Il mondo in cui viviamo è soggetto al cambiamento, la fisica, la chimica, la biologia ci possono insegnare le leggi che governano questo cambiamento, ma quello che queste scienze non possono dirci è perché questo mondo, con le sue leggi, il suo ordine e la sua intelligibilità, è, o esiste. Se per nessuna cosa che noi conosciamo la natura consiste nell’« essere », per nessuna cosa la natura contiene in se stessa una ragione sufficiente alla propria esistenza. Ne indica però l’unica causa possibile: al di là di un mondo in cui « l’essere » è sempre a portata di mano, e nel quale ogni natura può spiegare ciò che altre nature sono, ma non può spiegare la loro comune esistenza, ci deve essere una causa la cui propria essenza sia l’essere. Postulare un essere la cui essenza è un puro Atto di esistenza, cioè la cui essenza non è essere questa o quella cosa, ma « essere », vuol dire anche porre il Dio cristiano come la causa suprema dell’universo. Dio profondamente nascosto, « Colui che è » e anche un Dio molto evidente. Rivelando ai metafisici che non possono dare una spiegazione della loro esistenza, tutte le cose indicano che c’è una causa suprema nella quale essenza e esistenza coincidono. E qui Tommaso d’Aquino e Agostino alla fine sì incontrano. Dato che la sua metafisica esistenziale è riuscita a farsi strada attraverso quella crosta di essenza che è solo il rivestimento esterno della realtà, Tommaso d’Aquino può vedere il puro Atto di esistenza come si vede la presenza della causa in ciascuno dei suoi effetti.
Arrivare a questo punto volle dire probabilmente arrivare all’« ultima Thule » del mondo metafisico.  […]

Ci si sarebbe potuti aspettare almeno che, una volta giunti in possesso di una verità così fondamentale, gli uomini l’avrebbero preservata con la massima cura, ma non lo fecero: la perdita di questa verità venne quasi subito dopo la sua scoperta.

Gilson, Etienne. Dio e la filosofia. 1941 Editrice Massimo, Milano, 2010, pagg. 74 – 75

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