Larry Hurtado – L’origine della devozione verso Gesù nel suo antico contesto

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Proponiamo la traduzione in italiano di un articolo che il celebre studioso Larry Hurtato ha pubblicato qualche settimana fa nel suo blog per illustrare la sua famosa tesi (sviluppata in decenni di studi ed illustrata compiutamente in diverse pubblicazioni) a riguardo del precoce sviluppo della devozione verso Gesù nella primitiva comunità cristiana.

L’articolo originale è disponibile QUI

Il riverire Gesù nelle preghiere, nei canti e in altre azioni devozionali è una parte così familiare della vita e del culto cristiano che non ci rendiamo conto di quanto fosse un’innovazione nel contesto storico in cui apparve per la prima volta. Certo, nel più grande ambiente religioso romano del primo secolo d.C. c’erano molte divinità e figure umane divinizzate che ricevevano tutti un culto di vario tipo tra la popolazione in generale. Ma il movimento di Gesù (che divenne il “cristianesimo”) emerse nel contesto più specifico dell’antica tradizione ebraica, in cui l’esclusività dell’unica divinità biblica era di primaria importanza. Nella pratica ebraica, il culto pubblico, in particolare il sacrificio, doveva essere limitato esclusivamente al Dio di Israele, e si considerava idolatria il culto di qualsiasi altra figura. I molti dei ed eroi divinizzati del più vasto mondo romano erano considerati nella tradizione ebraica come falsi e blasfemi. In questo contesto, l’inclusione di Gesù nelle pratiche di culto delle prime comunità del movimento di Gesù fu uno sviluppo notevole e, in effetti, unico.

Questo ha dato alla prima devozione cristiana una forma “diadica” caratteristica, con Dio e Gesù al centro delle credenze e del culto. Contro il modello politeistico del più ampio mondo pagano, l’insegnamento paleocristiano raccomandava un’esclusività, con un solo Dio, e questa stessa esclusività si applicava all’unico Signore Gesù. Nel contesto dell’antica tradizione ebraica, la dualità nelle credenze e nella pratica devozionale paleocristiane era anch’essa caratteristica. La dualità non comprendeva tuttavia un diteismo a due divinità. Invece, Gesù fu venerato nel suo rapporto con Dio “Padre”, come unico Figlio di Dio, immagine di Dio e Parola di Dio, che era stato esaltato da Dio per essere Signore di tutta la creazione.

È anche importante notare che questo sviluppo è avvenuto abbastanza presto e in tempi brevi, ed è stato più un’esplosione vulcanica che non un processo progressivo. Già nei primi testi cristiani, le lettere dall’autenticità incontestata dell’apostolo Paolo, vediamo che riflettono un corpus di rivendicazioni e credenze cristologiche e un modello di pratiche devozionali che sono date più per scontate che spiegate. Questo indica che all’epoca di tali lettere (dal 50 d.C. ca. e oltre) tutti questi fenomeni erano elementi familiari della vita religiosa dei circoli del movimento di Gesù, sia nelle varie città della diaspora in cui Paolo fondò le sue chiese, sia nella patria ebraica. Così, per esempio, in queste lettere Paolo si riferisce a Gesù come unico “Figlio” di Dio, indicando un rapporto distintamente stretto di Gesù con Dio (per esempio, Galati 2,20; Romani 1,4. 9; 8,32. Egli si riferisce ancora più spesso a Gesù come “Cristo” (= Messia), indicando il ruolo e lo status di Gesù come agente della redenzione divina (tra i tanti esempi, Romani 1,1; 8, 21.). Inoltre, circa duecento volte Paolo si riferisce a Gesù come “il Signore” (in greco, Kyrios) che è stato esaltato al primato su tutte le cose da Dio (per esempio, Filippesi 2,9-11). In questi testi, dedicati specificatamente ai credenti, Gesù esaltato è il Signore a cui devono obbedienza e riverenza.

Inoltre, le lettere di Paolo riflettono anche la comprensione della crocifissione di Gesù come parte del piano divino di redenzione, predetto nelle scritture dell’Antico Testamento (ad esempio, Romani 3,21-26; 4,24-25; 1 Corinzi 15,1-7). Già al tempo di queste lettere paoline, i credenti avevano esplorato le loro scritture e scoperto le premonizioni in esse di Gesù. Inoltre, le lettere di Paolo mostrano la credenza che Gesù era stato designato da prima della creazione e, in effetti, era “preesistente” alla stessa ed era l’agente attraverso il quale tutte le cose erano state create (ad esempio, 1 Corinzi 8,4-6).

Oltre a questi titoli e rivendicazioni cristologiche, le lettere di Paolo riflettono anche una pratica devozionale sviluppata in cui Gesù era parte integrante e centrale. Questa includeva, ad esempio, l’invocazione e la confessione rituale di Gesù nei primi ambienti cristiani. Lo vediamo riflesso nel riferimento di Paolo alla confessione “Gesù è Signore” e all’invocazione rituale di Gesù, “Chiunque invoca il nome del Signore sarà salvato” (Romani 10,9-13). In questa affermazione abbiamo un’espressione biblica (“invocare il nome del Signore”) che in origine si riferiva all’invocazione e al culto di Dio, qui adattato per designare l’invocazione di Gesù (ad esempio, Genesi 13,4; 21,33; Salmo 116,4, 13). Infatti, Paolo si riferisce ai credenti semplicemente come “tutti coloro che, in ogni luogo, invocano il nome di nostro Signore Gesù” (1 Corinzi 1,2), e questa acclamazione rituale di Gesù come Signore si riflette anche in 1 Corinzi 12,3. Nota anche Atti 2,21. Inoltre, Paolo si riferisce altresì a questa invocazione o acclamazione di Gesù in un’espressione aramaica nelle righe conclusive della sua lettera alla chiesa di Corinto (1 Corinzi 16,22). L’espressione qui usata, “Marana tha” (“Nostro Signore, vieni!”), riflette l’appello rituale a Gesù risorto come “Signore” negli ambienti dei credenti ebrei di lingua aramaica e nelle sue chiese di lingua greca. Paolo non traduce qui l’espressione aramaica, probabilmente perché l’aveva trasmessa ai Corinzi in precedenza quando era con loro. Allo stesso modo, in altri testi egli si riferisce alla pratica di rivolgersi a Dio in preghiera nell’espressione aramaica “Abba” (“Padre”, Galati 4,6; Romani 8,15). Paolo ha apparentemente usato queste due espressioni e pratiche aramaiche, una rivolta a Dio come “Padre” e una rivolta a Gesù come “Nostro Signore”, per offrire collegamenti verbali tra i suoi convertiti di lingua greca e le pratiche devozionali dei loro fratelli e sorelle di lingua aramaica.

Per citare altre pratiche devozionali, il rito dell’iniziazione cristiana antica, il battesimo, si distingueva dagli altri riti d’acqua, come il battesimo di Giovanni Battista, per essere compiuto “nel nome di Gesù” (per esempio, Atti 2,38; 8,16; 10,48; 19,5). Ciò significava probabilmente che coloro che venivano battezzati chiamavano Gesù per nome come parte del rituale, ed erano così contrassegnati come appartenenti a lui. A differenza di molti altri rituali d’acqua, il battesimo paleocristiano era un tempo un rito di iniziazione alla comunità cristiana, che si identificava specificamente con riferimento a Gesù.

I circoli paleocristiani avevano anche un tipico un pasto condiviso come parte delle loro riunioni. In un testo in cui Paolo affronta alcuni problemi relativi a questo pasto nella chiesa di Corinto, e si riferisce ad esso come “la cena del Signore”, e lo collega specificamente alla morte redentrice di Gesù e al suo futuro ritorno (1 Corinzi 11,17-34, specialmente v. 20). Egli paragona anche questo pasto collettivo per onorare Gesù ai pasti sacrificali in onore delle divinità pagane, il calice e il pane del pasto cristiano che comprendono una condivisione (koinōnia) nel sangue e nel corpo di Cristo. Come ulteriore indicazione del forte significato liturgico del pasto cristiano, egli esige l’esclusività dei credenti, che devono desistere da tutti i riti pagani e partecipare solo alla “mensa del Signore” (1 Corinzi 10,14-22).

In altri testi cristiani antichi, abbiamo riferimenti a guarigioni rituali ed esorcismi fatti “in nome di Gesù”, il che significa probabilmente che anch’essi implicavano la chiamata di Gesù risorto a compiere queste azioni (per esempio, Atti 3,6; 16,18). Come già detto, i Vangeli ritraggono Gesù come guaritore ed esorcista, e le pratiche di guarigione cristiana precoce e, in un certo senso, di esorcismo sono una continuazione del suo ministero. Ma, mentre i racconti dei Vangeli hanno Gesù che guarisce ed esorcizza senza invocare nessun altro nome o potere, la pratica dei cristiani antichi di invocare Gesù per nome implica che il suo nome e il suo potere erano considerati come il potere con cui essi erano in grado di compiere questi atti.

Come ulteriore riflesso del ruolo alto e centrale di Gesù nei primi ambienti cristiani, si noti la formula diadica del saluto nelle lettere di Paolo, “grazia e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo” (Romani 1,7; 1 Corinzi 1,3; 2 Corinzi 1,2). Allo stesso modo, egli si riferisce alla “chiesa dei Tessalonicesi in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo” (1 Tessalonicesi 1,1). Queste formule collegano Dio e Gesù in modo unico come le fonti di grazia e base delle chiese. Anche le lettere di Paolo si concludono tipicamente con la benedizione di Cristo, come in 1 Tessalonicesi, “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi” (1 Tessalonicesi 5,28, con leggere variazioni anche in Filippesi 4,23; Galati 6,18; 1 Corinzi 16,23; Romani 16,20, e c’è anche la benedizione triadica in 2 Corinzi 13,10). Queste espressioni all’inizio e alla fine delle sue lettere sono ora comunemente considerate come l’uso da parte di Paolo di frasi che avevano avuto origine nei luoghi di culto di gruppo, e Paolo sembra averle usate per rendere adatte le sue lettere ad una lettura nelle chiese a cui le stesse erano inviate. Su questa base, tali espressioni ci offrono anche degli scorci su come Gesù sia stato incluso con Dio nelle pratiche liturgiche di saluto e benedizione nei primi ambienti cristiani.

Infatti, le lettere di Paolo riflettono anche la pratica di includere Gesù negli appelli inseriti nelle orazioni quale co-ricevente insieme a Dio degli stessi, come in 1 Tessalonicesi, “Ora che il nostro Dio e Padre stesso e il nostro Signore Gesù possano indirizzare il nostro cammino verso di voi”. E Paolo continua con una preghiera, che “il Signore” (Gesù) faccia crescere i credenti di Tessalonica nell’amore e si fortifichino nella santità (1 Tessalonicesi 3, 11-13). In un’altra lettera, Paolo si riferisce alle sue ripetute preghiere rivolte direttamente a Gesù per rimuovere un’afflizione (2 Corinzi 12,8). In un altro contesto, in cui egli dirige la chiesa di Corinto affinché disciplini un credente in errore, Paolo fa riferimento al pronunciare il giudizio “nel nome del Signore Gesù” e all’agire “con la potenza del nostro Signore Gesù” (1 Corinzi 5,3-5). Ciò implicava apparentemente l’espulsione rituale dell’autore del delitto dalla chiesa, ma il punto è che l’autorità e il potere del rituale sono attribuiti a Gesù risorto.

In tutte queste credenze e pratiche devozionali (e altre ancora) il Gesù risorto ed esaltato è centrale, ed è unito a Dio come unico centro della fede e co-ricevente della venerazione. Si noti, ad esempio, come Atti si riferisca alla chiesa di Antiochia “che adora il Signore” (Gesù), che viene poi raffigurato come parlante attraverso i profeti cristiani, stabilendo che Paolo e Barnaba debbano essere chiamati a compiere i successivi viaggi missionari, come descritto nei capitoli successivi (Atti 13,2-3). In una scena di visione, il libro dell’Apocalisse raffigura il culto celeste di Dio (“colui che siede sul trono”) e di Gesù risorto (“l’agnello”) insieme, il che probabilmente riflette il modello di culto diadico da tempo familiare all’autore (Apocalisse 5,9-14). Per sottolineare l’aspetto cronologico, questo corpus di credenze e pratiche è emerso chiaramente ed è diventato una caratteristica familiare degli ambienti dei credenti nel giro di appena due decenni tra la crocifissione di Gesù e le prime lettere di Paolo.

Infatti, dobbiamo probabilmente ritenere che questo notevole sviluppo emerse nei primissimi anni, forse più precisamente nei primi mesi, dopo la morte di Gesù, intorno al 30 d.C. Poiché prima dell’esperienza che ha prodotto il suo profondo riorientamento religioso, Paolo (allora fariseo zelante) era un deciso oppositore del giovane movimento di Gesù, cercando, secondo le sue stesse parole, di “distruggerlo” (Galati 1,13-16; Filippesi 3,4-6). Paolo si riferisce all’esperienza sulla ” via di Damasco ” che ha prodotto il notevole cambiamento nella sua posizione religiosa come ” rivelazione ” di Gesù come figlio unico di Dio (Galati 1,16). Questo suggerisce che il contenuto centrale dell’esperienza fu in particolare una revisione radicale della sua visione di Gesù, che Paolo poteva aver considerato inizialmente come un falso maestro e forse anche come maledetto da Dio. Ora l’esperienza rivelatrice di Paolo è comunemente datata da uno a due anni dopo la crocifissione di Gesù. Così, già a quel punto, nei primi anni dopo la crocifissione di Gesù, questo giovane fariseo, che professa di essere stato eccezionalmente zelante nei confronti della tradizione ancestrale, trovò il giovane movimento di Gesù sufficientemente offensivo da generare il suo oltraggio e i suoi sforzi per opporvisi strenuamente.

Per quanto riguarda ciò che può aver generato la sua indignazione, è una ipotesi plausibile che le forti rivendicazioni su Gesù e le pratiche devozionali che si riflettono nelle sue lettere siano almeno uno dei fattori. Cioè, all’inizio probabilmente trovò queste rivendicazioni e pratiche cristologiche come blasfeme violazioni dell’esclusività dell’unico Dio che tutti gli ebrei dovevano rispettare, ma la sua esperienza rivelatrice lo portò ad abbracciare proprio la posizione a cui si era opposto. Nel senso di essere specificamente chiamato a condurre una missione evangelica verso i gentili, che Paolo sembra abbia avvertito come il suo specifico compito. Ma nel nucleo centrale delle credenze cristologiche e delle pratiche devozionali riflesse nelle sue lettere, Paolo non era né originale né creativo. Al contrario, egli riflette le credenze e le pratiche devozionali che ha accettato come parte del suo riorientamento religioso da oppositore a fautore del messaggio evangelico.

Uno dei fattori che generò questa notevole devozione verso Gesù nei primi ambienti cristiani fu, naturalmente, l’impatto della figura storica, Gesù di Nazareth. Durante la sua stessa vita ha generato e divenne il leader di un movimento che si identificava specificamente con lui. Gesù era considerato dai suoi immediati seguaci e più in generale come un insegnante autorevole, un guaritore che esercitava un potere miracoloso, un profeta inviato da Dio e forse il Messia di Dio. Ma suscitò anche opposizione. Con la collusione delle autorità del tempio di Gerusalemme, Gesù fu giustiziato sotto l’autorità del governatore romano. Ciò sembra riflettere l’idea che egli sosteneva di essere, o almeno che fosse acclamato dai suoi seguaci come, il Messia-re, che equivaleva a una sedizione contro il dominio romano. D’altra parte, soprattutto i suoi seguaci, ma anche altri, come quelli che cercavano il suo favore per la guarigione, lo veneravano, come testimoniano le numerose scene evangeliche in cui individui supplicanti si rivolgono a lui. Ma non c’è alcuna indicazione che questa riverenza includesse il tipo di pratiche devozionali che vediamo riflesse nelle lettere di Paolo. In breve, anche se Gesù divenne la tema polarizzante per seguaci e oppositori già durante la sua attività terrena, e fu addirittura considerato Messia da almeno alcuni dei suoi seguaci, non gli fu concesso il livello straordinariamente alto di devozione che sembra essere esploso rapidamente dopo la sua crocifissione.

Quindi, ulteriori fattori e forze devono aver giocato un ruolo nel generare quella che fu una “mutazione” senza precedenti nella pratica religiosa ebraica. Infatti, è probabile che gli ebrei avrebbero potuto dare a Gesù quel tipo di devozione che abbiamo notato solo se avessero creduto che Dio lo richiedesse. La convinzione che Dio aveva esaltato Gesù ad uno stato supremo e che ora richiedeva che fosse venerato di conseguenza si riflette in testi come un passo della lettera di Paolo ai Filippesi, che dichiara, “Dio lo ha esaltato grandemente [Gesù] e gli ha dato il nome che è sopra ogni nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo e sulla terra e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è Signore, per la gloria di Dio Padre” (Filippesi 2,9-11). Allo stesso modo, il Vangelo di Giovanni afferma che Dio esige che “tutti onorino il Figlio così come onorano il Padre” e che “chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato” (Giovanni 5,23). Allora, come hanno potuto i primi credenti arrivare a questa straordinaria convinzione?

In un primo momento, dovremmo certamente porre come fattore determinante delle esperienze particolarmente potenti. Queste probabilmente includevano visioni di Gesù risorto ed esaltato, forse oracoli profetici che dichiaravano la sua esaltazione, e anche una fervente ricerca nelle scritture per trovare il significato e la convalida di tali esperienze. Come già detto, Paolo sosteneva certamente che la sua stessa affermazione dell’alto status di Gesù si era formata in un’esperienza che egli considerava una rivelazione divina. I primi incontri con Gesù risorto, come quelli raccontati da Paolo ai Corinzi, probabilmente trasmettevano più della semplice gioia che egli era stato riportato in vita (1 Corinzi 15,1-8). Coloro che ebbero queste esperienze sembra che fossero convinti che la risurrezione di Gesù includesse anche la sua collocazione come Signore sopra ogni cosa. Questo sembra riflettersi, per esempio, nel legame tra la risurrezione di Gesù e la sua regola suprema che Paolo illustra in un passaggio in 1 Corinzi (1 Corinzi 15,20-28).

Ma l’esaltazione di Gesù ad uno status così alto non comportava alcuna diminuzione del primato di Dio. Infatti, praticamente ogni affermazione cristologica nei testi del Nuovo Testamento è allo stesso tempo un’affermazione teologica. È, per esempio, Dio che ha risuscitato Gesù e lo ha posto come Signore supremo. Gesù non ha spodestato Dio nelle credenze e nelle pratiche devozionali dei primi credenti. Invece, come già detto, le credenze e le pratiche di questi ultimi formavano un modello diadico che coinvolgeva sia l’unico Dio che l’unico Signore, e la loro devozione verso Gesù era intesa come obbedienza a Dio e per la gloria di Dio.

 

Per approfondire:

Larry Hurtado, Signore Gesù Cristo. La venerazione di Gesù nel cristianesimo più antico, 2 Vol., Paideia, Brescia, 2006-2007

Larry Hurtado, Come Gesù divenne Dio. La problematica storica della venerazione più antica di Gesù, Paideia, Brescia, 2010



Categories: Sproloqui

16 replies

  1. Grande Trianello, grazie!

  2. Qualche cattolico pretende di onorare Dio tacendo di Gesù Cristo perché creerebbe divisione e qualcun altro vorrebbe far nascere la Chiesa tacendo dello Spirito Santo.

    • Non è uno scoop, sono duemila anni che ci sono anche più di solo “qualche” cattolico con tali opinioni.

      C’è anche “qualche” cattolico che non accetta le Sante Scritture, “qualche” altro che non accetta la Santa Tradizione, e “anche” qualche altro che non accetta il Santo Magistero e, addirittua chi non accetta né le S. Scritture né la S. Tradizione, o né la S. Tradizione né il S.Magistero, o né le S. Scritture né il S. Magistero, o nessuna delle tre che solo accettate insieme senza restrizioni mentali fanno di noi cattolici concreti!

      Che ci vuoi fare? Prega per loro e, invece, occupati concretamente della tua propria santificazione e di quella delle persone di cui sei in carica: che vergogna sarebbe di fronte al Giudice Supremo di esserti preoccupato sui blogs di “qualche” cattolico che non conosci manco personalmente e che pensano da non-cattolici, ma che hai lasciato i figli tuoi diventare apostati e atei anche a causa dei tuoi comportamenti più o meno volontari, dipendenti dal tuo grado di virtù!

      Per non parlare del fatto che essere se stessi in Paradiso senza le persone che abbiamo amato su terra perché sono esse in inferno, deve avere un sapore un po’ amaro, anche se sublimato dalla visione stessa della Santissima Trinità che tutto rimette in una prospettiva divina.

      In Pace

      • Dunque se uno ha la ventura di avere un figlio non credente deve solo stare zitto e vergognarsi, non ha diritto a dire nulla, mentre se uno ha una bella famiglia di cinque figli tutti pii e devoti, questo si’ che ha diritto di parlare e pontificare!

        • È la nozione di vir probatus nella Chiesa, infatti.
          In Pace

          • Ci sono figli apostati e non credenti che vengono fuori da famiglie cristiane anche più virtuose della media, e ci sono figli molto credenti che provengono da famiglie atee.

            Perciò non ritengo che sia colpa dei genitori se un figlio è ateo oppure no. Non sempre, perlomeno, lo sarà in qualche caso.

      • Ho due figli (adottati maggiorenni) dei quali uno è ortodosso non praticante e l’altro nemmeno battezzato: hanno studiate in scuole dove il cristianesimo veniva insegnato assieme all’islam, alla religione Odino, a quella greca e ad altre.
        Oggi però, oltre ad un dio per tutte le stagioni, ha preso piede anche la seguente modalità di combattere la Rivelazione:
        1. Pur essendo a fondamento di tutto la Scrittura: “Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro… Allora Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così: «Uomini di Giudea, e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme, vi sia ben noto questo e fate attenzione alle mie parole… Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone.” (At 2.1…41)
        2. Si prende un articolo come quello di Larry Hurtato che non dovrebbe essere letto se non alla luce degli Atti degli Apostoli e lo pone, isolato dalle sue radici, come base o supporto di ulteriori “teologie”.
        3. Si crea così la “teologia del popolo” in cui è il sentimento e la cultura popolare che creano dio e non Dio che crea ed elegge il suo popolo.

        • Non è la Scrittura a fondamento di “tutto”, ma lo Spirito Santo che genera la Chiesa: Chiesa che giudica quali Scritture siano tali, quale Tradizione sia tale e che spiega ed insegna ambi nel Suo Magistero.
          In Pace

          • E come faccio a sapere se è lo Spirito Santo, o il mio spirito, o quello del mondo a parlare, se non avendo come fondamento la Scrittura?
            Non forse nella scrittura che leggiamo: « Io sono la Via, la Verità e la Vita »
            ed anche « Quando però verrà lo Spirito di Verità, egli vi guiderà alla Verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future »?.

      • @Simon

        “che vergogna sarebbe di fronte al Giudice Supremo di esserti preoccupato sui blogs di “qualche” cattolico che non conosci manco personalmente e che pensano da non-cattolici, ma che hai lasciato i figli tuoi diventare apostati e atei anche a causa dei tuoi comportamenti più o meno volontari, dipendenti dal tuo grado di virtù!

        Per non parlare del fatto che essere se stessi in Paradiso senza le persone che abbiamo amato su terra perché sono esse in inferno, deve avere un sapore un po’ amaro, anche se sublimato dalla visione stessa della Santissima Trinità che tutto rimette in una prospettiva divina.”

        Oltre a quanto detto prima, aggiungo che Gesù disse “a chi molto fu dato molto sarà chiesto”. Gli occidentali di oggi nascono in un ambiente che non è certo quello ideale per la trasmissione della Fede, perciò la colpevolezza di eventuali apostasie o dei tanti non praticanti è presumibile che in molti casi sia significativamente ridotta.

        L’annedoto sotto di Lorenzo sulle scuole nelle quali hanno studiato i suoi figli è emblematico (e come ha detto li ha adottati già maggiorenni, quindi non li ha educati da bambini).

        Di sicuro ci saranno casi nei quali un ateo o un non praticante sarà colpevole quanto un ateo o non praticante della Firenze XVI secolo, ma in genere oggi credo che le cose stiano un po’ diversamente.

        Lo dico anche perché altrimenti certe parole potrebbero secondo me essere lette in malo modo da alcuni, visto che oggi avere dei parenti non credenti o non praticanti è purtroppo comune.

        E se non si alimenta l’amore verso Dio predicando una misericordia deviata come quella predicata dai bergogliani non lo si fa nemmeno con le tattiche della paura (tattiche che in passato abbiamo usato anche troppo, mentre adesso stiamo andando all’estremo opposto, e come sempre gli estremi si toccano. Lorenzo ha citato la Chiesa Ortodossa e, pur essendo io cattolico, ammetto che nell’insegnare a relazionarsi con Dio la Chiesa Ortodossa, dagli scritti che ho letto, mi ha sempre dato l’impressione di riuscire a mantenersi più equilibrata in questo. Poi anche noi abbiamo avuto tanti Santi e Sante che hanno guidato verso un miglior rapporto con Dio i credenti, ma diciamo che abbiamo anche prodotto alcuni testi che, per chi li ha presi come riferimento spirituale, saranno stati un vero e proprio tormento, secondo me, tipo questo https://perlamaggiorgloriadidio.wordpress.com/2014/03/09/santalfonso-maria-de-liguori-sermoni-per-la-quaresima-del-numero-de-peccati-oltre-il-quale-dio-piu-non-perdona-presto-peccatori-fratelli-miei-torniamo-a-gesu-cristo-se-l/ o quest’altro sermone https://cordialiter.blogspot.com/2018/11/circa-il-numero-dei-dannati.html menzionato da un blogger cattolico).

        • Come molto spesso sei molto confuso e poco consistente: mi perdonerai, spero, se non ritengo opportuno perdere il mio tempo a risponderti con ulteriori ovvietà che chiunque non sia un troll modernista ben conosce.
          In Pace

          • Non ho capito, io che sono due anni che critico la piega che sta prendendo la Chiesa Cattolica con Papa Francesco sarei un modernista, perdipiù troll?
            Ho semplicemente scritto che gli estremi si toccano e sono ugualmente sbagliati, non mi sembra una cosa illogica.

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