Cattolicità e pensiero ellittico

Ellisse

Accolgo con gratitudine mista ad emozione l’invito del caro amico Mauro ad entrare a far parte dei redattori di Croce-Via, dopo l’ennesimo episodio di censura messo in atto nei miei confronti dal gruppo progressista “Nipoti di Maritain”, usurpatori del nome del grande Jacques.

Ma non voglio iniziare questa mia collaborazione limitandomi alla geremiade. Vorrei piuttosto proporre una riflessione basata sull’affascinante libro del cardinale Leo Scheffczyk, “Il mondo della fede cattolica. Verità e forma”, Vita e Pensiero, 2007. La domanda da cui vorrei partire è apparentemente banale e di poco interesse: qual è l’essenza del cristianesimo cattolico?

Se in passato chiunque sarebbe stato in grado di rispondere facilmente ad un interrogativo di questo genere, oggi la questione si è certamente fatta più ardua, anzitutto perché la pretesa insita nel termine stesso “cattolico” sembra essere divenuta impossibile da difendere. Tutti sanno, infatti, che katholikós significa “universale”, e allo stesso tempo a nessuno sfugge che, al giorno d’oggi, la religione cattolica ha ben poco di universale (basti pensare che abbraccia circa il 17% della popolazione mondiale, che si riduce ad un 2-4% se si prendono in considerazione solo coloro che prendono parte in modo consapevole alla vita ecclesiastica e sacramentale). Sembrerebbe dunque porsi, fin da principio, una contraddizione insanabile, resa ancora più evidente dalle numerose correnti presenti all’interno dello stesso cattolicesimo, spesso in contrasto l’una con l’altra, nonché dalle fratture esterne coi fratelli ortodossi o protestanti.

La problematica inizia a rischiararsi se ricordiamo che, in realtà, il termine “cattolico” non ha mai espresso un’universalità puramente quantitativa e spaziale, né un’universalità effettivamente raggiunta. Fin dall’inizio (si veda ad esempio Clemente di Alessandria, Stromata, VII, 17), “cattolico” è stato utilizzato per riferirsi ad una determinata Chiesa, che reclamava per sé il carattere di vera fede, proprio in contrapposizione alle altre sette ed eresie, presenti fin dai primi secoli. “Cattolico”, dunque, ha sempre avuto il significato di “autentico”, “vero”, “ortodosso”, e non di “attualmente maggioritario”.

Se è vero che questa consapevolezza ci mette al riparo dalla contraddizione superficiale paventata inizialmente, tuttavia restiamo ancora ben lontani dall’aver risposto alla domanda iniziale: qual è l’essenza del cristianesimo cattolico? C’è un modo per distinguere ciò che è realmente cattolico da ciò che non lo è, o in fondo questa parola si riduce ad un vuoto contenitore dentro cui ciascuno può inserire, a suo arbitrio, tutto ed il contrario di tutto?

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Per rispondere, potremmo certamente enunciare le principali verità dogmatiche in cui noi cattolici crediamo (e non possiamo non credere), ma così facendo correremmo forse il rischio di far diventare l’essenza del cattolicesimo un astratto (benché necessario) sistema dottrinale. Se davvero cerchiamo l’elemento unico che, più di ogni altro, caratterizza la weltanschauung cattolica, trascendendo dai singoli punti teoretici, possiamo vederlo emergere dall’istruttivo confronto con la fede protestante. Tutti sappiamo che, per gli evangelici, la parola chiave è “solamente”: sola Scriptura, sola fide, sola gratia, solus Christus, soli Deo gloria. Ebbene, è estremamente interessante notare che, a questi ed altri “solamente”, la fede cattolica risponde incessantemente con l’et-et, l’uno e l’altro. In fondo, tutta la teologia cattolica è disseminata di emozionanti binomi: Scrittura e Tradizione, lex orandi e lex credendi, natura e grazia, fede e sapere, ora et labora, storia e idea, oggettività e soggettività, Scrittura e Chiesa, universalismo e unità, continuità e progresso, tolleranza ed eslusività, comunità e personalismo, sovrannaturalismo e incarnazionalismo, misericordia e giustizia, mistica e teoresi, Dio e mondo, fede e opere, libertà e legame, ragione e mistero… chiunque conosce un po’ la fede cattolica sa che su ciascuno di questi binomi si naviga perennemente tra l’uno e l’altro polo, senza mai rispondere col netto “aut-aut” che ben conosciamo dei fratelli protestanti.

Agli occhi di un osservatore esterno, tuttavia, questa particolarità potrebbe apparire (e lo ha fatto; si veda ad esempio Heiler, Der Katholizismus, pp. 595) come la conferma dell’inesistenza di una vera e propria essenza cattolica; la conferma, cioè, del carattere sincretistico e, quindi, fondamentalmente contraddittorio, della fede cattolica. In effetti, la critica sarebbe pienamente giustificata, se la posizione cattolica rappresentasse semplicemente un’impossibile sintesi tra i due estremi del binomio. Per uscire da questa nuova impasse, allora, ci torna nuovamente utile il confronto col pensiero protestante. E’ famosa la dichiarazione di Karl Barth, secondo cui:

«Io penso che l’analogia entis debba essere considerata come un’invenzione dell’anticristo e che non si possa diventare cattolici proprio a causa sua».

In questa presa di posizione contro l’analogia entis, cioè contro quell’impostazione che vede una ben precisa relazione tra Dio e mondo, emerge proprio il fulcro del pensiero cattolico. Noi infatti pensiamo che il finito porti con sé una sorta di immagine dell’infinito, e che ogni ente contingente sia legato all’Essere necessario da un legame fortissimo. Proprio per questo motivo, von Balthasar aveva correttamente individuato che il movimento tipico del pensiero cattolico deve essere immaginato come un movimento ellittico. L’ellisse, infatti, possiede due punti focali, e per ogni suo punto rimane costante la somma delle distanze dai due fuochi. Se ricordiamo i binomi teologici di cui parlavamo, capiamo allora che la soluzione di qualsiasi problema si trova sempre lungo l’ellisse, e mai in un solo fuoco, proprio perché vige un legame con entrambi i punti focali, che dunque non sono mai l’uno contro l’altro, ma restano sempre legati l’uno all’altro. Ogni volta che, invece, sentite contrapporre un estremo all’altro (e sarebbe fin troppo facile fare tanti esempi concreti dei vari Enzo Bianchi, Alberto Maggi e compagnia eretica), sappiate di essere in presenza di un pensiero fondamentalmente non cattolico. Chi contrappone la vita contemplativa alla vita attiva, ad esempio, non è cattolico. Chi contrappone la Chiesa alla Bibbia non è cattolico. Chi contrappone la fede personale alla fede comunitaria non è cattolico.

E’ proprio grazie a questa struttura di fondo che il pensiero cattolico non cade nell’impostazione negativa per cui tutto ciò che è creato e umano perde in qualche modo di interesse, come invece capita nell’antropologia protestante nonché in quella buddhista, che nega totalmente il mondo pur di raggiungere la pienezza divina. Proprio perché non vediamo una contrapposizione tra i due estremi del binomio Dio-mondo (e tutte le varie declinazioni che abbiamo visto), ma un rapporto ben preciso, riusciamo a mantenere l’adorazione per Dio, pur vivendo all’interno del mondo (basti pensare all’uso dell’arte nella religiosità, alla liturgia o all’architettura barocca). Ed è proprio questo l’ultimo tassello di cui abbiamo bisogno per mostrare la correttezza del cattolicesimo: ci serve un elemento unificante che sia capace di conferire coerenza all’apparente complexio oppositorum dell’et-et. Infatti, se ci limitassimo semplicemente ad oscillare tra i due poli di ogni questione, sarebbe perfettamente valida la critica che Nietzsche rivolgeva alla filosofia hegeliana, da lui definita «sordidezza nelle idee e nei valori» e «viltà di fronte a qualsiasi onesto sì e no» (F. Nietzsche, L’anticristo, Milano 1970). Di fatto, una dialettica ininterrotta tra Dio e mondo cadrebbe giustamente sotto questa accusa, e non servirebbe a nulla tentare di risolvere la contraddizione introducendo un terzo polo, capace di dare unità ai primi due, poiché allora esisterebbe qualcosa sopra Dio, il che è manifestamente assurdo, o addirittura Dio verrebbe parificato al mondo, il che è ancora più assurdo. La soluzione, allora, sta proprio nel concetto di analogia, che non a caso è uno dei pochi principi filosofici ad aver trovato una vera e propria formulazione magisteriale. Il quarto Concilio Lateranense, infatti, ha codificato nel 1215 la tesi secondo cui

«tra creatore e creatura non può essere notata alcuna similitudine, senza che non debba essere notata una dissomiglianza ancora più grande».

In ciascuno dei binomi che abbiamo visto, quindi, non c’è mai una semplice simmetria, ma c’è sempre una predominanza di un polo rispetto all’altro, ed in particolare del polo che non piace ai progressisti: Deus semper maior.

E’ proprio questa struttura ellittica, in cui uno dei due fuochi conta più dell’altro, che però non scompare, l’autentico comun denominatore di tutto il pensiero cattolico, che va al di là di una superficiale universalità spaziale o temporale, per abbracciare invece la verità perenne che, in quanto tale, è certamente universale.



Categories: Filosofia, teologia e apologetica

8 replies

  1. Sintetizzandola poeticamente – giacché in fondo S. Paolo fu anche il grande poeta dell’inesprimibile – si potrebbe pensare all’universalità / cattolicità della Chiesa come al suo essere una “ricapitolazione in Gesù Cristo di tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra”: ecco i due poli, una gerarchia e un destino.

  2. Ma davvero Barth disse e scrisse una simile c#@$*ata?! Incredibile…

    • sì, lo scrisse nel suo Die kirchlie dogmatik. Non a caso, Barth è considerato un grande oppositore della teologia naturale.

  3. Articolo profondo, meditato, e scritto in una forma limpida, accessibile a tutti. Esattamente come il cattolicesimo deve essere. Ricordiamoci l’esempio del Signore, ricordiamoci la SUA Parola: parola di salvezza, e di sapienza, ma soprattutto di salvezza. Il collegamento a von Balthasar, le cui idee possono e devono essere rispolverate, ancora una volta, è da questo punto di vista obbligatorio. Il subabbraccio (Unterfassung) trinitario, che è (da sempre) in cielo, si è manifestato in terra, per totale abbandono (amoroso) del Figlio nei confronti del Padre. Questo abbraccio non si è arrestato, è tra di noi. Capire l’importanza di una escatologia trinitaria è fondamentale per poter parlare – ora sì – di quella analogia entis così brutalmente definita anticristiana da Barth (non a caso nemico “dialettico” di Hans Urs von Balthasar).

  4. Benvenuto a Lorenzo89 nel team di Croce-Via: spero davvero che che questa collaborazione durerà proficuamente per anni.

    E visto che siamo ingaggiati in una profonda battaglia culturale che vuole avere il Reale per centro delle nostre scelte e sviluppi umani e societali a fronte di un mondo occidentale perso in vagheggiamenti mortali, esordire con quel che fa uno dei tratti specfici del cattolicesimo è , indubbiamente, di ottimo augurio.

    Alfine di alimentare la discussione, vorrei però fare un’osservazione, che dal mio punto di vista sembra importante: secondo me questo articolo non verte tanto sulla risposta alla domanda “qual è l’essenza del cristianesimo cattolico?” quanto piuttosto alla domanda “qual è l’essenza del pensiero del cristianesimo cattolico?”.

    Infatti, personalmente, non mi “sento” cattolico in quanto avente un pensiero “ellittico” nel senso descritto qui sopra (poi, per altro, dobbiamo essere attenti che ellittico vuol dire anche un pensiero stringato, che taglia tappe intermediarie, opposto a un pensiero iperbolico, che nullla ha a che fare con pensiero circolare o parabolico, o altre forme di pensiero conico)

    Ovvio, l’eretico, colui che “sceglie”, si concentra su uno dei fuochi dell’ellisse dimenticando l’altro termine: ma questa scelta, che non gli permette più un pensiero ellittico, ha sempre la sua orgine in qualcosa che si situa prima, o aldilà del pensiero.

    Dovendo rispondere alla domanda “qual è l’essenza del cristianesimo cattolico?”, affermerei semplicemente: “il Credere la Chiesa”. Il “pensiero cattolico” viene dopo riflettendo sull’insegnamento della Chiesa che testimonia del Kerygma e da lì deduce ed insegna il Suo corpus dottrinale e etico.

    Vi è una “trinità” che è importantissima (ne abbiamo già parlato un paio di volte): le Scritture, la Tradizione e il Magistero. Le Scritture procedono dalla Tradizione che è prima e il Magistero attualizza la Tradizione e le Scritture: quel che fa di me un cattolico è quindi il credere la Chiesa attuale nel Suo Magistero.

    Buona domenica
    In Pace

  5. La Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica ed apostolica, come rileva il CVII e ribadisce il CCC, non è la Chiesa cattolica, ma, come si specifica la n°816, la Chiesa di Cristo “in questo mondo costituita e organizzata come una società, sussiste [“subsistit in”] nella Chiesa cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui”.

  6. “In ciascuno dei binomi che abbiamo visto, quindi, non c’è mai una semplice simmetria, ma c’è sempre una predominanza di un polo rispetto all’altro, ed in particolare del polo che non piace ai progressisti: Deus semper maior”.

    Molto vero. Eppure, ad esempio sul tema del rapporto tra Grazia e libero arbitrio, questo polo viene spessissimo rovesciato da noi cattolici, come dimostra la resistenza che ottiene regolarmente la dottrina agostiniana e tomista sulla gratuità della predestinazione e della salvezza

    ” Lo ricordo qui per l’influsso che ne deriva sul mistero della predestinazione. Tra i pelagiani ed Agostino – per i primi mi riferisco prevalentemente a Giuliano – c’erano due differenze di fondo: una riguardava le relazioni tra Dio e la libertà dell’uomo, l’altra riguardava la natura stessa della libertà. Giuliano pensava che Dio, avendo creato l’uomo libero, lo avesse ” emancipato ” da sé e dovesse pertanto arrestarsi di fronte al suo stesso dono; pensava altresì che la libertà consistesse nel potere di fare il bene o il male. Agostino respingeva come assurda l’una e l’altra pretesa. La libertà non consiste nel posse peccare 11 e DIO PUÒ, SE VUOLE, CAMBIARE IN MEGLIO QUALUNQUE VOLONTÀ SENZA LEDERNE LA LIBERTÀ 12.
    Data questa differenza di fondo, la controversia rischiava di somigliare a un dialogo tra sordi. Giuliano non capiva Agostino e interpretava in chiave di negazione della libertà o in chiave di fatalismo tutto ciò che egli scriveva intorno alla grazia. Come fanno alcuni – forse molti – anche oggi. Agostino non capiva come il suo avversario, di cui conosceva e riconosceva l’ingegno, potesse sostenere certe assurdità e si sforzava di mostrargli che erano contrarie sia alla fede che alla ragione. Ma inutilmente. Giuliano non comprese, come non compresero i monaci provenzali, e quanti dopo di loro lessero e leggono gli scritti agostiniani con la mentalità pelagiana”. http://www.augustinus.it/pensiero/intro_grazia_liberta/introduzione_05_libro.htm

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