L’insostituibile fisionomia del matrimonio (l’unico vero)

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[Articolo apparso a pagina 3 del quotidiano “La Croce” in data 9 aprile 2019]

Una delle conseguenze più macroscopiche del Congresso Internazionale delle Famiglie svoltosi recentemente a Verona è stata quella di aver riportato al centro dell’attenzione pubblica nostrana il tema della famiglia. Questo però è avvenuto in un contesto culturale ormai inquinato da un disarmante relativismo secondo il quale, alla luce delle attuali conoscenza, non sarebbe più possibile parlare della famiglia nucleare, quella cioè formata da un uomo, una donna ed i figli con essi conviventi, come “famiglia naturale”. La famiglia naturale non esiste, si sente ripetere con sempre maggiore insistenza e, al fine di dimostrarlo, si chiamano in causa i risultati dell’indagine etnografica e dell’analisi antroplogico-culturale. Personalmente, mi trovo nella singolare condizione di essere, per formazione, sia un antropologo culturale che un filosofo, di dichiarata “fede” tomistica. La polemica attualmente in atto mi spinge quindi a proporre una breve riflessione su questo tema a cavallo tra antropologica culturale e filosofia. Mi rendo conto che l’argomento, per essere sviscerato in tutta la sua reale portata, meriterebbe la composizione di un intero saggio, pertanto in questa sede mi limiterò ad una brevissima riflessione preliminare sullo stesso, riservandomi di approfondirne i vari aspetti in eventuali futuri contributi.

Parlare di famiglia significa parlare di parentela, ora, si dice, l’indagine antropologico-culturale dimostra che, nelle diverse culture, la relazione di parentela (anche quella tra genitori e figli) può essere costruita anche dopo la nascita mediante specifiche procedure di appropriazione simbolica. Si fa notare come, nonostante la nascita di un individuo avvenga necessariamente attraverso l’unione di un uomo e di una donna, una famiglia è un insieme di persone che partecipano in modo intimo gli uni degli altri in una costruzione sociale culturalmente significativa che include fattori biologici, ma che non si riduce a questi, fino ad arrivare in situazioni in cui le relazioni di carattere extra-biologico sono preponderanti. La parentela sarebbe fondamentalmente un sistema simbolico capace di dare senso al dato biologico della filiazione, ma che in molti casi vi si sovrapporrebbe, rientrando (per rifarsi ad una dicotomia cara a Levy-Strauss) più nell’ambito culturale che in quello naturale. Ogni cultura risolve a modo suo il problema relativo all’assegnazione di un individuo ad un determinato gruppo parentale a volte prescindendo in modo più o meno marcato dai fattori meramente biologici. Così, l’istituto matrimoniale, quello che regola fondamentalmente l’accesso sessuale degli uomini rispetto alle donne, e viceversa, si configura in modo molto variabile tra le diverse culture. E qui giù di esempi tratti dalla letteratura etnografica di cui, tra gli altri, ci offre un vasto campionario il volume di Marshall Sahlins, Wat Kinship Is – And Is Not, The University of Chicago Press, 2013 (pubblicato nel 2014 in traduzione italiana con il titolo di La parentela: cos’è e cosa non è da Eleutera).

Si fa notare come nelle culture matrilineari (quelle in cui i soggetti appartengono alla famiglia della madre, anziché a quella del padre), ad esempio, quali quelle africane degli Ashanti e degli Ndembu, il legame familiare fondamentale è quello tra fratello e sorella. Il fratello esercita l’autorità sui figli della sorella, i quali saranno i suoi eredi. La sorella gode di certi diritti in quanto parente femminile più stretta e rappresenta la fonte di continuità del lignaggio. Se nelle società patrilineari (quelle in cui gli individui appartengono al lignaggio paterno) l’interesse degli uomini si concentra sull’avere figli, in quelle matrilineari si concentra sul fare in modo che ne abbiano la proprie sorelle. Tra fratello e sorella c’è una grande intimità: l’uomo tenderà a confidarsi con la sorella, anziché che con la propria moglie, e sarà questa che consulterà quando avrà bisogno di un consiglio o si tratterà di gestire le proprie finanze ed i propri possedimenti. In queste culture il rapporto tra un padre ed i propri figli tende ad essere molto più informale ed il primo non viene considerato dai secondi come una figura dotata di autorità, ma come un amico e spesso un complice.

In tutte le culture il matrimonio è un’istituzione sociale finalizzata la riproduzione e l’assegnazione dei figli a un gruppo piuttosto che a un altro. L’unione matrimoniale presenta una grande flessibilità e a volte si configura in modi che a noi occidentali possono sembrare piuttosto bizzarri: fra gli Igbo della Nigeria, in caso di sterilità del marito, una donna è autorizzata a avere rapporti sessuali con un altro uomo, e i figli procreati saranno legalmente figli del primo (il pater) e non del secondo (il genitor). Fra i Nuer del Sudan è documentato il matrimonio con il fantasma, per cui, qualora un uomo muoia senza figli oppure prima di sposarsi, un fratello o un cugino può sposarsi con una donna in nome del defunto in modo che i figli siano legalmente figli del defunto. Sempre fra i Nuer, esiste il matrimonio fra donne (privo di connotazioni omoerotiche): una donna sterile può contrarre matrimonio con un’altra donna, sceglierle un amante e i figli nati da questa unione saranno figli socialmente riconosciuti della donna-marito, membri del gruppo di quest’ultima. La donna-marito è persino culturalmente autorizzata a chiedere un risarcimento alle proprie mogli qualora queste intrattengano rapporti sessuali con altri uomini rispetto a quelli da lei designati. Ci sono anche i fratelli della madre chiamati “madri maschi” e le donne agiate Lovedu che cedono il loro bestiame per acquistare “mogli” e diventare così “padri” dei loro figli. I Karembola del Madagascar considerano fratelli e sorelle la stessa cosa, e un uomo può così rivendicare la maternità di un bambino.

In alcune popolazioni dell’Amazzonia, una nascita può anche non coinvolgere alcun tipo di parentela, se quello che la donna porta in grembo è il figlio di un animale (spirito/animale). Fra gli Inuit della Groenlandia, quando un bambino è chiamato con il nome del nonno materno, inizia a chiamare figlia la madre che lo ha partorito, marito di mia figlia il padre e moglie la nonna.

Ci sono poi le famiglie poligame: quelle poliginiche (in cui cioè un uomo ha più mogli), quelle poliandriche (in cui una donna ha più mariti) e quelle poliginandriche (in cui un gruppo di uomini, generalmente dei fratelli, si uniscono in matrimonio con un gruppo di donne, generalmente delle sorelle). Nel caso delle famiglie poliandriche e poliginandriche, i figli saranno considerati come di tutti i mariti, anche quando sia nota l’identità dell’effettivo padre biologico degli stessi.

Di fronte ad una così grande varietà di modelli familiari e matrimoniali (di cui non ho citato che pochi esempi), non è forse assurdo parlare della famiglia nucleare, quella storicamente più diffusa nella nostra cultura, come della “famiglia naturale”? Non è forse etnocentrico, ci si domanda, considerare il nostro modello matrimoniale come l’unico legittimo?

Ed è qui che subentra il filosofo, il quale fa notare come un tale modo di porre la questione presupponga che l’unica legge sia quella positiva, vale a dire che le leggi che gli uomini si impongono siano il termine ultimo in base a cui valutare la liceità delle loro azioni. Secondo una tale prospettiva, in effetti, gli usi ed i costumi di ogni popolo sono moralmente equivalenti anche quando sono in contraddizione gli uni con gli altri. Ovviamente, questa concezione, come si evincerà chiaramente anche solo da quanto ho appena scritto, è auto-contraddittoria. Sarebbe abbastanza semplice articolare un’argomentazione atta a dimostrare quanto sopra, ma in questo contesto non c’è nemmeno bisogno di scomodarsi a farlo. Già, perché gli stessi fautori dell’idea che non esiste la “famiglia naturale”, un tipo di famiglia che a livello meta-culturale sia da considerarsi come l’unica veramente tale, sono poi i primi ad indignarsi perché in determinate culture e società i diritti dei gay o delle donne non sono adeguatamente rispettati. Questo significa che anche costoro, implicitamente, ritengono che oltre ad una legge positiva debba esservi una legge naturale, cioè quella norma morale che trae i criteri dell’agire umano direttamente dalla natura specifica dell’uomo. Se così non fosse, infatti, non avrebbe senso indignarsi per le pratiche considerate immorali di una specifica cultura o società, in quanto non ci sarebbe nessun metro meta-culturale o meta-sociale in base al quale determinare la moralità o l’immoralità di un qualcosa a prescindere da come questo viene considerato dai singoli gruppi umani.

Ora, quando uso il termine “naturale”, non voglio intendere un qualcosa di imposto dalla natura, in quanto la legge morale suppone sempre la mediazione della ragione, ma indicare un qualcosa che è conforme alle esigenze della natura umana così come possono essere indagate e conosciute dalla ragione. Ed ecco che si comprende anche il senso in cui è possibile parlare di “famiglia naturale”, un qualcosa su cui non sembra che i negatori della sua esistenza, in effetti, abbiano sempre le idee sufficientemente chiare. Con l’espressione “famiglia naturale” non si intende indicare l’unico tipo di famiglia imposto dalla natura umana (ecco perché le culture hanno elaborato modelli familiari tanto diversi gli uni dagli altri), bensì quella più confacente alle esigenze dell’uomo in quanto tale.

Rimane a questo punto da giustificare il motivo per cui la famiglia nucleare, vale a dire la “società coniugale” fondata sul matrimonio, sia da considerarsi come la “famiglia naturale”.

Come ho mostrato sopra, non è possibile individuare una forma del matrimonio che sia stata condivisa sotto ogni riguardo dai popoli di tutte le culture: la divergenza delle istituzioni matrimoniali sconcerta e, a prima vista, scoraggia chi voglia tentare una sintesi. Sembra che l’elemento più costante sia individuabile a livello biologico nel rapporto sessuale: il resto appare piuttosto fluido, incerto, contraddittorio. Tutto considerato è però possibile formulare una prima definizione del matrimonio che comprende tutte le varianti di un fatto che resta insopprimibilmente naturale e perciò soggetto all’evoluzione della coscienza umana: istituzione che ovunque e sempre tende a regolare le manifestazioni dell’istinto sessuale secondo particolari norme di una data comunità umana. Ciò vuol dire che il matrimonio, universalmente, non risulta mai concepito come un fatto privato, una convivenza libera da qualsiasi vincolo legale, rimessa unicamente alla coscienza e alla personale e più insindacabile decisione dei singoli quali unici gestori dei propri sentimenti e scelte. Entro i limiti fissati dalla legge positiva dei vari popoli, il matrimonio, come istituzione, ha conosciuto tutte le forme e tutte le aberrazioni: dalla poligamia alla poliandria, dal concubinato al divorzio. Resta comunque confermato che questo istituto, come unione dell’uomo e della donna in vista e in funzione della famiglia, ha assunto un carattere sempre più delineato dal punto di vista giuridico, mai lasciato all’arbitrio personale: un amore libero, sottratto ad ogni legge, non è mai esistito.

La nozione del matrimonio comprende il dato biologico (l’attrazione dei sessi), e quello razionale, ossia la sua disciplina ottenuta in virtù di particolari norme giuridiche. Ora, se volessimo limitarci soltanto sul primo, la nozione del matrimonio rifletterebbe unicamente la vita istintiva comune anche alle bestie; mentre, se preferissimo il secondo, l’istituto matrimoniale non emergerebbe in modo sufficientemente chiaro, inequivocabile, perché non c’è legge che non dipenda dall’arbitrio umano, per sé fallibile. L’analisi antropologica delle varie culture si limita a descrivere la vita delle stesse, non suggerisce una norma; documenta l’essere, non indica il dover essere, richiama dei fatti, non fa scoprire il diritto. Cercare la norma, vuol dire voler cogliere l’essenza o il dover essere del matrimonio; il quale, essendo un fatto eminentemente umano, può essere giudicato solo risalendo alle inclinazioni della natura umana integrale.

La famiglia nucleare è la cellula fondamentale della società correttamente ordinata (società che vede idealmente nell’amicizia tra gli uomini che la compongono il collante che la tiene assieme), perché l’amicizia soddisfa tutte le reali virtualità di sviluppo della persona umana solo nel matrimonio monogamico, e ciò per le ragioni di fondo riassunte in quella complementarietà dei sessi che implica l’essenziale unità dei medesimi nella più eterogenea ricchezza di struttura esclusivamente propria del primo nucleo sociale umano, capace di generare nuova vita. Non c’è forma di amicizia più alta di quella che è possibile tra i due sessi che si amano e si donano in vista della prole. La loro muta attrazione d’amore è determinata dalla massima unità nella massima alterità che la natura umana possa offrire.

Il matrimonio monogamico realizza la più profonda comunione di amore tra i sessi in una integrazione mutua dei medesimi così perfetta da risultare naturalmente feconda e assicurare perciò la sopravvivenza della famiglia umana, ultimo scopo inteso dalla natura. Attraverso il matrimonio si realizza la perfezione dei coniugi e la procreazione della prole. Ovviamente, la seoconda, anche se posteriore nel tempo, interessando la specie, prevale sul primo che riguarda due individui; perciò il primo, immediato, è subordinato alla seconda.

Ecco perché la famiglia nucleare, quella fondata dai coniugi e dalla loro prole, è in effetti la “famiglia naturale”. Questa è infatti la forma di unità familiare che meglio risponde alle esigenze della natura umana così come possono essere indagate e conosciute dalla ragione e che, in buona sostanza, è l’unica forma di famiglia in senso proprio.



Categories: Sproloqui

13 replies

  1. Molto bello e condivisibile questo articolo.
    Il vero problema però è che solo una percentuale molto bassa di coloro che utilizzano il termine “famiglia naturale” lo utilizza nell’accezione descritta dall’articolo.
    E questo vale sia per il mondo cattolico che per quello non cattolico.
    Probabilmente l’utilizzo del termine “naturale” è alla base delle tante incomprensioni, siano esse casuali o volute. Ho infatti la sensazione che alcuni volutamente lo interpretino a seconda della platea e degli interessi.
    Comunque nell’utilizzo moderno tale termine ha in genere ben altro significato da quello descritto. E non tenerne conto da parte di chi lo utilizza secondo l’accezione “cattolica” significa , a volte , voler artificialmente alimentare la polemica e provocare una reazione.
    D’altra parte ho anche la netta sensazione che ben pochi dei partecipanti al congresso sarebbero totalmente d’accordo con l’espressione di “famiglia naturale” come “forma di unità familiare che meglio risponde alle esigenze della natura umana così come possono essere indagate e conosciute dalla ragione” (utilizzata da Trianello) ma semmai con una terminologia molto più religiosa di “famiglia naturale” intesa come famiglia creata da Dio.
    E che questo sia in genere il significato del termine “naturale” da essi prediletto e difeso, e quindi involontariamente imposto e generatore di reazioni uguali e contrarie da parte di chi invece lo intende con l’accezione moderna di “esiste in natura”.
    Non sarebbe l’ora, dopo 800 anni, di cambiare termine e trovare un neologismo che sia più moderno e non interpretabile ?
    Buona giornata.

  2. Grazie Trianello per questa “scarrellata” assolutamente necessaria sulla nozione di famiglia detta “nucleare”.

    Avrei un paio di osservazioni costruttive da fare, anche per nutrire future riflessioni.

    In primis, vorrei sottolineare la difficoltà che si ha al giorno di oggi con l’uso della parola polisemica “natura”, polisemia sulla quale alcuni fanno apposta di giocare tentando di confondere il discorso, rendendo illeggibile dal vulgum pecus la differenza tra “natura” in quanto la realtà esistente nel mondo corporeo con “natura” in quanto caratteristica intellettualmente conoscibile che accomuna specifiche essenze. Come hai ben messo in evidenza ci sono realtà umane e sociali che si riscontrano nella natura ma che non sono naturali per gli uomini e la società umana.

    In secondo luogo, vorrei obbiettare che la famiglia “nucleare” non è naturale neanche lei, in quanto non è concepibile al di fuori della famiglia in senso allargato : una nuova coppietta che si sposa è integrata immediatamente in una doppia rete di relazioni che la rilega alle proprie famiglie rispettive, ziii, nonni e cugini inclusi.

    La famiglia “nucleare “in quanto tale è sia un’astrazione intellettuale che si concentra su una riduzione della nozione di famiglia calcata sul solo matrimonio, sia una realtà concreta che è un’impoverimento della nozione stessa di famiglia e che è il risultato della distruzione sociale dei legami sociali secondo la natura umana.

    I casi da te citati mi sembrano essere tutti interessantissmi casi di gestione della relazione tra matrimonio e famiglia, in quanto il matrimonio è un processo simbolico di adozione di un membro all’inzio estraneo al quadro di una famiglia data: se il matrimonio è la materia di questo simbolismo la famiglia ne è la forma.

    In altre parole la critica che io porto alla nozione di famiglia nucleare è quella di voler far coincidere in un certo qual modo materia e forma. Una famiglia nucleare non ha possibilità di sopravvivenza reale se non è vissuta nel quadro di una realtà più larga, che è quella della famiglia.

    Al soggetto è interessante dare un’occhiata al codice di diritto canonico orientale: a spanne, l’80% regola questioni matrimoniali, e soprattutto la gestione patrimoniale delle famiglie in senso non nucleare. È interessante perchè questo mostra, secondo me, le due dimensioni che caratterizzano la differenza tra matrimonio e famiglia: il matrimonio è nella sua essenza proteso verso la perennità della specie, della stirpe, di un ceppo familiare dato; mentre la famiglia è quella struttura protesa alla protezione patrimoniale degli elementi che la compongono.

    La nozione quindi di famiglia nucleare è una proposta sociale che indebolisce gli individui di una famiglia data impedendo de facto una più larga sussidiarietà e corresponsabilità: di fronte alle crisi naturali, sociali, politiche ed economiche, una famiglia “allargata” sarà molto più resilente sul piano patrimoniale che una famiglia “nucleare”.

    Una società ben fatta è quindi una società che si appoggia su una nozione di famiglia resiliente, e una famiglia resiliente è una famiglia che si proietta nel futuro mediante l’istituto matrimoniale secondo natura.

    Spingendo il ragionamento un po’ oltre capiamo che una famiglia sarà tanto più resiliente quanto i matrimoni che vi compartecipano saranno più prolifici, l’intensità degli scambi tra nonni, genitori, zii, cugini e fratelli rinforzando quindi la forza familiare e la sua resilienza di fronte alle avversità.

    Non per nente gli esempi che hai portato vengono da realtà economiche durissime e sistemi di sopravvivenza ad hoc e non per niente sono i (veri) poveri, i ben nominati proletari, che istintivamente vogliono famiglie numerose, le sole che possono opporsi alle avversità della vita, alle varie oppressioni (uno che ti dice “non posso aver più figli perchè non ho abbastanza soldi”, è già troppo ricco)

    Quindi si ai matrimoni nucleari, per le esatte ragioni da te addotte, ma sempre in un quadro famigliare non nucleare: le politiche statali dovrebbe quindi favoreggiare questi due aspetti e il costo sociale globale ne sarebbe drammaticamente ridotto (meno divorzi, meno aborti, piu presa in carica dei piu deboli e dei piu anziani nelle famiglie, etc).

    In Pace

    • Molto interessante la differenziazione tra il matrimonio nucleare la famiglia , intesa come nucleo allargato ai parenti dell’uno e dell’altro coniuge. E molto interessante come la componente extra-biologica sia prevalente ne legami che si creano.
      Attenzione però che non sono rare le famiglie “allargate” fondate da su separazioni e nuove unioni, dove in qualche caso (quando non c’è avversità) si finisce per formare un nucleo nuovo comprendente nuovi “parenti” ed “ex parenti”, ed in qualche caso i legami sono comunque forti.
      Queste nuove forme di aggregazione, che in teoria sono comunque più deboli della famiglia naturale e parentela connessa, dopo qualche anno in qualche caso si consolidano al punto di formare un nucleo antropologicamente coeso, che difficilmente sarebbe distinguibile dalla famiglia tradizionale. (sempre escludendo la religione dalla discussione)

      • Una famiglia allargata è pur sempre una famiglia, concordo con te: sapere, però, se è il modo di creare più resilienza che una famiglia basata solamamente su matrimoni monogamici di lunga durata o se, al contrario, indebolisce i suoi membri di fronte alle realtà della vita, questo ne darà una misura della sua reale efficienza.

        Un po’ O.T. ma direi che politicamente non si sarebbe mai dovuto discutere di matrimonio per le persone con tendenze omossessuali, perchè proprio non fa senso rispetto alla funzione riproduttrice della stirpe che il matrimonio ha; mentre invece queste persone hanno il diritto di essere incorporate in un contesto familiare non nucleare. Il problema sorge solo se si restringe la nozione di famiglia a quello di famiglia nucleare e solamente identificabile, quindi, con un matrimonio.

        In Pace

        • Concordo assolutamente con te.
          Utilizzare per queste unioni l’espressione “matrimonio” (da parte di chi le criticava) le ha di fatto avvalorate di un qualcosa che non c’era, e che non era neppure preteso se non da frange estreme.
          La forma è sostanza .

      • “Queste nuove forme di aggregazione, che in teoria sono comunque più deboli della famiglia naturale e parentela connessa, dopo qualche anno in qualche caso si consolidano al punto di formare un nucleo antropologicamente coeso, che difficilmente sarebbe distinguibile dalla famiglia tradizionale.”

        Questa è una affermazione molto discutibile e che non trova spesso rispondenza nella realtà.
        La realtà è per mia esperienza personale e di tanti nella mia rete di relazioni, che le “famiglie allargate” vivono spesso relazioni che sono in qualche modo “costrizioni” e primi tra tutti, guarda caso, i figli del primo matrimonio, costretti alle più svariate età, per lo più da adolescenziale e oltre, a convivere con nuovi “fratelli”, zii, nonni, altra parentela con cui non hanno e non avevano stretto alcun legame precedente.
        Allo stesso tempo in nuovi “compagni/e” debbono sobbarcarsi l’onere di allacciare rapporti di tipo genitoriale non avendone nessuna prerogativa e non di rado neppure nessuna voglia, perché l’oggetto o soggetto principe e prioritario della loro scelta era semplicemente l’altro o altra (nuovo/a compagno/a).
        Quindi non dipingiamo troppo di rosa ciò che non ha proprio nulla di roseo…
        P.S. molto interessante l’articolo.

        • Certamente meno “sostanziose” nei loro ruoli familiari per garantire una durata, una sicurezza ed un futuro e, in generale, quel per la quale una famiglia prende pienamete senso sul piano razionale e su quello della sopravvivenza in senso proprio e in senso lato.
          In Pace

    • Certamente la famiglia nucleare vive sempre in un contesto di famiglia allargata, solo che la gamiglia allargata ha confini molto più sfumati rispetto a quella nucleare. Ecco perché quella nucleare è la vera famiglia naturale. Nelle società frammentarie di raccoglitori e cacciatori, la gente vive in bande che in genere sono costituite dai 15 ai 30 individui adulti. Queste bande sono il contesto parentale in cui le famiglie nucleari vivono. Tutti i membri di una banda sono (in genere per linea paterna) membri di un gruppo esogamico (clan, fratria o tribù che sia). Le bande però sono unità molto fragili, tenute insieme solo dalle autorità del loro capo, tendendosi a sciogliersi e a ricomporsi molto di sovente. Una famiglia nucleare quindi si sposta spesso da una banda all’altra e sovente si trova a vivere in un contesto parentale in cui nessuno dei suoi componenti ha un ascendente o un collaterale diretto.

      • Infatti queste erano situazioni fragili e quindi da evitare: probabilmente per questo, cercando lungo millenni le migliori configurazioni possibili sono arrivati alla nozione di famiglia nel senso esteso e non nucleare in vigore fino al processo distruutivo dell’era industriale e “statale” nel senso hegeliano e moderno del termine, che non ammette contro-poteri naturali.
        In Pace

  3. Questione enorme! Vi e’ pure un fatto paradossale nella storia della filosofia; mentre la tradizioe teologica e devozionale cattolica, riguardo a matrimonio e famiglia, e’ salda e senza incertezze( almeno fino a …….), e’ specularmente misera la riflessione specificamente filosofica. Il maggior avversario della metafisica, sprezzante liquidatore del Diritto Naturale, neo-panteista immanentista, ec ec, Hegel, intendo, e’ il medesimo che sulla famiglia ha scritto le piu’ belle pagine con linguaggio filisofico! (prima che il forum mi scomunichi, dichiaro che fui indotto alla lettura dei” Lineamenti della Filosofia del Diritto” dalla Vanni Rovighi, la quale riconosceva il grande valore della analisi, appunto, di matrimonio e famiglia, in quella stessa opera che, d’altra parte dichiara lo Stato ” Dio in Terra”…… ecco il paradosso. Il matrimonio monogamico viene difeso e dimostrato SUPERIORE, con argomenti razionali, ad altri modelli. Consiglio questa lettura a chi la ignorasse.
    (Hegel prende in esame pure i temi toccati da Simon).
    Una mia ipotesi: forse la doverosa difesa del matrimonio come sacramento ha fatto, comprensibilmente, trascurare l’istituzione ” civile” da parte dei filosofi cattolici, con poche eccezioni (mi viene in mente, tra queste, il grande Fulton Sheen).
    Pax

    • Una riflessione filosofica, ma non per forza teologica, moderna sulla famiglia è, invero, necessaria e non da lasciare in pasto a chi non ha l’intellligenza della realtà ma solo obiettivi di disgregazione e polverizzazione delle famiglie al fine di avere individui isolati e incapaci di reagire effettivamente allo strapotere del (dio?) Stato, tipo i movimenti “genderisti” e affiliati. La famiglia è la sola entità naturale capace di controbilanciare lo strapotere statale, economico e politico in una doppia ottica di sussidiarietà e partecipazione.

      Infatti tutti quest i studi e osservazioni scientifiche nulla ci dicono sulla natura stessa della famiglia ma solo descrivono realtà sociali svariegate, il che è normale per un discorso che si vuole scientifico. Il passo seguente, e cioè pensare filosoficamente la famiglia, come ha abbozzato Trianello qui sopra, rimane de rifare. E, probabilmente, risalire alla concezioni “antiche” di famiglia sarebbe una tappa introduttoria ineludibile.

      In Pace

      • Avete sentito della decisione della Corte Europea, sull’”utero in affitto”? Qui si tratta di conflitto, vero, conclamato, evidentissimo tra liceita’ (in questo caso illiceita’) e legalita’! Sentiremo qualche voce autorevole denunciare questo, ennesimo, atto anti-umano?
        Pax

        • Denunciare serve poco: quando una struttura è a tal punto putrefascente e intrinsecamente sterile bisogna lasciarla andare alla sua fine naturale il più presto possibile.
          Quel che bisogna fare è preparare, nelle nostre famiglie, coloro che saranno capaci di ricostruire secondo la natura umana: cioè insegnare a loro il vivere secondo questa natura a scapito del liquame ambiente.
          In Pace

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