Al Croce-Via Del Futuro

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I

Già più di due anni fa con il nostro articolo Ex-Machina ci eravamo ripromessi di cominciare una riflessione sistematica circa quel fenomeno ancora ampiamente sottovalutato e semplicemente considerato come aneddotico negli ambienti di riflessione cattolica, salvo fatta qualche eccezione, che è il transumanesimo.

Un evento letterario ed uno cinematografico sono l’occasione circostanziale per noi di mandare avanti questo nostro progetto di scrutare questo fenomeno culturale che ormai pervade completamente la nostra società nell’attesa che un giorno la Chiesa si pronunci sul piano della fede e dei costumi rispetto a questo movimento di idee perverso e pervasivo sotto i suoi aspetti apparentemente innocui e, sotto molti aspetti, affascinanti.

L’evento letterario è la pubblicazione da parte dello storico medievalista israeliano ateo, ma vegano e buddista, Yuval Noah Harari il quale, dopo aver scritto una “storia” dell’umanità con “Sapiens”, ha appena pubblicato una “storia” del futuro con “Homo Deus” : nel suo fan club vi troviamo Obama, Zuckerberg, Gates e anche Macron.

In questo libro l’autore contempla due possibili scenari per il futuro dell’umanità: nel primo la formazione di due caste, quella dei super-uomini dotati di capacità tecnologicamente aumentate e la casta degli inutili; nel secondo scenario vi è invece l’avvenimento di una nuova religione chiamata “Dataismo” che segna la fine dell’homo sapiens ed il suo rimpiazzamento da intelligenze artificiali al quale sono cedute ogni autorità.

A cosa servirebbe andare a votare quando gli algoritmi dell’intelligenza artificiale già conoscono in anticipo i risultati di possibili votazioni basandosi non solo sui dati conosciuti ed i comportamenti passati e presenti del colleggio elettorale oltre che conoscere le strutture neurobiologiche che sottendono il pensiero di destra o di sinistra di ogni futuro votante, si chiede Yuval Noah Harari.

Ma, già adesso, egli fa rimarcare che siamo tutti dei praticanti, senza saperlo, del Dataismo, quando ogni volta che cerchiamo una risposta ai nostri problemi andando su Google invece di rivolgerci ad un sacerdote o di leggere la Bibbia. Se qualche dubbio fosse ancora sussistente, basterebbe notare che già  Amazon  conosce i nostri desideri di acquisto…

Il film che ci ha interpellato è la sequela 2017 del famosissimo Blade Runner del 1982 ed è intitolato “Blade Runner 2049” : li vi vediamo intrecciate due problematiche: cosa fa dell’Intelligenza Artificiale Joi qualcosa di così vicino ad un umano da un lato, e in cosa il fatto di essere nato come un umano discendente di un umano e di un replicante faccia di un replicante un umano.  Probabilmente un film pro-life senza saperlo.

II

Lo vediamo: è ormai più che ora che noi, cattolici ”pensanti” che si devono posizionare nel mondo contemporaneo, ci affacciamo su questa realtà molteplice del transumanesimo con uno sguardo che sia capace di distinguere cosa ci sia in questa moda come insegnamento sull’umano stesso e come trarne qualcosa di positivo evitando di posizionarci nella sola negatività di fronte ad un fenomeno che sarà sempre più esponenzialmente travolgente specialmente nelle nostre società occidentali che non hanno più midollo osseo e che si lasciano plasmare dalle mode e dai miraggi secondo desideri e impulsioni istintive gestite dal mercato invece che da una volontà razionale focalizzata sul progresso reale dell’umanità.

Non possiamo e non vogliamo, qui su Croce-Via, promuovere uno sguardo impaurito sul progresso tecnico ma vogliamo, all’opposto, assumere pienamente la missione che ci ha dato il Creatore nella nostra relazione costruttiva con il Creato, il che implica anche l’uso e lo sviluppo della tecnologia.

Il testo fondamentale al soggetto della tecnologia dal quale ispirare le nostre riflessioni al soggetto del Transumanesimo deve essere la Caritas in Veritate del 2009 di Benedetto XVI in particolare nel suo capitolo VI.

In particolare vorrei riportare questi estratti del paragrafo 70 e utilizzarli come linea guida per le nostre prossime riflessioni e, spero,  quelle dei nostri altri autori che sarebbero interessati di raggiungerci per meglio sviscerare il soggetto positivamente:

“Lo sviluppo tecnologico può indurre l’idea dell’autosufficienza della tecnica stessa quando l’uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire. È per questo che la tecnica assume un volto ambiguo. Nata dalla creatività umana quale strumento della libertà della persona, essa può essere intesa come elemento di libertà assoluta, quella libertà che vuole prescindere dai limiti che le cose portano in sé. Il processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica [152], divenuta essa stessa un potere ideologico, che esporrebbe l’umanità al rischio di trovarsi rinchiusa dentro un a priori dal quale non potrebbe uscire per incontrare l’essere e la verità. In tal caso, noi tutti conosceremmo, valuteremmo e decideremmo le situazioni della nostra vita dall’interno di un orizzonte culturale tecnocratico, a cui apparterremmo strutturalmente, senza mai poter trovare un senso che non sia da noi prodotto. Questa visione rende oggi così forte la mentalità tecnicistica da far coincidere il vero con il fattibile. Ma quando l’unico criterio della verità è l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo viene automaticamente negato. Infatti, il vero sviluppo non consiste primariamente nel fare. Chiave dello sviluppo è un’intelligenza in grado di pensare la tecnica e di cogliere il senso pienamente umano del fare dell’uomo, nell’orizzonte di senso della persona presa nella globalità del suo essere. Anche quando opera mediante un satellite o un impulso elettronico a distanza, il suo agire rimane sempre umano, espressione di libertà responsabile. La tecnica attrae fortemente l’uomo, perché lo sottrae alle limitazioni fisiche e ne allarga l’orizzonte. Ma la libertà umana è propriamente se stessa solo quando risponde al fascino della tecnica con decisioni che siano frutto di responsabilità morale. Di qui, l’urgenza di una formazione alla responsabilità etica nell’uso della tecnica. A partire dal fascino che la tecnica esercita sull’essere umano, si deve recuperare il senso vero della libertà, che non consiste nell’ebbrezza di una totale autonomia, ma nella risposta all’appello dell’essere, a cominciare dall’essere che siamo noi stessi.”

In questo testo papale, vi è condensato tutto il nostro programma di riflessione:

  • La confusione tecnicista tra “vero” e “fattibile”
  • La relazione tra fascino della tecnica e responsabilità morale
  • L’essere noi stessi come sola libertà

La nostra proposta si baserà anche, implicitamente ed esplicitamente, su queste nostre tre convinzioni “assolute”:

  • Sperimentiamo direttamente la trascendenza del nostro proprio io

Caritas in Veritate 74: “Le scoperte scientifiche in questo campo e le possibilità di intervento tecnico sembrano talmente avanzate da imporre la scelta tra le due razionalità: quella della ragione aperta alla trascendenza o quella della ragione chiusa nell’immanenza. Si è di fronte a un aut aut decisivo. La razionalità del fare tecnico centrato su se stesso si dimostra però irrazionale, perché comporta un rifiuto deciso del senso e del valore. Non a caso la chiusura alla trascendenza si scontra con la difficoltà a pensare come dal nulla sia scaturito l’essere e come dal caso sia nata l’intelligenza”

  • Il progresso tecnologico è cosa buona e affascinante

Caritas in Veritate 69: “Il problema dello sviluppo oggi è strettamente congiunto con il progresso tecnologico, con le sue strabilianti applicazioni in campo biologico. La tecnica — è bene sottolinearlo — è un fatto profondamente umano, legato all’autonomia e alla libertà dell’uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia. Lo spirito, «reso così “meno schiavo delle cose, può facilmente elevarsi all’adorazione e alla contemplazione del Creatore” » [150]. La tecnica permette di dominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, di migliorare le condizioni di vita. Essa risponde alla stessa vocazione del lavoro umano: nella tecnica, vista come opera del proprio genio, l’uomo riconosce se stesso e realizza la propria umanità. La tecnica è l’aspetto oggettivo dell’agire umano [151], la cui origine e ragion d’essere sta nell’elemento soggettivo: l’uomo che opera. Per questo la tecnica non è mai solo tecnica. Essa manifesta l’uomo e le sue aspirazioni allo sviluppo, esprime la tensione dell’animo umano al graduale superamento di certi condizionamenti materiali. La tecnica, pertanto, si inserisce nel mandato di “coltivare e custodire la terra” (cfrGn 2,15), che Dio ha affidato all’uomo e va orientata a rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio.”

  • Sola l’innovazione tecnologica moralmente giustificata è progresso.

Caritas in Veritate 71: “Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune”

In Pace



Categories: Cortile dei Gentili, Transumanesimo

3 replies

  1. Direi 3 convizioni “oggettive”, come insegni tu Simon. 😉 Grazie ancora per questo tua nuova riflessione condivisa a più puntate. Non vedo l’ora di addentrarmi nel confronto, senza paure ma con sicura convinzione che l’uomo non sia certo riducibile ad elementi puramente fisici, anzi materiali.

  2. Grazie Simon, argomento interessante e di attualità. Grazie soprattutto per la citazione di Caritas in veritate che veramente fa al caso e porta la attenzione alle questioni fondamentali sull’argomento tecnica-tecnologia-transumanesimo: la creatività umana che è alla base di ogni tecnica-tecnologia (e quindi la trascendenza come orizzonte necessario di ogni questione umana) e la libertà responsabile, due termini inseparabili (non è libertà senza responsabilità e non è responsabilità senza libertà).
    In particolare il fattore umano è sempre dimenticato quando si parla di argomenti di attualità, come ad esempio di ecologia, e noto che crea qualche fastidio quando si tenta di riportarlo alla consapevolezza di chi discute: coloro preoccupati per le sorti dei pinguini per via del global warming (colpa ovviamente dell’uomo cattivo e cancro del pianeta) si agitano assai quando faccio loro notare che non è che i pinguini si preoccupano tanto della sorte dell’essere umano (o di qualsiasi altro animale) e che green peace, l’attivismo ecologista o i veterinari non li hanno certo inventato i pinguini.
    Vorrei inoltre citare una frase del tuo post che mi ha particolarmente colpito: “siamo tutti dei praticanti, senza saperlo, del Dataismo, quando ogni volta che cerchiamo una risposta ai nostri problemi andando su Google invece di rivolgerci ad un sacerdote o di leggere la Bibbia”. E’ un campanello d’allarme che dovrebbe farci riflettere, a me fa pensare a quanto tempo passo in rete e quanto tempo a pregare, a Messa ecc.
    Buona giornata a tutti!

  3. Io credo che la sfida al postumanesimo si giochi ampiamente sull’avere cognizione degli universali. Degli universali si ha solo cognizione. Non si può darne una definizione ma solo tentare una descrizione, spesso solo in forma allusiva o analoga, peraltro mai… definitiva. Dunque non è possibile trattarli sistematicamente benchè necessari per qualsiasi sistema, con buona pace di tutti gli artefatti, artifici o sintetizzazioni che possiamo fare da qui all’infinito ed oltre.

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