Et ne nos inducas in tentationem

Pater Noster

Proprio in questo periodo sto lavorando ad una traduzione dell‘Expositio in orationem dominicam di san Tommaso d’Aquino, in vista di una prossima pubblicazione. A seguito delle recenti polemiche generate dalla modifica della versione ad uso liturgico del Padre Nostro decisa dalla CEI, mi sembrava una cosa utile anticipare sulle colonne del nostro Blog la traduzione dell’articolo 6 di quest’opera.

“C’è chi, anche se ha peccato, desidera ciononostante ottenere il perdono dei suoi peccati; allora si confessa e fa penitenza, ma non impiega tutto l’impegno che dovrebbe per non ricadere nel peccato. Non è bello che uno da una parte pianga e faccia penitenza per i propri peccati e nondimeno, dall’altra, pecchi, accumulando motivi per versare altre lacrime. Per questo sta scritto: “Lavatevi, mondatevi, togliete dai miei occhi la malizia dei vostri pensieri, ponete fine al mal fare” (Is I,116). Nell’invocazione precedente Cristo ci insegnava a chiedere perdono per i peccati, qui ci indica come dobbiamo domandare che ci venga concesso d’evitarli. Cioè ci insegna a chiedere di non essere indotti in tentazione, la quale ci fa scivolare nel peccato: e non ci indurre in tentazione.

Ci poniamo tre problemi: 1) che cos’è la tentazione; 2) come e da chi l’uomo è tentato; 3) come viene liberato dalla tentazione.

1) Tentare altro non è che sperimentare, mettere alla prova. Per cui tentare un uomo significa mettere alla prova la sua virtù. La virtù dell’uomo si sperimenta (o si prova) in due modi, poiché sono due le esigenze di detta virtù: il buon comportamento, che egli cioè agisca bene; guardarsi dal male: “Evita il male e fai ciò che è bene” (Sal 33, 15). Così viene verificata la virtù dell’uomo: a volte dal suo agire bene, altre dal suo fuggire il male.

Nel primo caso, si prova se l’uomo sia pronto al bene, come digiunare, ecc. La tua virtù è quindi grande quando sei pronto al bene. È così che delle volte Dio mette l’uomo alla prova; non perché Egli ignori la virtù dell’uomo, ma perché tutti la conoscano e possano trarne esempio. Mise così alla prova Abramo e Giobbe. Questo ancora è il fine in vista del quale permette che i giusti siano tentati: affinché, sopportando essi con pazienza facciano risplendere e accrescano ulteriormente la propria virtù. “Il Signore, vostro Dio, vi mette alla prova affinché si veda se lo amate, o no” (Dt 13, 3). Dunque, Dio mette alla prova per provocare al bene.

Inoltre, l’umana virtù viene messa alla prova dal contatto con il male. Se l’uomo resiste bene, rifiutandosi di accordare la propria adesione, la sua virtù è stata grande; se, invece, l’uomo soccombe alla tentazione, allora la sua virtù è inesistente. Dio non tenta mai nessuno nella seconda maniera: “Dio non prova al male, non tenta nessuno” (Gc 1, 13).

2) L’uomo, invece, è tentato dalla propria carne, oltre che da parte del diavolo e del mondo.

Dalla carne in due sensi:

La carne ci sollecita al male nella sua ricerca insaziabile di soddisfare i sensi, e spesso qui si annida il peccato. Chi rimane involto nel diletto della carne trascura necessariamente le esigenze dello spirito. “Ognuno viene tentato dalla propria concupiscenza” (Gc l, 14).

La carne distoglie dal bene l’anima che, per innata tendenza, cercherebbe diletto sempre nei beni spirituali; ma la zavorra della carne appesantisce lo spirito. “Il corpo corruttibile aggrava lo spirito” (Sap 9, 15). Ancora: “Nell’uomo interiore, mi compiaccio della legge di Dio, avverto, però, nelle mie membra un’altra legge, che fa guerra alla legge del mio spirito, e m’incatena alla legge del peccato, vigente nelle mie membra” (Rm 7, 22-23). Questo tipo di tentazione proveniente dalle nostre membra è quanto mai pericoloso, trattandosi di un’insidia che cova dentro di noi. Boezio osserva in proposito che non esiste peggior flagello di un nemico che si nasconda tra le pareti domestiche (De cons. phil., III, prosa V). Contro la carne, perciò, si deve stare in guardia: “State svegli e pregate, per non entrare in tentazione” (Mt 26, 41).

La seconda tentazione, fortissima, viene dal diavolo. Se un uomo ha saputo respingere gli assalti della carne, ecco farsi avanti un altro nemico, il diavolo, contro cui il conflitto si fa ancor più drammatico. “Non dobbiamo lottare contro carne e sangue, ma contro Principati e Potestà, contro i Signori di questo mondo delle tenebre (Ef 6, 12). Satana, perciò, è detto espressamente tentatore: “Non vi tenti colui che è il Tentatore” (1Ts 3, 5). Egli, nel tentare, è astutissimo. Ricorre alla tattica d’un consumato comandante che, cinto d’assedio un castello, studia quali siano i punti più vulnerabili delle mura. Così fa Satana, che porta la tentazione dove sa che l’uomo è più vulnerabile. Nel caso di individui che, ad esempio, abbiano acquistato l’autocontrollo sopra gli impulsi della sensualità, li smuove mediante altre passioni, come l’ira, l’intemperanza nel parlare e altri vizi che più da vicino interessano lo spirito, verso i quali sono maggiormente proni. Il vostro nemico, “Il demonio, come leone ruggente, gira attorno, cercando chi divorare” (1Pt 5, 8)

Nel tentarci, il diavolo mette in moto due espedienti: innanzitutto provvede a nascondere sotto una qualche parvenza di bene il fine cattivo a cui vorrebbe piegarci. In tal modo ottiene di smuovere quasi impercettibilmente la volontà; dopo di che la seduce, ormai senza riparo. Dice l’Apostolo: “anche Satana si trasforma in Angelo di luce” (2 Cor 11, 14). Quando la colpa è stata commessa, allora egli afferra saldamente il peccatore impedendogli in tutte le maniere di rialzarsi. “Le innervature dei suoi testicoli sono rimaste bloccate” (Gb 40, 12). Due accorgimenti, quindi, pone in atto il Diavolo: dapprima ci piega con l’inganno, quindi rinsalda la schiavitù del peccato.

Anche il mondo tenta in due maniere: con un eccessivo, smodato desiderio di beni temporali “Radice di tutti i mali è l’avidità” (I Tm 6, 10); con il terrore esercitato da tiranni e persecutori: “Anche noi siamo avvolti nelle tenebre” (Gb 37, 19), “Quelli che vogliono vivere secondo la dottrina di Gesù Cristo, conosceranno la persecuzione”(2 Tm 3, 12), ma non dobbiamo temere coloro che sono in grado di far del male unicamente al corpo (cfr Mt 10, 28).

Da quanto detto, risulta: che cos’è la tentazione; come e da chi l’uomo è tentato.

3) Resta da vedere come l’uomo viene liberato. Cristo non ci ha insegnato a chiedere di non esser tentati, bensì di non essere indotti (condotti) in tentazione. Se l’uomo supera la tentazione, merita la corona, come leggiamo:”Quando incorrete, fratelli, in molteplici tentazioni, questo considerate perfetta letizia” (Gc I, 2). Oppure: “Figlio, se ti impegni nel servizio del Signore, disponi la tua anima alla prova” (Sir 2, 1). Come pure: “Beato l’uomo che sopporta pazientemente una prova perché, una volta collaudato, riceverà la corona della vita, che il Signore promise a quelli che lo amano” (Gc 1, 12). Quindi ci viene insegnato a chiedere di essere assistiti, nel corso della prova, affinché non acconsentiamo agli allettamenti del male: “Mai una tentazione, che non fosse umana, vi ha sorpreso” (1Cor 10, 13).

Ma è mai possibile che Dio, stando alle parole che diciamo (“Non indurci in tentazione”), induca al male?

Infatti, essere tentato è umano, ma acconsentire è diabolico. Si dice che Dio induce al male volendo intendere che lo permette, privando l’uomo della propria grazia, a causa di molti peccati. Tolta la grazia, l’uomo cade nel peccato, perciò cantiamo: “Quando verrà meno la mia forza, non abbandonarmi (Sal 70, 9), o Signore. Dio, però, sostiene l’uomo col suo ardente amore, per non farlo cadere nella tentazione; giacché l’amore, per piccolo che sia, può resistere a qualsiasi peccato. “Grandi acque non potettero spegnere l’amore” (Ct 8, 7)

Ancora attraverso il lume della retta ragione, per cui discerniamo il male dal bene. Anche per Aristotele, infatti, chiunque erra, agisce con la mente in qualche modo offuscata. Davide faceva bene pertanto a chiedere: “Illumina gli occhi miei, sicché non m’addormenti nella morte, perché non possa mai dire il mio nemico di avere prevalso su di me.” (Sal 12, 3-5). Tanto otteniamo grazie al dono dell’intelletto. E non acconsentendo alla tentazione, manteniamo puro il cuore, meritando perciò la visione di Dio. “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5, 8).



Categories: Attualità cattolica, Filosofia, teologia e apologetica

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16 replies

  1. A me non da fastidio il cambio, anche perché se ne parlava da molto tempo e mi ero preparata. Mi sembra che abbandonare non suoni meglio di tentare, anzi tentare può dare l’impressione di un interessamento diretto mentre abbandonare può sembrare un rifiuto, però basta spiegare, nessuna delle due formule è completamente chiara.

    • Non si prende neppure in considerazione l’ idea che le preghiere, qualunque preghiera, entrate nella devozione dei fedeli , non sono degli esercizi di comprensione intellettuale,ma una supplica che ripetuta per centinaia, migliaia, milioni di volte,sempre nello stesso modo, come un mantra, hanno un effetto nel subconscio . La Recita del Rosario e delle Litanie per esempio , con le continue ripetizioni, conduce non ad una puntuta e continua e razionale attenzione al significato delle parole che si dice ma la loro ripetizione induce nella mente uno stati quasi di pre-estasi. Questo sanno bene i cattolici Ortodossi con la loro preghiera incessante del Nome o esicasmo , che vuol dire ripetere incessantemente e quasi SENZA PENSARE le parole” Gesu’ Cristo figlio di Dio pieta’ di me peccatore” . Queste parole non saranno il massimo, magari si puo’ dir meglio, ma nessun Ortodosso si sognerebbe di cambiarle, perche’ il punto e’ che la ripetizione continua delle STESSE parole impedisce alla mente di vagare .
      Il razionalismo estremo a cui e’ arrivata ormai la Chiesa cattolica, non solo nella Liturgia ma anche nell’ attuale mania di perfezionismo nelle traduzioni, vuol sviscerare razionalmente ogni frase , e’ molto, direi pericolosamente affine alla mentalita’ protestante. Cambiare le parole del Padre Nostro e’ un offesa razionalistica a tutti i fedeli che per anni hanno ripetuto “ Non ci indurre in tentazione” Significa dire loro che erano stupidi a dire queste parole, parole sbagliate e che per fortuna i sapienti e gli intelligenti ( si fa per dire) di oggi hanno capito il VERO significato. Andando avanti col razionalismo e col disprezzo della tradizione e della devozione , la Chiesa cattolica di ridurra’ come quella protestante, cioe’ a percentuali dello 0, percento della popolazione.
      Perche’ gli uomini pregano e cercano nella Liturgia l’ esperienza religiosav e spirituale che li mette in comunicazione con Dio. Non cercano la purita’ filologica o discettazioni dei traduttori.
      Sapete quanti ßemplici fedeli continueranno a dire il Padre Nostro come l’ hanno sempre detto ? Saranno la maggioranza.

  2. Io ho scelto la via mediana, quella che meglio riesce, più dell’italiano, a tradurre l’originale greco, e cioè il latino: “Et ne nos inducas in tentationem”.

    • Il problema è capire che cosa si intenda dire con quella formula. San Tommaso ne commenta proprio la versione latina e per chiarine il senso non trova di meglio che citare “Quando verrà meno la mia forza, non abbandonarmi” (Sal 70, 9). Questo perché quando noi diciamo che Dio induce (conduce) alla tentazione intendiamo far riferimento alla sottrazione della grazia, che sola può darci la forza di resistere alla medesima.

  3. Vedo che nonostante la grande pazienza e cultura di “Trianello”, che ha esposto le origini e la storia delle traduzioni del Padre Nostro , ed anche la spiegazione tomista, quasi tutti gli altri non perdono occasione per insistere nell’ennesima critica verso questo papato.
    Manco nel Partito Democratico c’è tanto astio.
    Mi chiedo quale sarebbe il fine , e cosa si voglia ottenere, se non la lenta diffamazione della Chiesa , senza vantaggio alcuno per nessuno.
    Mi permetto di citare la lettera di San Paolo ai Filippesi :
    “Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore. È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni. Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita” (Fil, 12-16) .
    Senza mormorazioni e senza critiche, perchè possiate splendere come astri.
    Guardiamoci piuttosto tutti con severità : splendiamo forse come astri in questa generazione perversa, oppure verso la Chiesa ci comportiamo esattamente come il mondo, pieni di maldicenze, critiche, mormorazioni, malizie, e tutti i generi di peccati,
    Ognuno rifletta se sia più importante dire “non ci indurre in tentazione” , o sia più importante l’obbedienza silenziosa alla sapienza della Chiesa, anche quando non la condividiamo e la capiamo.
    Buona serata

    P.S. Neppure uno spirito estroso e preparato come Padre Ariel può esimersi dall’obbedir, alla Chiesa a cui appartiene, senza pubblici commenti maliziosi. Esser preti è una grande responsabilità . Esser preti colti ed intelligenti lo è ancor di più, perchè comporta saper usar la propria cultura ed intelligenza verso il bene, e dover render conto un giorno di questo utilizzo.

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