Cosa Fare Quando Il Vescovo Svia?

Posizione del problema

Ovviamente, non è stata fatta nessuna pubblicità nei media ufficiali legati alla struttura gerarchica ecclesiale romana di cui rappresentano gli interessi e la posizione e quindi, per forza di cose, senza necessità morale di imparzialità o di completezza informativa: il 14 gennaio scorso è apparsa un’informazione su Kath.net che un gruppo di sacerdoti dell’Arcidiocesi di Paderborn aveva reso pubblica una dichiarazione che accusa il Card. Marx di “abusare del [suo] ufficio spirituale considerando ovviamente i Sacramenti della Chiesa come la [sua] proprietà personale che sacrifica […] ai [suoi] stessi capricci sull’altare dello Zeitgeist”. (Traduzione in inglese su Life Site News qui).

La questione è interessante da analizzare perché questa situazione tedesca potremmo, in linea di massima, ritrovarla in altre diocesi. Cosa fare se ci fosse un vescovo che andasse contro la dottrina della Chiesa sulla fecondità imponendo di fatto nei suoi discorsi alle famiglie di non aver più di due o tre figli? Oppure di un altro vescovo che, sul piano pastorale, invece di lodare il dono personale di una madre di famiglia numerosa per la vita non esitando a mettere a repentaglio la propria, egli la ridicolizzasse pubblicamente per questo suo dono? O ancora quell’altro vescovo che insegnasse privatamente contro dogmi de fide, eresie come l‘annichilimento delle anime dei dannati? Cosa fare quando ancora un altro vescovo cercasse pastoralmente di imporre dei fardelli impossibili da portare e mai richiesti dalla Chiesa, ad esempio di rinunciare al diritto all’autodifesa personale e sociale a nome di una non evangelicamente precisata dignità umana? Oppure cosa fare ancora se ci fosse un altro “pastore” che sosterebbe meglio essere atei che andare in Chiesa quando si è peccatori? O se per l’assurdo ci fosse un vescovo che coprisse agende omosessualiste e collaboratori personali omosessualisti per la sola ragione che sono amici suoi che lo servono nei sui interessi di potere? Oppure che fare se esistesse un vescovo che spenderebbe solo cinque minuti all’anno contro il genocidio di massa di centinaia d bambini nel ventre delle loro madri nella sua diocesi mentre il resto dell’anno fosse lì a parlare ossessivamente dei quattro migranti in buona salute accolti nel suo comune o provincia? Cosa fare se si avesse il malore in una diocesi di avere un vescovo che facesse in modo che i genitori non abbiano nulla da dire a livello diocesano e non siano parte integrante, se non altro implicitamente, del percorso vocazionale dei loro giovani? E ci fosse a capo di una diocesi un vescovo che propagasse nella pratica le idee eretiche del marcionismo del III secolo inventandosi un Dio del Nuovo Testamento, tutto dolcezza e tenerezza, ad esclusione del presunto Dio punitore, spaventoso, vendicativo e crudele dell’Antico Testamento? Cosa fare se un vescovo si circondasse nella propria curia vescovile in maggioranza di persone che professano idee eretiche o apostatiche, compromessi in scandali più o meno pubblici, di basso livello teologico, filosofico e pastorale contribuendo così alla morte spirituale della diocesi, all’assenza di vocazioni sacerdotali e religiose, alla sterilità della vita parrocchiale e alla scadenza di quella liturgica?

Lo so, carissimi utenti, che mi direte che queste cose sono impossibili e non si verificherà mai concretamente nel 2019 che ci possano essere vescovi “cattolici” di tal fatta che potrebbero anche immaginare dire o fare anche un solo degli esempi assolutamente ipotetici un po’ assurdi qui sopra riportati e che la problematica legata al come reagire in tali circostanze è simile ad una questione di lana caprina sul sesso degli angeli.

Eppure, il caso tedesco citato nell’incipit di questo articolo mostra che tale situazione, almeno in linea di principio, si può anche realizzare concretamente nella trama della Storia della Chiesa del XXI secolo: vale, quindi, la pena di rifletterci su almeno un poco in quanto non è per niente ovvio per un cattolico essere diviso tra il naturale desiderio di essere in unione con il proprio vescovo e al contempo, essere sempre membro della Chiesa quando tale vescovo non esprimesse più quel che la Chiesa insegna e comanda, il tutto complicato dal fatto che l’unità intorno al vescovo è proprio quel che fa la Chiesa, Chiesa.

Propongo, in un primo tempo, di riassumere la dottrina sull’episcopato sviluppata dal S.S. Concilio Vaticano II per ben capire la relazione tra il vescovo e la Chiesa di cui è il pastore; in un secondo tempo di vedere storicamente sul modo di scegliere i vescovi durante il primo millennio; ed in un terzo tempo di proporre possibili piste per risolvere tali nodi gordiani, dovessero essi presentarsi nella storia concreta come nel caso tedesco qui sopra menzionato.

Relazione tra il Vescovo e la sua Chiesa

Ci riferiamo qui ad alcuni passaggi della Esortazione Apostolica Post-Sinodale del 16 ottobre 2003  Pastores Gregis del Papa San Giovanni Paolo II sul vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo,  la lettura integrale del documento originale essendo focosamente consigliata dal sottoscritto. I grassetti sono, ovviamente, miei.

Un Vescovo può ritenersi davvero ministro della comunione e della speranza per il Popolo santo di Dio solo quando cammina alla presenza del Signore. Non è possibile, infatti, essere al servizio degli uomini senza prima essere «servi di Dio». E servi di Dio non si può essere se non si è «uomini di Dio». Perciò nell’omelia dell’inizio del Sinodo ho detto: «Il Pastore deve essere uomo di Dio; la sua esistenza e il suo ministero stanno interamente sotto la sua gloria divina e traggono dal sovreminente mistero di Dio luce e vigore».

La spiritualità del Vescovo sarà, pertanto, una spiritualità di comunione, vissuta in sintonia con tutti gli altri battezzati, figli insieme con lui dell’unico Padre nel cielo e dell’unica Madre sulla terra, la Santa Chiesa. 

All’aspetto apostolico dell’obbedienza non può non aggiungersi anche l’aspetto comunitario, in quanto l’episcopato è per sua natura «uno e indiviso ». In forza di questa comunitarietà, il Vescovo è chiamato a vivere la sua obbedienza vincendo ogni tentazione individualistica e facendosi carico, nell’insieme della missione del Collegio episcopale, della sollecitudine per il bene di tutta la Chiesa.

Quale modello di ascolto, il Vescovo sarà altresì attento a cogliere, nella preghiera e nel discernimento, la volontà di Dio attraverso quanto lo Spirito dice alla Chiesa. Esercitando evangelicamente la sua autorità, egli saprà mettersi in dialogo con i collaboratori ed i fedeli per far crescere efficacemente la reciproca intesa.Ciò gli consentirà di valorizzare pastoralmente la dignità e responsabilità di ogni membro del Popolo di Dio, favorendo con equilibrio e serenità lo spirito di iniziativa di ciascuno. I fedeli devono infatti essere aiutati a crescere verso un’obbedienza responsabile che li renda attivi sul piano pastorale. Al riguardo, è sempre attuale l’esortazione che sant’Ignazio di Antiochia rivolgeva a Policarpo: «  Nulla si faccia senza il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio  ».

Nella ricerca, dunque, della fedeltà allo Spirito, che parla all’interno della Chiesa, i fedeli e i pastori s’incontrano e stabiliscono quei vincoli profondi di fede che rappresentano come il primo momento del sensus fidei. È utile risentire al riguardo le espressioni del Concilio Vaticano II: «  La totalità dei fedeli che hanno ricevuto l’unzione dello Spirito Santo (cfr 1 Gv 2, 20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà che gli è particolare mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il popolo, quando “dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici” esprime l’universale suo consenso in materia di fede e di costumi  ».

Per questo la vita della Chiesa e la vita nella Chiesa è per ogni Vescovo la condizione per l’esercizio della sua missione d’insegnare. Un Vescovo trova la sua identità e il suo posto all’interno della comunità dei discepoli del Signore, dove ha ricevuto il dono della vita divina e il primo ammaestramento nella fede. Ogni Vescovo, specialmente quando dalla sua Cattedra episcopale esercita davanti all’assemblea dei fedeli la sua funzione di maestro nella Chiesa, deve potere ripetere come sant’Agostino: « A considerare il posto che occupiamo, siamo vostri maestri, ma rispetto a quell’unico Maestro, siamo con voi condiscepoli nella stessa scuola ». Nella Chiesa, scuola del Dio vivente, Vescovi e fedeli sono tutti condiscepoli e tutti hanno bisogno d’essere istruiti dallo Spirito.

Ciò, dunque, che ha ascoltato e accolto dal cuore della Chiesa, ogni Vescovo lo restituisce ai suoi fratelli, di cui deve avere cura come il Buon Pastore. Il sensus fidei raggiunge in lui la sua completezza. Il Concilio Vaticano II difatti insegna: «  Per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, il Popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero, al quale fedelmente si conforma, accoglie non la parola degli uomini, ma qual è in realtà la parola di Dio (cfr 1 Ts 2, 13), aderisce “indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi” (Gd 3), con retto giudizio vi penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita  ». È, dunque, parola che, all’interno della comunità e di fronte ad essa, non è più semplicemente parola del Vescovo come persona privata, ma parola del Pastore che conferma la fede, raduna attorno al mistero di Dio e genera la vita.

I fedeli hanno bisogno della parola del proprio Vescovo, hanno bisogno della conferma e della purificazione della loro fede. L’Assemblea sinodale ha sottolineato, per sua parte, questo bisogno, mettendo in rilievo alcuni ambiti specifici nei quali esso è avvertito in modo Appare così chiaro che tutte le attività del Vescovo devono essere finalizzate alla proclamazione del Vangelo, «  potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede  » (Rm 1, 16). Il suo compito essenziale è di aiutare il Popolo di Dio a rendere alla parola della Rivelazione l’obbedienza della fede (cfr Rm 1, 5) e ad abbracciare integralmente l’insegnamento di Cristo. Si potrebbe dire che, nel Vescovo, missione e vita si uniscono in maniera tale che non si può più pensare ad esse come a due cose distinte: noi Vescovi siamo la nostra missione. Se non la compissimo, non saremmo più noi. È nella testimonianza della nostra fede che la nostra vita diventa segno visibile della presenza di Cristo nelle nostre comunità.

La testimonianza della vita diventa per un Vescovo come un nuovo titolo d’autorità, che si accosta al titolo oggettivo ricevuto nella consacrazione. All’autorità si affianca così l’autorevolezza. Ambedue sono necessarie. Dall’una, infatti, sorge l’esigenza oggettiva dell’adesione dei fedeli all’insegnamento autentico del Vescovo; dalla seconda, la facilitazione a riporre la fiducia nel messaggio. Mi piace riprendere, a tale proposito, quello che scriveva un grande Vescovo della Chiesa antica, sant’Ilario di Poitiers: «  Il beato apostolo Paolo, volendo definire il tipo di Vescovo ideale e formare con i suoi insegnamenti un uomo di Chiesa completamente nuovo, spiegò qual era, per così dire, il massimo della perfezione in lui. Affermò che doveva professare una dottrina sicura, consona all’insegnamento, onde essere in grado di esortare alla sana dottrina e di confutare quelli che contraddicono […] Da una parte, un ministro dalla vita irreprensibile, se non è colto, riuscirà solo a giovare a se stesso; dall’altra, un ministro colto perderà l’autorità che proviene dalla cultura, se la sua vita non risulta irreprensibile  ».

È sempre l’apostolo Paolo a fissare in queste parole la condotta da seguire: offri «  te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile, perché il nostro avversario resti confuso, non avendo nulla di male da dire sul conto nostro  » (Tt 2, 7-8). 44. La comunione ecclesiale vissuta porterà il Vescovo ad uno stile pastorale sempre più aperto alla collaborazione di tutti. Vi è una sorta di circolarità tra quanto il Vescovo è chiamato a decidere con responsabilità personale per il bene della Chiesa affidata alla sua cura e l’apporto che i fedeli gli possono offrire attraverso gli organi consultivi, quali il sinodo diocesano, il consiglio presbiterale, il consiglio episcopale, il consiglio pastorale.

Ogni tipo di differenziazione tra i fedeli, in base ai diversi carismi, funzioni, ministeri è ordinata al servizio delle altre membra del Popolo di Dio. La differenziazione ontologico-funzionale, che pone il Vescovo «  di fronte  » agli altri fedeli sulla base della pienezza del sacramento dell’Ordine che ha ricevuto, è un essere per gli altri fedeli, che non lo sradica dal suo essere con essi.

La Chiesa è una comunione organica, che si realizza nel coordinamento dei diversi carismi, ministeri e servizi, in ordine al conseguimento del fine comune che è la salvezza. Il Vescovo è responsabile della realizzazione di questa unità nella diversità, favorendo, come è stato detto nell’Assemblea sinodale, la sinergia di diversi operatori, così che sia possibile percorrere insieme il comune cammino di fede e di missione.

Ciò detto, però, è necessario aggiungere che il ministero del Vescovo non si può affatto ridurre al compito di un semplice moderatore. Per natura sua il munus episcopale implica un chiaro e inequivocabile diritto-dovere di governo, in cui è inclusa anche la componente giurisdizionale. I Pastori sono testimoni pubblici e la loro potestas testandi fidem giunge alla sua pienezza nella potestas iudicandi: il Vescovo non è solo chiamato a testimoniare la fede, ma anche a valutarne e a disciplinarne le manifestazioni da parte dei credenti affidati alle sue cure pastorali. Nell’adempiere a questo suo compito egli farà tutto il possibile per suscitare il consenso dei suoi fedeli, ma alla fine dovrà sapersi assumere la responsabilità delle decisioni che appariranno necessarie alla sua coscienza di pastore, preoccupato soprattutto del futuro giudizio di Dio.

La comunione ecclesiale nella sua organicità chiama in causa la responsabilità personale del Vescovo, ma suppone anche la partecipazione di tutte le categorie di fedeli, in quanto corresponsabili del bene della Chiesa particolare che essi stessi formano. Ciò che garantisce l’autenticità di tale comunione organica è l’azione dello Spirito, il quale opera sia nella responsabilità personale del Vescovo, sia nella partecipazione ad essa dei fedeli. È lo Spirito infatti che, fondando l’uguaglianza battesimale di tutti i fedeli come anche la diversità carismatica e ministeriale di ciascuno, è in grado di attuare efficacemente la comunione.

Se nel Battesimo ogni cristiano riceve l’amore di Dio tramite l’effusione dello Spirito Santo, il Vescovo – ha ricordato opportunamente l’Assemblea sinodale – mediante il sacramento dell’Ordine riceve nel suo cuore la carità pastorale di Cristo. Questa carità pastorale è finalizzata a creare la comunione. Prima di tradurre quest’amore-comunione in linee di azione, il Vescovo deve impegnarsi a renderlo presente nel proprio cuore e nel cuore della Chiesa attraverso una vita autenticamente spirituale.

Se la comunione esprime l’essenza della Chiesa, è normale che la spiritualità di comunione tenda a manifestarsi nell’ambito sia personale che comunitario suscitando forme sempre nuove di partecipazione e di corresponsabilità nelle varie categorie di fedeli. Il Vescovo si sforzerà, pertanto, di suscitare nella sua Chiesa particolare strutture di comunione e di partecipazione, che consentano di ascoltare lo Spirito che vive e parla nei fedeli, per poi orientarli a porre in atto quanto lo stesso Spirito suggerisce in ordine al vero bene della Chiesa.

Lo ricorda espressamente il Concilio Vaticano II quando afferma che tutti i Vescovi, in quanto membri del Collegio episcopale e legittimi successori degli Apostoli per istituzione e per comando di Cristo, sono tenuti ad estendere la loro sollecitudine a tutta la Chiesa. «  Tutti i Vescovi infatti devono promuovere e difendere l’unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa, istruire i fedeli all’amore di tutto il Corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cfr Mt 5, 10) e, infine, promuovere ogni attività comune a tutta la Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca, e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità. Del resto è una verità che, reggendo bene la propria Chiesa come porzione della Chiesa universale, contribuiscono essi stessi efficacemente al bene di tutto il corpo mistico, che è pure un corpo fatto di Chiese  »

Storia dell’elezione del Vescovo

A questo stadio della nostra riflessione vale la pena di far una rapidissima digressione storica per meglio capire la natura del legame tra un Vescovo e la sua Chiesa per far ciò efficacemente traduco e copio incollo in italiano dal sito Théologie de l‘Episcopat quest’ottimo riassunto, grassetti mei:

“La parola “elezione” è presa qui nel suo senso etimologico di “scelta”.

Ogni vescovo è “eletto” in un modo o nell’altro. Alle origini, Cristo stesso scelse i suoi dodici apostoli. In seguito, gli apostoli hanno “eletto” i loro principali collaboratori, come Marco e Silas i compagni di Pietro, come Luca, Timoteo o Tito compagni di Paolo.

Gli apostoli ed i loro delegati hanno “eletto” i primi sacerdoti ed i primi vescovi delle comunità, come è descritto negli in Atti, e come raccomandato nelle Lettere pastorali di San Paolo.

San Clemente di Roma, nella sua Lettera ai Corinzi conferma questo modo di fare: “Gli apostoli hanno ricevuto per noi il Vangelo del Signore Gesù Cristo […] Essi predicavano nelle campagne e nelle città e hanno stabilito e primizie, le provavano con lo Spirito, alfine di farne i vescovi e diaconi dei credenti futuri. “(42,1.4).

Le prime testimonianze di elezione di responsabili della Chiesa, con l’intervento del suffragio popolare, appaiono anche negli Atti degli Apostoli, con l’elezione dell’apostolo Mattia per sostituire Giuda (Atti 1,15- 26) e l’istituzione di sette diaconi (At 6,1-6). Si è osservato che l’assemblea elettorale si è svolta su istigazione degli apostoli, ma era la gente che hanno presentato i suoi candidati.

Sembra che i primi tempi del cristianesimo, i vescovi, tra cui quella di Roma, sono stati eletti tramite voto popolare. Saint Ippolito prescritto nella sua Tradizione apostolica: “Lasciate che colui che ordina come vescovo è stato scelto da tutte le persone [electus ab omni Populo]” (2). E questa scelta è stata rinomata come una delle Dio stesso Padre. “Concedi, Padre che conosce il cuore, al tuo servo che si è scelto per l’episcopato …” (Id. 3, Preghiera di consacrazione del vescovo). In breve, si rispettava il detto: Vox populi, vox Dei.

Tuttavia, se esaminiamo le fonti con esattezza, ci rendiamo conto che in realtà i vescovi sono stati scelti invece da consenso tra tutte le parti interessate: la gente certo, ma anche i sacerdoti del luogo, e vescovi le chiese circostanti, venuti a frequentare la chiesa del suo pastore, la vedova.

San Clemente di Roma ha parlato di “coloro che sono stati stabiliti da loro [gli apostoli], e poi da altri uomini illustri, con l’approvazione di tutta la Chiesa. (Ep.  Cor., 44,3). Sembra che questi “uomini illustri” erano i delegati degli apostoli, e hanno eletto “poi” (dopo la morte degli apostoli) “con l’approvazione di tutti”, vale a dire che, dopo l’intervento del Suffragio popolare.

Nella Tradizione Apostolica di S. Ippolito (come ricostruito da Don Botte, cf. Sources chrétiennes N° 11 bis) si legge: “Quando abbiamo pronunciato il suo nome [quello dell’eletto] ed è stato approvato, le persone si riuniranno con il presbiterio e vescovi che sono presenti il ​​giorno della Domenica “(2). La partecipazione di sacerdoti e vescovi durante l’elezione, non sembra puramente passivo. Sembra che sia la gente che dice il nome, e che i vescovi lo approvano.

La stessa ambiguità va trovata nelle Costituzioni Apostoliche, il cui testo di tipo canonico fu pubblicato in Antiochia circa nel 380. “Se la parrocchia è piccola e che non c’è nessun uomo saggio e istituto rispettabile per il vescovo, ma hanno c’è un giovane uomo, la cui cerchia testimonia che egli è degno dell’episcopato e che mostra in gioventù la dolcezza e la moderazione di un vegliardo, che si verifichi se tutti ne fanno la stessa testimonianza e che egli sia istituito in pace. “(II, 1,3). Anche in questo caso, sembra che il processo efficace è stata a ricerca di un consenso. Ma non ci dice chi ha condotto l’indagine, probabilmente i vescovi della provincia sarebbe responsabile per ordinare il neopromosso.

“Se la parrocchia è piccola”, dicono le Costituzioni Apostoliche: sappiamo all’inizio la parrocchia (Paroikia) designava il distretto o il quartiere del vescovo. Così c’erano solo una “parrocchia”, amministrata dal vescovo, in quella che oggi chiamiamo una diocesi o un’eparchia.

Dal 325, il Concilio di Nicea aveva prescritto (Canone 4) che in futuro nessun vescovo dovrebbe essere eletto senza il consenso del vescovo metropolitano e dei vescovi della stessa provincia.

Fino al Medioevo le elezioni episcopali rimasero nominalmente soggette alla procedura canonica prevista dal Primo Concilio Ecumenico. La legge canonica non contemplava la scelta dei vescovi in nessuno altro modo che per la sola via dell’“electio cleri et populi”. La dottrina ufficiale della Chiesa romana, espressa da molti papi, accentuava nella pratica una preponderanza del clero sul popolo.”

Possibili soluzioni

Dalle due considerazioni qui sopra estraiamo immediatamente le seguenti conclusioni:

  •  “il Popolo di Dio, sotto la guida del sacro magistero, al quale fedelmente si conforma, accoglie non la parola degli uomini, ma qual è in realtà la parola di Dio (cfr 1 Ts 2, 13), aderisce “indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi” (Gd 3), con retto giudizio vi penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita.” Ovviamente non si parla qui delle variegate opinioni che si possono incontrare in una popolazione che ha un certificato di battesimo, qui si parla di cattolici che hanno un retto giudizio, cioè sanno perfettamente quando peccano e non si trovano scusanti per evitare di riformarsi con fermezza e con l’aiuto dello Spirito Santo e in particolare leggibile con una vita sacramentale e di carità intensa. Questo Popolo di Dio è perfettamente capace di distinguere se il suo Pastore è fedele al Magistero al quale è egli stesso sottomesso come ogni battezzato e che deve servire senza remore nella sua funzione di pastore.
  • I vescovi sono la loro missione: “Il suo compito essenziale è di aiutare il Popolo di Dio a rendere alla parola della Rivelazione l’obbedienza della fede (cfr Rm 1, 5) e ad abbracciare integralmente l’insegnamento di Cristo.” Un vescovo che non abbracciasse integralmente l’insegnamento del Cristo, non adempie la sua missione, non è vescovo (sacramentalmente lo è in eterno ma la sua funzione nella sua Chiesa diventa caduca) infatti “All’autorità si affianca così l’autorevolezza. Ambedue sono necessarie. Dall’una, infatti, sorge l’esigenza oggettiva dell’adesione dei fedeli all’insegnamento autentico del Vescovo; dalla seconda, la facilitazione a riporre la fiducia nel messaggio.” Se manca l’autorevolezza, l’autorità da sola non può esigere l’adesione dei fedeli.
  • Nell’adempiere a questo suo compito egli farà tutto il possibile per suscitare il consenso dei suoi fedeli, ma alla fine dovrà sapersi assumere la responsabilità delle decisioni che appariranno necessarie alla sua coscienza di pastore, preoccupato soprattutto del futuro giudizio di Dio” Un vescovo deve avere la maturità umana e spirituale di assumersi le proprie responsabilità, tra le quali anche quella di dover ammetter che non ha più l’autorevolezza necessaria per stabilire la propria autorità e trarne le conseguenze tra le quali anche dimissionare può essere una possibilità.
  • La comunione ecclesiale nella sua organicità chiama in causa la responsabilità personale del Vescovo, ma suppone anche la partecipazione di tutte le categorie di fedeli, in quanto corresponsabili del bene della Chiesa particolare che essi stessi formano” Il che significa che anche il Popolo di Dio, quello con il sensus fidei qui sopra più volte citato ha perfettamente il diritto e soprattutto il dovere di aiutare il vescovo nel prendersi le proprie responsabilità asseconda le circostanze.
  • Il vescovo è fondamentalmente, aldilà delle legittime evoluzioni del diritto canonico al soggetto, come un’emanazione del Popolo di Dio di cui è in carica: “La legge canonica non contemplava la scelta dei vescovi in nessuno altro modo che per la sola via dell’“electio cleri et populi”. Ciò significa anche che talora tale vescovo non fosse più riconosciuto da tale Popolo come suo pastore, questi dovrebbe trarne le conseguenze sul piano formale.

Concretamente, il S.S. Concilio Vaticano II e lo studio della storia della storia dell’elezione episcopale ci mostrano che, se quel che fa la Chiesa è l’unione del Popolo di Dio con il suo Pastore, quel che fa il Pastore è la sua unione con il Popolo di Dio. Qualora il Pastore non fosse più in sintonia con il sensus fidei del Popolo di Dio, allora egli cesserebbe materialiter di esserne il Pastore. Ancora una volta ricordiamoci che il sensus fidei del Popolo di Dio di cui parliamo è quello definito dal S.S. Concilio Vaticano II cioè quello che “accoglie non la parola degli uomini, ma qual è in realtà la parola di Dio (cfr 1 Ts 2, 13), aderisce “indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi” (Gd 3), con retto giudizio vi penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita”.

Chiaramente, il primo atteggiamento immediato e sempre corretto è quello di sempre manifestare la nostra umile unità spirituale con il vescovo, anche se egli è delinquente, pregando e mortificandosi per lui, cercando di meglio santificare sé stessi con una vita spirituale e caritatevole accresciuta, obbedendo sempre fintanto e in quel tanto che tale vescovo insegna e comanda non vada specificamente contro quel che la Chiesa indica o contro la nostra coscienza di cristiani ben formati. La disobbedienza in tutto quello che il fedele cristiano considera andare contro il sensus fidei non è solo lecita ma obbligatoria a livello personale e nel quadro delle proprie responsabilità ecclesiali (come la famiglia, etc) con le persone di cui si è in carica.

Ma potrebbe capitare, perché no, che le delinquenze del vescovo diventino eccessive fin al punto di esserne scandalose e qui ci possiamo riferire alla dottrina della correzione fraterna come praticata da San Paolo nel caso del comportamento scandaloso di San Pietro, che è, poi, quel che hanno fatto questi sacerdoti tedeschi di Paderborn.

Ma potremmo anche immaginare che l‘ipotetico vescovo in questione è ben lungi dall’essere un San Pietro e che non accolga le correzioni fraterne fattegli direttamente o indirettamente, privatamente e pubblicamente, ma si incancrenisca ancora di più nei propri errori; in certi casi addirittura accusando i suoi correttori o ignorandoli o licenziandoli o cercando di sporcarne la reputazione. A questo punto Gesù ordina che siano chiamati gli stessi membri della comunità che si devono prendere la responsabilità di cacciarlo via e un vescovo è un membro della comunità come gli altri anche se con funzioni e carismi specifici nel Corpo di Cristo.

Però questa cacciata, nel caso di un vescovo, non può essere il risultato di un esercizio comminatorio, dove sia la forza del numero o la violenza di alcuni prepotenti ad imporre la partenza del detto Pastore, ma deve sempre essere un richiesta umile ed implorante del Popolo di Dio della sua diocesi anche se estremamente minoritario, anzi meglio minoritario, che sempre lascia la persona del vescovo libera di assumersi le proprie responsabilità e attraverso questa sua libertà fare della sua dimissione un ultimo atto di amore per la comunità di cui era in carica.

Commentando la situazione di questi sacerdoti di Paderbon, che è il soggetto che qui, in realtà, ci interessa, farei due osservazioni: la prima è che, sicuramente, gli atteggiamenti e gli insegnamenti del Card. Marx scioccano il sensus fidei del cattolico che aderisce “indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi” e che hanno perfettamente il diritto di fargli una correzione fraterna; la seconda è che questi sacerdoti non essendo, a mia conoscenza, della diocesi del Card. Marx essi non possono (e non lo fanno) chiederne le dimissioni. Solo il Popolo di Dio di cui il Card. Marx è il Pastore, cioè il Popolo di Dio della diocesi di Monaco e Freisingen , potrebbe implorargli di dimettersi, anche se è originario di Paderborn lui stesso, in quanto è il solo capace di constatare la rottura del legame tra Esso ed il suo Pastore. Solo i diocesani con sensus fidei di Monaco e Freisingen potrebbero e, forse, dovrebbero, chissà, fare come le giacche gialle francesi : ogni domenica andare davanti la cattedrale del Card Marx e umilmente implorargli di dimettersi volontariamente, pregando per lui, mortificandosi per lui, compiendo atti di carità, vivendo ancora più santamente durante la settimana, lasciando sempre il Cardinale libero di convertirsi o di accettar aldilà del suo ego la richiesta straziante del gregge di cui è ancora formalmente in carica e di cui non è più capace di assumere il compito pastorale.

In Pace



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27 replies

  1. Doveva essere uno svizzero a fare questa proposta, viene da un paese dove la democrazia funziona. Come latinoamericano sarei piú scettico. Sopratutto diffido che il popolo di Dio sia capace di distinguere un pastore cattivo da uno buono. Perché nel popolo di Dio é cresciuta molta zizzania.

    • Essere svizzero c’entra poco.
      Il Sensus Fidei è comune a tutto il popolo di Dio che sia in Papuasia, in Argentina o in Europa, anche se si può esprimere differentemente secondo i luoghi, i tempi e le culture.
      E la Vox Populi Dei, è Vox Dei: al Vescovo il dovere ascoltare quel che il suo Popolo di Dio, con il suo sensus fidei universale e fondato sullo Spirito Santo gli dice e di obbedirgli, in quanto è lui stesso membro dello stesso Popolo con gli stessi obblighi, anche se la sua funzione e ruolo è differente.
      In Pace

      • Eppure la realta’ odierna ci dice che i vescovi NON ASCOLTANO il popolo dei fedeli. Ad esempio negli USA il popolo cristiano, cattolico ma anche evangelico,ha protestato con indignazione per la legge sull’ aborto approvata nello Stato di New aYork dal governatore del cattolico Andrew Cuomo e ha chiesto una ferma condanna da parte del vescovo Dolan
        Il quale però ‘( forse per paura di perdere l’ amicizia e il sostegno di Cuomo anche in termini economici) non solo non sembra per nulla indignato che a NewYork si possa ammazzare legalmente un essere umano fino al nono mese di gravidanza, ma cerca di minimizzare e come al solito tira in campo il solito dialogo, misericordia, tolleranza, confronto, ecc ecc.
        E in Italia la CEI sembra proprio non ascoltare il disagio crescente dei cattolici di fronte all’ imposizione di certe politiche rispetto ai migranti e alla proibizione di altre, quasi che fosse peccato mortale non volere la propria nazione invasa da clandestini spesso criminali e al soldo di mafie africane.
        Sia a NewYork per l’ aborto, sia in Italia sui clandestini la frattura fra vescovi ( che non ascoltano) e disagio del popolo cristiano si fa sempre piu’ profonda.

        • Quando i vescovi non sono all’ascolto del Popolo di Dio che ha il Sensus Fidei quale definito dal S.S. Concilio Vaticano II, e cioè che aderisce indefettibilmente alla fede una volta per tutte trasmessa ai santi e con retto giudizio e che pienamente l’applica nella vita concreta, essi non ascoltano lo Spirito Santo, e peccano contro di Lui.

          È una realtà vecchia quanto la Chiesa stessa: come reagire l’ho descritto nel post qui sopra.

          In Pace

      • Sará, Ma vedo difficile nella pratica scegliere gli appartenenti al popolo di Dio. Visto i risultati delle inchieste pre sinodo vedo molti senza Sensus Fidei é per questo non facendone parte.
        Anche vedo che i cattolici siamo piuttosto sentimentali, si sceglierebbero tutti vescovi simpaticoni. Mi sorprenderei che qualche diocesi, almeno in sudamerica, scegliesse un vescovo tipo Ambrogio.

  2. Ma mi chiedo il “ sensus fidei e’ innato e non forse presuppone una retta educazione cattolica? Perche’ nel giro di due o tre generazioni se non si insegnano piu’ le basi della fede cattolica, il popolo diventa totalmente ignorante della fede cattolica. Bastano due o tre generazioni. Se fra cento anni nessuno insegna piu’ ai giovani le verita’ della Dottrina cattolica, avremo nuove generazioni totalmente ignoranti . Quello che voglio dire e’ che il sensus fidei del popolo presuppone la trasmissione del depositum fidei. Se questa trasmissione si interrompe il popolo avra’ ancora il sensus fidei?
    O sara’ un popolo che post-cristiano e post- fedele, sara’ simile ai popoli pre-cristiani e Pagani, in cui il sensus fidei in Moloch o in Baal che portava a sacrifici umani non sembrava scalfire affatto la coscienza e i gusti del popolo.
    Vox populi vox Dei. Ma questo non e’ valido per ogni popolo. Per esempio per quei popoli come gli aztechi che facevano sacrifici umani non si puo’ dire che incarnassero la Vox dei. Cosi’ un popolo per esempio europeo totalmente mondanizzato e post-cristiano , che ha obliato del tutto la Rivelazione , come potrebbe incarnare la Vox dei?
    Se non c’ e’ da parte dei pastori la trasmissione del Depositum fidei, se non c’ e’ la Catechesi delle nuove generazioni, se non c’ e’ l’ iniziazione cristiana, se tutto e’ lasciato all’ ignoranza e allo spontaneismo, fra due o tre generazioni, come ripeto, nel 2119, non si sapra’ Neppur piu’ il Credo niceno. E la Vox populi magari chiedera’ a gran voce sacrifici umani.

    • Se guardi la definizione di sensus fidei alla quale ti rimando vedi che non lo puoi avere senza una retta educazione cattolica, hai quindi la tua risposta.

      Il Popolo di DIo è quello che ha il sensus fidei, onde per cui quando si parla di Vox Populi, non si parla di un popolo generico ma di un Popolo preciso, quello di Dio, cioè di quello che ha il sensus fidei ed è la ragione per la quale la sua voce è Vox Dei.

      Cristo stesso si è posto la domanda non retorica se ci sarà ancora la fede al Suo ritorno.
      Per altro ci ha anche promesso che sarà con la Chiesa fino alla fine, e cioè che ci sarà sempre un Suo Popolo fosse questo anche solo ridotto a solo due ultimi individui.

      Certo, Cristo è venuto per le multitudini, ma se i molti sono chiamati alla salvezza pochi sono gli eletti: non vedo niente di particolarmente scioccante nell’immaginare un mondo che si sarebbe dimenticato il tempo della Misericordia di Dio, cioè dei due millenni dove c’era una Chiesa cattolica per portare la Buona Novella a tutti, un tempo extra-ordinario di benedizione che fu accordato da Dio a tutta l’Umanità.

      In Pace

  3. Decreto del Santo Concilio di Costantinopoli, III ecumenico considerando il concilio di Gerusalemme:

    “VI. Chi può essere ammesso ad accusare un vescovo o un chierico:

    Poiché molti volendo turbare e sconvolgere l’ordine ecclesiastico, da veri nemici e sicofanti, inventano accuse contro i vescovi ortodossi incaricati del governo della Chiesa, nient’altro cercando che di contaminare la buona fama dei sacerdoti e di eccitare tumulti tra i popoli che vivono in pace, è sembrato bene al santo concilio dei vescovi radunati a Costantinopoli di non ammettere gli accusatori senza previo esame né di permettere a chiunque di poter formulare accuse contro gli amministratori delle diocesi né, d’altra parte, di respingere tutti. Se quindi uno ha dei motivi privati, personali, contro il vescovo perché sia stato defraudato o perché abbia dovuto sopportare da parte sua qualche altra ingiustizia, in questo genere di accuse non si guardi né alla persona dell’accusatore, né alla sua religione.
    E’ necessario, infatti ed assolutamente, che la coscienza del vescovo si conservi libera dalla colpa e che quegli che afferma di essere trattato ingiustamente, quali che possano essere i suoi sentimenti religiosi, ottenga giustizia. Se però l’accusa che si fa al vescovo ha attinenza con la religione in sé e per sé, allora bisogna tener conto della persona degli accusatori. In questo caso non si permetta agli eretici di formulare accuse contro i vescovi ortodossi in cose riguardanti la chiesa ( per eretici intendiamo sia quelli che già da tempo sono stati pubblicamente banditi dalla Chiesa, sia quelli che poi noi stessi abbiamo condannato; sia quelli che mostrano di professare una fede autentica ma in realtà sono separati e si riuniscono contro i vescovi legittimi ). Inoltre, quelli che sono stati condannati, scacciati o scomunicati per vari motivi dalla Chiesa, sia chierici che laici, non possono accusare un vescovo, prima di essersi lavati della loro colpa. Analogamente non possono accusare un vescovo o altri chierici coloro che siano sotto una precedente accusa, se prima non abbiano dimostrato di essere innocenti delle colpe loro imputate.
    Se però vi è chi senza essere eretico né scomunicato né condannato o accusato di alcun delitto ha delle accuse in cose di chiesa contro il vescovo, questo santo sinodo comanda che questi presenti la sua accusa ai vescovi della provincia e dimostri davanti a loro la fondatezza delle accuse. Se poi i vescovi della provincia non sono in grado di correggere le mancanze di cui viene accusato il vescovo, allora gli accusatori possono adire anche il più vasto sinodo dei vescovi di quella diocesi (cioè il sinodo patriarcale), che saranno convocati proprio per questo.
    Non può però, essere ammesso a provare l’accusa, chi non abbia prima accettato per iscritto di subire una pena uguale a quella che toccherebbe al vescovo se nell’esame della causa si constatasse che le accuse contro il vescovo erano calunnie. Se qualcuno, disprezzando ciò che è stato decretato, osasse importunare l’imperatore, o disturbare i tribunali civili, o il concilio ecumenico, con disprezzo di tutti i vescovi della diocesi, la sua accusa non deve essere ammessa, perché egli ha disprezzato i canoni, ed ha tentato di sconvolgere l’ordine ecclesiastico”

    Altra risposta.

    • Eccellente citazione. Dauda

      È, infatti, una risposta perfetta quando le istituzioni ecclesiastiche, sempre umane, funzionano e quando i vescovi partecipano del Sensus Fidei.

      Non funziona quando, ad esempio, le istituzioni ecclesiastiche fossero sottomesse al potere temporale de facto o de iure, come in situazioni di cesaro-papismo, in quanto niente garantisce che quest’ultimo sia partecipe del Sensus Fidei e non funziona quando una gran parte dei vescovi stessi siano eretici o apostati, ad esempio come nel caso della crisi ariana.

      Non funziona in altri due casi, cioè quando le istituzioni ecclesiastiche, a causa di circostanze storiche precise, non reagiscono perchè non vogliono o non posssono reagire, oppure nel caso di scuola astratto e puramente ipotetico, ovviamente, dove lo stesso vescovo di Roma sarebbe il problema: in questo caso la comunità dei fedeli, intesa come Popolo di Dio ha il diritto, anzi il dovere di procedere secondo quanto ordinato da Gesù stesso e indipendentemente dall’istituzione umana, e questo secondo le grandi linee qui sopra riassunte.

      Per altro, la tua citazione sottolinea, nella sua espressione formale, che chi non partecipa del Sensus Fidei (eretici, etc) non ha niente da dire per riguardire un vescovo, cosa che ci trova, ovviamente, d’accordo.

      Grazie
      In Pace

      • Caro SImon, sono spariti i post del nostro vivace scambio sull’argomento.
        Spero che qualcuno nel frattempo li abbia letti, così da farsi una idea sempre più precisa.
        Resto sempre in attesa di trovare un blog cattolico dove si possa concordare con le azioni e le parole di questo Papa senza essere censurati, e senza però che sia censurato anche chi lo critica. Insomma un blog che censuri le offese e non le idee. Se qualcuno ne conosce uno me lo indichi.
        Nel frattempo buona giornata a tutti, inclusi i moderatori da un Po assenti…

        • Li ho cancellati, in quanto erano totali Off Topics di una persona che non si è neanche data la briga e l’onestà di intellettuale di leggere e capire il testo iniziale.

          La critica positiva o negativa è sempre benvenuta, ma ragionata e rispettosa del soggetto: illazioni non hanno posto, chimere neanche.

          I tuoi interventi saranno sempre benvenuti quando farai questo sforzo al posto di espirmere uno sfogo immaturo ed emozionale che , per giunta, va al tema come un capello va nella minestra.

          In Pace

          • In verità caro Simon, non ho ben compreso il motivo della censura/cancellazione del commento di ML che pure ho avuto il tempo di leggere per intero…

            E’ sufficiente dire che era “O.T.”? Mah, direi che talvolta gli O.T. soprattutto nei commenti, si sprecano anche qui su Croce-Via…
            La loro moderazione talvolta c’è, talvolta si da un avviso, ma rarissimamente (mio pare di ricordare), vi è una subitanea rimozione.

            Era poi commento davvero così O.T.?
            Se ci si volesse confrontare su una linea “editoriale” o di pensiero, che si evince (o si crede in buona fede di evincere) da una serie di articoli ricorrenti e che paiono avere un filo conduttore, uno scopo ultimo, come si dovrebbe fare e si può fare o è negato?

            Per cui, dato il tema affrontato da ML nel commento rimosso, si potrebbe giungere alla conclusione, magari erronea, che semplicemente non era gradito… (e padrone di rimuoverlo).
            Non mi era parso così “immaturo e emozionale” o peggio offensivo, solo esprimeva un dubbio (lecito) e criticava quel che ML coglieva come un pensiero che sottende ad una serie di ultimi articoli tuoi.

            Vagheggiamenti di ML? Beh, Simon, mi spiace sinceramente dirlo, ma sono dubbi e domande che sono sorte anche a me leggendoti, laddove in un blog che si dichiara “tomista” e al quale riconosco una caratura teologica-filosofica di alto livello, ci si ritrova con un articolo che muove i suoi “primi passi” con:

            “Incredibile ma vero, secondo Vatican Insider e la Repubblica, questa volta oggettivi alleati sul tema, la crisi degli abusi clericali verrebbe usata dagli oppositori di Bergoglio per espellerlo dal papato secondo il Cardinale Kasper.”

            Al che mi verrebbe da dire … ma chissenefrega!

            Forse che Croce-Via si è trasformato nella grancassa di questo o quel vagheggiamento di chicchessia, fosse anche per contrastarne le balzane tesi?

            O lo fa (Croce-Via o tu o è la stessa cosa, non so) come pretesto per sviluppare un preciso discorso con preciso intendimento?

            Quali poi i frutti del discorso sviluppato in quell’articolo? A parte rare eccezioni, commenti conditi anche di lazzi-frizzi, battute e ammiccamenti di chi non tollera o irride questo Papa, mancando ad ogni principio di verità, giusta deferenza e persino misericordia?
            Commenti per altro ben poco “moderati” (mentre quello di ML è censurato).

            O quale il senso ultimo (e l’urgenza) di un articolo come quello sotto cui commento, che pur se ampiamente sviluppato con dovizia di argomenti (ma la bontà – nel senso evangelico del termine – di un articolo non si misura né dalla sua ampiezza, né dalla dovizia di argomenti) ha nelle premesse ammiccamenti più che evidenti a critiche ben note mosse al Santo Padre e che con una ironia del tutto fuori luogo riporta:

            “Lo so, carissimi utenti, che mi direte che queste cose sono impossibili e non si verificherà mai concretamente nel 2019 che ci possano essere vescovi “cattolici” di tal fatta che potrebbero anche immaginare dire o fare anche un solo degli esempi assolutamente ipotetici un po’ assurdi qui sopra riportati…

            Se vuoi parlare del Santo Padre, non ti nascondere dietro la foglia di fico del discorso sui Vescovi o sul Vescovo della diocesi di Monaco e Freisingen, oppure parla del caso specifico e non la fare tanto lunga con una premessa che raccoglie casistiche di ogni tipo che sanno tanto i “strizzatine d’occhio” a chi vuol capire capisca…

            Se invece non c’era alcuna delle intenzioni che io ho malamente colto, beh fratello, accetta il fatto che per come hai composto il tutto e per il susseguirsi degli argomenti da te ultimamente scelti, qualche dubbio e perplessità (leciti) puoi suscitare in chi ti legge.

            Altri non avranno che da applaudire…

            Inevitabilmente leggerai quanto scrivo e tanto mi basta, poi se anche il mio commento andrà cancellato come O.T., la cosa non mi preoccupa.

            P.S sul articolo in oggetto mi tocca dire che pare in sostanza, solo invitare i fedeli a prendere esempio dai “gilet gialli”, come se si potesse prendere esempio in questioni della Chiesa da simili iniziative, tanto umane che pretendono tanta umanissima “giustizia”.

            • Mi scuserai caro Bariom se non intendo rispondere a processi di intenzione e illazioni gratuite: li lascio alla tua coscienza.
              Buona e santa domenica
              In Pace

              • Ti scuso certo…

                Credo però talvolta sia necessario un confronto franco e diretto in cui prendere in considerazione chi ci mostra le proprie perplessità e dubbi, peraltro mossi al contrario di quanto si possa credere, da stima e sincera preoccupazione, che può anche vederci in un errore di interpretazione o fraintendimento.

                Se ci trinceriamo dietro il “non accetto illazioni” e “non rispondo”, dando quindi ad intendere che è impossibile noi si sia in errore o essendo nel giusto non ci si voglia abbassare a spiegazioni, facciamo veramente poca strada nel reciproco cammino… e per dirla tutta, qualunque altro discorso sarebbe futile e inutile.

                Buonanotte e Buona Santa Domenica anche a te.

              • Bene ecco le mie risposte a questi OT:
                (1) Decido io, ed io solo, dei soggetti che mi interessano e che desidero condividere: sono io che non accetto la censura di quel che desidero esprimere nel modo in cui desidero esprimerlo. Non c’è obbligo per nessuno di leggermi, salvo se si desidera fare commenti in calce
                (2) Se, soggettivamente, in quanto moderatore non desidero vedere un commento in CV con più o meno subitanea rimozione, sono e rimango insindacabile: non ho neanche da spiegare il perchè. Se non piace ci si riferisca al punto uno. Per la cronica, non ho trattato ML peggio di altri trolls di segno opposto di cui non sai niente perchè semplicemente e per l’appunto non li vedi pubblicati: anzi, sono in generale molto leniente con lui.
                (3) L’articolo su Kasper che mi rinfacci: guarda che il il Card Mueller dice la stessa cosa nella sua ultima intervista proprio di oggi http://www.lanuovabq.it/it/mueller-i-veri-nemici-del-papa-sono-i-cortigiani
                Contrariamente a quel che tu pensi, il soggetto è importantissimo e non accetto che chi lotta contro l’omosessualismo nella Chiesa sia accusato di essere contro Papa Francesco in quanto tale! Che questo ti sia ben ben chiaro!
                (4) A proposito dei frutti: i frutti sono possibili se, e solo se, chi interviene si dia la briga di leggere il post iniziale, e di criticarlo e commentarlo cercando di continuare l’approfondimento. Chi crea OT impedisce i frutti ed è quel che vogliono i trolls, impedire per l’appunto che si vada al fondo del soggetto proposto.
                (5) Rispetto agli ammiccamenti: mi stai dicendo, tu , che questo Papa è un eretico ed un incompetente? Di due cose l’una, sia lo pensi e sei un ipocrita, sia non lo pensi e questo articolo non si riferiva a lui, ma solo, molto più generalmente, ai pessimi vescovi che troppo spesso ci circondano, di cui è stato dato un esempio concreto che è già oggetto di scandalo pubblico. È vero che tale articolo si potrebbe anche applicare al vescovo di Roma se fossimo in una situazione di tal fatta: ad ognuno con il proprio sensus fidei (del qual non fa parte considerare il vescovo di Roma come un’entità impeccabile aldisopra della Chiesa) di valutarlo in coscienza e nella preghiera.
                (6) In sostanza dico che il populum fidelium che vive di un genuino sensus fidei ha perfettamente il diritto che gli viene da Cristo stesso e in ultima istanza di scendere in strada e di implorare il proprio vescovo di andarsene liberamente (e sì anche nel caso limite che vedrebbe lo stesso vescovo di Roma coinvolto e dove non c’è bisogno di aspettare che i cardinali lo facciano, basta che i fedeli ed i chierici della diocesi di Roma, ma solo loro, lo facciano): tale richiesta risuonerà all’orecchio del vescovo come una chiamata ultima dello Spirito Santo alla conversione e, se vi si dovesse chiudere, egli anche sa che il solo peccato che non può mai essere perdonato è proprio quello contro lo Spirito Santo.
                In Pace

        • “. Insomma un blog che censuri le offese e non le idee. ”

          Che è quello che ho chiesto io più volte. (censurata dai bergogliani tra l’altro).

          Forse questi strappi avvengno perchè ci sono troppe tensioni e le tensioni richiedono tempo per essere risolte, purtroppo non basta nè l’autoritarismo del Papa dall’alto nè la “democrazia” dal basso.

          E’ un periodo doloroso.

          • Infatti nella Chiesa non c’è posto nè per autoritarismo nè per per democrazia in quanto è composta dal Popolo di Dio : sola la Chiesa in quanto Corpo può “decidere” sulla base del sensus fidei che La anima.

            In Pace

              • Ottimo: spero che tu legga questo documento di studio della CTI, lo capisca e ne faccia il legame con quel che stato discusso qui e con la Pastores Gregis che è Magistero.
                In Pace

                • Mi preme far presente che un laico od anche un chierico, si desume, ha potere di adire in tribunale contro il vescovo non solo civilmente ma soprattutto in questioni religiose.
                  Chiunque abbia problemi si assuma dunque le sue responsabilità.

                  La costituzione apostolica “In nomine Domini” di Niccolò II fà una cosa buona ed una malvagia : nega l’intervento del potere secolare nell’elezione del papa ( cosa che era già condannata dal canone degli apostoli e confermata e ripresa dal II concilio ecumenico di Nicea al canone III ) ma esclude il popolo dalla scelta dello stesso.
                  Non è corretto dire che il popolo possa confermare l’elezione , questo canonicamente riguarda il metropolita della provincia. Il problema è la sua esclusione e se il papa volesse trovare la fonte del clericalismo, la cerchi qui, assieme a tutti i tridentini che vanno in brodo di giuggiole per i procedimenti anticanonici tipici del loro costume.

                • Infatti, Dauda, nell’articolo di cui sopra, nella terza parte appare chiaramente che, all’elezione, ci deve essere sintonia tra il popolo ed i chierici, e che sono sempre i chierici che confermano la scelta/proposta del popolo.

                  Quanto all’esclusione, se c’è una gerachia capace di escludere, essa procederà secondo i canoni, ma se siamo nel caso di una gerarchia che non sia capace perchè incapacitata per qualsiasi ragione o perchè in maggioranza non insegna più quel che la Chiesa insegna, come nei tempi dell’arianesimo imperante, chi ha il sensus fidei sa che l’essere è superiore al tempo e allo spazio, e la Chiesa continua a sussistere in quel Popolo di Dio (chierici e laici) che vive del sensus fidei.

                  Grazie

                  In Pace

  4. Una immagine vale più di mille parole…

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