Magnum Principium: Un Nuovo Inizio

Il Motu Proprio “Magnum Principium”  del 3 settembre 2017 del Santo Padre Francesco è passato quasi inosservato dalla quasi totale maggioranza dei media ufficiali e di quelli della blogosfera, salvo presso i soliti penosi ossessionati dalla loro propria negatività malaticcia.

In realtà, questa lettera apostolica è la pietra d’angolo della futura rinascente espansione della Chiesa cattolica sulla scacchiera spirituale mondiale: ed è bene che passi inosservata ai più mentre i suoi effetti positivi si svilupperanno nei prossimi decenni di questo secolo.

Cosa dice questo Motu Proprio? (a) Prende atto del fatto che il S.S. Concilio Vaticano II ha voluto che la liturgia sia resa più comprensibile dal popolo cristiano; (b) Prende anche atto del fatto che nessuno conosce meglio i codici linguistici e culturali che i vescovi locali; (c) Ricorda che in ogni Chiesa particolare vi è tutta la Chiesa Universale e che il suo vescovo è il primo e solo responsabile dell’azione liturgica che vi si compie; (d) Che l’unità nella diversità si esprime con la conferma esplicita da parte dell’Autorità superiore dell’azione liturgica della Chiesa subordinata.

Autorità e responsabilità sono due faccette speculari di chi assume una carica ma non perfettamente simmetriche: se è vero che l’Autorità, qualunque essa sia, può sempre essere delegata ad altri in linea di principio, la Responsabilità non lo è mai. Ogni Vescovo è responsabile dell’unità della propria Chiesa particolare con la Chiesa universale, ma non ha l’autorità di affermarla: questa autorità è sola del Vescovo di Roma per volontà divina, il quale può, solo, riconoscere questa unità.

Il Motu Proprio chiarisce quindi una situazione finora leggermente confusa dovuta anche alla novità storica del dopo Concilio nell’allora novello dovere di procurare traduzioni nelle lingue vernacolari adattate ad ogni geografia.

Sul piano dei principi rimette a posto un concetto importantissimo caro alla Chiesa cattolica che è quello del Principio di Sussidiarietà: l’istanza superiore non ha da intromettersi nelle attribuzioni dell’istanza inferiore. Quel che un livello inferiore può fare deve farlo: al livello superiore rimane la carica di assicurarsi che ‘unità dell’organismo sia mantenuta. Le nozioni sviluppate in dettaglio nel detto Motu Proprio circa “recognitio” e “confirmatio” esplicano concretamente il Principio di Sussidiarietà nel contesto preciso.

Ma in cosa questi “dettagli” tecnici che, in fin dei conti, sono la semplice espressione di un buon senso comune manageriale impatterà per davvero il futuro della Chiesa al punto di esserne, secondo noi, addirittura fondante?

La risposta è semplice: il rinnovo della Chiesa non può essere un progresso sincronico monolitico di tutte le realtà ecclesiali, ma è un processo spesso diacronico e analogico a quello vitale biologico. Sono le singole cellule a generare nuove cellule vigorose se fertili, come anche a semplicemente morire se sterili. Sono le singole Chiese particolari che porteranno avanti il rinnovo vitale alle nuove generazioni facendo sì che la Chiesa Universale sia così sempre viva: non è la vitalità di una Chiesa particolare, quand’anche fosse quella di Roma, che è causa efficiente della vitalità delle altre Chiese particolari. Quella di Roma è garante di unità di tutte le Chiese, ma non è la sorgente della vitalità di ognuna delle Chiese particolari: ma è la sola responsabilità di queste ultime di garantire la propria unità con quella di Roma, mentre a questa incombe “solo” confermarne la realtà.

Il progressismo nella Chiesa è sterile da sempre: porta a famiglie sconquassate, all’assenza di figli, di vocazioni, di affiato apostolico concreto, a liturgie depauperate. Le Chiese locali che hanno abbracciato tale visione solamente orizzontale si contraddistinguono con liturgie sciatte, espressioni eretizzanti della fede, l’assenza di progresso morale, allineamenti ideologici sulle mode mainstrean del pensiero unico: la buona notizia è che, per definizione, sono solo epifenomeni storici destinati per loro natura a non riprodursi e a sparire.

Il fatto di ricordare che ogni Chiesa locale ha la responsabilità della propria liturgia rimanda ogni Pastore e la  comunità di cui è in carica verso la sua responsabilità di fronte a Dio e al Popolo a lui confidato: si ha la fede della “qualità” della propria preghiera.

In realtà il fondo è già stato toccato per quanto concerne le varie Chiese particolari del mondo occidentale: ormai nella maggior parte delle diocesi solo due sono le possibilità nei prossimi vent’anni, o sparire o tornare a vivere la liturgia con pienezza.

Tutta l’azione della Chiesa è Liturgia ed è la Liturgia che fa la Chiesa, nel senso che ne è la ragione: salvare anime, aiutare i poveri e di malati, insegnare, celebrare la messa, tutto è Liturgia, tutto è azione di grazia dello Spirito Santo al Padre tramite il Figlio, Unico Grande Sacerdote.

Rendiamoci anche conto di un elemento importante: qualunque Papa eletto che abbia più di 75 anni, nei fatti non rappresenta più nessun sacerdote o vescovo in attività. Questo iatus generazionale fa si che, ad esempio, Papa Francesco ordinato nell’immediato post-Concilio rappresenti un modo di fare Chiesa tale quale lo si concepiva 50 anni fa e che non corrisponde a più nessuno nella Chiesa “attiva”, tutti i suoi “coetanei” essendo ormai da anni pensionati o decessi.

Ovviamente quando è eletto un Papa più giovane, come lo fu il Santo Giovanni Paolo Magno, la sintonia tra lui e la generazione in carica della Chiesa creò quella vibrazione positiva che si risente ancora oggi e che probabilmente marcherà i futuri due a tre papi per la forza delle cose.

Tutto ciò per dire che la Chiesa concreta, quella locale, non può delegare ad un livello superiore la propria responsabilità alla fertilità e quindi alla liturgia. In altre parole, se prendiamo l’esempio francese, il progressismo ha mostrato i propri frutti o piuttosto la propria assenza di frutti con famiglie al disotto del soglio di rinnovo lasciando così lo spazio alla minoranza musulmana nel paese, vedendo il numero di vocazioni tagliato di un ordine di grandezza in qualche anno.

Eppure, grazie a Magnum Principium e sapendo che il 20% dei nuovi sacerdoti ordinati sono cultori della forma straordinaria e quasi il 75% hanno un rispetto “classico” della Liturgia; non c’è dubbio alcuno che tra dieci, venti e trent’anni, le diocesi ora calamitate avranno garantite quello spazio di legittima libertà nella liturgia che permetterà loro di dinamizzare nuovamente le loro Chiese locali.

 E chi non lo farà, ebbene, sparirà dal mondo: ma alla fine della fine le Chiese fertili, con la loro Liturgia in soave odore a Dio, non solo resteranno, ma profileranno dappertutto.

Maranatha !

In Pace



Categories: Attualità cattolica, Liturgia e Sacra scrittura, Magistero

19 replies

  1. Che la Sacra Liturgia sia il cuore della Chiesa e che da essa ripartira’,nel futuro la vera vita spurituale,dopo lo.sfacelo dei nostri giorni,siamo tutti d’accordo.L’aveva gia’profetizzato Benedetto XVI.
    MAremo che il Motu Proprio Magnum Pricipium non contribuira’certo all’unita’e alla sacralita’della Liturgia:se i testi liturgici che dovrebbere essere uguali per tutti i cattolici sono tradotti in maniera diversa dalle realta’locali , invece dell’unita’si avra’la Babele liturgica.
    A me sembra che questo MotuProprio prosegua nella “protestantizzazione”della Liturgia cattolica.
    Vedremo.i frutti:se davvero come crede Simon tale Motu Proprio e’stato emanato per favorire la rinascita della Sacra Liturgia dara’molti frutti, se invece e’un altro colpo per rottamarla, dara’ ulteriore confusione e sgretolamento.

    • Penso che questo Motu Proprio avrà un effetto catalitico potenziante nelle conseguenze di chi è e sarà sterile e di chi è e sarà fecondo: e il tempo servirà da spartiacque finale come insegna Gesù nella parabola del buon grano e del loglio.

      In questo, umanamente ho grandissima fiducia nell’esito positvo finale, in quanto solo il fecondo si riproduce; ma anche sul piano spirituale la mia fidcuia è immensa in quanto è lo Spirito Santo che governa la Sua Chiesa.

      In Pace

      • Il bello é che il predecessore di Francesco seguendo il moto “lex orandi, lex credendi” è usando la sua autorità centralizzata aveva condotto una battaglia perche le traduzioni riflettessero il “pro multis”, vietando traduzione tipo “per tutti”. Questo Motu Propio viene a dare ragione a le conferenze episcopali che non hanno seguito l’autorità. Lo Spirito oggi vuole B quando ieri voleva A? Non credo. Lo Spirito guida la Chiesa ma non ha colpi di Motu Propio. Lo fa cosi:
        il 20% dei nuovi sacerdoti ordinati sono cultori della forma straordinaria e quasi il 75% hanno un rispetto “classico” della Liturgia

        E per questo non ocorre nessun motu propio ne nessun cambio di codice.

  2. Per chi voglia approfondire Padre Scalese sul suo sito Antiquo Robore riporta tutte le precise variazioni del codice di diritto canonico che stabilisce il nuovo Motu Proprio.
    http://querculanus.blogspot.it/
    Da quanto si capisce non essendo specialisti, prima la autorita’ »centrale »doveva revisionare lw traduzioni locali prima di approvarle, ora rinuncia alla revisione e passa direttamente all’approvazione.
    Insomma un altro passo verso il de-centramento e l’inculturazione.

    • Decentramento e inculturazione sono una necessità storica che corrisponde alla volontà di incarnazione di Cristo nell’umanità concreta.

      Il principio di sussidiarietà è la chiave di volta della nozione stessa di Corpo di Cristo quale illustrata fin dai tempi delle lettere di San Paolo.

      In Pace

    • Sono andato a leggere l’articolo di Querculanus e sono davvero d’accordo con due sue affermazioni che considero oggettive (altre rilevano dell’opinione personale sua che non condivido per forza):

      (1) Che dire di queste novità? Dal punto di vista formale, esse sono ineccepibili. Esse si presentano come maggiormente conformi alle disposizioni del Vaticano II e operano una piú chiara distinzione fra adattamenti liturgici (che necessitano di recognitio da parte della Santa Sede, che ha il dovere di salvaguardare l’unità del rito romano) e traduzioni liturgiche (che sono invece di competenza delle Conferenze episcopali e richiedono solo una conferma da parte della Sede Apostolica).”

      (2) “Morale della favola, questo motu proprio dimostra che la riforma liturgica, avviata dal Concilio e proseguita in questi cinquant’anni come un processo che si è andato progressivamente approfondendo e precisando, non è affatto… irreversibile.”

      In Pace

  3. Ottimo intervento del Card.Mueller , all’ultimo convegno sul Motu Proprio Summorum Pontificum, il quale fa eco al senso del nostro articolo qui sopra: «Il futuro della Chiesa si decide nella liturgia»
    http://www.lanuovabq.it/it/il-futuro-della-chiesa-si-decide-nella-liturgia

    In Pace

    • Afferma il Card.Mueller: «fino ad ora vi è stata una sostanziale unità nella traduzione nel messale della stessa lingua, nonostante piccole differenze. Però queste lingue, ad esempio l’inglese, non si parlano in unico paese, PERTANTO VI POTREBBE ESSERE UNA CERTA DIFFORMITA’ SE FOSSE LA SINGOLA CONFERENZA EPISCOPALE A DECIDERE. Avremmo piuttosto bisogno della cooperazione di più conferenze episcopali, per evitare problemi pratici come il caso di messali della stessa lingua differenti».

      • Infatti questo fa molto senso.
        Magnum Principium risolve bene in linea di principio queste situazioni.
        Ma il solo responsabile è il Vescovo.
        Grazie per la sottolineatura.
        In Pace

        • Prima era la Sede Apostolica a vigilare che le traduzioni liturgiche nelle differenti lingue fossero fedeli all’originale, ora la Sede Apostolica vigila solo sugli adattamenti: se, puta caso, la Conferenza Episcopale spagnola autorizzasse la traduzione del messale in un modo e la Conferenza Episcopale messicana o argentina autorizzassero traduzioni differenti, i timori del Card. Muller sarebbero fondati?

          • No perché lo spagnolo parlato in Argentina differisce da quello parlato in Messico e da quello parlato in Venezuela ed iN Spagna.
            Come anche l’inglese statunitense differisce da quello britannico e da quelli indiano.
            Lo stesso per il francese in Canada e quello di Francia…. addirittura anche con quello della Svizzera romanda.
            Dipende….
            E chi meglio sa questo se non i vescovi locali? E con quale pertinenza assecodna del soggetto trattato?
            In Pace

            • Quindi, secondo te, i timori del Card. Muller che paventa messali differenti della stessa lingua sono infondati?

              • Dipende: potrebbe essere fondato quando le due lingue dello stesso ceppo linguistico sono talmente vicine culturalmente e geograficamente con numerosi scambi di popolazione; mentre è probabilmente infondato quando non lo sono.
                In questo Magnum Principium brilla per la sua saggezza e lungimiranza in quanto lascia al livello inferiore, con pieno rispetto del principio di sussidiarietà, il decidere quale sia l’impatto di ogni situazione particolare alle diocesi concrete che devono affrontare il contesto concreto specifico.
                In Pace

              • Simon, lo sapevi che le Conferenze Episcopali in Italia sono 17?

              • Se è per quello in Svizzera ci sono 6 diocesi,
                in Italia le diocesi sono 226.
                Se in Italia avessimo solo qualche problemino potremmo dirci fortunati.

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