Edward Feser – Caro fisico, ti rispiego cosa si intende per indeterminatezza metafisica

© Micheal Kenna – Japan

Succede a volte che qualcuno, uscendo dal mero ambito del suo lavoro, cerchi di rispondere a tono a confutazioni sui propri argomenti, riuscendo però compiere gli stessi errori che le confutazioni cercavano di chiarirgli. Capita (strano a dirsi) anche ai fisici, soprattutto quando discutono di filosofia.
Siamo alla seconda puntata delle quattro che Feser dedica alle opinioni del fisico  Robert Oerter sull’immaterialità del pensiero. Nel seguente articolo si chiarisce una volta per tutte (forse…) cosa si intende per indeterminatezza metafisica e si risponde ad alcuni controargomenti sollevati dallo scienziato. La lettura non è agevole in alcuni punti: come al solito è più facile comprendere cose difficili spiegate senza confusione, che comprendere di nuovo cose facili spiegate mentere si corregge la confusione di qualcuno. Almeno il gioco vale la candela.  Alla fine di questo ciclo di quattro traduzioni pensiamo infatti possano apparire chiari i motivi per i quali Feser difende l’argomento di James Ross sull’immaterialità dell’intelletto.
Buona lettura!

Oerter sull’indeterminatezza e l’ignoto

Ringrazio Robert Oerter per la sua risposta al mio recente articolo dedicato alla critica della tesi di James Ross sull’immaterialità dell’intelletto. Sarebbe meglio leggere la sua risposta – non temete, è meno prolisso di me – così  come il mio precedente post (se non è stato già fatto), prima di leggere il seguente scritto.

Oerter ripete la sua affermazione “L’argomento di Ross non risponde sull’indeterminatezza epistemologica“. Stranamente cioè Oerter scrive che: “Stranamente Feser non risponde specificamente alla mia critica”. Quello che è strano è che mi pare d’aver risposto alla critica molto concretamente, e lungamente anche. Pare che Oerter non l’abbia notato. Egli sembra pensare che tutta la mia risposta all’obiezione in questione consista nel porre l’attenzione sul fatto che Ross e Kripke (usato da Ross nell’argomento) presentano in modo esplicito i loro argomenti come metafisici, piuttosto che epistemologici.

Ma questa era solo un’osservazione di passaggio – piuttosto che la sostanza della mia risposta – e ho avuto una buona ragione per farla. Nel suo articolo precedente, Oerter aveva ragionevolmente richiamato l’attenzione sul fatto che i commenti di Ross sembravano implicare un carattere di tipo epistemologico, piuttosto metafisico. Le osservazioni sollevavano quindi domande su come interpretare ciò che Ross andava asserendo. Ho ritenuto quindi importante richiamare l’attenzione su passaggi nei quali lui e Kripke mettono in chiaro che parlano di indeterminazione metafisica e non epistemologica.

Ma naturalmente Oerter ha ragione ad insistere sul fatto che ciò che conta, alla fine della giornata, è sapere se i loro argomenti hanno davvero un significato metafisico, piuttosto che un significato meramente epistemologico. Questo conta e non cosa gli autori in questione intendessero verlamente. Ebbene, come ho sostenuto nel mio precedente post, il significato è davvero metafisico, e ora capiremo perché.

E andiamo di metafisica

Ricordiamo il mio punto chiave: non c’è nulla nelle proprietà fisiche del simbolo Δ che implica che, ciò che lo stesso rappresenta, sia un triangolo, o i triangoli neri in particolare, o un berretto d’asino, o un UFO triangolare, o qualsiasi altra cosa; e nemmeno nelle proprietà fisiche della sequenza T-R-I-A-N-G-O-L-O esiste qualcosa che comporti il significato stesso, o la parola “triangolo”, o individui una persona che si definisce “Triangolo”, ecc. Si noti che questo non è un punto epistemologico. Rilevare che le proprietà d’essere di tale e tale figura, o di tale e tale colore, o di una scritta d’ inchiostro con tale e tale struttura chimica, semplicemente non comporti la proprietà che essi rappresentino un berretto asino, è precisamente entrare in prospettiva metafisica. L’affermazione non è: “Dato quello conosciamo di chimica, d’inchiostri, di colore, di forma, ecc, le proprietà fisiche di questo simbolo (o sequenza ecc) non comportano questo significato (piuttosto che un altro)”. L’affermazione è piuttosto: “Dato quel che sono oggettivamente l’inchiostro, la chimica, il colore, la forma, ecc, allora le proprietà fisiche di questo simbolo (o sequenza ecc) non comportano questo significato (piuttosto che un altro)”.

Ora, il punto di Ross e Kripke è che la stessa cosa vale per tutti i simboli fisici e per tutti i processi fisici, non importa quanto complessi essi siano. In linea di principio, in nessuno di essi vi è qualcosa che comporti un significato specifico piuttosto che un altro. Questo per altro sembra ammesso da Oerter. Egli ha essenzialmente ammesso infatti, nel suo post originale, che nessuna delle passate proprietà fisiche di una macchina, di per sé stesse, implica che la stessa stia calcolando una precisa e specifica funzione piuttosto che un’altra. Egli ha suggerito che il futuro comportamento della macchina potrebbe dircelo, ma come ho già sottolineato nel post precedente – e Oerter non ha risposto a questo punto – l’argomento di Ross e Kripke rimane completamente inalterato anche se aggiungiamo non solo tutti i futuri possibili, ma  anche tutti i possibili comportamenti fisici della macchina stessa. Sostenere che questo è solo un punto di tipo epistemologico non è quindi più possibile, come non lo è dire che si tratta solo di un punto epistemologico notare che nessuna delle proprietà fisiche di Δ comporti un significato particolare.

Per vedere come il ricorso di Oerter all’epistemologia faccia cilecca, pensiamo a questo caso: supponiamo che qualcuno sostenga che avere la proprietà di essere più basso di tre metri comporti necessariamente la proprietà di essere uno scienziato, anzi un fisico. Qualcuno farebbe notare che non c’è nulla nel fatto di essere un fisico che comporti la necessità d’essere più basso di tre metri. Pensare però di supporre altrimenti, basandosi solo sul fatto che semplicemente tutti i fisici reali sono stati tutti più bassi di tre metri, è commettere una fallacia d’accidente. Anche se un giorno si scoprisse che è biologicamente impossibile per un essere umano diventare più alto di tre metri, questo non sarebbe in particolare colpa della proprietà di taluni d’essere dei fisici. Supponiamo che il vostro interlocutore rispondesse: “Beh, certo, ma questo è solo un punto di vista epistemologico. Dato tutto quello che conosciamo, non possiamo dedurre dal solo fatto che qualcuno sia un fisico che lo stesso sia quindi più basso di tre metri. Eppure forse c’è qualcosa dell’essere un fisico, che non conosciamo ancora, che necessariamente comporta il dover essere più basso di tre metri”.

Una alternativa al precedente esempio: supponiamo che qualcuno neghi che il teorema di Pitagora sia vero. Si risponderà che è stato invece dimostrato più volte. Supponiamo che egli risponda: “Beh, certo, ma questo è solo un punto di vista epistemologico. Per quanto ne sappiamo, forse tutte le prove sono in errore e noi banalmente non abbiamo ancora scoperto tali errori. Quindi le presunte prove in realtà non ci dicono nulla di geometria stessa, ma solo di ciò che sappiamo di geometria. ”

Entrambe queste risposte sono, manco a dirlo, sciocche. Sollevando questioni epistemologiche inverosimili su una affermazione metafisica magicamente non si trasforma tale affermazione in una epistemologica. L’obiezione di Oerter a Ross non è migliore rispetto alle risposte fornite in questi scenari immaginati. E’ sciocco dire: “Certo, ammetto che tutti i possibili fatti fisici insieme non comportano che una macchina stia calcolando una funzione piuttosto un’altra, ma forse questo è solo un fatto che riguarda la nostra conoscenza, piuttosto che un fatto che riguarda la realtà”. E’ difficile non trovare, in una affermazione del genere, il ricorso disperato allo scetticismo come modo per evitare la falsificazione. Per altro è una manovra che potrebbe essere utilizzata per “rifiutare” qualsiasi argomento antipatico: “Certo, la prove comporta p, ma questo non ci dimostra nulla di p in sé, dimostra solo ciò che sappiamo circa le prove. E ‘davvero solo un punto epistemologico. ”

Qualcosa su Hilda e le sue somme

Parte del problema qui potrebbe essere che Oerter non è distingue attentamente le seguenti affermazioni:

(1) Non c’è proprio nulla che ci dica quale funzione un sistema stia calcolando. Punto.

(2) Le sole proprietà fisiche di un sistema non sono sufficienti per determinare quale funzione un sistema stia calcolando.

Oerter a volte scrive come se Ross stia sostenendo l’affermazione (1), il che non è corretto. Ross non nega, per esempio, che la calcolatrice tascabile stia davvero sommando piuttosto che “quaddando” (per alludere all’esempio di Kripke). Sta invece dicendo che i fatti fisici sulla macchina di per sé non sono sufficienti a determinare questa conclusione. Occorre qualcosa di più (in questo caso, le intenzioni dei progettisti e degli utenti della calcolatrice).

Forse la ragione per la quale Oerter pensa che la sua risposta (“Questo è solo un punto epistemologico”) sia plausibile, è che ha esempi come quelli riportati in mente – casi in cui i fatti fisici da soli non ci dicono quale funzione una macchina stia calcolando, ma dove esistono altre informazioni che ce lo possono dire. Ciò che egli non riesce a capire è che, nonostante questo sia perfettamente vero, questi casi non confutano nulla, perché banalmente le informazioni in questione non sono derivanti in nessun modo dai fatti fisici del sistema stesso. E questo è il punto di Ross. È il numero (2), non l’(1).

Naturalmente, Ross pensa anche ciò che è vero per le macchine, sia vero per gli esseri umani. Vale a dire, i fatti fisici (biologici) sugli esseri umani da soli non determinano quali siano i contenuti dei pensieri, quali funzioni stiano calcolando e così via. Ma non crede che non ci sia alcuna possibilità di conoscere i contenuti che i pensieri hanno, quali funzioni stiano calcolando, ecc, non più di quanto lo fa nel caso della calcolatrice. Egli pensa, in entrambi i casi, che sia possibile conoscere i contenuti, ma grazie a qualcosa di diverso dai meri fatti fisici del sistema. Nel caso di macchine, ciò che li determina sono i progettisti e gli utenti umani, che sono naturalmente distinti dalle macchine. Nel caso degli esseri umani, e l’aspetto immateriale della natura umana.

Questo ci porta ad un altro argomento di Oerter secondo il quale Ross sta applicando un “doppio standard” nella misura in cui (così Oerter pensa erroneamente) non  si applicano agli esseri umani l’argomento che invece si applica alle macchine. Oerter scrive:

Si noti che l’argomento di Ross è altrettanto valido quando si parla di ciò che un’altra persona sta facendo quando dice di far la somma. Cioè quando io sto cercando di determinare se Hilda stia sommando, o semplicemente stia simulando la somma, in realtà tutto quello che posso fare è indagare le sue azioni fisiche e le risposte. Se l’argomento di Ross è corretto, allora da una quantità limitata di dati come questi non posso determinare se Hilda stia o meno sommando. Quindi (sempre se Ross è corretto) non posso mai sapere se un’altra persona è capace di sommare.

Si noti però che, da quanto sopra, non ne consegue che Hilda non stia sommando. Può essere che Hilda in realtà faccia qualcosa di perfettamente determinato. Semplicemente non riesco a sapere cosa faccia. Quindi è chiaro che l’argomento di Ross non ci porta oltre l’epistemologia.

Questo punto si riallaccia con la mia seconda confutazione su Ross: il doppio standard. Se non posso dire per certo che un’altra persona non sta sommando, poi per lo stesso motivo non posso dire per certo che una macchina non somma.

Fine della citazione. Il problema è che Oerter qui suppone implicitamente che Ross, per essere coerente, avrebbe dovuto dire che non c’è nessuna possibilità per stabilire che Hilda stia sommando. Ma non è questo il caso. Ciò che che Ross, per essere coerente, avrebbe dovuto dire è che il fatto che Hilda sommi non può essere determinato dai soli fatti fisici di Hilda. Questo dice Ross. In lui è qualcosa di aggiuntivo ai meri fatti fisici che, sia nel caso di Hilda che nel caso della macchina,  può determinare quale funzione si sta calcolando (anche se si tratta ovviamente di un “qualcosa di aggiuntivo” diverso nei due casi). Quindi non c’è nessun doppio standard.

Tralascio la questione di come noi, come osservatori delle sue azioni, possiamo essere in grado di sapere se Hilda stia davvero sommando e quindi non è solo uno zombie: questa ovviamente non è che una variazione del “problema delle altre menti”. Tutto questo non è rilevante per l’argomento di Ross.  Quel che è rilevante è che se Hilda in realtà somma, non possono essere i soli suoi fatti fisici a determinare metafisicamente che lo sta facendo. Anche in questo caso Ross non sta parlando di epistemologia ( «Come facciamo a sapere che un sistema sta calcolando tale-e-tale funzione?”), ma di metafisica ( “In virtù di quali fatti un sistema sta calcolando tale-e-tale funzione?”). Qui, come altrove, Oerter pare non notare la differenza tra un problema epistemologico e metafisico, e butta la sua confusione addosso a Ross, Kripke e a me.

Oerter per altro osserva giustamente che nel paradosso di Kripke (a differenza della tesi di Ross) l’autore stesso suppone che non esista alcun fatto certo su ciò che i pensieri significano, quindi anche nel caso proposto (cioè quello di Hilda). Ma, come spiego nel mio articolo ACPQ (nel quale discuto la questione nei dettagli), Kripke e altri traggono questa conclusione, richiamandosi ad un certo numero di distinzioni autonomamente motivate, comunemente tracciate da Scolastici. Tralasciamo questo aspetto per ora; quel che conta è che il paradosso di Kripke è in ogni caso metafisico e non epistemologico. E poiché, come il sottoscritto e Ross sosteniamo, è incoerente negare che i propri pensieri abbiano un significato determinato (ma questa inderminatezza di significato sarebbe la realtà del pensiero se esso fosse puramente materiale) ne consegue che il pensiero non può essere puramente materiale.

Non aggiungo nemmeno una articolata risposta ad un commento di uno dei lettori meno intelligenti di Oerter, per il quale l’immaterialità del pensiero comporta necessariamente a credere in uno “slimer ectoplasmico” (qualunque cosa sia), “creato” ad hoc come “spiegazione” alternativa al pensiero. Naturalmente nessuno di noi crede in una cosa del genere: questo è solo una delle solite petizioni di principio mista a straw men gettati a casaccio contro i non materialisti. Si presuppone che la controversia tra materialismo e dualismo sia una questione di “ipotesi esplicative” in competizione e che per affermare l’esistenza di ciò che è immateriale sia necessario porre sul tavolo della discussione una sorta di “roba” che è come materia solo più rarefatta ( “slimer” et similia). Tutto questo manifesta ignoranza di base su ciò che le filosofie dualistiche hanno effettivamente detto. Essa inoltre riflette l’incapacità di superare il grezzo pensiero immaginifico – vale a dire, l’incapacità di pensare, in senso stretto. Ma non bisogna certo mettere le debolezze intellettuali di alcuni dei lettori di Oerter sul suo conto!



Categories: Filosofia, teologia e apologetica

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49 replies

  1. Si potrebbe, ovviamente con tutte le limitazioni dell’essere breve, dire che l’epistemologia si interessa del come e la metafisica del perchè?

    • Oddio… si, ma si direbbe spiegandola talmente in breve da sbagliarsi, non so come dire. 😀

      • Hai perfettamente ragione, è chiaro che le affermazioni brevi non sono da prendere come spiegazione. Inoltre, curiosando qua e la, apprendo che in alcuni casi con “epistemologia” si intende una “gnoseologia”. Infine sarebbe pretestuoso indagare questi aspetti come se non avessero delle relazioni essenziali.

        • Questa distinzione (come/perché) di solito viene fatta fra l’attività della scienza e quella della metafisica. Ma anche questa classificazione è generale e semplicistica, come per altro sottolinea spesso Strumia del DISF.

          • Concordo, tuttavia una distizione semplice (senza la pretesa di essere una spiegazione perchè in quel caso si che si cadrebbe nel “semplicistico”) trovo possa servire quando lo spazio per dialogare è limitato ed “asincrono”. Poi devo ammettere che il mio è anche un tipo di attitudine, per capire meglio mi trovo più a mio agio partendo da una “classificazione” breve ancorchè incompleta per poi andare ad approfondirla.

  2. Se non ho capito male, viene affermato che non è possibile affermare se una macchina stia funzionando e che operazione stia facendo: sbaglio?

    • Si afferma che dalle sole proprietà o processi fisici non si determina quale funzione è in atto. Dalla sola descrizione dei processi fisici in atto durante una partita di calcio non è possibile determinare che cosa sia una partita di calcio 🙂

      • Se la partita di calcio è un susseguissi di processi fisici in un luogo fisico, perché non sarebbe possibile definire cosa analizzando i processi fisici?

        • Il punto è che una partita di calcio non è solo un susseguirsi di processi fisici. Tu prova a scrivere una descrizione puramente fisica dei processi e vedi cosa ne esce. Mi raccomando però: solo descrizioni fisiche. Quindi niente termini come “giocatori”, “partita”, “arbitro”, “squadre”, “tifosi”, “punteggio”, “fuorigioco”, “ammonizione”, “attaco”, “difesa”, “allenatore”, “portiere”, eccetera eccetera. Poi leggila e dimmi se è una partita di calcio 🙂

  3. (A) Quel che fa di un dato un’informazione è il contesto: sia il dato che il contesto sono metafisici.

    Valida quindi l’affermazione ” Le sole proprietà fisiche di un sistema non sono sufficienti per determinare quale funzione un sistema stia calcolando” e aggiungo: ci vuole il contesto (sempre metafisico).

    Andiamo nell’epistemico solo quando vogliamo affermare che l’informazione sia significativa per una mente: cioè quando si cerca di stabilire il percome tale dato in tale contesto generi quell’informazione.

    (B) Secondo me una riflessione di fondo anteriore dovrebbe aver luogo: cosa mi permette di distinguere un processo artefatto da un processo “naturale”, cosa mi permette, sul piano epistemologico, di distinguere, se possibile, tra un’informazione esita da dati e contesti artefatti umani da un’informazione da dati e contesti “naturali”

    In Pace

    • Salve Fratelli,

      Vorrei provare a fare un esempio esplicativo sulla base dell’affermazione A):
      ” Quel che fa di un dato un’informazione è il contesto: sia il dato che il contesto sono metafisici.”

      TESI EPISTEMICA
      « Con la sola proprietà fisica di un sitema voglio determinare quale funzione il sistema stia calcolando.»

      GLOSSARIO :
      Sistema : Insieme di enti astratti o concettuali strettamente coordinati (nel nostro caso sia grammaticalmente che logicamente), anche se non necessariamente dipendenti uno dall’altro.
      Funzione : Attività svolta abitualmente o temporaneamente in vista di un determinato fine.
      Grandezza fisica : proprietà di un corpo che puo essere espressa mediante un numero, un riferimento ed un’incertezza.

      ESEMPIO :
      Il mio tavolo è lungo 1 m. (Sistema di enti semantici coordinati logicamente e grammaticalmente)

      DIMOSTRAZIONE INDUTTIVA
      Voglio determinare le funzione di questo sistema tramite una proprietà fisica, per far cio scelgo per esempio il dato numerico come proprietà fisica, anche se in questo caso non é una vera e propria proprietà fisica, ma piu che altro una grandezza fisica.
      PREMESSE
      Per fare cio posso estrapolare facilmente dal contesto il dato numerico e ottengo delle premesse formulate con l’ausilio dell’intelletto :
      -Il misurando è una lunghezza = VERO
      -La lunghezza è una grandezza fisica dell’oggetto = VERO
      CONCLUSIONI
      -Tutti gli oggetti simili all’oggetto misurato possono essere misurati = Formalmente corretto, ma non corrisponde a nessuna verità assoluta, ne alla funzione del sistema.
      -un oggetto che ha la proprietà della lunghezza è (o è stato) misurato tramite proporzione con uno strumento di misura= Formalmente corretto, ma non corrisponde a nessuna verità assoluta, ne alla funzione del sistema.

      HO TROVATO LA FUNZIONE DEL SISTEMA ?
      NO, ho capito solo il « percome » in un contesto di misura questo dato puo essere generato

      INVECE
      Se contestualizzo il dato (affermazione A) che informazione ottengo ?

      « Io sono a conoscenza che il moi tavolo misura all’incirca un metro e lo sto comunicando. »

      Ho capito qualcosa o sono completamente fuori strada ?

      Grazie Fratelli se avrete il tempo di rispondermi.

  4. Provo a fare un abbozzo per (B)
    La distinzione tra naturale ed artefatto è l’origine dell’azione. Se l’origine è interna al processo allora è naturale, se è esterna allora è artefatto. Prendiamo ad esempio un’azione come il volare. Per un cardellino l’origine è del tutto interna, nasce dal suo “centro”, dalla sua “essenza”. Per un Boeing747 è del tutto esterna.

    • “Origine” (causa?) interna al processo questa è la definizione di fenomeno vitale: mi sembr ache ci proponi qui un tentativo di distinzione tra mondo minerale, come lo è un Boeing747, e il mondo “biologico” cioè ad esempio una cellula.
      In Pace

      • Uhm, in realtà non volevo andare in quella direzione, ma consideriamola in parte, limitatamente al mondo minerale. La composizione del Berillio è diversa dalla composizione del Boeing747. Ebbene la composizione del Berillio è detta “naturale”, è una composizione chimica che avviene senza interventi esterni al processo di composizione. Diversamente la composizione del Boeing747 non è chimica ed è una composizione del tutto esterna al processo.

        • Non vedo bene quel sia il processo del Berillio…onestamente…. cioè quale dato in che contesto … mentre lo vedo più facilmente nel caso del Boeing….
          In Pace

          • Il dato è il minerale in questione, Berillio vs B747. Il processo è ciò per cui si ha il dato: la composizione. Il Berillio è dato da un processo di composizione che non ha interventi esterni al processo, “è tutta chimica” per così dire; il B747 è dato da un processo di composizione che è del tutto interventi esterni.

            • Non credo davvero che il Berillio si sia auto-creato.
              Ma , in particolare, onestamente, non so proprio di cosa tu stia parlando rispetto alla mia domanda.
              In Pace

              • Non sto dicendo che il Berillio si sia auto-creato, constato che la composizione del Berillio è diversa da quella del B747. Hai invitato ad una riflessione su cosa permette di distinguere un processo artefatto ad uno naturale e per quel che posso ho provato a dare uno spunto partendo dall’origine di un’azione a cui poi si è aggiunto un’altro spunto sull’unità di un processo. Magari sono spunti “spuntati”, se tu ne hai altri sarò ben lieto di leggerli.

                • Prendi tre dati: le proprietà del berillio, gli stati elettrici in un computer ad un tempo dato, il DNA in una cellula.
                  Tre contesti: un reattore nucleare, il calcolo di una traiettoria di missile, la riproduzione cellulare
                  Tre informazioni: moltiplicatore di neutroni, una curva tridimensionale, un blastoma

                  Cosa distingue, se c’è distinzione, da un punto di vista epistemico le tre situazioni?

                  In Pace

  5. @Simon di getto direi che per la situazione CCC (computer-calcolo-curva) è necessaria l’intenzione di un essere personale. Le altre due avvengono senza alcuna intenzione personale.

    • (Non sono sicuro che mettere del berillio in un reattore nucleare per moltiplicare i numero di neutroni in giro non sia “intenzionale”…)

      Ma la mia domanda è la seguente: avendo “solo” questi tre dati, tre contesti, tre informazioni come fai a dire quale sia intenzionale e quale no? Come operi la distinzione? Come la giustifichi? È un discorso metafisico o epistemico?

      In Pace

      • Perdonami, per la precipitazione ho fatto un errore 🙂 Comunque mi sembra continui a valere l’intenzione come elemento permette la distinzione. Rilevare l’intenzione direi che è un discorso metafisico.

        • Ma non rispondi alla mia domanda:cosa ti fa dire che in un caso hai intenzione e nell’altra non la hai!
          Perbacco!
          Non è mica una domanda da tricomaniaco: come si fa la differenza tra un’informazione intenzionale e una che non è intenzionale! È centrale prima ancora di cominciare qualunque altro discorso sul M/B problem o il discorso sull’evoluzione o su quello della AI.
          In Pace

          • Perdonami io credevo di aver risposto alla domanda “come distinguere un processo naturale da un processo artefatto”. Alla domanda “cosa ti fa dire che in un caso hai intenzione e nell’altra no” rispondo che in un caso è necessaria la partecipazione di una persona e nell’altra no. Che io sappia (ma potrebbe essere una nuvolosità) l’intenzionalità è propria delle persone.

            • Infatti, l’intenzionalità è inscindibile dalla presenza di una volontà.

              Quindi rispondere alla domanda quale tra quelle informazioni è processo naturale e quale processo artefatto rinviene a determinare se in più della presenza di un dato e di un contesto vi è anche la presenza di una volontà che ne è la causa.

              A cosa si deduce che vi è una volontà in causa?

              Domanda importante in quanto alcuni dicono che la natura è il risultato dell’atto volontario di creazione di Dio: in questo caso avremmo la natura come artefatto di Dio e gli artefatti umani. Altri dicono che nessuno dei due sono artefatti di qualunque volontà ma solo flussi di dati interpretati in contesti nei quali diventano informazione….

              In Pace

              • La mia risposta probabilmente sarebbe: una volontà è in causa quando la causa efficiente di un essere non appartiene alla sola natura.

                • Non credo proprio che vada da essere cercato nelle cause efficienti ma nelle cause finali…
                  Un computer o lo svilupparsi di un programma di AI è tutto un susseguirsi di cause efficienti proprie eppure più artefatto di questo…!
                  All’opposto, la semplice soluzione di un’equazione di moto con una lagrangiana ci da una soluzione unica che sarà la traiettoria finale del mobile considerato: un sistema di equazioni che costringe un sistema essendo l’espressione pratica di una causa finale…. il sistema solare essendo localmente un fine in sé, e così anche una cellula, un cane ed un gatto.
                  In Pace

  6. Confesso di non averlo ancora letto tutto. “L’uomo senza qualità” mi sembra un ottimo esempio di come la sola descrizione di un processo fisico sia sempre indeterminata. Ecco il famoso incipit:

    «Sull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord. Le isoterme e le isòtere si comportavano a dovere. La temperatura dell’aria era in rapporto normale con la temperatura media annua, con la temperatura del mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con l’oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere e il tramontare del sole e della luna, le fasi della luna, di Venere, dell’anello di Saturno e molti altri importanti fenomeni si succedevano conforme alle previsioni degli annuari astronomici. Il vapore acqueo nell’aria aveva la tensione massima, e l’umidità atmosferica era scarsa. Insomma, con una frase che quantunque un po’ antiquata riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d’agosto dell’anno 1913»

    • Incipit FA VO LO SO!

    • Strictu sensu il discorso scientifico in quanto tale e in quanto basato sull’induzione può mettere in evidenza correlazioni statistiche tra dati ma non ha neanche più il diritto epistemico di affermare una causalità.

      Però lo stesso discorso scientifico sempre descrive una realtà determinata: la tua citazione descrive una determinazione e, con appositi strumenti, si può anche dedurne correlazioni che presenteranno occorrenze statisticamente significanti sull’evoluzione di quello stesso sistema.

      In Pace

      • Certo, il discorso scientifico descrive una realtà determinata ma il discorso scientifico non è un mero processo fisico 🙂 Anche il solo dire “importanti fenomeni” ti porta immediatamente al di là del processo fisico.

        • Ti lascio stare nel tuo mondo nuvoloso, carissimo.
          Mi ricordi un collega studente in fisica al primo anno propedeutico che di fronte alla formula newtoniana di un movimento lineare scritto sulla lavagna, chiedeva al docente universitario la cosa seguente: “ma tra il momento che Lei ha scritto quest’equazione e il momento che Lei l’ha risolta, la particella si è già spostata, quindi l’equazione non è già più valida””
          Inutile dire che non fece più di tre mesi in facoltà…
          In Pace

  7. @Simon permettimi di portare la tua attenzione su un dettaglio della riposta che forse non è sufficientemente “disambiguizzato”. Nella risposta con “causa efficiente” si intende la causa
    che fa esistere l’essere, non della causa efficiente (o delle cause efficienti) che quell’essere
    attua. Dunque la causa efficiente che fa esistere un essere che in natura non esiste è l’intenzione.
    D’altronde, se non erro, la causa efficiente non richiama la stessa “natura” (perdonami il gioco di parole)
    della causa finale?

  8. A seguito degli interessanti commenti sono andato a curiosare una dispesa di Feder indicata nella Biblioteca di Croce-Via (http://www.enzopennetta.it/2013/11/teleologia-una-guida-allacquisto).

    Ecco un estratto che casca a fagiolo sul punto B suggerito da Simon:

    «Per l’A-T, c’è una differenza metafisica fondamentale tra le sostanze naturali e gli artefatti umani. Le parti degli esseri viventi, ad esempio, sono orientate intrinsecamente e per natura a funzionare in maniera congiunta per il bene dell’insieme. Per contro, le parti di un artefatto non hanno alcuna naturale tendenza a funzionare in concerto a quel modo, e per farlo necessitano di qualcosa che sia a loro esterno. Il loro orientamento naturale è verso altri fini – intrinseci al loro essere, di qualsiasi sostanza naturale siano – anche se un artigiano potrebbe essere in grado di arrangiarli in modo che queste tendenze naturali non vadano ad inficiare il fine artificiale che egli ha loro imposto. Per prendere un esempio di Aristotele, se un letto di legno venisse piantato (mentre il legno della pianta con cui è stato costruito è ancora fresco, diciamo) ciò che crescerebbe, ammesso che cresca qualcosa, sarebbe un albero e non un letto.26 L’orientamento naturale del legno fresco è di essere “albero” piuttosto che “letto”, anche se un artigiano esperto potrebbe in ogni caso lavorarlo in maniera tale da renderlo un letto. In generale, per l’A-T, gli artefatti ed i fini per cui vengono realizzati presuppongono le sostanze naturali e le tendenze che naturalmente manifestano, motivo per cui è incoerente considerare le sostanze naturali come se fossero artefatti. Ciò non significa che gli oggetti naturali non siano creati da Dio. Implica però che Dio non li crea nel modo in cui un artigiano assembla i pezzi per produrre un artefatto.»

    • E spingendo questa proposta al sistema informazione in quanto dato e contesto?
      In Pace

      • Intendi il tuo punto A dove il dato è informazione grazie al contesto? Se è quello il “sistema informazione” a cui ti riferisci allora forse (la butto un pò li) si potrebbe pensare all’informazione come causa formale (o forma sostanziale?), il dato causa materiale, il contesto causa efficiente.

        • Non proprio no: forse sono stato troppo ellittico.
          Intendevo piuttosto nella direzione di avere un dato comprensibile come informazione in un solo contesto per quel che è “naturale”, mentre un dato diventa comprensibile in più contesti come informazione (differente) nel caso del contesto/dato artefatto.
          In Pace

          • Uhm… se metto sul tavolo l’analogia secondo te ci aiuta o ci confonde? Dalla tua precisazione sembrerebbe che in un contesto naturale l’informazione abbia una “comprensibilità univoca” (azzardo: “potenzialmente univoca”), invece in un contesto extra-naturale (devo confessarti che il termine “contesto artefatto” mi ricorda troppo “rappresentazione”) l’informazione, e quindi la comprensibilità, sia analogica.

            • Certo, fino al simbolo che è un dato portatore di informazione completamente plurivalente asseconda del contesto dato ( da dove l’esempio TRIANGOLO del testo qui sopra).
              In Pace

              • Quindi la realtà è analogica e non digitale come pretendono i computazionisti 🙂

                • Un computer conduce a informazione puramente analogica, infatti.
                  Mentre un neurone conduce informazione univoca che è significativa solo in un contesto di neuroni.
                  Sembra paradossale ma non lo è.
                  In Pace

  9. @Simon effettivamente sembra proprio un paradosso 🙂

    • Benché il suo funzionamento sia digitale un computer produce informazione il cui significato non è dipendente da lui, ma gli è alienata: è puramente analogica.
      Nel caso di cellule viventi, tra le quali i neuroni, le informazioni, benché molto più complesse e dense di una semplice stringa di 1 e 0, sono recepitili da un solo contesto che è quello per il quale e dal quale traggono la loro ragione di essere, quest’informazione è specifica, dissimile da ogni altra e univoca, quindi, al contesto “naturale” nel quale operano, nascono e si sviluppano.
      In Pace

  10. Segnalo un articolo interessante: https://thomism.wordpress.com/2017/03/21/aristotles-interaction-problem
    Mi sembra possa avere qualche relazione con il tema qui trattato. Nell’articolo la questione dell’indeterminatezza sembra (sono un pessimo traduttore) essere trattata sotto la forma di “interazione” tra attuali in cui l’attuale in quanto attuale non può essere un oggetto rilevabile fisicamente.

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