Filiazione E Autocoscienza

Dopo due anni continuiamo volentieri una riflessione iniziata nell’ottobre 2017 intitolata Al Croce-Via del Futuro al quale rimandiamo per evitare la ripetizione di concetti già esposti. Riflessione che, essa stessa, affondava le sue radici in un precedente post del 2015 intitolato Ex-Machina.

Oggi desidero condividere con i nostri utenti una riflessione più speculativa ma anche più personale sul nesso profondo tra l’autocoscienza e la nozione di filiazione che, secondo me, può essere di un certo interesse già per capire chi siamo ma anche per dirigersi in un ambiente sociale, culturale e politico apparentemente caotico e senza più tanti indicatori di direzione dovuti alla mancanza generalizzata di riflessione davvero impegnata nella comprensione del reale in quanto tale e del suo significato.

Ognuno dei nostri utenti che sta leggendo queste righe, e che non sia uno dei robot di lettura automatica della Google o di altri motori di ricerca, sa che è e sa che legge: quest’esperienza dell’autocoscienza è quel che contraddistingue in un modo infallibile un’entità spirituale da un’entità materiale insegna la filosofia, nessuna realtà materiale avendo la proprietà di essere causata dal proprio effetto o, allora, il moto perpetuo di prima o di seconda specie sarebbe già stato inventato da tempo, cosa che il fisico sa essere intrinsecamente impossibile.

Ovviamente siamo tutti esposti al bombardamento mediatico circa l’arrivo imminente o già operato in certi campi dell’ Intelligenza Artificiale almeno nelle sue dimensioni del machine learning e del deep learning che caratterizzano la nozione di Intelligenza Artificiale Debole e la speranza che si arrivi un giorno alla creazione di una Intelligenza Artificiale Forte, cioè dove il programma “intelligente” potrebbe essere autocosciente, ma, ovviamente, dimenticando che più un sistema qualunque è complesso meno esso potrà rassomigliare ad un moto perpetuo e, quindi, all’atto dell’autocoscienza stessa: la mia esperienza personale è però che, quando si va a visitare una Fiera delle Invenzioni qualunque, ovunque in questo pianeta, c’è sempre un gruppetto di “inventori” che pretendono aver ideato un moto perpetuo di prima o di seconda specie. Secondo me ci saranno anche sempre coloro che cercheranno di creare una “macchina” autocosciente, come ci sono ancora coloro che tentano di trasmutare il piombo in oro o che sono certi che la terra sia piatta con tanto di dimostrazione “scientifica”.

Rimane però aperta una questione affascinante relativa al fatto che, essendo me stesso autocosciente, vorrei poter essere capace di valutare se, con certezza, ci sono anche altri esseri autocoscienti esistenti intorno a me: in fin dei conti quale strumento di misura ho io a disposizione per assicurarmi della presenza di altri esseri che vivono questa stessa esperienza?

Infatti, uno degli aspetti interessanti del film Ex-Machina discusso da noi nel post citato all’inizio, è che il famoso test di Turing , concepito inizialmente per valutare se un’intelligenza artificiale è davvero simile ad un’intelligenza umana, può anche prevedere l’inversione dei ruoli e cioè essere uno strumento per un’intelligenza artificiale per testare se la nostra forma di intelligenza è simile alla sua.

In fin dei conti, però, il test di Turing non controlla se vi sia autocoscienza in sé ma solamente se l’imitazione dell’intelligenza artificiale nelle sue espressioni esterne e misurabili oggettivamente sia sufficientemente simile a quella umana: onestamente, bisognerebbe lasciare l’intelligenza artificiale fare questo lavoro invece di tentarlo noi, in quanto essa è/sarà per definizione molto più precisa di noi in queste analisi.

Tutto questo però non risolve un problema di fondo: se è vero che posso verificare che gli umani intorno a me si comportano come me, nulla però mi mostra con certezza che io non sia la sola entità in questo mondo ad essere autocosciente.

Infatti vivo una dicotomia alla quale mi sono già riferito qua e là un paio di volte nel blog e nelle varie discussioni: da un lato sono assolutamente certo dell’esperienza che ho di essere, ma questa esperienza è di per sé stessa assolutamente incomunicabile, come tutte le esperienze fenomeniche che sperimento in prima persona. Ma, da un altro lato, qualunque conoscenza oggettiva non avrà assolutamente mai lo stesso grado di certezza che ho di me stesso.

L’oggettività non è fonte di certezza, ma, al massimo, di verosimiglianza: possiamo tutti condividere in un salotto che stiamo fumando sigari, il che sarà qualcosa di oggettivo, ma non avrò mai la certezza assoluta che i miei complici fumatori sperimentino quel che sperimento sul piano dei miei cinque sensi in quanto questo è, per definizione, incomunicabile; sarà anche pure verosimile che sì ma non sarà mai assolutamente certo.

Quello che scambiamo con gli altri fumatori di sigaro sono dati estratti dalle nostre esperienze sensoriali individuali ma non l’esperienza stessa del dato nel proprio contesto personale unico a ciascuno: l’oggettività si fonda su uno scambio di dati qualitativi e quantitativi ma mai della sperimentazione esistenziale che ognuno di noi ne fà.

E il problema sussiste quando scambio con altri i dati che concernono il mio sperimentare me stesso: saranno recepiti dagli altri che diranno se sì o no tali dati corrispondono nel loro proprio contesto alla loro stessa esperienza e risponderanno se sì o no sono anche i loro dati corrispondono ai mei e questa risposta la potranno sempre dare che essi siano umani come me oppure intelligenze artificiali capaci di imitare il mio comportamento e le loro risposte sulle mie.

L’oggettività non è quindi garante di nessun certezza.

D’altro canto qualunque discorso scientifico si basa sull’oggettivià desiderata della misura proposta per falsificare una proposizione qualunque: il suo campo di ricerca non è quindi l’ottenere una certezza ma stabilire una verosimiglianza, cioè un relazione tra entità che operi in modo simile/analogo all’affermazione di verità la cui operazione può solo essere compiuta dalla singola volontà umana che identifica il proprio pensato con il reale percepito.

Il porsi la domanda del se un ente altro che sé stesso è autocosciente non appartiente quindi al campo della scienza: è una domanda che non può essere falsificabile come neanche è scientificoil nostro affermare che siamo autocoscienti in quanto tale sperimentazione non può essere resa oggettiva.

Non può, proprio per definizione, esistere nessuno strumento di misura, altro che noi stessi, che possa validare oggettivamente che ognuno di noi è autocosciente per sé: ci saranno sempre gli “scienziati” della terra piatta a provarci, ma il fatto è che sarà sempre intrinsecamente impossibile procedere.

E se non possiamo concepire uno strumento che misuri la presenza assolutamente certa di autocoscienza, siamo quindi anche nell’impossibilità tecnica e di principio di creare artificialmente un ente che sia autocosciente: solo possiamo tentare di costruire quel che è , almeno potenzialemente, oggettivo.

La tecnica deve poter essere oggetto di questionamento scientifico o non è tecnica, ma magia.

Detto ciò non poter dimostrare che qualcosa è autocosciente non vuol dire che non lo sia e infatti siamo tutti circondati da persone che verosimilmente sono autocoscienti: allora si pone il problema di sapere come fare per aumentare questo grado di verosimiglianza al massimo possibile.

Non sarà nel discorso scientifico che questo sarà possibile, come appena esposto, ma nella riflessione filosofica sulla natura degli enti che ci circondano: se la loro natura è verosimilmente molto prossima alla mia, allora sarà sempre più verosimile che essi sperimentino la stessa autocoscienza cheio ho. E cosa garantisce il più alto grado di verosimiglianza che io possa sperimentare associata alla mia esperienza individuale? La filiazione.

È nella filiazione, nella paternità e nella fraternità di sangue che trovo sperimentalmente enti della mia stessa natura e il cui grado di verosimiglianza della loro autocoscienza sia il più alto: l’origine è quel che mi determina nella mia natura. Se, con grandissima verosimiglianza, non sono il solo umano autocosciente esistente è perché sono stato generato e della stessa natura di chi mi ha generato e così sono anche gli altri membri della mia famiglia generati secondo la loro/mia natura.

Una delle angoscie che spesso dei bambini hanno è quella di poter non essere i figli reali dei propri genitori: è proprio un’angoscia profondamente ontologica e epistemica, in quanto è solo in questa certezza di filiazione carnale che essi sanno essere verosimilmente della stessa natura che la famiglia della quale fanno socialmente parte.

Per questo, in realtà, le proposte societali di disgiungere l’atto sessuale dalla procreazione sono in realtà uno strumento di fragmentazione tra gli umani e di futura schiavizzazione: se questi ultimi non sanno più da dove provengono, vedasi addirittura procedenti da cellule artificialmente, anche se solo parzialmente, geneticamente modificate, essi, non solo non sanno più quale la loro natura sia, ma possono anche, in linea di principio, essere considerati da terzi che ne hanno il potere come semplici robot biologici pensanti senza statuto di umani, in quanto senza quella radice esistenziale che fonda la loro umanità e la prova della verosimiglianza della presenza di una loro autocoscienza.

E ben potranno questi esseri senza ascendenza carnale urlare che sono autocoscienti, nessuno mai, e loro stessi meno che gli altri, lo potrà mai dimostrare oggettivamente e liberarli dalla loro prigione.

In Pace



Categories: Filosofia, teologia e apologetica, Simon de Cyrène, Transumanesimo

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5 replies

  1. Molto interessante, grazie Simon.
    La conclusione sulla mancata filiazione mi ha ricordato quel film tremendo, « Never let me go », su cloni-donatori d’organi ai quali è negata la dignità di persone. Quando l’ho visto mi ha molto inquietata perché gli eventi narrati non mi sembravano così lontani è improbabili…
    Buona domenica a tutti.

  2. Sono arrivato a metà e spedito il link al mio primo figlio che ha come compito quello di studiare alcune implicazioni della AI nella modernità, anche utilizzando film o cartoni animati. Se nella parte successiva la cosa si complica, ti chiederò domande ad hoc per i ragazzi delle medie!

  3. Molto interessante questo articolo, e ringrazio Simon. Tutta la parte sull’autocoscienza è illuminante.
    Come sempre cerco di cogliere aspetti di approfondimento, e pertanto mi colpisce tra le altre l’ultima frase :

    « ma possono anche, in linea di principio, essere considerati da terzi che ne hanno il potere come semplici robot biologici pensanti senza statuto di umani, in quanto senza quella radice esistenziale che fonda la loro umanità e la prova della verosimiglianza della presenza di una loro autocoscienza. »

    Vorrei far notare che ben prima delle modificazioni genetiche gli essere umani sono stati considerati dei robot biologici pensanti. Basta pensare alle migliaia di anni in cui si è praticata la schiavitù, ed alle forme più o meno nascoste di schiavitù e di discriminazione che ancora esistono, anche in presenza di un DNA perfetto e di una generazione umana assolutamente naturale e non alterata.
    In realtà la frase centrale è : « essere considerati da terzi che ne hanno il potere ».
    Quando esistono « terzi che ne hanno il potere » , l’aspetto scientifico diventa una scusa e l’asservimento avviene comunque per prevaricazione, fondandolo su un qualunque aspetto (colore, religione, etc etc) che faccia da appiglio discriminante.

  4. Ok, finito e finalmente riesco a dire la mia: perfetto! E direi che superata la parte centrale dove esplichi l’impossibilità di cogliere oggettivamente l’autocoscienza altrui, l’articolo scivola via in modo chiaro e illuminante. Fra l’altro questa tua opinione (che io condivido) esplicata nella parte centrale, è un tema che hai sviscerato in Telesforo, il libro che a brevissimo uscirà. Pertanto invito chi non abbia ben chiaro il tutto ad acquistare il libro (lo presentiamo credo entro questa settimana) per una migliore esplicazione del tutto. Grazie Simon!

  5. Un bellissimo articolo, grazie!

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