Edward Feser – Quel bel ateismo dei vecchi tempi…

Parola di Ayer…

Scrive il nostro lettore t3ophilius: “ non vedo tutta questa volontà di uscire dalla confusione nei nostri “avversari dialettici”. Il problema, a mio avviso, è che la confunsione manco l’avvertono“. Ma c’è sempre stata questa mancanza di onestà intellettuale? No, lo abbiamo già detto. Tempo fa i filosofi atei ed agnostici conoscevano bene i problemi delle loro posizioni a volte marcatamente materialiste. E ne erano talmente consapevoli che spesso era meglio per loro arrancare insicuri verso posizioni idealiste, piuttosto che affondare nella melma meccanicistica. Oggi invece tutto viene superato con una sicumera dogmatica che denuncia solo l’incredibile aridità di molti pensatori contemporanei. Si stava meglio quando si stava peggiorando…
Buona lettura!

“Ridatemi quel bel ateismo dei vecchi tempi”

Ieri sera mi sono immerso nella lettura del libro Great Thinkers on Great Questions di Roy Abraham Varghese, una interessante raccolta di interviste con un certo numero di filosofi di spicco (tra cui A.J. Ayer, GEM Anscombe, Alvin Plantinga, Richard Swinburne, Ralph McInerny, Brian Leftow, Gerard Hughes, e molti altri) su temi per lo più legati in un modo o nell’altro alla religione. Alcune delle osservazioni di Ayer mi ha ricordato quanto diverse erano le precedenti generazioni di agnostici e atei, non solo culturalmente (come Roger Scruton ha notato) ma anche filosoficamente. Ayer, anche se noto ed imperterrito nemico della religione, non era un materialista. Nel suo famoso libro Language, Truth, and Logic, ha tentato (come ci ricorda nel volume Varghese) di ridurre gli oggetti fisici in “contenuti di senso”, entità che sono state destinate ad essere neutrali tra mente e materia, ma che erano in realtà (come Ayer ammette) più vicino al mentale rispetto che al lato fisico del tradizionale divario mentale / fisico. Da qui la posizione risultante è stata “molto più simile al mentalista che al fisicalismo”. E alla fine della sua vita, a quanto pare, ha sempre respinto qualsiasi tentativo di ridurre il mentale a quello fisico.

La ragione di queste posizioni è che filosofi, della generazione di Ayer, anche quelli agnostici e atei, hanno generalmente riconosciuto che il materialismo è solo a prima vista plausibile. Come ho osservato in alcuni post precedenti (qui e qui), e come ho discutere a lungo in The Last Superstition, il dualismo non era affatto una deviazione dalla concezione ampiamente meccanicistica della materia che la filosofia contemporanea ha ereditato dal 17 ° secolo, ma piuttosto una conseguenza naturale di tale concezione, data la sua ridefinizione altamente astratta e matematica del mondo materiale. Se la materia è esattamente ciò che dice essere la visione meccanicistica, allora (a quanto pare) non v’è semplicemente nessun altro posto dove localizzare colore, odore, sapore, suono, ecc (come il buon senso comprende queste qualità), e / o dove individuarne il significato (data la messa al bando delle cause finali dal mondo materiale), se non in qualcosa di immateriale. E fino a circa 1960, la maggior parte dei filosofi (nonostante l’eccezione occasionale di gente come Hobbes) sembravano rendersi conto che, a meno di tornare ad una filosofia ilemorfica aristotelica della natura, le uniche alternative plausibili per il dualismo erano punti di vista che tendevano a mettere l’accento sulla mente, piuttosto che sulla materia – come ad esempio l’idealismo, il fenomenismo o il monismo neutrale.

L’ultimo di questi, come suggerisce il nome, è stato ufficialmente impegnato a ritenere che le “cose” di base che costituiscono il mondo sono “neutrali” fra la mente e la materia, ma notoriamente questa visione tende a collassare in un fenomenalismo o idealismo. Nei miei giorni da ateo, era la versione del monismo neutro sviluppato da Bertrand Russell (o meglio una versione sviluppata da F. A. Hayek) che avevo sposato come approccio più plausibile al problema mente-corpo. (Nella filosofia più recente, il punto di vista di Russell è stato sviluppato in modo da cercare di evitare qualsiasi tipo di idealismo, da studiosi come Michael Lockwood, e, in un modo che in una certa misura concede qualcosa ad implicazioni idealistiche, da Galen Strawson e David Chalmers. Nei miei giorni Russelliani ero più attratto l’approccio di Lockwood). Dopo un breve flirt con il materialismo, mentre studiavo, ho incontrato gli scritti di John Searle, e quindi ho cominciato a considerare l’approccio russelliano come il modo più plausibile per la difesa una visione naturalistica (se non materialistica) del mondo.

La maggior parte dei filosofi naturalistici non sono affatto attratti da questo approccio, tuttavia, credo appunto a causa della sua tendenza a collassare in una sorta di idealismo filosofico. E questo ricorda troppo un adottare una visione che prevede la realtà ultima – come la storia del 19 ° secolo dell’idealismo mostra – troppo vicina alla visione religiosa, cosa che sicuramente colpisce la psicologia della maggior parte dei naturalisti. A dire il vero, Chalmers e Strawson non credono che la loro posizione vada verso una direzione per così dire religiosa, ma finora pochi altri naturalisti sono stati disposti a seguirli.

Ma se questi ultimi fossero veramente saggi, dovrebbero invece seguirli. Chalmers e Strawson sono infatti tra i filosofi della mente più interessanti oggi, in parte a causa del loro tentativo di difendere una sorta di naturalismo pur riconoscendo le difficoltà filosofiche molto profonde insite nel materialismo. (Strawson respinge notoriamente il materialismo che definisce “luce di luna”). Come ho già fatto molte volte, la maggior parte dei naturalisti filosofici contemporanei (per non parlare di non-filosofi che sono naturalisti, come ad esempio i nuovi atei) hanno solo una comprensione grezzissima delle opinioni teologiche che liquidano in modo sprezzante. Allo stesso modo, essi tendono anche ad essere assurdamente troppo sicuri di sé circa le prospettive di un conto materialista o fisicalista della mente.

Le vecchie generazioni di atei o agnostici filosofiche – Ayer, Russell, Popper, per citarne solo tre – sapevano quanto sia difficile difendere la loro prospettiva, cercando in tutti i modi di evitare il KO tecnico del loro ateismo e l’agnosticismo in una metafisica specificatamente materialista. Alcuni dei loro successori contemporanei – Lockwood, Chalmers, Strawson, Nagel, Searle, Fodor, McGinn, Levine, tra gli altri – hanno, in varia misura, una certa consapevolezza degli stessi problemi. Di conseguenza, almeno per alcune di queste persone, il naturalismo stesso (che sembra più plausibile precisamente quando spiegato in termini materialistici) non è ovviamente giusto senza se e senza ma; è piuttosto qualcosa che richiede un grande sforzo intellettuale per essere difeso e non può pensare di poter respingere i suoi rivali con sorrisetti di circostanza. Purtroppo, la maggior parte dei naturalisti filosofici contemporanei – Dennett e Rey in primis – sembrano essersi persi nel loro sonno dogmatico.

ADDENDUM: Vorrei sottolineare che Strawson a volte chiama la sua versione della posizione di Russell “un vero e proprio materialismo”, e che di tanto in tanto anche Lockwood ha detto cose simili. Al contrario, Grover Maxwell, un altro russelliano che ha influenzato sia Lockwood che Strawson, ripudia ogni tipo di etichetta “materialista”, anche se le sue idee sono più o meno identici alle precedenti. E Chalmers a volte caratterizza la sua propria variazione su Russell come una sorta di “dualismo”! Così, la terminologia diviene veramente confusa. Il punto cardine è che tutti questi autori rifiutano il materialismo nel senso standard di oggi (quello di Smart, Armstrong, quello iniziale di Putnam, Davidson, Dennett, Churchland, et al.).



Categories: Filosofia, teologia e apologetica

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8 replies

  1. Credo che dualismo e monismo siano due facce della stessa medaglia: anima e corpo, fede e ragione, materia e mente…
    Taluni analizzano in modo particolare una sola faccia consapevoli che ne esiste un’altra: per molti loro discepoli la non esistenza di un’altra faccia è basilare.

  2. Chiedo scusa a Minstrel e ad altri ma, avendo già specificato che non sono un esperto, è possibile un’opinione su quello che ho scritto sopra?

    • Chiedi un’opinione su quanto hai scritto, non è forse la tua sufficiente? 🙂 A quanto appare, chi esprime un’opinione, se è una persona in cui sta a cuore la verità, cerca un feedback, una risposta. Sembra dunque che il “monismo” dell’opinabile non sia cosa buona. Per me infatti non è buona cosa 🙂 I cosidetti “monisti per negazione” non vogliono (ed è questo non-volere il vero errore) vedere l’altra faccia, quindi non comprendono: l’averne una implica l’altra. Non è questione meramente logica, “di opposizione” per così dire. D’altronde tale aspetto si è (intra)visto nei precedenti articoli: nella serie sull’indeterminatezza, là dove è resa l’evidenza, la necessità del meta-contesto per avere una forma-comunicazione in un contesto.

      • Se quindi non capisco male, anche per te fossilizzarsi su una visione dualista o monista di quello che percepiamo è errato: monista o dualista è semplicemente l’angolo di osservazione di un determinato momento.

  3. Il dualismo é e va composto, riunito.
    Per dirla a botta “il non essere sta nell’essere”.

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