparità di quantità di denaro tra chi ne ha e chi lo vuole che questi scorre e quindi circola.
          In Pace

  2. « Una societa’con ricchi meno ricchi e poveri meno poveri sarebbe piu’giusta ecc. ecc. »
    Non mi e’chiaro in cosa differisca questa affermazione dalla vecchia teoria economico-sociale di stampo comunista, la cui realizzazione e’gia’stata tentata con esiti fallimentari nella storia. In Russia i comunisti vollero indubbiamente rendere la societa’piu’giusta , togliendo la ricchezza ai pochi nobili e alto borghesi privilegiati e rendendo meno poveri la sterminata massa di miserabili contadini ed ex servi della gleba . In Russia fra l’altro circolava poco denaro liquido, ma la ricchezza significava il possesso di terre, boschi, magioni, servi.
    In URSS per settatantaanni non c’e’stata una societa’ basata sul consumismo e sul capitalismo. Eppure
    questa societa’ sovietica che si venne a firmare non divento affatto « piu’giusta », il popolo non era affatto piu’contento, poiche’vedeva che per esempio si era formata un’altra classe privilegiata, quella dei funzionari di partito, che avevano la dacia, l’appartamento in citta’ piu’grande, piu’possibilita’ecc.
    Quello che voglio dire e’che il denaro non e’l’unica fonte di privilegio e la storia ha dimostrato che non e’ mettendo « in comune » tutto che si firmera’una societa’umana senza ingiustizia.
    L’ingiustizia potremmo dire sara’sempre con noi, parafrasando la frase evangelica « i poveri li avrete sempre con voi »
    Oggi non si ha piu’ben presente la natura corrotta dell’uomo , di ogni uomo, dopo la caduta per il peccato di Adamo.Caduta che ha coinvolto tutta la Creazione, anche la natura. Sorgono utopie di ogni tipo che credono di poter rendere la realta’piu’giusta ,il mondo migliore , ripristinare una purezza edenica , ma nessuno pensa che giusto e ingiusto sono DENTRO l’uomo e non fuori di lui. Capitalismo e comunismo come tante altre forme economico-sociali che si possono escogitare , come anche l’ecologismo odierni, non vanno in profondità »ma restano alla superficie della realta’.

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