Arcana Amoris Laetitiae

ArcanumDopo che il Santo Padre ha ricordato qualche giorno fa l’essenza teologica tomista di Amoris Laetitia,  riproponiamo una riflessione di fondo fatta più di un anno  fa al soggetto.

Arcanum è il nome dato ad una categoria di rose e ci è sembrato il nome appropriato per questo articoletto di Croce-Via sul mistero il più insondabile dell’Esortazione post-sinodale di Papa Francesco , Amoris Laetitia ma al contempo luogo dove si può respirare a pieni polmoni il Buon Odore di N.S. Gesù Cristo : il bellissimo capitolo ottavo, intitolato “ACCOMPAGNARE , DISCERNERE E INTEGRARE LA FRAGILITÀ”, letto da troppo pochi in intero e con filale ossequio della volontà e dell’intelligenza come si addice al cattolico che vuole imitare l’Obbedienza del Figlio di Dio a Suo Padre che è nei cieli.

Questo articoletto può essere letto da solo, ma giova alla sua piena comprensione la previa lettura dei nostri quattro interventi precedenti in materia Amoris Laetitia e Epikeia, Algebra et Amoris Laetitia, Magistero: Costruzioni e Rappresentazioni, Amoris Laetitia: Nuovo Paradigma Cattolico.

Per ben capire e gioire pienamente di questo capitolo ottavo bisogna aver ben presente due dimensioni: la prima dimensione è  che non c’è nessuna sospensione di alcuna legge né di alcun precetto quando si applica l’epikeia, ma, in realtà, essa è come un un processo di “incarnazione” di precetti sempre validi enunciati in modo astratto alla realtà concreta. E questo non può avvenire secondo “l’umore” del giudice (la Chiesa tramite il confessore), ma deve sempre seguire una logica che rispetta la struttura stessa che lega le varie leggi e precetti tra di loro. Non tutti i precetti hanno lo stesso valore ma sono subordinati gli uni con gli altri in un traliccio abbastanza complesso che solo l’esercizio delle quattro virtù cardinali permette di dipanare nel mondo reale.

La seconda dimensione è la legge della gradualità espressa esplicitamente nel punto 295 di Amoris LAetitia: “In questa linea, san Giovanni Paolo II proponeva la cosiddetta “legge della gradualità”, nella consapevolezza che l’essere umano « conosce, ama e realizza il bene morale secondo tappe di crescita ». Non è una gradualità della legge”, ma una gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge. Perché anche la legge è dono di Dio che indica la stradadono per tutti senza eccezione che si può vivere con la forza della grazia, anche se ogni essere umano « avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell’intera vita personale e sociale dell’uomo ».”

Tutto il capitolo ottavo è imperniato intorno a queste due dimensioni già dal punto di vista della sua struttura generale: già il titolo del capitolo stesso ci dà l’intenzione generale della Chiesa intorno alle tre tappe della Sua riflessione che sono l’accompagnamento , il discernimento e l’integrazione; dopo aver inquadrato il contesto del capitolo mette immediatamente in evidenza La Gradualità nella Pastorale, procede in seguito sulla nozione di Discernimento delle Situazioni dette Irregolari, guarda alle Circostanze Attenuanti nel Discernimento Pastorale,  stabilisce poi quale debba essere la relazione tra Norme e Discernimento  e conclude detto capitolo traendone la sostanziosa Logica della Misericordia Pastorale.

Siamo quindi di fronte ad una struttura chiara che inizia con il porre il problema, segue con il ricordare la metodologia da applicare, poi applica tale metodologia al caso particolare in un primo tempo analizzandolo, in un secondo tempo guardandone tutti gli aspetti e in particolare le circostanze attenuanti, in un terzo tempo paragonandone le osservazioni fatte alle norme e, infine, conclude deducendone i principi euristici da applicare: questo capitolo ottavo è, in fin dei conti, una bellissima e universale catechesi su come razionalmente valutare le situazioni umane con lo sguardo dell Chiesa e fare quel che la Chiesa vuole sia fatto e cioè, non un giudizio di tipo Si Si No No, ma un processo di integrazione del peccatore che sia infallibile se applicato  con misericordia.

Guardiamo adesso nel dettaglio quel che ci sembrano i punti nevralgici di ogni tappa del ragionamento proposto dal Magistero dell Chiesa.

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Descrizione del Problema

Nel punto 291 la Chiesa ritiene “che ogni rottura del vincolo matrimoniale « è contro la volontà di Dio, [ma, NdR] è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli »”  e  si deve di volgersi “con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite” .

Essa ricorda con fermezza nel punto 292  quanto espresso negli altri 7 capitoli precedenti questo e cioè che “Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società.” 

E puntualizza nello stesso punto che “Altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo” (mi si permetta a titolo personale di apprezzare questa nozione di analogia che indica l’impregnazione tomista di tutto questo capitolo)

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La metodologia da applicare : la gradualità nella pastorale fondata sull’analogia delle situazioni

È in questa tappa che il punto 295 citato più sopra è inserito e dove viene espressa “una gradualità nell’esercizio prudenziale degli atti liberi in soggetti che non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze oggettive della legge”.

Nel punto 293 si sottolinea ancora una volta il carattere analogo, anche se solo parzialmente, dei matrimoni civili e anche delle convivenze e illustra come vi sia tra esse una gradualità nell’analogia stessa con il matrimonio al punto che, arrivata al massimo ” quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio”.

Però ad un livello ben più basso di queste unioni civili “quasimodo” matrimoniali c’è però anche il dato “preoccupante che molti giovani oggi non abbiano fiducia nel matrimonio e convivano rinviando indefinitamente l’impegno coniugale, mentre altri pongono fine all’impegno assunto e immediatamente ne instaurano uno nuovo.”

Anche in questo casi di pauperizzazione estrema dell’impegno matrimoniale “ai Pastori compete non solo la promozione del matrimonio cristiano, ma anche « il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà », per « entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza” e proprio basandosi sugli elementi concreti dell’analogia con il matrimonio è possibile sviluppare un approccio pastorale che sia genuinamente graduale poiché è [n]el discernimento pastorale [che]conviene « identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale »”

Nel punto 294 sono date tutta una serie di illustrazioni esplicite di situazioni dove possono “essere valorizzati quei segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di Dio”, ad esempio quando ” « La scelta del matrimonio civile o, in diversi casi, della semplice convivenza, molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell’unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti »”

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Analizzando concretamente e cioè il discernimento nel caso delle situazioni irregolari

Dopo aver indicato la metodologia da applicare il documento si accinge a guardare da vicino dette situazioni per analizzarle con uno sguardo che sottende la su menzionata legge della gradualità.

Avevamo sottolineato nel nostro post precedente che Amoris Laetitia ha cambiato definitivamente il paradigma pastorale della Chiesa portando a termine un processo allora cominciato con il Sacro Santo Concilio Vaticano II e abbiamo nel punto 296 un’esplicita illustrazione di questo nuovo paradigma pastorale della Chiesa di posizionarsi di fronte al mondo come una realtà spirituale e umana integrativa al servizio dell’umanità intera:

” Il Sinodo si è riferito a diverse situazioni di fragilità o di imperfezione. Al riguardo, desidero qui ricordare ciò che ho voluto prospettare con chiarezza a tutta la Chiesa perché non ci capiti di sbagliare strada: « due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare […]. La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione […]. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero […]. Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita! ». Pertanto, « sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione ».”

Mi permetto di ripetere e di rimettere in evidenza questa frase chiave: poiché la logica da seguire è quella dell’integrazione e della carità  allora “sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni”.  In altre parole, ancora un bellissimo punto di vista tomista, e cioè che la carità sta nella concreta oggettività del reale e non nella sua espressione teoretica la quale, seppur necessaria, può peccare sia di assolutismo che di relativismo.

Questo realismo pratico si esprime immediatamente nel punto 297 dove il Santo Padre, benché sottolineando che “si tratta di integrare tutti” che “nessuno può essere condannato per sempre” aggiunge con ovvio buon senso che “ovviamente, se qualcuno ostenta un peccato oggettivo come se facesse parte dell’ideale cristiano, o vuole imporre qualcosa di diverso da quello che insegna la Chiesa, non può pretendere di fare catechesi o di predicare, e in questo senso c’è qualcosa che lo separa dalla comunità (cfr Mt 18,17)” ma che questa persona ” Ha bisogno di ascoltare nuovamente l’annuncio del Vangelo e l’invito alla conversione”. 

Il primo dovere della Chiesa rimane la stessa “« In ordine ad un approccio pastorale verso le persone che hanno contratto matrimonio civile, che sono divorziati e risposati, o che semplicemente convivono, compete alla Chiesa rivelare loro la divina pedagogia della grazia nella loro vita e aiutarle a raggiungere la pienezza del piano di Dio in loro » sempre possibile con la forza dello Spirito Santo.”

Continuando nello stabilire la lista dei possibili punti di discernimento il documento ricorda che Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe.” “Altra cosa invece è una nuova unione che viene da un recente divorzio, con tutte le conseguenze di sofferenza e di confusione che colpiscono i figli e famiglie intere”.

Una cosa quando ” l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione”, altra cosa ” la situazione di qualcuno
che ripetutamente ha mancato ai suoi impegni familiari”

Una cosa  “il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto” e ancora una cosa “quello di « coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”, ma sempre “Dev’essere chiaro che questo non è l’ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia.”

Discernere è anche vedere quel che è possibile e non possibile fare ad esempio nel punto 299 si sottolinea che nel caso specifico dei divorziati e risposati civilmente “Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Questa integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti »”

A tutti coloro che vorrebbero avere risposte prefabbricate, sterilizzate e liofilizzate è ricordato che “I Padri sinodali hanno affermato che il discernimento dei Pastori deve sempre farsi « distinguendo adeguatamente », con uno sguardo che discerna bene le situazioni. Sappiamo che non esistono « semplici ricette »”  . Considerazione ancora reiterata al punto 300: “Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete, come quelle che abbiamo sopra menzionato, è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi. È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché « il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi », le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi.”.  È epistemologicamente impossibile trattare problematiche della ragion pratica con metodologie della ragion pura!

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Le circostanze attenuanti  nel discernimento pastorale

Una volta fatta la cernita e valutate in modo astratto le varie tipologie delle situazioni irregolari, prima di emettere un giudizio circostanziale, bisogna anche essere capaci di guardare alle circostanze attenuanti che potrebbero, in alcuni casi e a livello individuale e mai generale, diminuire la responsabilità oggettiva degli interessati ma anche per assicurasi di mai ridurre le esigenze del Vangelo!

Cita il punto 301: “Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tenere conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. ”  e continua ricordando che ” La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti “: in effetti qui si tratta di pratiche e riflessioni bimillenarie secondo metodi e sensibilità che si sono raffinati lungo i secoli.

Amoris Laetita ricorda qui alcuni punti essenziali di questa riflessione della Chiesa che da secoli ha chiaramente in vista che “non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano [automaticamente, NdR] in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere « valori insiti nella norma morale » si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa. Come si sono bene espressi i Padri sinodali, « possono esistere fattori che limitano
la capacità di decisione »”

In questo paragrafo ci si rifà direttamente a secondo perno citato all’inizio dell’applicazione dei principi di valutazione etica sviluppati dall’Aquinate: ” Già san Tommaso d’Aquino riconosceva che qualcuno può avere la grazia e la carità, ma senza poter esercitare bene qualcuna delle virtù, in modo che, anche possedendo tutte le virtù morali infuse, non manifesta con chiarezza l’esistenza di qualcuna di esse, perché l’agire esterno di questa virtù trova difficoltà: « Si dice che alcuni santi non hanno certe virtù, date le difficoltà che provano negli atti di esse, […] sebbene essi abbiano l’abito di tutte le virtù »”

Chiaramente Amoris ALetitia non inventa niente al soggetto e rimanda direttamente al CCC in modo esplicito nel punto 302 “Riguardo a questi condizionamenti il Catechismo
della Chiesa Cattolica si esprime in maniera decisiva: « L’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate dall’ignoranza, dall’inavvertenza, dalla violenza,
dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali »  …. Per questa ragione, un giudizio negativo su una situazione oggettiva non implica un giudizio sull’imputabilità o sulla colpevolezza della persona coinvolta …  « In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. […] Il
discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi ».”

Ancora una volta l’Esortazione non si limita ad un blando ricordo di ben capire le scusanti ma ricorda con forza ai confessori e a chi ha carica di anime nella chiesa che malgardo tutte queste circostanze attenuanti  “Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che  per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno.”

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Le norme e il discernimento

Questa tappa è quella che espone in modo non ambiguo la centralità della dottrina dell’Aquinate sull’epikeia: infatti dopo aver descritto alcune situazioni concrete possibili vi è ora un giudizio che deve essere espresso esplicitamente e concretamente sulla relazione tra le norme e la realtà concreta nella quale si trova la persona considerata nella sua situazione irregolare.

Il Santo Padre Francesco prega ” caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale: « Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare ». È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione.”

Sono personalmente felicissimo di queste sottolineature tomiste e della loro giustificazione perfettamente razionale: se c’è un testo perfettamente ortodosso nella sua formulazione dottrinale è proprio Amoris Laetitia.

E ancora, nel punto 305 ricorda la diffrenza, da noi sempre messa in evidenza tra legge assoluta e legge oggettiva, quando ricorda che “In questa medesima linea si è pronunciata la Commissione
Teologica Internazionale: « La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione »”.

Nell’applicazione della norma generale ai casi particolari viene in seguito ricordato il Principio generale al quale ogni epikeia deve sottomettersi che è la Salus Animarum espressa nel punto 306 come Via Caritatis: “In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis. La carità fraterna è la prima legge dei cristiani (cfr Gv 15,12; Gal 5,14). “

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Alcuni principi euristici da applicare concretamente o la logica della misericordia pastorale

(A)  Dal punto 307 :  Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza: …. La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al Vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi. Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano. Oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e così prevenire le rotture.”

(B) Dal punto 308 : “Tuttavia, … , bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno », lasciando spazio alla « misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile ».”

(C) Sempre dal punto 308 : “Comprendo  coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, « non rinuncia al bene possibile, benché
corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada »

(D) Dal punto 309 : “« la Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno ». Sa bene che Gesù stesso si presenta come Pastore di cento pecore, non di novantanove. Le vuole tutte. A partire da questa consapevolezza, si renderà possibile che « a tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi »”.

(E) Dal punto 311: “ L’insegnamento della teologia morale non dovrebbe tralasciare di fare proprie queste considerazioni, perché seppure è vero che bisogna curare l’integralità dell’insegnamento morale della Chiesa, si deve sempre porre speciale attenzione nel mettere in evidenza e incoraggiare i valori più alti e centrali del Vangelo, particolarmente il primato della carità come risposta all’iniziativa gratuita dell’amore di Dio. … . Pertanto, conviene sempre considerare « inadeguata qualsiasi concezione teologica che in ultima analisi metta in dubbio l’onnipotenza stessa di Dio, e in particolare la sua misericordia ».”

(F) Dal punto 312 : “Invito i fedeli che stanno vivendo situazioni complesse ad accostarsi con fiducia a un colloquio con i loro pastori o con laici che vivono dediti al Signore. Non sempre troveranno in essi una conferma delle proprie idee e dei propri desideri, ma sicuramente riceveranno una luce che permetterà loro di comprendere meglio quello che sta succedendo e potranno scoprire un cammino di maturazione personale. E invito i pastori ad ascoltare con affetto e serenità, con il desiderio sincero di entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa.”

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 CONCLUSIONE

In fin dei conti questo capitolo è un sunto di teologia morale applicata sviluppando il meglio della riflessione ecclesiale, teologica e morale in materia.

In fin dei conti chi “ha avuto ragione” lungo questi anni è stato il  Rev. Andrew McLean Cummings dell’Arcidiocesi di Baltimora che già il 12 giugno 2014 aveva annunciato la soluzione e che avevamo già allora vivamente caldeggiato nel nostro post del 13 giugno 2014 intitolato Rischio di scisma: una possibile via d’uscita e la Chiesa profetizzerà

 Il testo è chiarissimo nel suo metodo, nel suo fine e nelle sue fondamenta dottrinali: la Chiesa ha profetizzato anche in questo campo.

In Pace



Categories: Ermeneutica della continuità, Filosofia, teologia e apologetica, Magistero, Sinodi della famiglia

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185 replies

  1. Ottimo ripasso, grazie Simon.
    Segnalo, grazie al nostro autore Andreas hofer, anche questo link
    https://it.aleteia.org/2017/09/29/amoris-laetitia-papa-francesco-risponde-dubia-morale-tomista/

  2. Non c’è nulla che crei problema in quanto qui riportato, anzi, da questo punto di vista, AL è una lettura molto edificante. A mio avviso il problema (il mio problema) è la crasi stridente che nasce con “l’unica interpretazione possibile” di questa premessa tomistica. E’ giusto accettare il bene possibile rispetto a quello ideale, ma se, come si dice, la Chiesa non deve rinunciare a presentare l’ideale cristiano dell’unione indissolubile, e la rottura del patto coniugale come un male oggettivo, come può ammettere ai sacramenti chi vive in condizione di adulterio solo a motivo dell’impossibilità di modificare quella condizione? Cioè, come potrebbe la premessa – giusta – che un piccolo bene possibile può crescere con l’aiuto della Grazia, avere l’esito atteso di accrescere quel bene, cioè di favorire progressivamente la castità di una coppia adultera (bene ideale), quando si arriva a concedere che la stessa castità potrebbe configurare un male rispetto al “bene” della continuazione della relazione more uxorio?
    Come ebbe a notare giustamente il defunto card Caffarra, si può col discernimento arrivare a scegliere il male minore rispetto al male maggiore, o il bene superiore rispetto al bene inferiore, ma non si può trasformare un male oggettivo in bene, o un bene oggettivo in male. Posta così, tutta la premessa tomistica serve solo a giustificare il divorzio cattolico.

    • Argomentazioni di una debolezza sconcertante….
      La ricezione dei Sacramenti può, almeno in linea di principio, essere accettata perché tale ricezione diventa dannosa e sacrilega quando oltre alla situazione materiale di peccato grave vi è anche la colpevolezza soggettiva, colpevolezza che può mancare del tutto o essere molto attenuata, talvolta.
      Inoltre nessuno ha detto che la castità possa configurare un male rispetto al bene della continuazione della relazione, perché non è la relazione adulterina in se che si vuole salvaguardare, semplicemente non si vuole impedire uno dei beni che da questa relazione derivano, ad esempio l’educazione dei figli.
      Perciò la castità non è mai vista come un “male”, il punto è quando vi sono persone che al momento non hanno la libertà necessaria per ottemperare a quel precetto, libertà che manca a causa del fatto che per ottemperare a questo precetto bisogna essere d’accordo in due e che vi sono persone verso le quali si hanno responsabilità e non ci si può permettere di arrivare alla separazione (che arriverebbe quasi certamente se la castità venisse imposta unilateralmente da una sola delle due parti), ebbene la Chiesa dice che in questi casi la colpevolezza può essere diminuita fino alla venialità.
      “Come ebbe a notare giustamente il defunto card Caffarra, si può col discernimento arrivare a scegliere il male minore rispetto al male maggiore, o il bene superiore rispetto al bene inferiore, ma non si può trasformare un male oggettivo in bene, o un bene oggettivo in male. ”
      Nemmeno vedo cosa c’entri l’osservazione (vera) che non si può trasformare un male oggettivo in bene o un bene oggettivo in male. Si continua banalmente a confondere il peccato col peccatore, arrivando a dire che il fatto se il secondo può essere giustificato da determinate circostanze allora viene giustificato anche il primo.
      Secondo tale illuminato modo di pensare, siccome un certo Giacobbe è Santo, ne deriverebbe che essere poligami sia cosa buona e da perseguire.
      Invece la stessa Chiesa che ci dice infallibilmente che Giacobbe è Santo, ci dice anche, nel Catechismo, che la poligamia è nega il disegno di Dio, contrasta con la legge morale ed è una grave offesa alla dignità del Matrimonio.
      Come la mettiamo?

      • Intanto la mettiamo che lascerei da parte epiteti come “sconcertante”, perché qui di sconcertante c’è solo l’indignazione tot al kilo che non consente un confronto sereno tra pensanti.
        Poi, la mia impressione su quanto esponi è questa: anche se manca la colpa personale (ciò che in teoria consentirebbe l’accesso ai sacramenti), un principio morale fondamentale vieta di fare il male per ottenere un bene; ciò impedisce di considerare la condizione oggettiva di peccato come un male minore rispetto ad altre cose considerate beni superiori. Facciamo, ad es, il caso di una coppia regolarmente sposata in cui uno dei coniugi non volesse più ottemperare ai cosiddetti doveri matrimoniali. Forse si dovrebbe consigliare al coniuge che subisce il torto di trovarsi un altro compagno per salvaguardare la serenità familiare a vantaggio dei figli? No, perché la fedeltà al patto coniugale è un bene supremo anche per i figli, pur in condizioni non ottimali, o magari critiche. Invece qui si dice che in una situazione irregolare, il bene dei figli è prioritario rispetto al bene oggettivo del patto legittimo, per cui è da preferire la condizione more uxorio quale male minore. Il che è di fatto come dire che il divorzio è un male minore rispetto ad altre situazioni. E questo non si può dire se non introducendo il divorzio.

        • ” un principio morale fondamentale vieta di fare il male per ottenere un bene” : verissimo.

          Ma fare il male o fare il bene implica la libertà del soggetto che lo compie: se uno si trova in un’automobile i cui freni e il volante hanno smesso di funzionare senza colpa sua, e che questa macchina uccide tre persone, non si può dire che tale persona ha fatto il male e ne porta colpa. L’azione dell’automobile ha conseguenze funeste, la cui “colpa” può essere data al “destino”, ma di sicuro non è un atto cattivo del conducente come non lo è il trovarsi in quell’automobile.

          Questo chiarificato l’esempio da te portato non è calzante con quello che considera Amoris Latetita.

          Amoris Laetitia ti dice che ci sono situazioni nelle quali oggettivamente la persona che è su un cammino di conversione si considera soggettivamente, ma con tutta l’onestà che gli è possibile, come in un’automobile senza volante: vorrebbe vivere in armonia con il Cristo e al contempo la sua vita non gli permette di compiere ancora altri errori supplementari a quelli già commessi nel passato, come perdere l’affezione del secondo coniuge, come il ritrovarsi con un divorzio supplementare e altri figli in carica in più di quelli precedenti, con il non poter offrire quel quadro famgliare necessario a tutti i bambini del mondo e che necessita di un padre e di una madre uniti, e così via di seguito.

          Ancora una volta, caro Stefano, la vostra mancanza di comprensione della legge della gradualità ben messa in avanti da San Giovanni Paolo Magno da un parte e dell’epikeia tomista vi rende impenetrabili al ragionamento etico sensato e coerente del Magistero Autentico espressosi in Amoris Laetita.

          In Pace

          • , come perdere l’affezione del secondo coniuge, come il ritrovarsi con un divorzio supplementare e altri figli in carica in più di quelli precedenti, con il non poter offrire quel quadro famgliare necessario a tutti i bambini del mondo e che necessita di un padre e di una madre uniti,

            Ma lo si spiega a questa persona che la meta del cammino iniziato é che la sua disubbidienza nasce dal fatto di considerare suo coniuge il compagno? Che il cammino é una strada che porta a cambiare il suo affetto per lui? Che il quadro che offre ai suoi figli non é famigliare secondo la volontá di Dio?

            • Bene Blaspas… Rileggi il mio articolo qui sopra e avrai risposta.
              In Pace

              • No Simon, puoi ripetertelo mille volte, ma non é chiaro ne nel tuo articolo ne in AL dal momento che usi la parola coniuge al posto di convivente. Lo dimostra anche che molti comentatori non credono che la separazione sia « conveniente ». La pastorale da anni non parla di questo per rispetto umano.

          • ” Amoris Laetitia ti dice che ci sono situazioni nelle quali oggettivamente la persona che è su un cammino di conversione si considera soggettivamente, ma con tutta l’onestà che gli è possibile, come in un’automobile senza volante: vorrebbe vivere in armonia con il Cristo e al contempo la sua vita non gli permette di compiere ancora altri errori supplementari a quelli già commessi nel passato, come perdere l’affezione del secondo coniuge, come il ritrovarsi con un divorzio supplementare e altri figli in carica in più di quelli precedenti, con il non poter offrire quel quadro famgliare necessario a tutti i bambini del mondo e che necessita di un padre e di una madre uniti, e così via di seguito.”

            Esatto. Perciò non ha nessun senso parlare di castità che sarebbe un male minore rispetto al bene della continuazione della relazione adulterina, perché non è affatto questo ciò di cui parla Al, la quale parla appunto dell’attenuazione della colpa.

            Stefano continua a dire che non si può fare il male per ottenere un bene, il che è vero, ma perché uno sia imputabile di tale male deve essere libero.

        • Intanto, il “voi” è in disuso da tempo, il “tu” va benissimo. Ma il focus del mio argomento non è sulla colpa di chi vive in una condizione oggettiva di peccato (ho detto in premessa che soggettivamente potrebbe anche non trovarsi in colpa grave). Il focus è sulla ri-definizione di bene e di male da parte di chi dovrebbe discernere. Dire che il soggetto non è in colpa grave in quanto condizionato a peccare contro la sua volontà è una cosa; sostenere che possa – o debba – continuare a peccare oggettivamente anche con l’aiuto della Grazia, perché il peccato è il massimo del bene possibile che nella sua condizione riesce a compiere è un falso teologico. Non esiste gradualità in questo, qui si afferma nella prassi il contrario di quanto si confessa di credere. La gradualità si esprime nel trattare queste persone con compassione, incoraggiandole e accompagnandole a fare, nella loro condizione, il bene a loro possibile per tutto quanto il resto, non dicendo loro che impegnandosi bene nella nuova relazione compiono tutto il bene che è a loro possibile, e che questo riscatta il male eventualmente compiuto nella relazione legittima, tanto da poter ri-accedere ai sacramenti.

          • “..il focus del mio argomento non è sulla colpa di chi vive in una condizione oggettiva di peccato..” : ma è il focus di Amoris Laettia nel suo capitolo VIII ed il mio in questo articolo qui sopra.
            In Pace

            • Ho capito che vuoi troncare qui la discussione. Va bene.
              Solo una curiosità: a volte rispondi in corsivo, altre no. E’ casuale, o ha un significato?

              • Non tronco niente: voglio giusto ricentrare, evitare le savonette sguizzanti e gli argomenti apposta “altrove”.
                In questo articolo offro un’analisi approfondita della struttura stessa del cap VIII: come minimo aspetto dagli interlocutori aver almeno tentato di capire e, casomai, controbattere in merito, non di parlare di “altro”, in quanto non si avanza nessun dialogo.
                La materia trattata nell’articolo qui sopra è densa.
                Si in corsivo è quando cito.
                In Pace

        • Stefano,
          Il tuo esempio non regge: prima di tutto un Matrimonio ha in aggiunta la Grazia del Sacramento, in secondo luogo proprio la responsabilità verso i figli implica il dovere di fare il possibile per rimanere insieme, anche se il Matrimonio è diventato purtroppo un inferno.
          In ultimo, persisti a confondere oggetto e soggetto: Al non insegna che il bene dei figli è prioritario rispetto al Matrimonio valido, Al insegna che a causa delle responsabilità venutesi a creare, e che non possono essere fatte sparire con un colpo di bacchetta magica, una persona può non essere in grado, al momento, di osservare un determinato precetto.
          Tu continui a farne un discorso di principio che non è stato messo in discussione in alcun modo, e continui a spostare il ragionamento sulla bontà degli atti, sull’oggetto, quando il capitolo VIII di Al tratta del soggetto, senza mettere in discussione l’oggetto.
          Fino a quando si continuerà a fare questo errore di prospettiva le argomentazioni saranno sempre deboli.

          • L’errore di prospettiva è continuare a discutere di AL che è un documento tomista e bellissimo, come ho detto in premessa, anziché “dell’unica interpretazione possibile” che non è per niente tomista, né bellissima, ma, a tutti gli effetti, falsa sul piano filosofico e teologico.

            • Posizione interessante: puoi svilupparla?
              In Pace

              • Mi riferisco all’interpretazione argentina di AL che deduce conclusioni fasulle da un documento coerente (a parte la sbavatura di un paio di note a piè pagina). Che tale interpretazione sia fasulla e per niente tomista ho provato a dimostrarlo sul piano logico nei miei precedenti interventi. Mi farebbe piacere confrontarmi su questo.

                • No, no. Prendi il testo e spoeghi cosa non va in quell’interpretazione/applicazione che sia in contraddizione con AL, con l’epikeia tomistica e con la nozione di legeg della gradualità.
                  Sennò sono aprole in aria: i tuoi altri interventi non si sono mai posti nella focale di AL o di questo articolo nostro.
                  In Pace

              • Non voglio eludere la tua richiesta, ma lo spazio non me lo consente. Affronterò la questione su un altro piano. AL è un documento di 350 pagine e in nessuna – dico nessuna – di queste 350 pagine si afferma che si può dare la comunione ai divorziati risposati. Ora, se l’interpretazione argentina fosse una deduzione aristotelica del testo, in linea con l’epikeia tomistica che lo contraddistingue e con la Dottrina della Chiesa, perché in questo documento magisteriale sarebbe stata omessa proprio una conclusione così fondamentale? In fondo sarebbero bastate poche righe in più, e si sarebbe evitata questa ridda di interpretazioni e le risse da stadio intorno ad esse. Una dimenticanza? Risposta improbabile. Conclusione contraddittoria? Risposta esatta, o, almeno, quella più probabile.
                Come inquadrare allora, in questo contesto, l’autorizzazione del Papa ai vescovi argentini e il bollino di qualità di unica interpretazione possibile concesso con ampia pubblicità e risonanza mediatica? Qui ci viene in aiuto il Diritto Canonico. L’Esortazione Apostolica è un atto di Magistero e ad essa si deve fede; la risposta ai vescovi argentini è una comunicazione privata di un’opinione personale del Papa, rispettabile quanto si vuole, ma verso la quale non è dovuto alcun atto di fede. Questo basterebbe a chiudere la questione, ma è necessario affrontarla anche sul piano logico e teologico per smontare pezzo pezzo il tango delle conclusioni avventate.

                • Questo è un discorso di saponetta inconsistente caro Stefano: è un processo di intenzioni fatto all’applicazione argentina di AL che non ha nessun valore.

                  Invece devi fare lo sforzo, tenendo conto di quanto detto in AL e di quanto discusso in dettaglio nell’articolo qui sopra, di dimostrare quello che tu affermi…

                  Ci tengo perché in questo blog la linea direttrice è il dialogo basato sulla ragione, dove si può dire tutto finché si tenta di fondarlo in ragione e tenendo conto degli argomenti e contrargomenti proposti.

                  Non siamo un blog di comari il cui solo fine nella vita è sprorcare il Magistero della Chiesa …

                  In Pace

              • No Simon, questa è un’accusa ingiusta. Io non ho fatto processi alle intenzioni, non ho detto quali siano le intenzioni del Papa o di chi altro. Ho solo constatato asetticamente un’apparente incongruenza di AL che, come documento magisteriale, non ha tratto le dovute conclusioni, posto che queste siano le uniche congruenti al testo del documento; oppure – ipotesi per cui propendo – un’incongruenza nelle conclusioni dei vescovi argentini con rispetto al testo del documento magisteriale. Adesso tu puoi liquidare questa pura constatazione di fatto, come un discorso saponetta, oppure puoi replicare a tono spiegandomi dov’è il mio abbaglio. Non mi pare un discorso da comari, almeno che tu non la voglia buttare in caciara.

                • Secondo me non hai tratto “asetticamente” nessuna incongruenza sennò l’avresti dimostrata qui nero su bianco, cosa che non è stata fatta né da te né da nessuno sul web e nelle pubblicazioni conosciute (casomai alcuni hanno semplicemente mostrato non capire i differenti piani tra dottrina e pastorale, peccato e colpevolezza, eucaristia come segno di unione al Cristo e come viatico, etc etc).

                  Ti dirò di più, secondo me (e, ben più importante, Papa Francesco stesso) l’interpretazione argentina ben traduce le nuove possibilità pastorali che Amoris Laetitia offre, non solo!, ma dispone un insieme di applicazioni pastorali congruenti e perfettamente cattoliche tra le varie possibili che Amoris Laetita ormai permette.

                  In Pace

            • Stefano,

              Vedo che con le frasi apodittiche gettate li senza costrutto sei molto bravo.

              Le argomentazioni, peró, continuano ad essere deboli, e in questo caso specifico inesistenti.

  3. AL non contraddice il tomismo?

    – S. Tommaso afferma che …

    **** LENZUALATE CENSURATE ********

    • Bene Lorenzo … ho spostato nel cestino i tuoi tre messaggi per le seguenti ragioni:

      (1) Sei pregato di interagire con l’articolo proposto qui sopra sennò è un caso di Off Topic
      (2) Non va bene copia-incollare testi di altrove (nel tuo caso di San Tommaso) senza spiegazione alcuna su come essi si articolano in favore o contro le tesi enunciate
      (3) Se vuoi dimostrare che né il concetto di legge della gradualità e/o né il concetto di epikeia in sé o tali quali descritti nel testo qui sopra sono tomisti, allora devi DIMOSTRARLO.

      Cioè, prima di intervenire su questo blog devi:

      (I) Leggere l’articolo
      (II) Capirlo
      (III) Se lo vuoi contraddire prenderti la pena di capire cosa non va ed esporlo

      Spero che questa lezioncina ti aiuti in futuro

      In Pace

      • Al numero 304 di AL, citando ST I-II, q. 94, si afferma che «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] In campo pratico non è uguale per tutti la verità o norma pratica rispetto al particolare, ma soltanto rispetto a ciò che è generale; e anche presso quelli che accettano nei casi particolari una stessa norma pratica, questa non è ugualmente conosciuta da tutti. […] E tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare»,
        quasi a sostenere che, per S. Tommaso, nessuna regola morale è assoluta, ma che in ogni situazione è necessario il discernimento per sapere se un principio morale generale si applica in una situazione particolare.

        Questa tipo di operazione è profondamente scorretta in quanto utilizza affermazioni parziali per sostenere tesi che l’Aquinate, riguardo all’adulterio, non ha mai sostenuto:
        – in ST I-II, q, 100 si può leggere: “… la dispensa di una legge è doverosa quando capita un caso particolare in cui l’osservanza letterale verrebbe a contrastare con l’intenzione del legislatore… i precetti del decalogo racchiudono l’intenzione stessa del legislatore, cioè di Dio… Quindi i precetti del decalogo non ammettono alcuna dispensa.”
        – in ST II-II, q. 33, a.2 si può leggere: “Si deve però notare che mentre i precetti negativi della legge proibiscono gli atti peccaminosi, i precetti affermativi inducono agli atti delle virtù. Ora, gli atti peccaminosi sono cattivi per se stessi, e non possono essere buoni in alcuna maniera, in nessun luogo e in nessun tempo: poiché sono legati per se stessi a un fine cattivo, come dice Aristotele [Ethic. 2, 6]. Quindi i precetti negativi obbligano sempre e in tutti i casi.”
        – nel De Malo, q. 15, a.1, ad 5 si può leggere: “Infatti, nessuno può commettere un adulterio per una qualche utilità,”

        • Infatti per l’Aristotelico e il Tomista i principi morali non sono”assoluti” (questo vale per Kant e i protestanti) ma sono “oggettivi”.
          Di conseguenza, non ci sono meccanismi automatici di giudizio etico (la decisione morale non è possibile a partire dalla semplice applicazione di un manuale o di un “app” sul nostro telefonino) ma è l’atto di una persona virtuosa, cioè che esercita le virtù di temperanza, prudenza, coraggio e giustizia nella valutazione della situazione particolare con l’aiuto delle regole oggettive tenendo conto della realtà in quanto tale.
          In Pace

          • Mi vorresti di grazia spiegare la differenza tra la proibizione assoluta di commettere adulterio e la proibizione oggettiva di commettere adulterio?

              • https://pellegrininellaverita.com/2015/05/16/assoluto-o-relativo-no-oggettivo/
                Premesso che le leggi naturali non sono altro che un tentativo umano di capire come gira il mondo
                mentre le parole di Gesù sull’adulterio sono disposizioni di Colui che ha stabilito come gira il mondo,
                ti ringrazio per le tue delucidazioni su legge assoluta, relativa ed oggettiva perché mi hai permesso di comprendere come questo ragionamento sia stato applicato anche in AL, quasi a svuotare, spero involontariamente, la cogenza dell’indissolubilità matrimoniale.
                – Legge assoluta: “ Il matrimonio cristiano, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa, si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società.”(AL 292)
                – Legge relativa: “Altre forme di unione contraddicono radicalmente questo ideale, mentre alcune lo realizzano almeno in modo parziale e analogo.”(AL 292)
                – Legge oggettiva: “I Padri sinodali hanno affermato che la Chiesa non manca di valorizzare gli elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più al suo insegnamento sul matrimonio.”(292)
                – Svuotamento della cogenza del divieto di adulterio: “Le parole del Maestro e quelle di san Paolo sul matrimonio, sono inserite – non casualmente – nella dimensione ultima e definitiva della nostra esistenza… contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo…”(325), quasi a dare ad intendere che il non vivere in costanza di adulterio sia uno stato di vita che potremo pienamente realizzare nell’aldilà dove, per inciso, non vi è più ne’ moglie ne’ marito (Mt 22.30).

              • https://pellegrininellaverita.com/2016/07/18/etica-della-situazione-e-amoris-laetitia/
                Ottimo articolo che sottoscrivo in pieno.
                Resta però il fatto che talune interpretazioni di AL non sono il linea con la tua.
                Il problema che si pone allora è: visto che la vaghezza di AL in alcuni punti si presta ad interpretazioni in opposizione tra loro, è stata scritta in modo non univoco per dilettantismo o per volontà di aprire a determinate prassi?

              • @Lorenzo

                Cosa intendi con “svuotare la cogenza dell’indissolubilità matrimoniale”?

                Più precisamente, cosa intendi per “cogenza”?

                Se vi fossero situazioni in cui l’indissolubilità matrimoniale non fosse cogente di per se, ciò significherebbe che:

                1) un Matrimonio valido può essere dissolubile;

                2) nonostante l’indissolubilità di un Matrimonio valido, e quindi il fatto che una unione come quelle che stiamo trattando sia adulterio, possono darsi situazioni in cui l’adulterio è lecito ed è lecito vivere in contraddizione con l’indissolubilità matrimoniale.

                Non mi pare che sia stato fatto questo. Questa è solamente l’interpretazione eretica di Al che hanno dato alcuni vescovi (che, e qui sono d’accordo con te, come ho detto anche nell’altro topic, andrebbero corretti e se necessario puniti per gli errori che stanno diffondendo) non un’interpretazione che discende dal testo stesso.

                Ma, non so perché, ho il sospetto che tu con “cogenza” intenda altro.

                Se con cogenza intendi che, siccome il Matrimonio è indissolubile, chi vive in contrasto con gli obblighi che ne derivano sia sempre imputabile a colpa mortale e alla punizione che ne deriva, beh sappi che questo non è mai stato l’insegnamento della Chiesa.

                Se vuoi dire che, il fatto che chi vive in adulterio possa non portare colpa grave (e quindi non pagare le conseguenze che deriverebbero da una persistenza in quel peccato fatta con piena avvertenza e deliberato consenso) sia uno “svuotare” la cogenza dell’indissolubilità matrimoniale, ti informo che questo è lo stesso argomento, uguale uguale, che i sedevacantisti usano per rigettare il Vaticano II.

                In altre parole, siccome è stato chiarito che, anche chi non è formalmente cattolico e nemmeno desidera diventarlo, può essere salvato e appartenere “invisibilmente” alla Chiesa Cattolica fuori dalla quale non vi è salvezza, se fa la volontà di Dio come la conosce e se il suo rifiuto di convertirsi non è colpevole, tali sedevacantisti eretici affermano che questo svuota il dogma “extra Ecclesiam nulla salus”.

                Naturalmente possono ragionare in questo modo partendo dalla loro superficialità, ma i loro ragionamenti e le presunte eresie che individuano, sono fatti con lo stesso metodo di molti che scrivono in questa pagina e degli estensori della cosiddetta correzione filiale.

                Leggere per credere http://vaticanocattolico.com/la-sedia-di-san-pietro-sul-dogma/#.WdFquNHOOhA

                Dopo aver letto ti sarà facile vedere come molti, che pure accettano il Vaticano II, applichino lo stesso modo di fare alle questioni matrimoniali.

              • Meglio questo articolo http://vaticanocattolico.com/testificano-gli-eretici/#.WdFz8NHOOhA per capire il loro errore sull’Extra Ecclesiam Nulla Salus, e cioè il rifiuto, anche qui, di distinguere tra oggettivo e soggettivo.

              • Questo mi era sfuggito
                « Premesso che le leggi naturali non sono altro che un tentativo umano di capire come gira il mondo
                mentre le parole di Gesù sull’adulterio sono disposizioni di Colui che ha stabilito come gira il mondo »
                Forse non ho compreso bene cosa vuoi dire con questa frase, ma mi sembra di vederci un sottofondo volontaristico, come se fosse la volontà di Dio a determinare cosa è bene e cosa è male.
                Secondo Scoto, ad esempio, Dio potrebbe stabilire una legge contraria a quella che ha stabilito, poichè è la Sua volontà, in questo pensiero, ad essere la prima regola.
                In realtà non è così. La « disposizione di Gesù » sul Matrimonio, non è una disposizione nuova che ha reso malvagio e proibito ciò che prima era buono e lecito, Gesù in realtà ha esplicitato il contenuto della Legge morale e come doveva essere dal Principio nel piano di Dio.
                Continua…..

              • Continua dall’altro post (ho diviso in due la risposta sperando di evitare che il post vada in moderazione)….
                Quindi, posto questo, non ha senso parlare di come gira il mondo e di disposizioni di chi ha stabilito come gira il mondo, come se le due cose fossero scollegate e Dio potesse rendere lecito l’illecito o viceversa.
                In realtà la disposizione di Gesù non è nè meno nè più vincolante dell’obbligo morale per ogni essere umano (fatte salve le possibili attenuanti) di convertirsi alla vera Fede e alla vera Chiesa.
                Non è una specie di « supercomandamento » più vincolante degli altri, e non ha senso trattarlo come tale.
                Per essere chiari, anche ai tempi di Giacobbe la poligamia era, come insegna il Catechismo, in contrasto con la legge morale e negava il disegno di Dio, cionondimeno sappiamo che Giacobbe è Santo.
                Perché? Perché non sapeva che la poligamia fosse in contrasto col disegno di Dio, e non sapendolo non poteva essere punito per questo peccato, nondimeno sempre peccato resta.
                Non è che ai suoi tempi fosse una scelta moralmente buona in se stessa mentre oggi, magicamente, è diventata un male intrinseco.
                La Legge di Dio è immutabile e non cambia, ma può cambiare la gradazione con la quale gli uomini sono imputabili ad essa, cioè quanto una eventuale trasgressione possa incidere sul loro destino eterno e sul raggiungimento del fine per il quale sono stati creati.
                Tale gradazione può essere cambiata da molti aspetti, dalle circostanze sociali, dalla libertà dell’individuo in questione, dalla sua conoscenza o non conoscenza di tale legge, da una marea di fattori, non ultima la decisione di Dio stesso di permettere o non permettere determinate concessioni.
                Per esempio, è un dato di fatto che Dio permise a Mosè di concedere il ripudio, e che lo permise per la durezza di cuore degli uomini.
                E lo permise non certo rendendo lecito e buono ciò che non lo è. Non è che siccome Mosè fece questa concessione, ai suoi tempi sposarsi e divorziare fosse un qualcosa di buono e non fosse un peccato.
                Dio permise questa concessione per la durezza di cuore degli uomini, di modo che non fossero imputabili per questo peccato, ma resta il fatto che tale concessione andava contro il disegno di Dio ugualmente.
                Quindi che dobbiamo dire? Al, pur riaffermando l’indissolubilità matrimoniale, senza quindi permettere il divorzio nè tantomeno le seconde nozze, ricorda che chi è in questa situazione, per essere punito a causa della legge a cui non sta obbedendo, occorre sia che abbia la conoscenza di tale legge sia che possa concretamente ottemperarvi.
                Tutto qui. Ci potremmo chiedere cosa è cambiato allora dai tempi di Mosè. Dai tempi di Mosè è cambiato che Gesù ci ha fatto conoscere la verità anche riguardo al Matrimonio, ma non è cambiato il fatto che, perché la trasgressione di un comandamento abbia incidenze sul destino eterno di un’anima, occorre che detta trasgressione non abbia attenuanti e che vi si persista fino alla morte.
                Dopo Gesù per un cattolico (per gli ortodossi è diverso, visto che la loro Chiesa li inganna su questo punto) non è possibile mancare di piena avvertenza (fatti salvi gli errori ai quali oggi molti cattolici sono sottoposti non per propria colpa e che possono deformare la loro coscienza), ma non è impossibile trovarsi in una situazione, magari anche, in passato, colpevolmente scelta, della quale ci si è pentiti, si vorrebbe cambiare, ma al momento manca la libertà necessaria per farlo.
                Le parole di Gesù non hanno cambiato il fatto che Dio non punisce chi, a dispetto della buona volontà, non fa ciò che non gli è al momento possibile fare (mancanza di deliberato consenso, di libertà) o di chi non sa ciò che dovrebbe fare (mancanza di piena avvertenza).
                Affermare che ciò svuoti di cogenza il comando dell’indissolubilità matrimoniale è quindi assurdo.
                Semplicemente la cogenza che hanno in mente alcuni non ha connessioni col reale, cioè è fondata sul presupposto di una legge assoluta i cui effetti trasgredendola sono sempre i medesimi.
                Come se, per esempio, io mi butto giù dal ventesimo piano: morirò certamente, indipendentemente dal fatto che mi butti giù sapendo dell’esistenza della legge di gravità o che vi sia costretto.
                Bene, la Legge divina, grazie a Dio, non funziona così.

  4. L’epikeia tomista, come spiegato da Tommaso medesimo, non si può applicare a un intrinsece malum.

    • Il male può essere intinsenco ma la colpevolezza soggettiva no.
      Visto che l’epikeia non si applica alla valutazione della qualità del male e che Amoris Laetitia non proprone questa via (pseudo-) etica, ma che applica detta epikeia alla valutazione del grado di colpevolezza soggettiva per quanto oggettivamente verificabile da un terzo (il sacerdote ad esempio), questo tuo commento non controbatte né AL né le considerazioni fatte in questo articolo.
      Grazie per l’intervento.
      In Pace

      • Il n. 1650 del catechismo esclude in radice ogni analisi sul grado soggettivo perché ciò che osta è la situazione oggettiva di violazione della parola di Cristo.

        Del resto, in questo caso particolare di peccato, una diminuzione di grado di colpa soggettiva non è praticamente concepibile: non può mai esserci la mancanza di piena avvertenza, e quanto al deliberato consenso, rinvio al mio commento successivo.

        • Allora in Catechismo è in contraddizione con se sytesso quando si riferisce alle circostanze attenuanti?
          O forse semplicemente che non si parla della stessa cosa?
          Ti consiglio d leggere l’articolo qui sopra e di rferirti ad esso per rispondere.
          In Pace

          • Il catechismo dice che i divorziati risposati non possono accedere alla Comunione e non apre all’idea di eccezioni o casi particolari legati alla valutazione del grado soggettivo, perché il punto qui è la situazione oggettiva.

            • Anche chi dice calunnie non può accedere alla comunione secondo il catechismo.
              Eppure guarda tutti questi firmatari di questo Joke Filialis che vanno a comunicarsi….
              In Pace

              • Straw man. La correzione non contiene calunnie. Del resto è stata privatamente indirizzata al Papa due mesi prima di essere resa pubblica. Poteva rispondere, incontrarli, dialogare.

                • È calunniosa perché afferma che il Santo Padre avrebbe propagato eresie: scritto nero su bianco.
                  In Pace

                • Leggero straw man. La correzione filiale dice una cosa “leggermente” diversa: che sono propagate eresie per mezzo delle interpretazioni eretiche di Amoris Laetitia e di altri atti e discorsi poco chiari del Papa.

                  Il Papa è direttamente autore delle eresie? No. Ma è oggettivamente, sebbene indirettamente, corresponsabile nel momento in cui vede che sono propagate eresie e non fa nulla per fermarle. Il Pastore ha il compito di proteggere il gregge dai lupi.

                  Supplicarlo di svolgere il suo dovere di Pastore è un atto di amore verso di lui e verso il papato; non è un atto “contro”, bensì un atto “per”.

                • Giochi con le parole sircliges: quello Straccio è un insulto verso Pietro e il suo successore legittimo ed è chiara acusa di eresia, che solo eretici in cuore potevano firmare, è scandaloso per ogni cattolico degno di questo nome e mina l’essenza stessa del ruolo della Chiesa nell’economia salvatrice.

                  Se vuoi continuare a partecipare a questo blog, ti avverto che nessuna apologia di scisma, di eresia, di scismatici, di eretici, di calunniatori e di disobbedienza al Magistero ti sarà permessa ormai.

                  In Pace

                • Ti ho dato spiegazioni articolate sul perché la correzione filiale non è un’accusa di eresia.
                  Hai ignorato le mie spiegazioni e riproposto lo stesso identico commento già detto prima – che peraltro è lo stesso comportamento che contesti negli altri.

        • “Del resto, in questo caso particolare di peccato, una diminuzione di grado di colpa soggettiva non è praticamente concepibile: non può mai esserci la mancanza di piena avvertenza, e quanto al deliberato consenso, rinvio al mio commento successivo.”

          Una domanda, Sircigles, lasciando perdere stupri e cavolaie varie: quale pensi che sia la reazione di un non cattolico o di un cattolico solo nominale quando il suo partner torna a casa e gli dice che da oggi si vive come fratello e sorella, magari nel fiore degli anni (perché a 75 anni è ovviamente un altro discorso)?

          Pensi che lo accetti di buon grado? In altre parole, pensi che l’etica sessuale della Chiesa, ostica anche (non solo da praticare, ma spesso anche da capire) per i cattolici praticanti, possa essere accettata di buon grado da un non cattolico o da un cattolico nominale?

          Te lo chiedo perché vorrei capire se stiamo parlando del reale oppure no.

          Vorrei anche capire se, secondo te, un caso del genere (che configura appunto una impossibilità almeno momentanea di ottemperare a quanto richiesto da FC senza impedire la separazione) non può configurare una diminuzione della colpevolezza.

          Leggendovi devo dire che, dai vostri argomenti, si evince che in pratica per queste persone non vi sarebbe più speranza alcuna di salvezza, a meno che dopo aver rovinato il loro Matrimonio non rovinino un’altra relazione e altre vite.

          In tal caso la Chiesa, invece che fare i giochi di prestigio di FC (applicabili in una minoranza esigua di casi), dovrebbe fare come consigliò San Paolo nella lettera ai Corinzi
          ” Nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati voi e il mio spirito insieme alla potenza del Signore nostro Gesù, questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore” (1 Cor 5,4-5).

          Rimane poi da chiedersi come e perché Ratzinger avesse parlato di queste persone come di un “dono per la Chiesa”, stando alle conclusioni logiche derivanti dai vostri argomenti

          • “cavolaie varie”

            Cavolate.

          • Antonio, ovviamente nessuno accetta di buon grado una tale notizia.

            Ma perché te la prendi con me? Prenditela con Cristo: è lui che ha detto che il matrimonio è indissolubile. Allora, o crediamo che Cristo è Dio, e allora questa frase va presa sul serio; oppure non ci crediamo, e allora chi se ne frega della comunione.
            Non si possono fare questi salti mortali per conciliare l’inconciliabile. Se il matrimonio è indissolubile, questa indissolubilità fa parte del “reale” proprio come tutto il resto.

            «Leggendovi devo dire che, dai vostri argomenti, si evince che in pratica per queste persone non vi sarebbe più speranza alcuna di salvezza, a meno che dopo aver rovinato il loro Matrimonio non rovinino un’altra relazione e altre vite.»

            Non so chi è il “voi” a cui ti riferisci. Sai che cos’è la comunione spirituale? Ha molto più senso in questi casi, ed è molto più misericordiosa e foriera di salvezza.

            • Sircigles, scusami se non ti rispondo, ma ancora una volta hai portato argomenti che non c’entrano e che non ho mai messo in discussione, tipo il fatto (perché tale è) dell’indissolubilità di un Matrimonio valido.

              Quando mi risponderai con una replica attinente a quello che ho scritto sarò felice di risponderti.

              • Non è vero. Ho risposto in topic e in modo attinente.
                Se non metti in discussione l’indissolubilità del matrimonio valido, allora non lamentarti per l’asserita eccessiva lontananza di queste discussioni “dal reale”, qualsiasi cosa tu intenda con ciò.

              • Sircigles, non hai risposto in modo attinente:

                1) mi hai ricordato che il Matrimonio, se celebrato validamente, è indissolubile, cosa che non ho mai messo in dubbio;

                2) hai detto che il discorso della Comunione è indissolubilmente legato a questo fatto.

                Ora, il primo punto non c’entra nulla, poiché nessuno lo mette in dubbio. Il secondo invece presenta lo stesso errore che ho mostrato ieri a Blaspas59, e cioè che quasi tutte le opposizioni in linea di principio ad Al (da lì il “voi”) partono dall’assunzione implicita, quando non esplicita, che dare la Comunione a queste persone e assolverle significherebbe:

                1) giustificare il loro peccato oggettivo;

                2) incitarle al Sacrilegio poiché a loro non si applicherebbero mai le attenuanti menzionate nel Catechismo e sarebbero sempre in peccato mortale.

                Fin quando non ci si libera di questi due errori non si faranno passi avanti.

                Tanto più che nemmeno i Cardinali dei Dubia la pensano in questo modo, cosa ovvia visto che la dottrina la conoscono. Li cito testualmente

                http://www.scuolaecclesiamater.org/2016/11/la-mancata-risposta-ai-dubia-sullamoris.html

                “la questione dell’ammissione ai sacramenti riguarda il giudizio della situazione di vita oggettiva della persona e non il giudizio che questa persona si trova in stato di peccato mortale. Infatti soggettivamente POTREBBE NON ESSERE PIENAMENTE IMPUTABILE , o NON ESSERLO PER NULLA [….] La questione 3 dei “dubia” vorrebbe così chiarire se, anche dopo “Amoris laetitia”, è ancora possibile dire che le persone che abitualmente vivono in contraddizione al comandamento della legge di Dio vivono in oggettiva situazione di grave peccato abituale, anche se, per qualche ragione, NON È CERTO CHE ESSI SIANO SOGGETTIVAMENTE IMPUTABILI per la loro abituale trasgressione”.

                E allora di che stiamo parlando? I Cardinali ammettono candidamente che il problema non è la colpevolezza soggettiva di queste persone, e che possono talvolta essere non imputabili (quindi le attenuanti menzionate dal Catechismo possono esserci, non stiamo parlando di un peccato che comporta intrinsecamente la colpa mortale), di conseguenza cade il punto 2 e anche il punto numero 1.

                Cosa rimane da dire? Rimane da dire che queste persone venivano sempre escluse dai Sacramenti per ragioni pastorali e non intrinseche e non superabili, vale a dire il timore che si desse scandalo ad altri fedeli i quali sarebbero stati indotti in errore sull’indissolubilità matrimoniale.

                Per quanto questo problema sia reale, la Chiesa oggi valuta che sia meglio cambiare pastorale verso queste persone, tanto più che la questione dello scandalo è facilmente aggirabile andando in una Chiesa dove non si è conosciuti e dove nessuno sa della propria situazione pubblica.

                Personalmente anche io ho delle perplessità su questa nuova linea pastorale, perché temo che molti sacerdoti non siano all’altezza del discernimento richiesto da Al, ma questo è un discorso completamente diverso dai motivi che muovono molti detrattori, che sono appunto quelli che ho elencato e che si intravvedono anche nella risposta datami da Ugobagna.

              • Senza contare che il problema dello scandalo era già superato da FC, la quale ammetteva ai Sacramenti alle condizioni che sappiamo “remoto scandalo”.

                Ora, partendo dal presupposto che nessuno sa cosa fanno in camera da letto due persone (e quindi a livello di “scandalo” non vi è differenza, poiché se tu vedi una persona che si comunica non sai cosa ha fatto la sera prima nè il perché nè il percome, in poche parole ci si fa i razzi propri e campiamo 100 anni) l’unica differenza tra FC ed AL è che Al riconosce che vi sono situazioni dove le condizioni imposte da FC non sono applicabili, cioè dove il soggetto non è libero di applicarle a se stesso (per i motivi già menzionati), e partendo da questa diminuzione di libertà, che diminuisce la colpa, si afferma che i Sacramenti possono essere di aiuto (e possono esserlo perché non vi è colpa mortale e quindi vi è la presenza di disposizioni compatibili con la loro ricezione).

                Secondo il Magistero della Chiesa, il Catechismo, i Cardinali dei Dubia, esistono situazioni nelle quali vivere oggettivamente in contrasto col sesto comandamento può non comportare colpa mortale? La risposta è sì.

                Dunque, assodato questo, i tuoi argomenti sull’indissolubilità del Matrimonio e su un presunto tentativo di conciliare l’inconciliabile, non hanno senso, non sono attinenti. Sarebbero attinenti se si fosse proposto di regolarizzare le seconde nozze, giustificando l’adulterio, o se si fosse proposto di ammettere alla Comunione anche chi è in peccato mortale col pretesto che è un viatico, entrambe questi errori non sono stati fatti.

                Hai capito perché i tuoi argomenti non sono attinenti? Se la risposta è sì me ne rallegro, se è no me ne dispiaccio ma non so cosa farci, davvero.

            • Sircliges, se intervieni ancora una volta senza aver tenuto conto delle spiegazioni articolate dell’articolo qui sopra, continuando imperterrito a ripetere le solite idiozie ottuse sulla questione senza fare la distinzione tra peccato oggettivo e colpevolezza soggettiva, come lo richiede il CCC per giunta, sarò purtropppo nell’obbligo di censurarti in futuro, non essendoci spazio qui per posizioni eretiche come le tue.

              Ti ricordo che l’eretico è colui che “sceglie” : sceglie la maternità sulla virginità della Vergina, la divinità sull’umanità di Cristo; tu e la tua combriccola di assatanati che hanno firmato lo straccio dei 62 scegliete la regola sulla colpevolezza, in totale opposizione al quel che la Chiesa e Cristo hanno sempre insegnato.

              In Pace

              • Non credo che nel caso del tutto particolare dei “divorziati risposati” si possa avere mancanza di colpa soggettiva, per assenza di piena avvertenza.
                Mi è concesso spiegare perché, o sarebbe considerato off topic?

              • Molti vengono ingannati da falsi pastori, se è per questo.

                Basti pensare a tanti che si sono sposati con un errore nel consenso a causa (anche) di una Catechesi non buona, errore del consenso che ha reso nullo il Matrimonio.

                E ad ogni modo la piena avvertenza non è l’unica attenuante: Al si focalizza soprattutto sulla diminuzione della libertà in certe situazioni, non tanto sulla piena avvertenza.

                Non è necessario che manchi sia la piena avvertenza che la libertà perché non vi sia peccato mortale, basta che manchi una delle due.

              • Ma poi Sircigles, in un post sopra ti ho anche citato verbatim le parole dei cardinali, che non mettono in dubbio il contenuto di Al 305 ma semplicemente chiedono se “anche dopo “Amoris laetitia”, è ancora possibile dire che le persone che abitualmente vivono in contraddizione al comandamento della legge di Dio in contraddizione al comandamento della legge di Dio vivono in oggettiva situazione di grave peccato abituale”.

                Alla quale domanda la risposta è ovviamente si.

                Ma anche loro riconoscono che un soggetto in questa oggettiva situazione di peccato grave abituale ” soggettivamente potrebbe non essere pienamente imputabile, o non esserlo per nulla”.

                Vorrei capire perché non concordi nemmeno coi Cardinali.

                Pensi che se tale fattispecie fosse una impossibilità o una quasi impossibilità (il che è ciò che si evince dai tuoi discorsi) avrebbero detto quelle parole?

        • “Il n. 1650 del catechismo esclude in radice ogni analisi sul grado soggettivo perché ciò che osta è la situazione oggettiva di violazione della parola di Cristo.”

          Il numero 1650 del Catechismo parla di una categoria, cioè quella dei divorziati risposati, categoria che in quanto tale non può essere ammessa ai Sacramenti.

          Al si muove su un altro piano, e cioè non tratta della “categoria astratta” dei divorziati risposati, ma della singola persona.

          • Le singole persone fanno appunto parte della categoria.
            Il giudizio sul caso singolo non può contraddire la norma generale. Altrimenti è situazionismo già condannato mille volte dal Magistero (da ultimo con Veritatis Splendor).

            Allora non si capisce a cosa servivano i 10 comandamenti confermati da Gesù: bastava dire “giudicate ogni caso singolo a modo suo”.

            • Il situazionismo, ancora una volta, non c’entra nulla. Non si sta parlando di legittimare l’adulterio o di dire che nel caso singolo ciò che normalmente è illecito, diventa lecito.

              Si sta parlando di riconoscere dove vi è una diminuzione di colpevolezza. La diminuzione di colpevolezza, le attenuanti , sono irrimediabilmente legate al singolo caso.

              Quindi si, è possibilismo che il singolo caso non configuri peccato mortale, nonostante l’adulterio sia atto intrinsecamente malvagio.

              Come ti è stato detto anche da Simon, ti rifiuti di riconoscere la differenza tra l’oggettività del peccato e la soggettività della colpevolezza, e questa è posizione eretica.

            • La Cantate Domino insegna ex cathedra (vale a dire dogmaticamente e infallibilmente) quanto segue
              « La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo i pagani, ma anche i giudei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna, ma andranno nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41), se prima della morte non saranno stati ad essa riuniti; crede tanto importante l’unità del corpo della chiesa che, solo a quelli che in essa perseverano, i sacramenti della chiesa procureranno la salvezza, e i digiuni, le altre opere di pietà e gli esercizi della milizia cristiana ottengono il premio eterno: nessuno, per quante elemosine abbia fatto e persino se avesse versato il sangue per il nome di Cristo può essere salvo, se non rimane nel grembo e nell’unità della chiesa cattolica. »
              Sembra una condanna senza appello, visto che, stando a tale dogma, nemmeno sacrificando la propria vita per Cristo si può essere salvati, se non si è cattolici.
              Il punto è che questo dogma fa un discorso generale, nel senso che espone la verità di Fede secondo la quale fuori dalla Chiesa non vi è salvezza.
              Ed è vero, l’appartenenza alla Chiesa è necessaria per conseguire la salvezza, però noi sappiamo che tale appartenenza può esserci anche Grazie al Battesimo di desiderio e al fare la volontà di Dio in buona Fede come la si conosce, anche se non vi è l’appartenenza formale alla Chiesa o il desiderio esplicito di ricevere il Battesimo cattolico.
              Per questo sappiamo che anche persone che si professano protestanti, islamiche, buddiste ecc possono salvarsi.
              Quella bolla quindi faceva un discorso generale sulle categorie di eretici, scismatici, infedeli ecc, senza entrare nel dettaglio del singolo caso. L’esempio eclatante del martire per Cristo scismatico o eretico che si danna ugualmente non parla, ovviamente, di un singolo martire in buona Fede, convinto sinceramente di seguire il Cristo nella sua Chiesa scismatica o protestante, ma si ricollega a quanto detto e cioè che senza l’appartenenza alla Chiesa persino il martirio sarebbe inutile.
              Con una lettura superficiale come la tua riguardo al problema che stiamo trattando, dovremmo concluderne che i documenti del Vaticano II che parlano della possibilità di salvezza per gli eretici, gli scismatici, gli infedeli e persino i senza Dio, sarebbero formalmente eretici.
              Spero, con quest’altro esempio, di averti chiarito il perché pensare di far rientrare i singoli casi nelle definizioni generali sia impossibile, e perché questo non implichi nessun situazionismo.

            • Per finire, la norma generale non norma aspetti che, per natura, non sono normabili, la norma generale indica il bene da perseguire e il male da evitare, l’oggetto.
              Questa è la funzione delle norme generali, dei comandamenti ecc.
              La bontà di un bene intrinseco o il male di un male intrinseco, quindi, non cambia nè può cambiare in base alle situazioni, vale a dire che l’adulterio è sempre un male intrinseco da evitare, per esempio.
              Ciò che cambia, talvolta radicalmente, in base alle situazioni, è la colpevolezza del soggetto che compie determinati atti. Il fatto che tu, come molti altri che si oppongono ad Al per le ragioni sbagliate (da lì il « voi » che viene usato spesso, visto che gli errori sottostanti a certe posizioni sono sempre i medesimi), non riconosca questa importante differenza, è problematico, perché è rigetto del Magistero.
              Ti ho scritto un altro commento prendendo come spunto la Cantate Domino per illustrare meglio questo punto.

  5. Ho una domanda sul vostro esempio.

    Secondo il vocabolario, se parliamo di una persona costretta dalle circostanze ad accondiscendere ad atti sessuali che non desidera, esiste una parola molto sgradevole per indicare tale situazione: stupro.

    Se io – sacerdote chiamato a usare discernimento – vengo a sapere che una persona subisce ripetutamente atti sessuali non desiderati, qual è il mio dovere?
    Quello di mantenere questo stato di cose per riconoscere il “diritto” di ricevere la Comunione alla persona cui manca il deliberato consenso? Oppure devo fare tutto ciò che posso per far cessare la costrizione sessuale, se possibile cercando di convertire anche l’altro “coniuge” alla continenza, in caso estremo aiutando la parte debole a porre fine a questa situazione di subordinazione?

    • Non tutti casi sono cosi semplici nel mondo reale come lo vuoi far credere: come insegna San Tommaso il più vicino sei alla realtà concreta particolare il più i grandi principi sono meno chiari da applicare.

      Prendiamo il caso seguente: sei pagato dal tuo datore di lavoro per fare il bloggista in linea, orbene sai che i temi che devi trattare tengono a stuzzicare il tuo spirito critico verso il Papa della Chiesa cattolica. Tu sai che pecchi ogni qualvolta non hai un atteggiamento filiale verso Francesco, ma quando questo si presenta non puoi non farlo lo stesso. Quando vai a confessarti lo dichiari con onestà e il confessore di dice d controllarti, e tu dici che farai tutto il possibile. Poi torni davanti alla tastiera e ricominci ad imbrattare il Santo Padre: a volte il datore ti può chiedere di farlo apposta in un modo da attirare una certa nicchia marcheting di perpetui scontenti del Santo Padre , e tu sai che non lo devi fare, eppure lo fai …in fin dei conti con gran piacere! Ma puoi dire che è il tuo datore di lavoro volendo che tu scrivi sul blog nei fatti ti “stupra”? In fin dei conti ti ha impiegato per fare questo tipo di lavoro. Certo puoi dire che puoi cambiare impiego, ma con un tasso di disoccupazione del 40% tra i giovani della tua età e la resposnabilità di far campare moglie e figli non è qualcosa che puoi fare con la velocità che desideri.

      Calunnniare e sparlare del Santo Padre è un male intrinseco , come noi tutti sappiamo, eppure, la daresti la comunione a questo tizio oppure no? Scelta difficile sulla quale non mi sentirei di pontifcare senza averti parlato personalmente, capito, accompagnato ed integrato di più nella Chiesa.

      In Pace

      • Non riesco a capirecome si possa paragonare un divorziato rispsato che vive more uxorio a uno che guida una macchinacuimacchina improvvisamente si rompono i freni.
        Quello chemanca mel paragone e’questo:non e’che divorzisto risposato si trova all’improvviso e senza saperlo nella situazione in cui si trovasono.Sapeva divorziando di andare contro il precetto di Gesu’ sull’indissolubita’del matrimonio, sapeva sposandosi una seconda volta in comune che dal punto di vista cristiano questa seconda unione e’adulterio.Sapeva facendo dei figli col.secondo patner di mettersiessere on una situazione complicata, diciamp fuori dalle regole cristiane.
        Quindi una persona cosi’nom e’uno che all’improvviso si trova su una macchona senza freni:e’uno che VOLUTAMAMENTEe’salitp su unauna macchona senza freni e se uccide delle persone la responsanolota’e’sua.
        Nel caso del divorziato risposato egli e’resonsabile:1)in primis di averessere rotto il patto matrimoniale preso solennemente di frpnteessere a Dio
        2)del male commesso contro il coniuge e contro i figli
        3)del male commesso contro il secondo compagno e i figli di secondo letto.
        Ammessoche tale persona si PENTAsinceramente davanti a Dio di tutto il male commesso, e’ovvio che viene perdonato e riammesso ai sacramenti, solo se non persistesi a farefare il malepapa.
        Se invece persiste a farefare il.male, a guidare con la macchina senza freni, allora non sipup’trovargli alcuna attenuante!
        L’attenuante npn puo’essere:persisto a vivere nel peccato pervhe’non posso farefare altrimenti.
        L’ attenunate non puo’essere:da peccato mortale l’adulterio in crrte circostanze diventa peccato veniale.
        La macchina senza freni e’pericolosaSEMPRE.

        • Infatti, salire su una macchina è un problema in sé: ci si può essere saliti in buona o mala fede, perché è la propria macchina o perché è rubata Etc e questo comporta le proprie analisi.
          Quel di cui si discute qui, non è delel ragioni per le quali si è saliti in macchina, ma la responsanilità che si ha delle azioni di tale macchina … Rileggi il tutto e soprattutto rileggi l’articolo qui sopra in dettaglio.
          In Pace

        • Seguendo la tua logica (se così si può chiamare), Cristina, siccome un drogato sapeva che:

          1) a iniziare a drogarsi faceva il male, un atto malvagio;

          2) sapeva che facendolo avrebbe fatto male non solo a se stesso, ma anche ai suoi cari;

          3) sapeva che iniziando si sarebbe trovato in una situazione dalla quale sarebbe stato molto difficile liberarsi (e oggi tutti sanno cosa fa la droga).

          Dati tutti questi fatti, o un drogato la smette di drogarsi da un giorno all’altro, a dispetto della dipendenza creatasi, oppure non può essere perdonato nemmeno se pentito di aver fatto tutto ciò.

          Mi lancio in una valutazione ardita: questo non ha più che a fare col cristianesimo del culto di Quetzalcoatl.

          • Dipendenza da sostanze psicotrope: grave limitazione della libertà dovuto appunto alla dipendenza…
            Tradimento del proprio matrimonio: un atto non libero? Le coppie sposate che si sono rimesse insieme oppure quelle che si lasciano o le convivenze che si rompono come avvengono se con una decisione dell’individuo? Che ci azzeccano le due situazioni tra loro?

            • La dipendenza da sostanze psicotrope è stata causata da una decisione libera, ovvero quella di cominciare ad assumere droghe.

              Questo crea una dipendenza che limita la libertà.

              La decisione, mettiamo dopo un Matrimonio fallito, magari anche non per propria colpa, di iniziare una nuova relazione, è stata libera, si presume.

              Tuttavia questa decisione, nel caso in ipotesi, ha dato origine ad un’altra situazione che, ora, malgrado la volontà di rimediare e agire diversamente, non è “sanabile”, perché comporterebbe la distruzione di un’altra famiglia.

              In questo caso non vi è dipendenza da sostanze psicotrope ma vi è comunque una limitazione della libertà chiara e netta.

              Non si può dire che una persona in questa situazione o distrugge un’altra famiglia oppure è imperdonabile, poiché la decisione di iniziare un’altra relazione non è stata forzata, perché allora lo stesso discorso varrebbe per il tossico, il quale ha posto in essere atti liberi che lo hanno portato a sviluppare l’attuale dipendenza.

              • Distruggere un’altra famiglia? Se ha distrutto la prima perchè non può farlo per la seconda, che differenza fa, la vita va avanti lo stesso, no?
                Il punto non è questo purtroppo…

              • Obiezione senza il minimo senso.

            • Il fatto che qua si sia disposti ad accettare che venga mostrata Misericordia ad un tossicodipendente che non è stato affatto obbligato ad iniziare a drogarsi, mentre con una logica contorta si vorrebbe sostenere che una povera donna abbandonata che si è rifatta una famiglia sia in stato di dannazione sempre e comunque, la dice lunga sul grado di ideologizzazione e disumanizzazione con cui è stata trasformata la dottrina cattolica in certi circoli.

              Io non ho certo problemi all’idea che al tossico venga mostrata Misericordia, tanto più che nell’ipotesi è pentito e sta facendo quel che può per smettere; ho problemi all’idea che altri accettino che venga mostrata Misericordia al tossico in questione mentre una persona in situazione irregolare andrebbe messa in una trappola senza uscita nè spiragli.

              • Quindi secondo te fino ad Amoris Laetitia queste persone erano in una trappola senza uscita e senza spiragli? Addirittura?

              • Conosci ben poco il mondo della tossicodipendenza: il tossico o smette o, anche se scala, corre sempre il rischio di danni irreversibili e di lasciarci le penne.

              • @Lorenzo e Ugobagna
                Non mi interessa scendere nei dettagli, il punto di ciò che ho detto era che una persona è obbligata moralmente a fare ciò che può, non ciò che non può.

      • Osservo che non hai risposto alla mia domanda, deviando l’oggetto su un argomento diverso.

  6. Neo-Parabole:

    “Se vuoi essere perfetto, prima vieni e seguici, poi, gradualmente, col tempo, venderai ciò che hai per darlo ai poveri”

    (Uno osservò: ma questa è la “Gradualità della legge” e non esiste)
    Giusto: allora la facciamo secondo la legge della gradualità:

    “Se vuoi essere perfetto, vai a vendere qualcosina, poi vieni e seguici: poi, gradualmente, col tempo capirai e venderai ciò che hai quel che ti resta per darlo ai poveri”

    E questa è una cosa semiseria per spiegare il successivo.

    • Passiamo al serio. La “legge della gradualità” ha come scopo un fine. Che non è un “ideale astratto” E questo non lo dico io ma lo diceva San Giovanni Paolo II.

      La AL cita si San Giovanni Paolo II Familiaris Consortio N34, ma lo fa in modo parziale e per questo impreciso, snaturandone il significato.

      Recita il punto completo:

      Anche i coniugi, nell’ambito della loro vita morale, sono chiamati ad un incessante cammino, sostenuti dal desiderio sincero e operoso di conoscere sempre meglio i valori che la legge divina custodisce e promuove, e dalla volontà retta e generosa di incarnarli nelle loro scelte concrete. Essi, tuttavia, non possono guardare alla legge solo come ad un puro ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà. Perciò la cosiddetta “legge della gradualità”, o cammino graduale, non può identificarsi con la “gradualità della legge”, come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse. Tutti i coniugi, secondo il disegno divino, sono chiamati alla santità nel matrimonio e questa alta vocazione si realizza in quanto la persona umana è in grado di rispondere al comando divino con animo sereno, confidando nella grazia divina e nella propria volontà

      Che vor di? Che pure “gradualmente” alla fine devi giungere ad un risultato: la “santità” (del Matrimonio; personale). Come Gesù stesso vuol far giungere alla “perfezione” il giovane “ricco”; seguire Gesù senza arrivare a nulla, a nulla conta.

      Ora nella stessa Familiaris consortio ti dice quale sia il punto di arrivo alla “santità”.
      E quel punto di arrivo è fissato al N84

      Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi

      E nel frattempo? Ce lo dice sempre il N84 di Familiaris consortio:

      “La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.”

      Chiudo: i taglia e cuci e le letture parziali (non voglio dire “strumentalizzazioni”) fanno arrivare poi a errori (come le battute del commento di sopra) che leggiamo in AL.

      Stavet ‘bbuon.

  7. Ho letto con attenzione tutti i commenti, in verità a me la questione appare di una semplicità evangelica.
    Guardando gli errori e peccati commessi nella vita uno si rende subito conto che ci sono azioni commesse senza conoscerne le “implicazioni peccaminose”. Attraverso una guida spirituale e nella confessione si possono meglio spiegare, (nel senso di togliere le pieghe). Sottovalutare la soggettività e complessità delle situazioni personali significa applicare ad esse una visione legale e non evangelica, in cui la colpa è preminente rispetto alle attenuanti che ogni azione umana in quanto umana ha.
    A me sembra cosi evidente leggendo il Vangelo che Gesù Cristo guarda al cuore delle persone e non alla colpa in quatto atto in se,(lo si può notare anche nel Vangelo di oggi).
    A mio parere la difficoltà è nell’immaginare una situazione oggettiva di peccato che abbia attenuanti e dinamiche soggettive riguardo al tema in esame.
    Immaginarla significa entrare nella casualistica, proprio ciò che AL non vuol fare, la realtà delle situazioni famigliari invece è più variegata della nostra immaginazione, (questo è emerso dal sinodo) per questo io credo l’esortazione tiene aperta la porta.

    • Al Sinodo e anche dopo la pubblicazione di AL, il Papa ebbe a ribadire più volte di non focalizzare tutta l’attenzione sulla comunione ai divorziati risposati; il Sinodo, disse, è un sinodo sulla famiglia non sulla comunione ai risposati, e AL è la riflessione della Chiesa sulla famiglia, non sulla comunione ai risposati. Se le cose stanno così – e stanno così – sarebbe interessante capire perché, anche dopo, tutta la discussione è rimasta polarizzata dall’attrazione fatale per i divorziati risposati, e univocamente orientata a cercare di trarre dal Sinodo e dalla successiva esortazione l’unica conclusione che né il Sinodo, né l’esortazione hanno tratto (né potevano trarre).

      E’ sufficiente che AL – peraltro, non come novità, ma nel solco della tradizione – distingua il piano della regola da quello della colpevolezza, per autorizzare l’accesso ai sacramenti di chi si trova in quella particolare condizione oggettiva di peccato? AL non lo dice – giustamente, perché non sarebbe neppure lo strumento più idoneo per farlo – e, se non lo dice, se ne può solo trarre che la questione non ha tutta l’importanza di cui è stata caricata, o, quanto meno, che chiarire tale questione non era la finalità ultima del documento. E poi, se AL non lo dice, con quale autorità altri lo dicono al posto suo?

      Premesso quanto sopra, va ricordato che ciò che sicuramente preme ad AL è di farsi carico di tutte le situazioni di fragilità umana e familiare, curarle, seguirle, aiutarle, spiegando che, proprio per la separazione tra regola e colpevolezza, e per l’oggettiva complessità della persona, nessuno può o deve rimanere escluso dalla misericordia di Dio. Eventualmente – come ipotesi di studio, da doversi però verificare sul piano dottrinale – aiutarle anche con la grazia sacramentale. Ma c’è già molto bene possibile da fare adesso per quelle persone, senza ridurre tutto alla mera dispensazione dei sacramenti da parte della Chiesa, immiserendo così la misericordia di Dio. Sopratutto, senza ritenere – falsamente – che l’impossibilità di accedere ai sacramenti equivalga a una scomunica, o, peggio, a una discriminazione di tipo sociologico di cui dover rimuovere i simboli odiosi dell’esclusione, abbattendo quel muro morale di separazione rappresentato dal divieto alla comunione per i divorziati risposati. Questo errore non deve essere fatto.

      Infatti, consentire l’acceso ai sacramenti permanendo le condizioni oggettive di peccato, ancorché sulla base della non piena colpevolezza personale, equivale a giustificare il divorzio come male minore. E’ così, senza equivoco (perché, altrimenti, non si dichiara quel matrimonio nullo?). E se anche per la Chiesa il divorzio diviene il male minore rispetto al bene della nuova famiglia, cosa impedisce, dopo la comunione, anche un nuovo matrimonio religioso? Anzi, secondo tale approccio, limitare l’azione della grazia sacramentale sarebbe quasi peccaminoso, e la celebrazione di un nuovo sacramento quasi doverosa. Ma questa è già da lunghissimo tempo la conquista del pensiero laico. Quale sarebbe la differenza cristiana? E, soprattutto, che ne facciamo del Vangelo (Mt 19,3-12)?

      • “Infatti, consentire l’acceso ai sacramenti permanendo le condizioni oggettive di peccato, ancorché sulla base della non piena colpevolezza personale, equivale a giustificare il divorzio come male minore.”
        Questa è un’affermazione tua indimostrata e indimostrabile perché falsa.
        Puoi quindi dimenticarti il tuo ultimo paragrafo che vuol trarre conseguenze da un’assunto falso.
        In Pace

        • Infatti è uno dei due errori che avevo evidenziato qui https://pellegrininellaverita.com/2017/09/25/correctio-filialis-de-correctione-filialis/#comment-33129 . In genere in chi si oppone per i motivi sbagliati ad Al è presente sempre almeno uno di quei due errori, nel caso di Stefano è il primo.

          • Caro Antonio, io non mi sono opposto per motivi sbagliati a AL, mi sono opposto con argomenti motivati e ragionevoli alle deduzioni illogiche che da AL sono state fatte scaturire come ovvie e implicite verità in essa contenute.

            • No, ti sei opposto con argomenti irrazionali e immotivati, come dimostra l’obiezione assurda del tuo ultimo post.

              Ma se non è così dimostralo, cioè dimostra in che modo, logicamente, ammettere una persona (perché di questo si tratta, Al non ragiona per categorie) che vive in stato di adulterio ma non porta colpa grave ai Sacramenti giustificherebbe il divorzio come male minore.

              Spiegami anche perché questo ragionamento ( a mio avviso assurdo) non dovrebbe essere esteso anche alla decisione della Chiesa di ammettere ai Sacramenti i singoli fedeli delle Chiese scismatiche orientali qualora “siano ben disposti) nel canone 844.3 del nuovo codice di diritto canonico

              ” I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi ai membri delle Chiese orientali, che non hanno comunione piena con la Chiesa cattolica, qualora li richiedano spontaneamente e siano ben disposti; ciò vale anche per i membri delle altre Chiese, le quali, a giudizio della Sede Apostolica, relativamente ai sacramenti in questione, si trovino nella stessa condizione delle predette Chiese orientali.”

              Concetto che era stato già avanzato da Orientalium Ecclesiarum 27 in precedenza.

              Ti chiedo se, analogamente a quanto da te detto a proposito di Al, la Chiesa, con questa decisione, stia giustificando la scelta di preservare nello scisma, contraddicendo quanto insegnato ex cathedra nella Cantate Domino, e cioè che

              “La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo i pagani, ma anche i giudei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna, ma andranno nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41), se prima della morte non saranno stati ad essa riuniti”

              (E infatti lo scisma è peccato grave contro il primo comandamento, più precisamente, nella sua fattispecie di rifiuto della sottomissione al Romano Pontefice, è un peccato grave contro la Fede )

              Te lo chiedo perché non si può applicare un principio logico solo ad una questione rifiutandosi di applicarlo alle altre.

              Ergo, devi dimostrare:

              1) in che modo ammettere un divorziato risposato ai Sacramenti giustificherebbe il suo peccato di adulterio;

              2) in che modo ammettere uno scismatico non in piena Comunione con Roma ai Sacramenti cattolici giustificherebbe il suo peccato di perseverare nello scisma nonostante ormai sappia che per la Chiesa di Roma è necessario essere sottomessi al Romano Pontefice per essere salvati (vedere la dichiarazione ex cathedra dell’Unam Sanctam, oltre che la già citata Cantate Domino).

              Buon lavoro.

        • Avresti potuto sfidarmi a dimostrare la mia affermazione, invece hai preferito dichiarare con certezza che è falsa. Adesso l’onere della dimostrazione della falsità è tuo. Mi sembra una bella sfida, ma potrebbe risultare di beneficio per tutti.

          • Certo: basta che leggi larticolo qui sopra che ti dimostra come non sia il caso.
            In Pace

          • Ma nel tuo articolo tu non hai argomentato contro l’equivalenza tra comunione ai divorziati e divorzio cattolico (divorzio di fatto). Non hai proprio parlato di questo, ma solo dell’ammissibilità ai sacramenti basata sull’assunzione di una ridotta colpevolezza, deducendo autonomamente (quindi, non autorevolmente) tale ammissibilità dalle premesse di AL. Ora devi dimostrare che tale circostanza non configuri un divorzio di fatto concesso dalla Chiesa come male minore, cioè un divorzio compatibile con l’insegnamento morale cattolico, nel solco della Tradizione. Quando avrai dimostrato questo, l’interpretazione dei vescovi argentini non potrà più essere contestata.

            • Sempre spassoso “discutere” con gente come te che non ha argomenti e che non vuole discutere seriamente ma solo ripetere le proprie ossessioni peraltro senza dover fornire un minimo di sforzo intellettuale.

              Leggi l’articolo postato qui sopra e dimostrami che non ha argomentato “contro l’equivalenza tra comunione ai divorziati e divorzio cattolico”.

              LOL

              Che perdintempo questi eretici… mi chiedo se lo sono con piena avvertenza oppure no….

              In Pace

            • Stefano,

              “Ma nel tuo articolo tu non hai argomentato contro l’equivalenza tra comunione ai divorziati e divorzio cattolico (divorzio di fatto). Non hai proprio parlato di questo, ma solo dell’ammissibilità ai sacramenti basata sull’assunzione di una ridotta colpevolezza, deducendo autonomamente (quindi, non autorevolmente) tale ammissibilità dalle premesse di AL. Ora devi dimostrare che tale circostanza non configuri un divorzio di fatto concesso dalla Chiesa come male minore, cioè un divorzio compatibile con l’insegnamento morale cattolico, nel solco della Tradizione”

              Ma no, Stefano: sei tu che devi dimostrare secondo quale logica ciò implicherebbe che l’adulterio possa essere un male minore e che risposarsi possa essere di per se compatibile con l’insegnamento morale cattolico.

              Ad esempio affrontando e confutando questi https://pellegrininellaverita.com/2017/09/29/arcana-amoris-laetitiae-2/comment-page-1/#comment-33235 miei argomenti, dove ho fatto una analogia con una analoga permissione istituita dalla Chiesa dopo il Vaticano II e impensabile nei secoli passati.

              Attendo che tu lo faccia, invece che ignori sia i miei argomenti sia quelli di Simon e affermi delle assurdità pretendendo anche che vengano prese sul serio.

              Abbi pazienza.

    • La varieta’delle situazioni famiari e’piu’variegata della nostra immaginazione.
      Cristo guarda al.cuore delle persone.
      Verissimo Daniele ma questo vale per TUTTI i peccati.La varieta’del modo di peccare, dei motivi, delle attenuanti individuali e’pressoche infinita.
      Eppure Gesu’, pur guardando al cuore di ogni peccatore, da’delle leggi generali ,universali e molto lapidarie:Chiunque ripudi.la propria moglie e si unisca con un ‘ altra e’un adultero.
      Cosi’dice Gesu’non dice checi sono circostanze attenuanati, che ogni adultero e’un caso particolare, che in ogni adulterio si puo’trovare qual c osa di buono, che un adultero benche’non corrisponda all’ideale, pure e’in grazia di Dio ecc.ecc.
      Le cose sono molto semplici:in tutta semplicita’un cristiano non puo’divorziare.
      Punto.
      Questo ha detto Gesu’
      Pero’siccome nella realta’ ci sono cristiani che divorziano e si risposano glu uomini cercano scuse, appigli, cavilli, attenuanti, per dire non ce la faccio a seguire quello che dice Gesu’, sono giustificato lo stesso?
      Finora la Chiesa aveva risposto onestamente NO,il divorzio non puo’essere giustificato.
      Ora invece con ALla Chiesa risponde SI il divorzio e un se c ondo matrimonio puo’ certi casi essere giustificato.
      E’ovvio che cosi si introduce nella prassi il « divorzio cattolico ».
      E’su questo che si discute, e la posta in gioco e’importantissima.

      • ” Perl nella realta’ ci sono cristiani che divorziano e si risposano glu uomini cercano scuse, appigli, cavilli, attenuanti, per dire non ce la faccio a seguire quello che dice Gesu’, sono giustificato lo stesso?
        Finora la Chiesa aveva risposto onestamente NO,il divorzio non puo’essere giustificato.
        Ora invece con ALla Chiesa risponde SI il divorzio e un se c ondo matrimonio puo’ certi casi essere giustificato.”

        Visto? Che cosa dicevo? Un altro post che espone l’errore già menzionato, e cioè che se il peccatore può essere talvolta giustificato da certe attenuanti allora viene giustificato anche il suo peccato, come dimostra il sillogismo stolto secondo il quale, se si applicano le attenuanti menzionate dal Catechismo (1860 e 1735) a una persona in situazione irregolare allora si sta giustificando e benedicendo la sua situazione.

        Perfetto esempio di obiezione ignorante.

        E volete parlare di eresie? Ma fatevi un corso di Catechismo coi bambini della prima Comunione, comporterebbe già un grosso miglioramento della vostra conoscenza, lo dico col cuore.

      • Cristina se rileggi con attenzione cio che hai scritto noterai una fallacia logica nel tuo agomentare, ovvero affermi cio che successivamente neghi .

        • Esatto.

          Prima afferma che

          “Verissimo Daniele ma questo vale per TUTTI i peccati.La varieta’del modo di peccare, dei motivi, delle attenuanti individuali e’pressoche infinita.”

          Per poi affermare che

          ” Gesu’non dice checi sono circostanze attenuanati”

          Che dire: o ritiene che l’adulterio non sia un peccato (visto che ha affermato che il discorso delle attenuanti può valere per TUTTI in peccati, con tanto di capslock), oppure ha problemi col principio di non contraddizione.

          Dopodiché afferma, in un non sequitur pressoché totale, che ammettere che vi siano attenuanti per un adulterio equivalga a giustificare l’adulterio stesso.

          Che dire: logic at its finest.

          • “ammettere che vi siano attenuanti per un adulterio ”

            Per un adultero, volevo scrivere, ovviamente.

  8. nel sito L’Isola di Patmos padre Cavalcoli firma un post molto più pacato e a mio parere saggio del precedente firmato da padre ARIEL:
    http://isoladipatmos.com/il-cardinale-muller-fa-proposte-folli-su-amoris-laetitia-no-ha-solo-proposto-una-di-quelle-disputatio-che-fanno-parte-della-storia-della-teologia-che-il-direttore-del-sismografo-luis-ba/
    i esso padre Cavalcoli in un certo senso AMMETTE che nella AL si pecca di troppo « misericordismo ».
    « In campo morale, l’etica ha perduto la sua assolutezza, fermezza, austerità e severità; è divenuta flessibile, mutevole, facoltativa, comoda, possibilista, accondiscendente, lassista, malleabile, piacevole, allegra, rilassata, permissiva, istintiva, libertaria. È nato lo spontaneismo liberale ed edonista. Non si deve escludere nessuno, ma bisogna accogliere tutti. Non si deve correggere nessuno, ma solo dialogare. Non bisogna fare la guerra, ma solo l’amore, come motteggia il pacifismo. La condotta umana progredisce e migliora continuamente e necessariamente nella storia, come motteggia il progressismo. »
    « L’Amoris Laetitia è chiaramente guidata da un metodo pastorale misericordista. Non è infetta da errori dottrinali, ma da un errore pratico, da un difetto pastorale: la sottovalutazione della gravità dello stato delle coppie irregolari. Il peccato di adulterio è troppo scusato e non abbastanza redarguito. Si cerca di rassicurare i divorziati risposati di essere in grazia di Dio senza dir loro cosa devono fare per essere in grazia di Dio. Le famiglie formatesi dall’adulterio non son solo famiglie “ferite”, ma anche feritrici e scandalose.

    • Padre Cavalcoli:
      si ha l’impressione che il Santo Padre Francesco si rivolga a persone che abbiano solo bisogno di essere «accompagnate» e compassionate, non però anche richiamate, corrette e, all’occasione, avvertite e rimproverate. Va bene accogliere e integrare; ma c’è anche chi non vuole essere accolto e integrato, almeno alle condizioni poste dalla Chiesa. E se stiamo alle condizioni che vuole lui, la Chiesa si falsifica. A che pro?

      • Inoltre, Cristina, a conferma dell’insipienza insita nel tuo modo di procedere (consistente nel fare cherry picking selvaggio, come già detto), vediamo cosa dice di aggiuntivo Padre Cavalcoli nel suo testo

        “Tuttavia nella Amoris laetitia, affermando che la coppia può essere in grazia [n.301] e che «è possibile che entro una situazione oggettiva di peccato ― che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno ― si possa vivere in grazia di Dio» [n.305], il Santo Padre smentisce quel pregiudizio secondo il quale essa, essendo in uno stato irregolare, sarebbe con ciò stesso sempre in uno stato di peccato mortale. E con ciò egli pone le premesse, dalle quali potrebbe ricavare la liceità della Comunione; e qui va ribadito il condizionale “potrebbe”. Naturalmente deve trattarsi di quelle coppie le quali, per motivi ragionevoli e cause di forza maggiore, non possono e quindi non devono interrompere la loro relazione [n. 298].”

        Qui Padre Cavalcoli dice esattamente ciò che stiamo dicendo io e Simon e che non vi entra in testa.

        Se noti parla anche di “pregiudizio”, e con ragione, perché quello che in certi ambienti c’è verso le coppie irregolari è proprio pregiudizio, cioè la presunzione infondata che tali coppie siano in stato attuale di dannazione.

        Lo stesso pregiudizio, uguale e opposto, vi è nei circoli modernisti, dove addirittura si vorrebbe regolarizzare l’irregolarizzabile e negare l’esistenza di atti intrinsecamente malvagi, arrivando ad affermare che non solo il peccatore, ma anche il suo peccato, possa essere giustificato.

        Poi, se noti, Padre Cavalcoli scrive

        “Naturalmente deve trattarsi di quelle coppie le quali, per motivi ragionevoli e cause di forza maggiore, non possono e quindi non devono interrompere la loro relazione”

        Come vedi egli afferma lo stesso concetto da me affermato più volte, e cioè che se uno può agire virtuosamente e sa che deve agire virtuosamente allora deve agire virtuosamente, ma se uno non sa cosa deve fare o, sapendolo, non può farlo per motivi di forza maggiore, nel suo caso particolare non vi è colpa.

        Naturalmente non vale l’assurda obiezione fattami da Ugobagna più sopra, secondo la quale, se uno si è messo liberamente in una situazione viziosa, ora deve uscirne senza se e senza come se il fatto che vi si sia infilato liberamente comporti ipso facto che ora la sua colpa non possa essere diminuita.

        Un tale soggetto sicuramente dovrà pentirsi del peccato mortale di essersi messo in tale situazione, ma altrettanto sicuramente i peccati attuali, conseguenti al peccato mortale originario, possono essere veniali, se egli al momento non ha la libertà necessaria per agire altrimenti.

        Perciò per quale assurda ragione citi Padre Cavalcoli come se desse desse ragione a te (impossibile, è un tomista di razza, quindi di pensiero retto, non uno che segue il pensiero unico del suo retto come fanno alcuni) e desse torto a noi?

        Questo mistero verrà, forse – o forse no- risolto nelle prossime puntate.

    • Dal testo di Padre Cavalcoli

      “Da nessuno si può esigere di più di quanto può fare, che il progresso avviene per tappe e per gradi e che dobbiamo perdonare settanta volte sette. Ma quello che si può fare si deve fare, altrimenti non ci sono scuse, né si può pretendere di essere compassionati.”

      E infatti è precisamente così: nessuno ha detto che chi, sapendo di essere in condizione di peccato, e potendo cambiare condotta, non la cambia, possa essere assolto o possa essere in Grazia di Dio.

      Semplicemente si tratta di riconoscere dove uno, almeno momentaneamente, non può cambiare condotta.

      È così difficile da capire?

      È così difficile da capire che se vi sono atti che è sempre male oggettivo compiere non esistono atti il cui compimento comporta sempre la piena colpevolezza soggettiva?

      Tanto è vero che hai fatto cherry picking dal testo di Cavalcoli distorcendone il senso e portando solo i paragrafi che fanno comodo ad una certa posizione.

      È un modo di procedere onesto, questo?

      Ultima cosa

      ” così Gesu’non dice checi sono circostanze attenuanati”

      A parte l’italiano lagrimevole, dove Gesù, o il Magistero della Chiesa, avrebbe affermato questo?

      Questa tua affermazione è importante perché se vera comporterebbe che a questo peccato non sia applicabile quanto scritto nel Catechismo riguardo a ciò che necessita un peccato per essere imputabile a chi lo compie, e siccome sarebbe l’unico case, vorrei sapere dove ciò è menzionato nei Vangeli o nei documenti del Magistero.

      Grazie.

      In questo modo potremo correggere anche i cardinali dei Dubia, i quali a quanto pare hanno sbagliato al riguardo (vedere quanto ho scritto qui https://pellegrininellaverita.com/2017/09/29/arcana-amoris-laetitiae-2/comment-page-1/#comment-33219 )

  9. Dice il Papa: «Comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida, che non dia luogo ad alcuna confusione» [n. 308]. Non è la rigidezza, ma la chiarezza, che non dà luogo alla confusione. Anzi la rigidezza, che è un tratto delle menti grette, è proprio quella che favorisce la confusione, perché non è capace di distinguere ciò che è rigido da ciò che è saldo, la rigidità del cadavere dalla fermezza dei princìpi. La debolezza sui princìpi non produce la duttilità e l’elasticità della prudenza, ma la banderuola mossa dal vento. La misericordia non è fare sconti sui princìpi, ma sollevare all’altezza dei princìpi chi è inguaiato nelle sabbie mobili dell’incertezza e nello squallore della miseria.
    Padre Cavalcoli

    • Infatti la vostra è proprio la rigidità di un cadavere sclerotico, come ben si evince dall’ottusità con la quale ripetete i vostri argomenti oggettivamente eretici e non sostenuti (come è ovvio che sia) nemmeno dai cardinali dei Dubia.

      La vostra sclerotica rigidità vi impedisce di distinguere tra la rigidezza dei principi e la Misericordia verso il peccatore, tra l’amore verso il peccatore e l’odio verso il peccato, dove per voi se si afferma che un dato peccatore è giustificato allora insieme a lui viene giustificato e benedetto anche il suo atto, in questo modo chiudendo lo spiraglio per la Grazia anche a chi si trova nelle sabbia mobili menzionate e che, col tempo, potrà essere elevato all’altezza dei principi.

      Grazie per aver postato questa bella descrizione che vi desffice quasi fotograficamente, nella sua precisione.

      • “desffice”

        Descrive. Scusate ma a leggere l’italiano stile aborigeno di Cristina ho preso il cattivo esempio.

      • Sono sempre commosso dalla misericordia dei Misericordiosi, che usano espressioni così dolci e delicate per dialogare con i loro fratelli nella fede.

    • Questo Papa è geniale!
      “Non è la rigidezza, ma la chiarezza, che non dà luogo alla confusione”

      • Il problema è quando poi chiedi chiarezza e ti dicono che sei rigido. Anche questo è geniale: scacco matto in due mosse.

        • Il problema è quando nonostante le risposte chiare che vengono date si continuano a riproporre rigidamente gli stessi argomenti.

          • Questa tua osservazione ha valore aggiunto zero, perché potrei averla pronunciata io (ma non avrei fatto questo errore). Nell’agorà non puoi dire a un altro che quello non vuole capire. Ci può stare anche che i tuoi argomenti non siano convincenti, o che quello sia tonto. Ragione in più per trovarne di ancora più convincenti.

            • Ma vedi, c’è una notevole differenza nel modo di procedere:

              1) io affronto gli argomenti altrui, pezzo per pezzo, senza tralasciarli;

              2) tu, fino a questo momento, non lo hai fatto, e non solo con me, ma anche con Simon;

              3) l’unica cosa che tu, e altri, avete fatto, è stato ripetere senza soluzione di continuità il medesimo argomento, senza entrare nel merito delle risposte che già erano state date o, peggio, deviando il discorso.

              Ergo….

        • Leggere Al con proporzionata attenzione è il primo passo per avere chiarezza e non irrigidirsi

  10. Allora andiamo al cuore della vostra questione: la colpa soggettiva.

    Il peccato di cui stiamo parlando è molto particolare ed è davvero problematico individuare se e quali sono i casi di colpa soggettiva assente o diminuita.

    Sgombriamo subito il campo. Non si può MAI invocare la mancanza di piena avvertenza, per i seguenti fattori.

    a) Non è plausibile che un cattolico possa arrivare all’età da matrimonio, sposarsi in chiesa previo corso prematrimoniale, divorziare e risposarsi civilmente, tutto ciò senza essere mai stato avvertito del fatto che il divorzio è un peccato mortale. Non c’è nessuna ignoranza in materia che non possa essere colmata da una breve e onesta lettura di mezza pagina del vangelo, eventualmente accompagnata da una breve e onesta discussione. Data la nettezza delle parole di Gesù, non c’è spazio per zone intermedie di “avvertenza, sì, ma non piena”.

    b) Se una persona potesse davvero dimostrare di essersi precedentemente sposata senza conoscere l’indissolubilità, la Chiesa – oltre che ammettere la futilità di certi corsi prematrimoniali – dovrebbe dichiarare nullo il precedente “matrimonio”. Questo risolve il problema secondo quanto già affermato dal catechismo.

    c) Si dice che oggi il clima culturale ostile ha confuso in molti cattolici la consapevolezza dell’indissolubilità del matrimonio e perciò si può avere la non piena avvertenza. Questa affermazione è confusa a sua volta, perché confonde “ignorare” con “rifiutare”. Questi “cattolici confusi” non ignorano che la Chiesa condanna il divorzio, bensì lo sanno e non sono d’accordo: non mancano di piena avvertenza, ma di piena adesione alla fede. Non c’è un’attenuante per riconoscere la Comunione, semmai c’è un’aggravante per negarla.

    d) Ammesso pure che si trovi davvero questo semimitico buon selvaggio, che è riuscito a contrarre matrimonio in chiesa senza mai imparare cosa dice sul matrimonio la Chiesa, si dimentica un punto fondamentale. L’ignoranza non è una virtù. Se io incontro qualcuno che “non sa”, il mio dovere è istruirlo, non posso lasciarlo nell’ignoranza. Il divorziato risposato senza piena avvertenza, che chiedesse al sacerdote di accostarsi alla Comunione, acquisirebbe la piena avvertenza nell’istante stesso in cui il sacerdote gli dicesse “figlio caro, ti devo dare una notizia.”

    e) Se invece si pensa che il sacerdote debba lasciare il buon selvaggio nell’ignoranza, per non fargli maturare la “piena avvertenza” e non fargli perdere il “diritto” alla Comunione, allora si implica che l’ignoranza è salvifica. Questa linea di pensiero ha conseguenze interessanti. Tanto vale dare la Comunione anche ai bambini sotto l’età della ragione (non hanno piena avvertenza dei loro peccati). Tanto vale dare la Comunione anche ai non cattolici, che “non sanno” che quello è il Corpo di Cristo, e anche ai non cristiani, che “non sanno” che Cristo è Dio. La Chiesa docente dovrebbe smettere di insegnare, anzi dovrebbe smettere di esistere. La conclusione logica e inevitabile è che Cristo ha fatto male ad incarnarsi, perché così ci obbliga a fare i conti con la sua presenza e la sua dottrina, avrebbe fatto meglio a lasciarci nell’ignoranza e poi salvarci tutti per mancanza di piena avvertenza.

    Per questi motivi, è assolutamente impossibile che un “divorziato risposato” non abbia, e continui lecitamente a non avere, piena avvertenza del suo peccato mortale.

    • La questione è lunga pertanto chiedo venia se questo mio messaggio rapido dovesse provocare più confusione che chiarezza, ma ci sono due aspetti che tu sollevi e che vanno approfonditi a mio umile ardire.
      Primo: la nullità presunta di matrimoni cattolici. E’ una questione che anche il Papa ha sollevato (sollevando il carico di lavoro alla Sacra Rota e dandolo ai Vescovi locali come si sa) e che a mio dire non è di poco conto. Quanti sono quelli che oggi si rendono conto che, secondo loro, il primo matrimonio è nullo “per ignoranza” (diciamo così) e alla fine quel che manca è solo la “certificazione” ecclesiale?
      Secondo: l’approfondimento della nozione di “piena avvertenza”. Perché se da un lato è vero che tutti “sanno” tutto dei divieti in casa cattolica (i laicisti in fondo non fanno che un piacere sbattendo a destra e a manca i vari divieti), dall’altro ci si chiede se una mera conoscenza – magari viziata erroneamente dalla stantia aria del laicismo blaterante – sia abbastanza per dare “piena avvertenza” ad una coscienza mal formata o poco formata. E’ naturale per tutti crescere nella coscienza e mai, si può dire, una coscienza arriva ad essere davvero pienamente formata, cioè mai un uomo potrà vantare di avere la coscienza di Cristo, anche se quello è il punto finale di tutto il nostro cammino. Non è possibile giungere alla perfetta conoscenza e quindi alla più santa coscienza, per manifesti limiti umani e di peccato originale. La grazia santificante qui sulla terra può farci arrivare a grandi vette, ma teologicamente sono del parere che non possa renderci “santificati” come lo saremo in Paradiso: in questa vita terrena sarà sempre e comunque un “vedere come in uno specchio”; io la vedo così.

      Pertanto in questi due estremi ci si deve interrogare su cosa sia la piena avvertenza: non può essere nè il semplice “lo so che lo vietate” (magari, ripeto, con un pensiero viziato dall’assolutismo laicista per cui ad esempio l’aborto è sempre sempre sempre vietato, cosa non vera) e nemmeno “avrò piena avvertenza solo quando la mia coscienza sarà come quella di Cristo”.

      Una cosa è certa: io oggi mi rendo conto più facilmente di quando compio peccato rispetto a quando avevo 18 anni, o meglio la mia coscienza sente meglio che tale azione è in effetti estranea alla mia natura aristotelico tomista di uomo (perché di questo parliamo). Eppure in entrambi i casi so cosa dicono i comandamenti (anzi, magari a 18 li sapevo a memoria pure meglio). Eppure ora mi rendo conto, invece a 18 anni nemmeno mi accorgevo di compiere peccato. Eppure sapevo – ad esempio – che si dice “non dire falsa testimonianza”! ebbene, io mentivo e non sentivo né alcun rimorso e nemmeno pensavo di aver fatto qualcosa di sbagliato, semplicemente un atto come un altro, come alzarmi la mattina. Se qualcuno mi chiedeva “che dice l’ottavo?” io lo sapevo, poi se lo trasgredivo semplicemente andavo avanti per la mia strada. Attenzione, non era “non voglio pensarci”, proprio non mi veniva in mente che quello era sbagliato! In quegli anni ero lontanissimo eh, ma anche quando mi è capitato di parlare con un frate (e fu una mezza confessione) pensate che mi sovvennero quei peccati? Figuriamoci! Solo oggi, ripensandoci, ho capito che erano errori. Capisco che magari in questa questione dei divorziati poco ci azzecca, ma nella riflessione generale sulla “piena avvertenza” ci sta tutto.

      E ancora: conosco gente che approfondendo la teologia si è allontanata da una visione metafisica tomista e abbracciandone una hegeliana, ha cominciato a non chiamare più “peccato” dei comportamenti e in modo talmente convinto che sono quasi certo che, in foro interno, loro pensano davvero che tale atto non sia peccato. Ovviamente tale atto è peccato per la Chiesa, ma davvero non conta questa coscienza erronea, soprattutto se tale errore viene propagato da frange non magisteriali della Chiesa stessa?
      La faccenda non è così semplice; davvero un conto è la dottrina, un altro è la prassi con la quale questa viene recepita in una esistenza.

      • La Chiesa non ha mai giudicato in foro interno, perché dovrebbe cominciare ora? Qual’è il valore aggiunto di questo sforzo supremo che la Chiesa si accinge a sobbarcarsi, ammesso che lo sappia fare (e ha sempre detto di non saperlo fare)? Non si capisce perché tutta la pastorale sui divorziati risposati – alla fine – si riduca alla riammissione ai sacramenti. L’ammissione ai sacramenti, per sé, non ha mai accresciuto una scarsa consapevolezza. La Chiesa ha, anzi, sempre regolato l’accesso ai sacramenti proprio per aumentare la consapevolezza dei fedeli, per imporre loro un percorso di crescita nella consapevolezza; ora si pretenderebbe ottenere lo stesso effetto con una pedagogia diametralmente opposta. O, peggio, motivando l’accesso si sacramenti proprio con la scarsa consapevolezza. Tutto questo non ha senso.

        • Stefano,

          Saresti così gentile da spiegarmi cosa c’entra il giudicare il foro interno con la valutazione che determinate situazioni venutesi a creare limitano la libertà del soggetto che le vive?

          C’è bisogno del carisma della lettura dei cuori per capire dove una situazione dalla quale il soggetto attualmente non può uscire limita la libertà?

          Se così fosse tanto varrebbe abolire i confessori e metterci al loro posto un programma computerizzato.

          • Beh, non l’ho inventato io, è una novità introdotta con AL e si chiama discernimento. Se si applica il criterio che non basta la condizione oggettiva di peccato per impedire l’accesso ai sacramenti, ma occorre esaminare anche la colpa soggettiva del penitente, allora il giudizio in foro interno, o discernimento, è richiesto per valutare proprio i gradi di libertà residui che una persona ha a disposizione quando vive in determinate situazioni; e siccome la colpa e la libertà sono strettamente correlate, anche il suo grado di colpa. Questo criterio è teoricamente giusto, ma praticamente la Chiesa non l’ha mai adottato, convinta che il giudizio in foro interno spetti solo a Dio.

            • Ma è falso dire che la Chiesa non abbia mai applicato il discernimento. Nei casi dei divorziati risposati non veniva applicato perché la Chiesa, per varie ragioni, li escludeva badandosi solo sulla loro situazione oggettiva, ma non era così per gli altri peccati.

              Ciò che è cambiato è che ora la Chiesa vuole applicare ciò anche a queste persone.

              Qui https://pellegrininellaverita.com/2017/09/29/arcana-amoris-laetitiae-2/comment-page-1/#comment-33271 ho citato Sant’Alfonso che dimostra come egli stesso non si fermasse mai alla mera situazione oggettiva del penitente.

            • Inoltre per l’appunto bisogna vedere che significato dai a “foro interno”. Valutare dove una data situazione incida sulla libertà per esempio è una valutazione che può essere fatta con un certo grado di oggettività, dal confessore.

            • Sarà anche come dici tu, ma non è quello che insegna la Chiesa nel Catechismo. Valutare il grado di libertà dovrebbe servire a stabilire il grado di colpa, e questo la Chiesa lo ritiene una prerogativa divina (altrimenti potrebbe già adesso mandare qualcuno all’inferno; non è che si giudica la colpa solo per sapere se è lieve, potrebbe essere anche grave e gravissima. Eppure sul giudizio di un’anima la Chiesa non si è pronunciata mai, neppure sul destino eterno di Giuda. Questo è molto esemplare).
              Il caso di S.Alfonso che tu porti al esempio, invece, non mi sembra che sia molto attinente. La sua preoccupazione di confessore era di dare al penitente una pena che fosse efficace, evitando magari che diventasse controproducente per il bene della sua anima. Per prima cosa, si preoccupava quindi di accertarsi che il penitente capisse la gravità del peccato. Va da sé che se uno non capisce – perché non ci arriva – la sua colpa soggettiva rispetto al peccato commesso diminuisce di conseguenza, ma questo serve al confessore per decidere se dargli lo stesso l’assoluzione, per modulare la penitenza, e per consigliargli un cammino spirituale adeguato a lui, non per autorizzarlo a rimanere nel peccato a causa della sua ignoranza invincibile. Spero di averti risposto, se no mi scuso e magari mi spiego meglio un’altra volta.

              • “Va da sé che se uno non capisce – perché non ci arriva – la sua colpa soggettiva rispetto al peccato commesso diminuisce di conseguenza, ma questo serve al confessore per decidere se dargli lo stesso l’assoluzione, per modulare la penitenza, e per consigliargli un cammino spirituale adeguato a lui ” : ohibo! Stefano! Ce l’hai finalmente fatta: hai scritto in qualche parole tutto il Cap VIII di AL.
                Bravo.
                In Pace

                P.S.: Ad onor del vero AL parla anche di chi è impossibilitato oltre che non capente….

              • @Stefano

                “La sua preoccupazione di confessore era di dare al penitente una pena che fosse efficace, evitando magari che diventasse controproducente per il bene della sua anima. Per prima cosa, si preoccupava quindi di accertarsi che il penitente capisse la gravità del peccato. Va da sé che se uno non capisce – perché non ci arriva – la sua colpa soggettiva rispetto al peccato commesso diminuisce di conseguenza, ma questo serve al confessore per decidere se dargli lo stesso l’assoluzione, per modulare la penitenza, e per consigliargli un cammino spirituale adeguato a lui”

                Esatto, ma questo cammino può anche includere, come scriveva Sant’Alfonso stesso, l’evitare almeno al momento di imporre il precetto al penitente, poiché, citandolo, ” deesi maggiormente evitare il pericolo del peccato formale che del materiale, mentre Dio solamente il formale punisce, poiché da questo solo si reputa offeso”.

              • Perciò quello che hai detto in se e per se non è sbagliato, ma, ancora una volta, non è applicabile indiscriminatamente a tutti i casi.

                Io ho detto che secondo me in questo caso il discorso di Sant’Alfonso può essere applicabile ad una persona che magari ha un Matrimonio nullo essendosi sposata, chessò, con l’idea che se le cose sarebbero andate male poteva rifarsi una vita (il che comporta il rifiuto del Bonum Sacramenti e la nullità del Matrimonio), ma che il confessore capisce che, per vari motivi, non chiederebbe la nullità e imporle quindi di chiederla e risposarsi in Chiesa potrebbe portare la sua situazione attuale di peccato materiale (poiché non essendo sposata non sarà adulterio dato che il primo matrimonio è valido ma non è nemmeno situazione regolare) a diventare situazione dieccato formale/mortale.

                Ma, per l’ennesima volta, ripeto che il discorso della piena avvertenza non si applica tanto ai divorziati con Matrimonio valido, almeno secondo me.

                A loro si applica il vedere se, nella situazione in cui sono, POSSONO agire diversamente e hanno sufficiente libertà oggettiva per prendere certe decisioni.

              • ohibo! Simon. Io infatti condivido AL.

              • Chiedo alla Redazione di cancellare il precedente post che è finito nel posto sbagliato

                “Sarà anche come dici tu, ma non è quello che insegna la Chiesa nel Catechismo. Valutare il grado di libertà dovrebbe servire a stabilire il grado di colpa, e questo la Chiesa lo ritiene una prerogativa divina”

                Certo, per stabilire che, ad esempio, una povera prostituta sottoposta a ricatto tramite la sua famiglia sia una situazione di diminuzione della libertà servono prerogative divine.

                Senza offesa, Stefano, ma a me pare che tu voglia perdere tempo, perchè queste obiezioni sono meno che inconsistenti.

                Poi

                “altrimenti potrebbe già adesso mandare qualcuno all’inferno”

                Anche questa è una assurdità. La Chiesa non può mandare nessuno all’inferno per il semplice motivo che anche il peccato peggiore e senza nessuna attenuante può essere rimesso finché l’anima informa il corpo. Da lì anche il discorso di Giuda.

                Senza offesa, ma sei sicuro di sapere ciò di cui stai parlando?

              • Inoltre, sulla presunta prerogativa divina che, a tuo illuminato dire, servirebbe per stabilire dove vi è una mancanza di piena avvertenza o di libertà, mi vedo costretto a ripeterti ancora una volta che la Chiesa Cattolica si è presa la libertà, formalizzandola nel Nuovo Codice di diritto Canonico di ammettere i singoli scismatici ed eretici ortodossi ai nostri Sacramenti, vale a dire ai Sacramenti di Penitenza ed Eucaristia.
                Ora, posto che
                « La chiesa crede fermamente, confessa e annuncia che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa cattolica, non solo i pagani, ma anche i giudei o gli eretici e gli scismatici, potranno raggiungere la vita eterna, ma andranno nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41), se prima della morte non saranno stati ad essa riuniti » (Cantate Domino, ex Cathedra)
                E che
                 » Noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario alla salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Romano Pontefice  » (Unam Sanctam, ex cathedra)
                La Chiesa si è presa la libertà di ammettere il singolo scismatico ed eretico ortodosso sulla base del fatto che può avere le giuste disposizioni, cioè essere in buona Fede e quindi non colpevole del suo peccato oggettivamente gravissimo di rifiutarsi di entrare nella Chiesa Cattolica e in essa perseverare, nonchè di sottomettersi al Romano Pontefice.
                Seguendo la tua logica illuminata e illuminante, dovremmo dedurne che la Chiesa si è attribuita una prerogativa divina.
                Bene, anche se per assurdo fosse così (lo sto ammettendo per assurdo), se ciò è possibile farlo per un peccato, per giunta un peccato gravissimo contro la Fede come quello, allora è possibile farlo anche per la questione del Matrimonio e dei divorziati.
                Oppure non ti resta che dire che la Chiesa si è presa una libertà che non poteva prendersi e che quindi Roma è caduta ed e diventata la meretrice di Babilonia.
                A te la scelta.

              • Non per nulla gli scismatici della FSSPX non accettano quella decisione di GPII esattamente come non accettano AL http://www.sanpiox.it/articoli/crisi-nella-chiesa/745-concilio-vaticano-ii-e-comunicazione-con-gli-acattolici

                Peró, vedi, loro almeno hanno l’attenuante che, le loro premesse sbagliate, le applicano a tutto tondo.

                Nel senso che, chi rifiuta Al con le ragioni per le quali loro la rifiutano (che poi sono praticamente le medesime portate avanti anche dai detrattori di Al facenti parte della Chiesa e non della FSPPX), non può che rifiutare, come conseguenza, anche quel canone.

                Invece nella Chiesa oggi abbiamo il curioso caso di persone che accettano senza battere ciglio quel Canone, accettandone le ragioni (cioè che uno scismatico eretico adulto e dotato di ragione possa non essere imputabile della persistenza nel suo peccato di rifiuto di conversione alla vera Fede, a causa del fatto che è in buona Fede e quindi soggettivamente innocente), mentre invece applicare le medesime cose ad una persona in situazione di adulterio sarebbe, nell’ordine:

                1) eresia;

                2) giustificazione del divorzio cattolico;

                3) etica della situazione;

                4 incitamento al Sacrilegio.

                Che dire. È chiaro come il sole che, dietro ad una tale forma mentis deviata e deviante, vi sia un puritanesimo d’accatto che ha fatto dei peccati de sexto il centro del mistero stesso del male e del comandamento di Cristo sul Matrimonio un supercomandamento (la cui trasgressione comporta un superpeccato e una supercolpa) diverso dagli altri.

                Non vedo come sia possibile negare ciò.

                Almeno la FSSPX, pur nell’errore, è coerente, nel senso che se abbracciassi i loro errori anche io rifiuterei teologicamente sia Al che quel canone del nuovo codice di diritto canonico.

                Ma rifiutare Al e accettare senza battere ciglio quel Canone è sintomo di profonda irrazionalità.

      • “Primo: la nullità presunta di matrimoni cattolici. E’ una questione che anche il Papa ha sollevato (sollevando il carico di lavoro alla Sacra Rota e dandolo ai Vescovi locali come si sa) e che a mio dire non è di poco conto. Quanti sono quelli che oggi si rendono conto che, secondo loro, il primo matrimonio è nullo “per ignoranza” (diciamo così) e alla fine quel che manca è solo la “certificazione” ecclesiale?”

        Esatto. Infatti nel post precedente a questo ho proprio detto che, secondo me, molti casi oggetto di Al di fatto riguardano divorziati risposati che non sono manco oggettivamente adulteri, essendo il primo Matrimonio nullo.

        Condivido anche l’idea sull’approfondimento della nozione di piena avvertenza, io qui ho preferito stare dalle parti sicure perchè già l’argomento è scivoloso così, ma quanto hai scritto è pienamente sensato.

      • Secondo te Minstrel AL affronta questi problemi? A me sembra che chioda un occhio.

      • Minstrel, quello che dici sulla “piena avvertenza” è più o meno corretto per la generalità dei peccati.
        Ma il peccato di cui stiamo parlando ha delle particolarità concrete del tutto peculiari, che ho già spiegato.

        • Più che altro il punto è che è molto difficile non avere piena avvertenza per questo peccato se si è accettato il Bonum Sacramenti.

          Nel senso che perché un Matrimonio sia valido occorre accettare di celebrarlo con le intenzioni con le quali la Chiesa vuole che sia celebrato, vale a dire l’indissolubilità. Ora, come ho detto molti interpretano le parole “nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia” come se si riferissero all’obbligazione di non lasciare il coniuge per problemi economici o di non abbandonarlo nella malattia, pochi immagino e ancor meno accettano ciò che quelle parole realmente vogliono dire, e cioè che anche se lui/lei ti lascia o si rivela un mostro tu sei costretto/a ad una vita di monachesimo involontario, senza più poter amare nessuno nè essere riamati, pena l’essere in stato di adulterio.

          Ergo, sebbene i casi di divorziati risposati con Matrimonio valido alle spalle esistano, a mio avviso la vasta maggioranza hanno alle spalle Matrimoni nulli, quindi non sono adulteri nemmeno oggettivamente.

          • Concordo, ma proprio per questo bastava spingere sulla dichiarazione di nullità.

            Si è creato oggettivamente un casino tale che i modernisti hanno facile gioco a far capire alla povera gente, che non capisce certe sottili distinzioni, che la Chiesa sta cambiando e di fatto accetta il divorzio.

            Il Papa questo non lo ha mai detto: però altri lo dicono a suo nome.

        • P.s: ovviamente parlo del Bonum Sacramenti perché ritengo sia il motivo di nullità più frequente, ma possono esservene altri come ad esempio difetti nella forma ecc ecc.

    • Non capisco quale sia il punto del tuo post.

      Cioè, da come scrivi sembra che tolta la piena avvertenza non vi possano essere attenuanti, ma Al s focalizza, come già detto e ridetto, più sulla libertà di chi è in determinate situazioni che sulla loro conoscenza della norma. Quindi, anche qualora tutto ciò che hai scritto fosse vero, non significherebbe che un divorziato risposato debba essere necessariamente in colpa mortale.

      Passiamo ai vari punti

      “Non è plausibile che un cattolico possa arrivare all’età da matrimonio, sposarsi in chiesa previo corso prematrimoniale, divorziare e risposarsi civilmente, tutto ciò senza essere mai stato avvertito del fatto che il divorzio è un peccato mortale.”

      Vero, tuttavia capita addirittura che non sappiano nemmeno cosa significhi indissolubilità matrimoniale per la Chiesa. Per esempio capita non raramente che le parole “nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia” vengano interpretate come se si stesse chiedendo di non abbandonare il coniuge qualora le cose andassero male economicamente o qualora si ammalasse, ma non sono poi così tanti ad avere ben chiaro cosa significhi il Matrimonio nel cattolicesimo.

      E qui veniamo a quanto hai scritto

      “Se una persona potesse davvero dimostrare di essersi precedentemente sposata senza conoscere l’indissolubilità, la Chiesa – oltre che ammettere la futilità di certi corsi prematrimoniali – dovrebbe dichiarare nullo il precedente “matrimonio”. ”

      In effetti quando questa ignoranza determina un errore nel consenso (perché non basta ignorare o non aver ben chiaro ciò che la Chiesa vuole che sia fatto, occorre sposarsi con l’intenzione di non fare ciò che la Chiesa vuole che sia fatto, perché il Matrimonio sia nullo. Per esempio sposarsi con l’idea che se le cose dovessero andare male c’è la possibilità di rifarsi una vita) il Matrimonio è nullo.

      Per inciso, molti casi di situazioni irregolari rientrano in questa fattispecie, la vasta maggioranza, credo.

      “Questo risolve il problema secondo quanto già affermato dal catechismo.”

      Dipende. Per esempio ci potrebbe essere chi, pur essendo certo della nullità del proprio Matrimonio, non vorrebbe chiederla, per varie ragioni.

      Anche qui il Confessore deve valutare bene come agire.

      “Si dice che oggi il clima culturale ostile ha confuso in molti cattolici la consapevolezza dell’indissolubilità del matrimonio e perciò si può avere la non piena avvertenza. Questa affermazione è confusa a sua volta, perché confonde “ignorare” con “rifiutare”. ”

      Non necessariamente. Diversi hanno una idea della condanna del divorzio da parte della Chiesa più mutuata dal senso comune che dalla dottrina, cioè non sanno veramente cosa significa la condanna del divorzio.

      “Se io incontro qualcuno che “non sa”, il mio dovere è istruirlo, non posso lasciarlo nell’ignoranza. Il divorziato risposato senza piena avvertenza, che chiedesse al sacerdote di accostarsi alla Comunione, acquisirebbe la piena avvertenza nell’istante stesso in cui il sacerdote gli dicesse “figlio caro, ti devo dare una notizia.””

      Ammesso che questi non gli confonda ancora di più le idee, come oggi avviene sempre più spesso. I sacerdoti che deformano la coscienza dei fedeli sono sempre esistiti, e oggi ce ne sono molti di più a causa della cattiva dottrina da cui spesso sono formati.

      Direi che il penitente non ha colpa in questi casi, a meno che non sia andato a cercartelo apposta per sentirsi dire ciò che voleva.

      “Se invece si pensa che il sacerdote debba lasciare il buon selvaggio nell’ignoranza, per non fargli maturare la “piena avvertenza” e non fargli perdere il “diritto” alla Comunione, allora si implica che l’ignoranza è salvifica. ”

      Ovviamente in linea di principio il Sacerdote non deve agire in questo modo, e ovviamente l’ignoranza non è salvifica.

      L’ignoranza al massimo può evitare la condanna, nel senso che se non sai non puoi essere imputabile e rimani giustificato, ma ciò che salva e giustifica è sempre la Grazia, che produce la nostra libera cooperazione.

      Chiarito questo, ripeto che i casi trattati da Al non riguardano tanto la problematica dell’ignoranza e della piena avvertenza.

      • È certamente vero che ad una maggiore perfezione nella fede corrisponde una maggiore consapevolezza dei propri peccati e di conseguenza una maggiore contrizione del cuore. Dunque è certamente vera anche la dinamica opposta. A me pare che questo sia il quadro in cui Al propone il discernimento

        • Daniele
          « ad una maggiore perfezione nella fede corrisponde una maggiore consapevolezza dei propri peccati e di conseguenza una maggiore contrizione del cuore. Dunque è certamente vera anche la dinamica opposta.  »
          Cioè siccome la maggioranza dei nostri contemporanei hanno una fede debole o scarsa o per nulla perfetta il discernimento proposto per costoro è rendere più veniale il peccato, cosicchè non si spaventino?
          Insomma la Chiesa ospedale da campo. ci sono feriti con ferite mortali e noi gli diamo lo zuccherino dicendo, non hai nulla caro, stai tranquillo, perchè se invece gli dicessimo che ha la gamba in cancrena e sta per morire il poveretto non potrebbe sostenere la verità?
          Ma non vi avvedete caro Daniele che voi presumete che si siano pochi « perfetti » che possono vivere l’ideale che divorziare e risposarsi è un peccato mortale, e la MASSA che non è all’altezza DI CAPIRLO !
          IL PROBLEMA CARO DANIELE è CHE NON SI VUOLE AMMETTERE DUE SEMPLICI COSE:
          che seguire la morale insegnata da Gesù è difficile, che restare fedeli al patto coniugale è difficilissimo, che poi se il matrimonio fallisce , non cercare la seconda unione è quasi eroico.
          ma non è forse questo a cui ci chiama Cristo? prendere la croce, non essere dei borghesi soddisfatti e mediocri?
          la chiesa deve predicare Cristo o lo zuccherino?

          • “Insomma la Chiesa ospedale da campo. ci sono feriti con ferite mortali e noi gli diamo lo zuccherino dicendo, non hai nulla caro, stai tranquillo, perchè se invece gli dicessimo che ha la gamba in cancrena e sta per morire il poveretto non potrebbe sostenere la verità?”

            Sarebbe così se la Chiesa avesse detto che bisogna assolvere chi è in peccato mortale anche senza che abbia le dovute disposizioni, o se avesse incitato al Sacrilegio affermando che tutti possono e devono, indistintamente, accostarsi ai Sacramenti in quanto viatico.

            Ciò non è stato fatto neanche alla lontana. Ciò che si propone in Al è proprio, riprendendo la tua analogia alla carlona, valutare semmai dove la gamba non è in cancrena o, per usare un’altra analogia, dove il tumore (il peccato) è solo benigno (veniale).

            E questo sistema tutto il resto del tuo discorso, che è fuori tema.

          • Giusto per chiarire che le cose sono diverse dalla dicotomia bianco/nero che sembra piacere tanto http://www.redentoristinapoletani.it/s-alfonso-de-liguori-il-fondatore/la-morale-alfonsiana/

            ” Significativo al riguardo è la maniera in cui Alfonso chiede al confessore di affrontare le situazioni di ignoranza invincibile. Ricorda innanzitutto che «sebben egli come padre dee con carità sentire i penitenti, nulladimeno è obbligato come medico ad ammonirli e correggerli quanto bisogna». Questo perché «le ammonizioni del confessore sono più efficaci che le prediche dal pulpito», dato che «il predicatore non sa le circostanze particolari, come le conosce il confessore; onde questi assai meglio può far la correzione ed applicare i rimedi al male». Ne deriva che «è obbligato il confessore ad ammonire chi sta nell’ignoranza colpevole di qualche suo obbligo, o sia di legge naturale o positiva». Quando però si tratta di ignoranza incolpevole, se è «circa le cose necessarie alla salute, in ogni conto gliela dee togliere; se poi è d’altra materia, ancorché sia circa i precetti divini, e ‘1 confessore prudentemente giudica che 1’ammonizione sia per nocere al penitente allora dee farne di meno e lasciare il penitente nella sua buona fede». La motivazione sta nel fatto che «deesi maggiormente evitare il pericolo del peccato formale che del materiale, mentre Dio solamente il formale punisce, poiché da questo solo si reputa offeso».”

            E qua è Sant’Alfonso, uno che di confessioni se ne intende, visto che un certo Papa Pio XII l’ha nominato celeste patrono dei confessori e moralisti.

          • Il discorso di Sant’Alfonso in questo caso potrebbe applicarsi ad esempio ad una persona che ha un Matrimonio nullo alle spalle e per qualche ragione non può chiedere la certificazione alla Chiesa (perché la Chiesa non “annulla” niente, semmai riconosce la nullità, la quale era già presente) e risposarsi in Chiesa, ad esempio.

            In questo caso ci troveremmo di fronte ad una unione che non è adulterio ma non è nemmeno propriamente regolare, e una eccessiva rigidità da parte del confessore potrebbe portare al peccato mortale anche in questa situazione, se gestita solo legge alla mano.

            È solo un esempio, eh.

            Ai divorziati risposati con Matrimonio valido invece ciò che è importante è capire quanta libertà hanno di osservare il precetto nella loro situazione, vale a dire se possono (e quindi devono) agire diversamente oppure se, al momento, non possono.

          • Cristina se sei d’accordo con la mia affermazione puoi ben capire che si riferisce a ogni peccato commesso sotto il suo aspetto oggettivo (materia grave) mentre la soggettività nella consapevolezza della persona determina la gravita della colpa. Ora sei in grado di escludere questa prospettiva all’interno di un rapporto matrimoniale? anche solo rispetto a uno dei coniugi?
            Io no, non posso negare questa dinamica per i miei peccati, figuriamoci se lo posso fare per quelli degli altri.
            Per questo la preghiera del Padre nostro termina con la frase « non ci indurre in tentazione » che significa per favore Signore non mettermi alla prova perché lo so che senza di Te cado inesorabilmente.
            L’adulterio è forse una categoria di peccato che esclude la possibilità di non avere piena consapevolezza soggettiva di ciò che si sta facendo? Puoi escludere la possibilità che una persona pur comprendendo la sua situazione non possa materialmente modificarla senza commettere una male peggiore?
            Fosse anche solo il caso di una persona in tutta la storia della Chiesa, non si dovrà lasciare le altre pecore per cercare quella smarrita?
            Ciò non significa sminuire il peccato secondo il suo aspetto oggettivo.
            Capisco il tuo timore, ma « non avere paura! Cristo sa cosa c’è dentro l’uomo, solo lui lo sa »

      • Antonio, che AL si focalizzi più sulla libertà e sul deliberato consenso è una tua inferenza, certamente legittima; ma in questo caos planetario che stiamo vivendo, mezzo mondo interpreta AL “tot capita tot sententiae” e tanti vescovi usano e abusano della “piena avvertenza” proprio per giustificare la comunione agli adulteri inconsapevoli (ti devo dare qualche link?).
        Come se non fosse dovere della Chiesa proprio quello di insegnare alle persone cosa è bene e cosa è male.
        Le tue obiezioni ai miei punti sono fuori fuoco e girano intorno all’incapacità dei preti di insegnare o dei fedeli di capire. Ma queste incapacità sono ostacoli da eliminare, non giustificazioni da mantenere.

        • Sircigles, ciò che hai scritto in questo post è certamente vero.

          Concordo anche che

          “Le tue obiezioni ai miei punti sono fuori fuoco e girano intorno all’incapacità dei preti di insegnare o dei fedeli di capire. Ma queste incapacità sono ostacoli da eliminare, non giustificazioni da mantenere.”

          Ma se questo non avviene, o meglio se il Papa, pur potendo punire chi sta dando interpretazioni sbagliate di Al e che vanno oltre la stessa interpretazione che egli ha giudicato giusta, non lo fa, ebbene dobbiamo pensare che vi sia un motivo, tanto più che deve vuole sa essere molto deciso.

          Se hai letto, nell’altro topic l’ho criticato pesantemente su questo punto, nel topic sulla correzione filiale.

          E confermo le mie critiche. Però devo anche dire che il Papa ha una Grazia di stato che io non ho, e se sta permettendo certe cose pur potendo evitarle forse una ragione c’è.

          Comunque il punto è che, anche qualora i tuoi punti fossero tutti impeccabilmente giusti, e io stesso ritengo che l’attenuante della piena avvertenza sia molto difficile, a cose normali, da applicare a chi ha un Matrimonio valido alle spalle, come dicevo il punto è che una tale persona può ben trovarsi in una situazione che limita la sua libertà per cause di forza maggiore, come ha detto anche Cavalcoli, quindi accolgo ciò che hai scritto riguardo all’interrpetazione eretica che stanno dando molti Vescovi ma respingo che dalla difficoltà o semiimpossibilità per un cattolico risposato di aver piena avvertenza discenda sempre la colpa mortale, perché appunto le attenuanti sono anche altre.

          Il punto quindi è che le interpretazioni eretiche di Al non cancellano il fatto che di Al è possibile dare una interpretazione cattolica.

          • Corrige: respingo che dalla difficoltà o semiimpossibilità per un cattolico risposato di NON aver piena avvertenza discenda sempre la colpa mortale”.

        • Sircigles,

          “Però devo anche dire che il Papa ha una Grazia di stato che io non ho, e se sta permettendo certe cose pur potendo evitarle forse una ragione c’è.”

          Aggiungo che qua dobbiamo andare a monte: perché Dio sta permettendo tutto ciò?

          Dio non potrebbe forse fare si che le cose vadano diversamente, per esempio non avrebbe potuto far salire al Soglio Petrino il Cardinale Burke o non permettere l’ascesa di Francesco?

          Certamente. Dunque perché sta permettendo tutto ciò?

          Qua andiamo sulle ipotesi, ipotesi che però si fondano su una certezza: la Chiesa Cattolica non può diventare foriera di dannazione per chi vi si affida, perché andare in dannazione per avere seguito in buona Fede la Chiesa implicherebbe l’essere ingannati da Cristo stesso.

          Ergo può essere che certe cose siano permesse affinché Dio ne tragga un bene maggiore. San Tommaso insegna che “Dio permette alcuni mali affinché non siano impediti molti beni”.

          Se io fossi Papa al momento posso dirti che agirei in maniera diversa riguardo ai problemi da te menzionati, ma visto che non lo sono e visto che al Soglio c’è un uomo che ritiene di non dover agire in un certo modo e di dover punire certe persone, nonostante appunto dove gli preme abbia mostrato il polso di un Pio IX, e quest’uomo essendo Papa ha una Grazia di stato che io non ho, evidentemente un motivo deve esserci per forza.

          Ed altrettanto evidentemente questo motivo non può essere che il Papa sia mosso da cattive intenzioni o dalla volontà di danneggiare il gregge.

          • Ed altrettanto evidentemente questo motivo non può essere che il Papa sia mosso da cattive intenzioni o dalla volontà di danneggiare il gregge.

            Da dove ti viene quesa certezza? Perche pensi che un Papa anche non volendo danneggiare e mosso da buone intenzioni non potrebbe compiere azioni che porterebbero ad un danno per il gregge?

            • Perchè non credo che Dio possa permetterlo. E perché se Dio trae il male anche dal bene a maggior ragione deve essere così anche per la Chiesa.

              Se un fedele venisse indotto a dannazione per aver seguito la Chiesa Cattolica, il corpo mistico di Cristo, ti lascio immaginare quali sarebbero le conclusioni.

          • Antonio, è sempre molto difficile capire perché Dio permette certe cose.
            Dio permette il male, ma ciò non toglie che il male sia male e che noi dobbiamo evitarlo per quanto in nostro potere.
            Dio permette il male anche perché prende sul serio la nostra libertà, compresa quella del Papa, che può errare in ciò che non ricade nell’infallibilità. Sbagliò Pietro e fu corretto da Paolo, sbagliarono Onorio e Liberio, sbagliò Giovanni XXII. Sbagliarono sotto diversi livelli Papa Borgia, Giulio II, sbagliò il Papa che autorizzò il processo a Galileo…
            È ironico vedere come oggi improvvisamente sia scoppiata questa papolatria, a volte negli stessi ambienti modernisti che azzannavano ferocemente i precedenti papi « conservatori ».
            La grazia di stato non è una bacchetta magica che trasforma automaticamente e deterministicamente il Papa in un uomo che non sbaglia mai.

    • « Il peccato di cui stiamo parlando è molto particolare ed è davvero problematico individuare se e quali sono i casi di colpa soggettiva assente o diminuita. »
      Non è più particolare o problematico di quello di una coppia che fa uso sistematico di contraccezione (comune al 90% e oltre dei cattolici) o di quello di una coppia di conviventi mai stati sposati.
      Questo dal punto di vista della colpevolezza soggettiva, ovviamente, perché dal punto di vista oggettivo c’è il fatto che le persone in oggetto vivono in contrasto non solo con una norma morale ma anche con un Sacramento.
      Ma questo, di per se, non implica che sia più problematico individuare i casi di colpa soggettivamente assente o diminuita.
      Vedi, in questo post dimostri un’altra delle cose che ho scritto sopra a Lorenzo: questa questione sta creano così tanti problemi perché le parole di Gesù sul divorzio vengono viste come una specie di supercomandamento la trasgressione del quale comporta un superpeccato e una supercolpa sempre irrimediabilmente mortale.
      Ma è proprio la premessa che è sbagliata. Come ho scritto a Lorenzo più sopra tale comandamento non è di per se nè più nè meno vincolante di quello che impone ad ogni essere umano dotato di ragione di convertirsi alla vera Fede e alla vera Chiesa.
      Eppure accettiamo il canone 844.3 del nuovo codice di diritto canonico mentre il capitolo VIII di Al sarebbe il preludio all’arrivo della Bestia dell’Apocalisse.

      • Antonio, se si smettesse di parlare di AL e si cominciasse a parlare delle sue interpretazioni, risulterebbe tutto molto più chiaro anche a te. AL non può essere messa in dubbio, ma le sue interpretazioni arbitrarie sì. E’ di questo che si deve discutere, non di AL. Vogliamo parlarne?
        AL rammenta solo che c’è differenza tra la condizione oggettiva di peccato e la colpa soggettiva del peccatore. Lo sapevamo già dal Catechismo, ma, va bene, meglio ribadirlo. Ora, però, alcuni tra noi si sono chiesti perché AL abbia voluto ribadire questo concetto, e hanno dato una loro « interpretazione » che, per sciagura, è diventata l’unico modo di leggere il documento. E sarebbe: essendo l’adulterio un peccato, come tutti i peccati ha una materia oggettiva e una colpa soggettiva, ergo, basta che il confessore discerna una colpa lieve, et voilà, anche un divorziato risposato può fare la comunione. Peccato che AL non dica questo, per cui questa rimane, ad oggi, un’interpretazione arbitraria del Magistero ufficiale della Chiesa.
        Ciò che a AL preme dire – e ciò che di fatto mette nero su bianco – è solo questo: non si può essere certi della piena colpevolezza di una persona nel concorrere alla condizione oggettiva di peccato in cui si trova, ragione in più per non considerare i divorziati risposati come una categoria reietta o degli scominicati (questo sarebbe vero anche se fossimo certi della colpevolezza di questa persona, quindi, a maggior ragione, se non possiamo esserne certi).
        Il fatto che a questa categoria di persone non sia concesso di accedere ai sacramenti – dice sempre AL – non va quindi inteso come se fossero fuori della comunità ecclesiale; questo sarebbe un errore perché essi ne fanno invece parte a pieno titolo, e perciò bisogna operare attivamente per reintegrarli nella vita della Chiesa (il Papa ha fatto anche un esempio: « non è detto che se uno non può fare la comunione, non può neanche fare il padrino di Cresima, o l’operatore pastorale »). E’ chiaro fin qui?
        OK, allora, tutto lo zelo che metti nel costruire questo castello in aria che stai facendo con la colpa, la supercolpa, il supercomandamento e via di questo passo, per giustificare o per cercare di spiegare agli altri ciò che AL non dice, serve solo a confondere le idee; non c’entra niente con la finalità ultima di AL, che non è quella di dare la comunione ai divorziati. Se AL avesse voluto trarre questa conclusione dalle premesse sulla condizione soggettiva del peccatore, l’avrebbe certamente tratta, non trovi? E se questa conclusione non l’ha tratta il Magistero della Chiesa, che titolo hanno altri di trarla impropriamente? Sbaglia, quindi, anche chi, dal versante opposto, insiste in questa diatriba senza senso sull’ortodossia di AL, chiaramente sotto la regia del diavolo.

        • Se è possibile che un divorziato risposato non sia in peccato mortale ne consegue che è possibile aiutarlo coi Sacramenti, come è detto anche dalla nota 351.

          La finalità ultima di Al non può nè deve essere quella di dare la Comunione ai “divorziati risposati” per il semplice motivo che è assurdo anche solo pensare ad una assoluzione per categorie.

          Al apre la porta per il discernimento nel singolo caso, cioè per vedere se il singolo soggetto (non in quanto facente parte di una categoria ma in quanto soggetto concreto) possa accedere ai Sacramenti.

          Il Papa stesso ha detto che questa interpretazione di Al è giusta, confermandolo ai vescovi argentini. Poi ci possono essere anche altre interpretazioni di Al giuste, come quella dei vescovi polacchi, ad esempio, ma quella dei vescovi polacchi non è l’unico modo corretto di interpretare Al.

          Può essere il modo corretto di interpretarla nella nazione polacca, che non è uguale a quella Argentina.

          Questo perché per l’appunto di diritto divino vi è solo l’obbligo di escludere dai Sacramenti il peccatore in peccato mortale, la decisione di escludere dai Sacramenti anche chi non fosse in peccato mortale solo sulla base del suo peccato oggettivo è una decisione prudenziale e pastorale, che quindi può conoscere mutamenti in base al luogo in cui viene applicata.

          Le interpretazioni errate e arbitrarie di Al sono solo quelle estreme e opposte dei tradizionalisti che non ammettono che nel caso dei risposati possa darsi talvolta colpa lieve e quelle dei modernisti che hanno riletto sciaguratamente Al con l’etica della situazione che nulla c’entra col documento.

        • Per finire, quindi, quando scrivi

          “Il fatto che a questa categoria di persone non sia concesso di accedere ai sacramenti ”

          Rammento che non è -nè può essere- messo in discussione ciò, infatti la concessione dei Sacramenti ad una categoria di peccatori è impossibile, a meno che non si voglia dichiarare che il loro peccato non è tale (cosa infatti fatta dai modernisti).

          È solo possibile assolvere il singolo peccatore a causa delle attenuanti che la SUA situazione concreta comporta, non può mai essere possibile aprire le porte ai Sacramenti ad una categoria di peccatori.

        • Caro Antonio, qui ci dobbiamo intendere bene sulla grammatica e sulla sintassi.
          Innanzitutto, non andrebbe neppure rimarcato il dato ovvio che se AL avesse davvero voluto segnare un cambio di paradigma – come è stato detto – su una materia così importante, cioè che da oggi è possibile fare quello che fino a ieri era comunque vietato, non avrebbe confinato questa novità in fondo al documento, nell’indice delle Note, al n.351. Ma, a parte questa notazione da archivista, andiamo a leggere cosa dice veramente la Nota 351: “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti”. La sgrammaticatura di queste 9 parole (manca il soggetto) si spiega col fatto che sono la naturale continuazione della frase nel testo del documento, a metà del para. 305, prima del rimando alla Nota 351 (“…ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.[351]”). Non è una domanda peregrina chiedersi perché queste 9 parole sono state staccate dal corpo della frase e spedite in una Nota in fondo al documento. Infatti ciò era necessario proprio per evitare equivoci e fraintendimenti, là dove non dovevano e non potevano esserci in un Atto di Magistero (che, come noto, non può contraddire il Magistero). Non solo, ma l’uso del condizionale esprime chiaramente la forma dubitativa, o, quantomeno, interlocutoria, come di un rimando a maggiori approfondimenti (potrebbe essere utile, ma bisognerebbe studiare se è davvero possibile, a quali condizioni, con quali limiti, in quali modalità, ecc). E’ quindi una forzatura inaccettabile far passare la Nota 351 come una forma assertiva con cui il Magistero universale intende affermare con certezza una tale novità rispetto al passato.

          Il proseguo della Nota, poi, non aggiunge nulla a quanto sopra, se non due citazioni dall’Evangelii Gaudium da cui si evince di quali sacramenti si sta parlando (“Per questo, ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore (Esort. ap. Evangelii gaudium [24 nov 2013], 44:AAS 105 [2013], 1038). Ugualmente segnalo che l’Eucaristia non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli (ibid., 47: 1039)”).

          Per quanto sopra, l’esercizio arbitrario di alcuni, di andare nelle Note e fare reverse cut-n-paste di 9 parole per rimetterle nel testo da cui erano state tolte, costituisce una vera opera di falsificazione del senso originario. Il senso del testo originario è esattamente l’opposto di quello del documento posticcio che gli interpreti hanno riassemblato nella loro interpretazione.

          Venendo poi alla questione del discernimento della colpa, a me sembra che questa cosa c’entri poco e niente con la possibilità di essere riammessi ai sacramenti, e che sia solo una coltre di fumo per non chiarire esattamente il problema, deviando tutta l’attenzione sul dramma umano del coniuge ingiustamente abbandonato, o nello stato di necessità a peccare. Infatti, il sacerdote per assolverti non ha bisogno di conoscere il tuo grado di colpa, sicché tu possa ricevere il perdono solo se la tua colpa è lieve. Per assolverti il sacerdote – ecco il discernimento – deve solo capire se sei veramente pentito, e questo indipendentemente se la tua colpa sia lieve o gravissima. Intendo dire che, se lo scopo della Nota 351 fosse quello di riammettere ai sacramenti i risposati, ancorché a certe condizioni, a cosa è servita la disquisizione sulla colpa? Sarebbe servito semmai definire in quali modi alternativi i risposati potrebbero esprimere il loro pentimento, giacché, fino ad ora, di questo si poteva esser certi solo con il ristabilimento delle condizioni oggettive di grazia.

          • “ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa”

            Di quale aiuto sta parlando, secondo te?

            “E’ quindi una forzatura inaccettabile far passare la Nota 351 come una forma assertiva con cui il Magistero universale intende affermare con certezza una tale novità rispetto al passato.”

            Anche laddove il Papa ha chiarito come va inteso il suo testo, ciò sarebbe una forzatura?

            “Infatti ciò era necessario proprio per evitare equivoci e fraintendimenti, là dove non dovevano e non potevano esserci in un Atto di Magistero (che, come noto, non può contraddire il Magistero”

            Codice di diritto canonico del 1917, canone 731,2

            “La Chiesa, per proteggere la fede dei suoi figli, ha in proposito una dottrina ben precisa, fondata sulla legge divina. Essa permette ai non cattolici di ascoltare le prediche, assistere alla Santa Messa e alle cerimonie della Chiesa, ricevere benedizioni per disporli alla fede o alla salute del corpo (CJC senior can. 1149). Essi possono anche beneficiare degli esorcismi (CJC senior can. 1152). Non è però permesso agli eretici e agli scismatici, seppure in buona fede, di ricevere i sacramenti, se non hanno prima rigettato i loro errori e si siano riconciliati con la Chiesa”

            Nuovo codice di diritto canonico, canone 844.3

            ” I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti della penitenza, dell’Eucaristia e dell’unzione degli infermi ai membri delle Chiese orientali, che non hanno comunione piena con la Chiesa cattolica, qualora li richiedano spontaneamente e siano ben disposti; ciò vale anche per i membri delle altre Chiese, le quali, a giudizio della Sede Apostolica, relativamente ai sacramenti in questione, si trovino nella stessa condizione delle predette Chiese orientali.”

            Il Magistero ha contraddetto il Magistero oppure ha legittimamente cambiato una disposizione pastorale e prudenziale che pure la Chiesa aveva sempre tenuto fino ad allora?

            Perché elevi le disposizioni di FC a una sorta di rango di Magistero definitivo e definitorio quando non lo sono? Tieni presente che, prima ancora di essere formalizzare nel nuovo codice di diritto canonico, a questa nuova disciplina sugli scismatici che non vogliono convertirsi era già stato dato il via libera da Orientalium Ecclesiarum 27.

            “Infatti, il sacerdote per assolverti non ha bisogno di conoscere il tuo grado di colpa, sicché tu possa ricevere il perdono solo se la tua colpa è lieve. ”

            Invece sì, perché dove la colpa è lieve posso comunicarmi, dal momento che l’Eucaristia cancella i peccati veniali.

            “Per assolverti il sacerdote – ecco il discernimento – deve solo capire se sei veramente pentito, e questo indipendentemente se la tua colpa sia lieve o gravissima”

            Vedi sopra.

            Anche perché se non fosse così nemmeno gli scismatici orientali potrebbero essere ammessi ai nostri Sacramenti, dato che il nuovo codice di diritto canonico tratta di soggetti che in buona Fede non vogliono convertirsi.

            “Intendo dire che, se lo scopo della Nota 351 fosse quello di riammettere ai sacramenti i risposati, ancorché a certe condizioni, a cosa è servita la disquisizione sulla colpa? ”

            A chiarire che se si discerne che vi è colpa lieve riguardo a quello specifico peccato il divorziato risposato può ricevere l’assoluzione per gli altri eventuali peccati ed assumere l’Eucaristia che lo aiuterà a crescere nella Grazia.

          • Infine, ricordo che se non si può accedere ai Sacramenti, non si può essere assolti per nessun peccato.

            Vale a dire che, escludendo il divorziato risposato dai Sacramenti indipendentemente dalla colpa soggettiva, lo si mette in una condizione nella quale, dove avesse colpa lieve per i suoi attuali peccati di adulterio, non potrebbe essere perdonato per altri eventuali peccati mortali.

            Per esempio un divorziato risposato che porta colpa lieve rispetto al sesto comandamento potrebbe comunque peccare mortalmente verso un altro comandamento e necessitare quindi dell’assoluzione, assoluzione che in questo caso non può ricevere, se lo si esclude sempre e comunque.

            Vero è che può comunque essere perdonato con la perfetta contrizione (mentre invece per essere perdonato in confessione basta l’attrizione), ma è altrettanto vero che la perfetta contrizione è una Grazia particolare, si può impetrare con la preghiera, certo, ma il punto rimane.

            Quindi di fatto escludendolo dai Sacramenti sempre e comunque lo si pone in una situazione spiritualmente non buona.

            Peggiore anche di quella di uno scismatico orientale ( che può ricevere i Sacramenti validi e illeciti della sua Chiesa e, dall’83, anche i nostri, dove il confessore veda che vi sono buone disposizioni, che riguardo al suo peccato di scisma vi saranno quasi sempre dato che è facile che sia in buona Fede nella sua persevefanza in tale peccato) che tradizionalista (da quando Papa Francesco ha concesso la validità della loro confessione).

            È difficile dire che la Chiesa voglia aiutare queste persone, se poi li lascia in una situazione peggiore di quella degli scismatici.

            Perciò la tua ultima obiezione ha facile soluzione: dove vi è colpa lieve e il confessore valuta che quella persona al momento non può fare diversamente per cause di forza maggiore (vedi anche quanto detto da Padre Cavalcoli), potrà ricevere l’Assoluzione dai suoi eventuali peccati mortali, e per i veniali ci pensa l’Eucaristia a toglierli.

            In ogni caso qui stiamo parlando di una persona che vorrebbe agire diversamente ma non può per cause sulle quali al momento non ha il controllo, perciò parliamo di una persona pentita.

          • Ultimo appunto su assoluzione e colpa lieve.

            Anche sulla contraccezione, peccato di gravità specifica inferiore all’adulterio ma nondimeno sempre materia grave e peccato mortale dove vi siano le altre due condizioni richieste dal CCC, la Chiesa, già ai tempi del Pontificato di San Giovanni Paolo II, adottò misure diverse e più lenienti di quelle di prima http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1344740.html

            Di per se la colpa lieve non è un ostacolo, poiché se per ipotesi non sei pentito di un tuo peccato ma ne porti colpa solo lieve (esempio una persona con Matrimonio nullo alle spalle il cui confessore decide di non imporle di chiedere la nullità e risposarsi in Chiesa, prevedendo o capendo dalla Confessione che non è in condizione di farlo: in questo caso abbiamo una persona in situazione comunque irregolare -non adulterio ma fornicazione- ma che porta colpa solo lieve), puoi comunque ricevere l’assoluzione dove la necessiti, cioè da eventuali colpe gravi, se ne hai, e le colpe lievi vengono tolte dall’assunzione del Santissimo Sacramento.

            Ma se io ti escludo dai Sacramenti per un tuo peccato grave oggettivo reiterato di cui però porti solo colpa lieve, tu non potrai confessarti e ricevere l’assoluzione nemmeno per i peccati mortali.

            Un po’ duretta come misura, non credi?

            Viene da chiedersi dove sia il famoso “aiuto della Chiesa” di cui parla Al se tale aiuto consiste nel lasciarti in una condizione peggiore di quella in cui saresti se ti fossi messo in stato di scisma con la FSSPX o se fossi uno scismatico ed eretico ortodosso.

            Spero di essere stato sufficientemente chiaro.

            • Dimenticavo un’altra considerazione non secondaria.
              La levità della colpa sarebbe data dalla condizione di non poter uscire, pur volendolo, da una determinata situazione di fatto senza traumi; ergo, il non poter uscire dalla medesima situazione di fatto senza traumi, ma volendo però rimanervi, costituisce colpa grave?
              In altri termini, la colpa lieve o grave dipende solo dallo grado di soddisfazione del penitente nel suo nuovo stato? Ma che senso ha chiedere a uno che si è rifatto una vita e che si trova bene con la sua nuova compagna e con i nuovi figli, di disprezzare la sua nuova famiglia almeno quanto disprezzava la precedente se vuole aspirare al perdono della Chiesa? (e ci scommetto tutto quello che ci si può scommettere che questo sarà lo sviluppo successivo dell’interpretazione).

              • “Dimenticavo un’altra considerazione non secondaria.
                La levità della colpa sarebbe data dalla condizione di non poter uscire, pur volendolo, da una determinata situazione di fatto senza traumi; ergo, il non poter uscire dalla medesima situazione di fatto senza traumi, ma volendo però rimanervi, costituisce colpa grave? In altri termini, la colpa lieve o grave dipende solo dallo grado di soddisfazione del penitente nel suo nuovo stato?”

                E chi avrebbe detto o sostenuto una idiozia del genere? Il penitente, indipendentemente dal “grado di soddisfazione”, deve essere disposto a fare ciò che deve essere fatto, tutto qui.

                Il punto è che talvolta ciò non è possibile.

              • Mi spiego meglio: il penitente deve, indipendentemente dal fatto che sia d’accordo o no, sottomettersi al comandamento di Dio e della Chiesa, riconoscendone quindi la normatività.

                La colpa lieve c’è laddove, nonostante ciò sia stato fatto, il penitente e il confessore riconoscano che si è in una situazione che non permette l’ottemperanza fattuale di tale precetto.

          • Non vedo la necessità di scomodare gli scismatici per dimostrare l’indimostrabile; a parte il fatto che le reciproche scomuniche sono cadute da tempo, e che quindi il problema dell’intercomunione non si pone proprio.
            L’argomento che l’attuale disciplina dei sacramenti metterebbe in pericolo la salvezza di chi non ha la possibilità di confessare un peccato mortale a motivo della colpa lieve che lo mantiene nelle condizioni di non poterlo fare, è smentito dai tuoi precedenti interventi in cui, giustamente, ribadisci che se uno obbedisce all’insegnamento della Chiesa non può dannarsi. Inoltre l’argomento è debole in sé, in quanto chi ha voglia di confessare il proprio passato può sempre farlo, rigettando tutto il male che ha compiuto con colpa più o meno grave, e confessando che non riesce a uscire da una determinata condizione. Il sacerdote potrà rifiutargli l’assoluzione in base all’attuale disciplina, ma davanti a Dio lui ha fatto quanto poteva. Forse dovrà riconsiderare se egli sia effettivamente impossibilitato a uscire dalla sua condizione, ma forse è anche quanto gli chiede Dio.

            • “Non vedo la necessità di scomodare gli scismatici per dimostrare l’indimostrabile”

              Dimostrare l’indimostrabile?

              “a parte il fatto che le reciproche scomuniche sono cadute da tempo, e che quindi il problema dell’intercomunione non si pone proprio.”

              Ma che discorso è? Sono comunque scismatici, come lo è la FSSPX. Oltre al fatto che rifiutano diversi dogmi cattolici.

              Ma che stai dicendo?

              “L’argomento che l’attuale disciplina dei sacramenti metterebbe in pericolo la salvezza di chi non ha la possibilità di confessare un peccato mortale a motivo della colpa lieve che lo mantiene nelle condizioni di non poterlo fare, è smentito dai tuoi precedenti interventi in cui, giustamente, ribadisci che se uno obbedisce all’insegnamento della Chiesa non può dannarsi. ”

              Io ho detto che lo mette in una condizione spiritualmente peggiore. O vuoi forse sostenere che non potersi più confessare ed essere assolti per nessun peccato a causa di una situazione che magari a livello soggettivo comporta colpa lieve sarebbe una situazione di per se buona spiritualmente?

              Non dico che in questo caso uno si danni, dico che di fatto è messo in una condizione peggiore di quella degli scismatici.

              Ti ripeto la domanda: che senso ha parlare di “aiuto della Chiesa” come fa Al se tale aiuto consiste nel lasciare una persona in una situazione peggiore di quella in cui sarebbe se fosse scismatico ortodosso o uno scismatico della FSSPX?

            • Stefano,

              Vedi anche questo https://pellegrininellaverita.com/2017/10/02/burke-la-fsspx-e-scismatica/comment-page-1/#comment-33287 commento di Simon al soggetto.

              Come vedi Simon ricorda che

              “Quelli che hanno difficoltà a capire i valori insiti nella norma, tipicamente coloro che vanno dalla FSSPX abitualmente, non sono sempre per forza soggettivamente pienamente colpevoli e, in questo caso, non hanno bisogno di confessarsene per poter comunicarsi.”

              Cioè un membro della FSSPX, essendo scismatico, è oggettivamente in una situazione la quale gli precluderebbe la salvezza, se egli si rendesse conto del suo errore e vi persistesse fino alla morte.

              Ma il fatto che possa essere in buona Fede, e che in molti casi lo sia davvero, comporta una riduzione o magari anche annullamento della colpa.

              Il Papa ha permesso ai sacerdoti della FSSPX di assolvere validamente, ne consegue che questi scismatici ora possono cancellare il loro peccato veniale di scisma nel quale si trovano con l’Eucaristia ed essere perdonati quando commettono un peccato mortale, se si confessano. Esattamente come gli scismatici orientali, i quali possono ricevere i Sacramenti validi e illeciti della loro Chiesa, e la Cattolica nel caso degli orientali mai ne ha messo in dubbio la validità.

              Sia gli scismatici della FSSPX che gli orientali possono quindi confessarsi quando commettono un peccato mortale, ed essere perdonati.

              Un divorziato risposato invece, indipendentemente dal fatto se il peccato di adulterio in cui si trova comporti colpa lieve oppure mortale, se non mette fine alla sua situazione (cosa che, come ricordato anche da Padre Cavalcoli, a volte non può fare, per cause di forza maggiore) non solo non può ricevere l’Eucaristia ma, quando commette un altro tipo di peccato mortale (perché il fatto che il suo adulterio sia colpa lieve non esclude che possa commettere peccato mortale contro altri comandamenti, ovviamente), non può confessarsi e per essere perdonato da Dio necessita quindi della perfetta contrizione, non bastando l’attrizione per essere perdonati senza Confessione.

              A saperlo a posteriori gli sarebbe convenuto, a sto povero disgraziato, che qualcuno lo convincesse ad entrare nella FSSPX.

              Ti è più chiaro il perché le parole riguardo all’aiuto della Chiesa in Al sarebbero abbastanza ridicole, se dopo tutto ciò che si è fatto per scismatici che non ne vogliono sapere della piena comunione con Roma si lasciasse questi cattolici in questa situazione?

              • Come vedi stai facendo una lunga deduzione per dire quello che AL non dice. Ma sempre deduzione è, come sempre è una deduzione tua personale e come sempre non è stata fatta in AL.

              • Quindi Al dice che queste persone possono ricevere l’aiuto della Chiesa (tutto questo facendo ovviamente finta che la nota 351 non esista) ma poi tale aiuto consiste nel lasciarle in una situazione fattualmente peggiore di quella degli scismatici, laddove questi possono confessarsi e ricevere l’assoluzione mentre questi cattolici no anche laddove vi sia colpa lieve.

                Paremi una presa per le natiche, onestamente.

              • Inoltre, tornando un attimo al discorso degli scismatici, il fatto che le reciproche scomuniche siano cadute non implica minimamente che gli ortodossi siano in piena Comunione con Roma.

                Sono e restano scismatici. A loro è stato possibile fare tale concessione sui Sacramenti perché hanno, come noi, una vera Fede eucaristica e una vera Eucaristia, ma sono comunque scismatici e tale situazione di per se esclude dalla salvezza se chi vi persiste ne è pienamente colpevole e non lo fa in buona Fede.

                Questo è insegnato dogmaticamente dagli ex cathedra dell’Unam Sanctam e della Cantate Domino e ripetuto anche nella Lumen Gentium

                “non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare.” (Lumen Gentium 14)

                Ergo non puoi affermare cose come

                “le reciproche scomuniche sono cadute da tempo, quindi il problema dell’intercomunione non si pone proprio”

                Perché il peccato di scisma rimane, non è che dopo la caduta delle reciproche scomuniche non sia più scisma e perseverare a non convertirsi al cattolicesimo sia una scelta buona e salvifica in se stessa.

                Riassumendo quindi per poter accedere alla Comunione servono due requisiti minimi:

                1) essere liberi da ogni peccato mortale;

                2) essere cattolici o ortodossi, cioè fare parte di Chiese che hanno validi Sacramenti e soprattutto una vera Fede eucaristica nella Presenza Reale e una vera Eucaristia.

                È evidente che sia i cattolici che gli ortodossi possano soddisfare queste due condizioni.

                I protestanti ad esempio non possono partecipare ai nostri Sacramenti perché non credono nella Presenza Reale nè nel Sacramenti dell’Ordine che da ai Sacerdoti la potestà di convertire la sostanza del pane e del vino nella sostanza del Corpo e del Sangue del Signore. E a fortiori ciò vale per chi non è cristiano.

                Ciò detto, il discorso è questo:

                1) la Chiesa dopo il Vaticano II ha deciso, contrariamente a quanto sempre fatto, di concedere la possibilità che un ortodosso scismatico possa ricevere i nostri Sacramenti, nonostante la sua situazione oggettiva di scisma, se è in buona Fede e quindi non ne porta colpa grave. Notare che nei secoli precedenti ciò sarebbe stato impensabile, e anche il Vecchio Codice di diritto canonico infatti li esclude tassativamente anche quando in buona Fede, affermando che tale legge è fondata sulla legge divina (vedere Canone 731,2 del codice di diritto canonico del 1917);

                2) la Chiesa con Al afferma che i divorziati risposati in stato di adulterio, se non portano colpa grave, possano crescere nella Grazia e nella Carità e ricevere a tale scopo l’aiuto della Chiesa, indicando nella nota 351 la possibilità di aiutarli coi Sacramenti. Del resto sarebbe farsesco parlare di aiuto della Chiesa, se poi la stessa Chiesa impedisce loro non solo di comunicarsi indipendentemente dalla gravità della colpa, ma anche di confessarsi, non potendo perciò queste persone confessarsi e vedersi rimesso il peccato qualora si macchiassero di colpe gravi relative ad altri comandamenti (perché come già detto non portare colpa grave rispetto alla propria situazione di adulterio a causa di situazione che limitano la libertà vale solo per quel peccato). Un cattolico in tale situazione è oggettivamente privato di aiuti che, ora, sono concessi anche agli scismatici tradizionalisti ed orientali, ne consegue che parlare di aiuto della Chiesa e lasciarli in tale situazione è ridicolo. Come è ridicolo sdilinquirsi dicendo che non sono scomunicati, che sono parte della Chiesa ecc, se poi di fatto sono meno parte della Chiesa di scismatici ed eretici che rigettano il primato petrino, concedono il divorzio e non sono affatto in piena Comunione con la Cattolica.

                Credo di aver detto tutto.

              • Antonio, se chiedi “quale sarebbe allora l’aiuto che può dare la Chiesa?”, smentisci te stesso quando più sopra hai affermato che giammai il fine ultimo di AL è quello di concedere la comunione ai risposati. Se poi questo fosse il solo aiuto che la Chiesa può dare ai divorziati, epperò questo non è il fine il fine ultimo di AL, di che stiamo parlando?

                L’aiuto che può dare la Chiesa a queste persone, secondo AL, è quello di integrarle facendole sentire parte attiva di essa. Questo è quanto dice AL e lì si ferma. I tuoi trattati di storia della Chiesa non bastano a dimostrare che AL abbia detto di più. Sulla Nota 351 ho già espresso il mio parere più sopra circa il modo in cui va letta, che non può essere diverso dal modo in cui si leggono tutte le note di tutti i libri del mondo, a meno di non voler rovesciare il mondo con tutto il buon senso che c’è rimasto e tutte le convenzioni comunicative e di linguaggio universalmente accettate. E, soprattutto, a meno di non voler fare apposta a far passare la Nota 351 come un espediente da furbetti del quartierino.

                Infine, circa l’impossibilità di accedere alla confessione, almeno per gli altri peccati, rimanendo quello di adulterio non rimosso, almeno fintantoché permangono le condizioni oggettive impedenti, penso che questo possa essere facilmente modificato e senza sforzo. Del resto già ora è così per i peccati che scordo di confessare e che devo confessare poi individualmente alla prima occasione utile, senza che questo invalidi la confessione intera. L’impossibilità di confessare una particolare condizione di peccato da cui attualmente non riesco a uscire potrebbe essere trattata in analogia all’impossibilità di confessarla per dimenticanza. Non sono un teologo o un canonista e non so dire per quale motivo qualcuno non ci abbia ancora pensato (non voglio pensare che sia solo a fini strumentali). Comunque non spetta a me stabilire queste cose.

              • “Antonio, se chiedi “quale sarebbe allora l’aiuto che può dare la Chiesa?”, smentisci te stesso quando più sopra hai affermato che giammai il fine ultimo di AL è quello di concedere la comunione ai risposati. Se poi questo fosse il solo aiuto che la Chiesa può dare ai divorziati, epperò questo non è il fine il fine ultimo di AL, di che stiamo parlando?”

                Non giocare con le parole.

                Al parla di aiuto che può dare la Chiesa, e quando un divorziato risposato è in Grazia per i motivi già detti tale aiuto può essere rappresentato dai Sacramenti, come dice la nota 351.

                “L’aiuto che può dare la Chiesa a queste persone, secondo AL, è quello di integrarle facendole sentire parte attiva di essa”

                Trattandole fattualmente peggio degli scismatici non in comunione con Roma? Chissà se no. Si volesse integrarle.

                “Sulla Nota 351 ho già espresso il mio parere più sopra circa il modo in cui va letta, che non può essere diverso dal modo in cui si leggono tutte le note di tutti i libri del mondo, a meno di non voler rovesciare il mondo con tutto il buon senso che c’è rimasto e tutte le convenzioni comunicative e di linguaggio universalmente accettate. E, soprattutto, a meno di non voler fare apposta a far passare la Nota 351 come un espediente da furbetti del quartierino.”

                Ma oltre alla nota 351 anche il Papa è stato chiaro su Al, a meno che non si voglia pensare che non sapesse ciò che scriveva ai Vescovi Argentini.

                “Infine, circa l’impossibilità di accedere alla confessione, almeno per gli altri peccati, rimanendo quello di adulterio non rimosso, almeno fintantoché permangono le condizioni oggettive impedenti, penso che questo possa essere facilmente modificato e senza sforzo”

                No, FC esclude dai Sacramenti di penitenza ed Eucaristia, punto. E non vedo come possa essere modificato. Se tu, Chiesa, decidi di escludere una persona dai Sacramenti indipendentemente dal fatto se la sua situazione di peccato grave costituisca colpa mortale, di fatto gli impedisci di confessarsi e ricevere l’assoluzione per gli eventuali peccati mortali che dovesse compiere.

                Fine.

                “L’impossibilità di confessare una particolare condizione di peccato da cui attualmente non riesco a uscire potrebbe essere trattata in analogia all’impossibilità di confessarla per dimenticanza.”

                No, tanto è vero che anche FC è molto specifica al riguardo nel negare non solo l’Eucaristia, ma anche la Confessione.

                Ergo la tua soluzione non è praticabile. Il problema dei divorziati risposati verte proprio su questo, cioè non tanto e non solo sull’Eucaristia, ma sull’impossibilità di vedersi rimessi i peccati anche laddove la propria situazione di adulterio costituisca colpa leggera per le attenuanti già menzionate.

                Sono in una situazione dove se peccano mortalmente contro altri comandamenti non possono essere assolti a causa dell’esclusione dovuta alla loro situazione oggettiva di peccato.

              • Corrige

                “Chissà se no. Si volesse integrarle.”

                Chissà se non si volesse integrarle.

                Per finire, Stefano, ti metto il testo di Familiaris Consortio

                “La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» ”

                Questo comporta senza equivoci esattamente ciò che ti dicevo, e cioè che anche laddove un divorziato risposato porti colpa solo lieve, gli è di fatto impedito di confessarsi, da ciò ne consegue che non può ricevere l’assoluzione per gli altri eventuali peccati mortali che dovesse compiere.

                È un fatto, nero su bianco. Il Sacramento della Riconciliazione è interdetto punto e stop.

                È evidente quindi che parlare di aiuto della Chiesa, integrazione e bubbole carie quando lasci una persona nella condizione di cui sopra, dove non può essere assolta dai suoi peccati mortali, è puro flatus vocis.

                Rilevo inoltre che in questa frase

                “Antonio, se chiedi “quale sarebbe allora l’aiuto che può dare la Chiesa?”, smentisci te stesso quando più sopra hai affermato che giammai il fine ultimo di AL è quello di concedere la comunione ai risposati. ”

                Strumentalizzi quanto io avevo scritto. Io avevo scritto che Al non può concedere I Sacramenti ad una CATEGORIA, perché farlo equivarrebbe negare il loro peccato.

                Avevo altresì scritto che Al apre le porte per un discernimento sul singolo peccatore, sul singolo soggetto, che prima nel caso dei divorziati risposati non era concesso.

                Questo è tutto ciò che ho scritto. Al non poteva fare concessioni ad una categoria di peccatori in quanto tali, ma può aiutare il singolo penitente visto che è il singolo, e non la categoria, a poter beneficiare delle attenuanti menzionate.

              • Ma io stavo solo elucubrando una possibile risposta alla tua domanda su come possa la Chiesa aiutare le persone che si trovano nella condizione di non poter confessare neppure gli altri peccati, e ho avuto cura di precisare che però non sta me decidere queste cose. Per tutta risposta tu mi dici che non si può fare perché FC lo vieta. Ma lo vieta in relazione all’impossibilità di comunicarsi (nel senso che se ricevessero il perdono potrebbero comunicarsi), ma FC non specifica se sia possibile ricevere almeno un perdono parziale; questa cosa qui potrebbe essere specificata da un magistero successivo, e ho motivo di credere che non sarebbe in contrasto con quello precedente.

                Mentre poi affermi tranquillamente che AL avrebbe aperto non solo alla confessione intera, ma anche alla comunione. Ma scusa, se tu dici che la mia proposta non si può fare perché FC lo vieta, allora come fai a far dire ad AL che queste persone che possono addirittura comunicarsi? E Infatti AL non lo dice. In AL questa possibilità è riportata in forma di ipotesi interlocutoria e dubitativa, in una nota nascosta in fondo al documento; una sorta di rimando per gli specialisti, una nota per non dimenticarsi di approfondire ancora l’argomento (magari proprio per aprire alla confessione parziale, chi lo sa?). Questo è il mio punto di vista sulla realtà oggettiva delle cose. Tu invece salti a conclusioni non provate e non provabili.

                Non provabili neppure richiamandosi a interpretazioni, per quanto autorevoli, che non possono cambiare il senso letterale di un documento ufficiale della Chiesa universale. Ci vuole un altro documento di pari livello da parte del custode del Depositum, o comunque un atto ufficiale formalmente divulgato totius Ecclesiae. Non sono da ritenersi probanti comunicazioni private. Mi sembra il minimo sindacale.

                Infatti quando un Atto di Magistero viene promulgato non appartiene più al suo autore, ma alla Chiesa intera. Ad es, neppure se l’Evangelista Marco tornasse sulla terra a dire “guardate che qui vi sbagliate, io non intendevo dire questo, ma voi avete scritto quest’altro”, la cosa sarebbe da prendere in considerazione. L’Evangelista Marco, infatti, non ha alcuna autorità superiore a quella del Papa sui documenti della Chiesa (di cui il Canone è il principale e fondante). Allo stesso modo, il Papa, al pari dell’Evangelista Marco, può avere le sue legittime personali opinioni su un documento che magari lui stesso ha promulgato, ma, a quel documento, lui per primo, in quanto custode del Depositum, deve l’ossequio della volontà e della ragione. Perché nell’atto di promulgare il documento lui è certamente assistito dallo Spirito Santo, mentre nell’atto di esprimere un parere personale no, o almeno non quanto quando esercita il suo munus.

              • “Per tutta risposta tu mi dici che non si può fare perché FC lo vieta. Ma lo vieta in relazione all’impossibilità di comunicarsi (nel senso che se ricevessero il perdono potrebbero comunicarsi), ma FC non specifica se sia possibile ricevere almeno un perdono parziale;”

                Ma quale perdono parziale? Non esiste perdono parziale, che razza di discorso è? Dici che FC lo vieta in relazione alla possibilità di comunicarsi, ma Confessione e Comunione sono strettamente correlate.

                Perciò di che stiamo parlando?

                Tanto è vero che chi ha interpretato Al in senso conservativo ha mantenuto il ban anche dalla Confessione, come è ovvio che sia.

                “Ma scusa, se tu dici che la mia proposta non si può fare perché FC lo vieta, allora come fai a far dire ad AL che queste persone che possono addirittura comunicarsi? ”

                Lo dico perché Al menziona l’aiuto dei Sacramenti. Quali Sacramenti?

                La Confessione parziale è una assurdità, perché o puoi essere perdonato da tutti i peccati oppure la Confessione non serve a nulla.

                E se vieni perdonato dai tuoi peccati non ha nessun senso che tu venga impedito di comunicarti, nemmeno a livello pubblico, dato che puoi tranquillamente andare in una Chiesa dove non sei conosciuto.

                Riguardo al fatto che quella nota sarebbe un rimando per specialisti e che non dice ciò che io dico, ribadisco che il Papa, l’autore di Al, ha dichiarato quale è la giusta interpretazione.

                Ti è stato già spiegato che è l’autore che ha il compito di dire come deve essere interpretato il suo testo, e a meno di non ritenere il Papa un demente che non sa quello che fa e dice, il suo pensiero su Al è chiaro, come del resto è chiaro il capitolo VIII stesso se lo si legge senza pregiudizi.

              • Inoltre nella Diocesi di Roma il Cardinale Vallini fa applicare Al in modo sostanzialmente molto simile a quanto fatto dai vescovi argentini alla cui interpretazione il Papa ha dato il placet http://www.lastampa.it/2017/01/07/vaticaninsider/ita/vaticano/dubia-sui-sacramenti-ai-risposati-la-via-di-vallini-rZJGCELLnVmgHLr14G4zJO/pagina.html

                Pensare che il Cardinale Vicario del Papa per la Diocesi di Roma abbia emanato direttive in contrasto col pensiero di chi ha scritto Al, compresa la famosa nota, è del tutto farsesco.

              • “Perciò di che stiamo parlando?”
                Stiamo parlando della questione da te sollevata – non da me – circa l’impossibilità di confessare un peccato mortale in presenza di una condizione impedente, ma di gravità morale ipoteticamente inferiore al peccato da confessare. Io ho formulato un’ipotesi di lavoro, richiamandomi per analogia al caso della confessione non ben fatta per dimenticanza (quindi con analoga lieve o nulla colpa oggettiva rispetto alla dimenticanza); dunque, forse, e sottolineo forse, non proprio un’assurdità come tu ha sentenziato con stizza sospetta. Ma tu hai deciso che non si può fare? E va bene, vorrà dire che non se ne farà niente.

                “Chi ha interpretato Al in senso conservativo ha mantenuto il ban anche dalla Confessione, come è ovvio che sia”.
                Ma pensa, io mi sforzo di essere modernista e tu vai dare ragione ai conservatori! Mi sembri bastian contrario. E poi chi ti autorizza a fare interpretazioni ancora più moderniste? Perché non ti attieni all’interpretazione letterale del testo del capitolo VIII, che se lo si legge senza pregiudizi, come dici tu, cioè senza saltare in modo forzato alle Note, non giustifica in nessuna delle 350 pagine di cui è composto la tesi che tu sostieni?

                “Lo dico perché Al menziona l’aiuto dei Sacramenti. Quali Sacramenti?”
                Te l’ho detto, e diventa tedioso doversi ripetere, li cita in forma ipotetica e dubitativa e in modalità (la Nota) che non consentono di trarre le deduzioni che tu hai tratto.

                “Ti è stato già spiegato che è l’autore che ha il compito di dire come deve essere interpretato il suo testo”.
                E io ti ho già spiegato che un Atto di Magistero non appartiene più al suo autore umano, ma al suo Autore, cioè allo Spirito Santo che vive nella Chiesa, sempre che ti prema rimanere cattolico. Questo non vuol dire ritenere il Papa un demente, ma considerare quello che dice in relazione alle circostanze e alle modalità in cui esprime ciò che dice, facendo discernimento tra ciò che è un pronunciamento autorevole da ciò che è una legittima opinione liberamente opinabile. Il suo pensiero su Al pertanto sarà anche chiaro, come dici tu, ma noi siamo chiamati a dare l’ossequio della ragione e della fede agli insegnamenti ufficiali della Chiesa, non al al pensiero variamente espresso del Papa. E dico questo non in modo affettato; io lo dico convinto di voler dare in futuro l’assenso a qualunque Atto di Magistero che formalmente introducesse le novità di cui tu parli.

              • Basta.

                Stefano, tu hai voglia di perdere tempo, io no. Ti ho anche citato come viene è stata fatta applicare Al nella diocesi di Roma, ma tu continui a girare in tondo.

                E continua a girare in tondo, ma senza di me.

              • Allora possiamo dire a Simon di chiudere il blog.

              • Sarebbe stato interessante sentire il parere anche di qualche altro frequentatore del forum, così sembra una partita a ping-pong fra cinesi. Ma se nessuno si è inserito, ne deduco che l’argomento sia stato di scarso interesse, o che sia stato derubricato a contesa privata. Peccato.

              • Stefano, i tuoi argomenti li ho già affrontati, e tu continui a riproporli in un eterno ritorno dell’uguale.
                Direi quindi che può bastare. Il tuo pensiero se non altro è meno ottuso di quello di altri ma comunque ti fissi su alcuni punti assurdi e ti rifiuti di vedere le cose come sono, perciò non vedo a che serva andare avanti.

  11. la soggettività nella consapevolezza della persona determina la gravita della colpa.
    Mi pare che sbagli, quello che determina la gravitá della colpa è l’oggettiva mancanza di piena avvertenza o deliberato consenso.

  12. Si dà certamente, tra le tante ricchezze portate da AL, una prospettiva aperta di approfondimento, in questo tempo, della conoscenza e attualizzazione della dottrina degli “intrinsece mala” o “assoluti morali” (per es. i comandamenti negativi del decalogo), sempre accolti come tali dalla Chiesa come parte del depositum, su basi scritturistiche e a partire dall’elaborazione aristotelica-tomista.

    Verso questo convergono tanto il “dubium” rispettosamente rivolto dal grande Card. Caffarra come le esplicitazioni recentemente venute dal Santo Padre.
    Spetta al Magistero guidarci, con la collaborazione dei teologi più qualificati.
    Il che non solo non disorienta i fedeli, ma sollecita potentemente una rinnovata fedeltà alla propria vocazione cristiana.

    La Chiesa è viva, il Magistero è vivo. Ringraziamo Dio della fortuna che abbiamo e della Grazia che ci è immeritatamente donata.

  13. Insomma mi par di capire che:

    1) In certi casi estremi e comunque personali, un singolo divorziato risposato può fare la comunione, dopo essersi confessato, anche senza impegnarsi a vivere in continenza ed impegnarsi alla separazione dal secondo matrimonio civile ?
    Risposta ==> SI

    2) Questo era vero anche prima che AL lo rispiegasse e lo facesse riemergere ?
    Risposta ==> SI

    Giusto ..?

    • La risposta alla seconda domanda è no.

      Veniva fatto comunque da alcuni sacerdoti ma andando contro alle regole. La disciplina ufficiale era che un divorziato risposato o viveva in castità oppure, anche se aveva attenuanti, era escluso dai Sacramenti.

      Il che implica il non potersi confessare e ricevere l’assoluzione nemmeno quando si commette un vero peccato mortale.

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