Edward Feser – Come Popper devasta il computazionalismo

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A seguito dell’articolo dedicato alla quaddizionearticolo dedicato alla quaddizione di Kripke, smontiamo (a nostro dire definitivamente) la teoria computazionale della mente traducendo un lungo ed articolato scritto nel quale il buon Feser chiarisce i controargomenti di Popper, Searle e accenna al cosiddetto “argument from reason”. Successivamente si potrà dunque comprendere nel migliore dei modi l’articolo, di imminente traduzione, dedicato all’immaterialità del pensiero e alla confutazione di una opinione del fisico Oerter.
Buona lettura!

“Popper contro il computazionalismo”

Karl Popper è stato un critico importante delle teorie materialiste della mente. La sua critica più significativa ed originale è un argomento contro la possibilità di una teoria causale dell’intenzionalità – un argomento che ho discusso a lungo nel mio recente articolo “Hayek, Popper, and the Causal Theory of the Mind.”. Popper ha inoltre presentato, sia pure sommariamente, un argomento che comporterebbe in particolare l’impossibilità di una teoria computazionale della mente. L’argomento è presentato in The Self and Its Brain, libro che ha co-scritto con il neuroscienziato John Eccles. In esso si prefigurano argomenti successivamente presentati da John Searle e dai fautori di quello che sarebbe stato conosciuto come “argomento dalla ragione“, propri di Victor Reppert e William Hasker.

Come ho fatto notare nel mio recente articolo (e in un precedente post), Popper distingue quattro principali funzioni del linguaggio. Vi è, innanzitutto, la funzione espressiva, che prevede “l’espressione esteriore di uno stato interiore” (The Self and Its Brain, p. 58). Qui il linguaggio funziona in modo simile al suono che fa un motore quando è su di giri o al grido di un animale quando soffre. La seconda è la funzione di segnalazione che aggiunge alla funzione espressiva la generazione di una reazione in altri. Popper la riscontra con i segnali di pericolo che un animale può inviare per allertare altri animali, e al modo in cui un semaforo segnala per un eventuale presenza di auto anche quando in realtà non ce ne sono. La differenza tra le funzioni espressive e di segnalazione sembrerebbe fare il paio con la distinzione di Fred Dretske fra “significato naturale” (o meaningn) e “significato funzionale” (o meaningf), che ho discusso qualche tempo fa in un post ad hoc. Meaningn o “significato naturale”, come si ricorderà, equivale a niente di più che un effetto indicante la presenza della sua causa, come macchie sul viso indicano la presenza di morbillo. Non vi è alcuna possibilità di travisamenti in questo caso, poiché un effetto sarà meann qualunque sia la causa vera e propria. Quindi se le macchie sul volto di qualcuno sono state causate non dal morbillo, ma da una reazione allergica di qualche tipo, ebbene questa ultima relazione causa-effetto è quella che si definisce meann. “Funzione espressiva” di Popper sembra più o meno simile nella misura in cui egli sembra pensare che un effetto (il suono del motore, il grido di dolore dell’animale o l’imprecazione spontanea di qualcuno arrabbiato quando scivola su un ricordino di un cane nel parco) sarà “espressione” di qualsiasi possibile stato interiore che causa tale effetto. La possibilità di travisamenti son possibili chiaramente solo con la “funzione di segnalazione”, proprio come fa (almeno se l’argomento di Dretske funziona) il meaningf o “significato funzionale.” Uno stato interno o espressione potrebbe essere meaningf che rimane tale e quale sia quando è presente un terzo sia quando non lo è; allo stesso modo, si potrebbe intendere il senso “di segnalazione” di Popper come la presenza di qualcosa (predatori, automobili, o il mal di testa che tua moglie sostiene di avere) anche quando quel qualcosa non è davvero lì.

Popper ammette che queste due funzioni elementari del linguaggio potrebbero essere spiegabili in termini causali. Ciò che egli considera come inspiegabile in termini similari sono le due funzioni rimanenti. La funzione descrittiva del linguaggio implica l’espressione di una proposizione, qualcosa cioè che può essere vera o falsa. Il paradigma qui sarebbe l’espressione di una frase dichiarativa, come ad esempio “Le rose sono rosse”, “Due più due fa quattro”, oppure “C’è un predatore nella zona.” Notate che quest’ultimo esempio si differenzia dal grido di avvertimento di un animale in quanto possiede una struttura concettuale. Il “quak!” di un uccello potrebbe causare paura ad altro uccello e quindi fargli prendere il volo. Quello che questo verso non fa è trasmettere all’uccello spaventato un concetto astratto come aquila, predatore, o pericolo, e quindi non trasmettere il tipo di contenuto proposizionale che presuppone tali concetti. (Popper consente provvisoriamente a pag. 58 di The Self and its Brain che almeno alcuni comportamenti animale “possono forse” comportare una componente descrittiva e non di mera segnalazione, e da come possibile esempio la danza delle api. Personalmente non son d’accordo, ma tutto questo non intacca nulla della presente questione). E infine, la funzione argomentativa del linguaggio che comporta l’espressione di una inferenza da una o più proposizioni ad un’altra in un modo che quest’ultima possa essere vista come valida o non valida, come il classico esempio: Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo e quindi Socrate è mortale.

E’ ciò che Popper chiama “funzione descrittiva” del linguaggio quel che rende problematico il concetto di una teoria causale della intenzionalità. Anche in questo caso, esamino il suo argomento contro la possibilità di una tale teoria in dettaglio in “Hayek, Popper, and the Causal Theory of the Mind”. È invece in quella che Popper chiama “funzione argomentativa” che troviamo la sua implicita obiezione alle teorie computazionali della mente. (Vedi The Self and Its Brain, pp. 75-81). Come la funzione descrittiva, la funzione argomentativa è qualcosa che Popper ritiene non possa essere rappresentata in termini causali, e fornisce un argomento separato in tal senso. Anche se (egli dichiara) lo stesso non ha la pretesa di confutare rigorosamente il materialismo, a suo avviso ” il materialismo non ha il diritto di rivendicare razionalità che può essere supportata da cosiddetti argomenti razionali”; in particolare, dimostra che il materialismo, se anche fosse vero, “è incompatibile con […] l’accettazione delle norme stesse dell’ argomentazione critica” in quanto “queste norme appaiono dal punto di vista materialistico come mere illusioni, o almeno come ideologia “(p. 81). Il perno della tesi di Popper è contenuto nel seguente passaggio:

La proprietà di un meccanismo cerebrale o di un computer che funziona secondo gli standard della logica non può essere una proprietà puramente fisica, anche se sono pronto ad ammettere che tale proprietà è in un certo senso collegato con, o si basa su, proprietà fisiche. Due computer possono differire materialmente quanto si vuole, ma entrambi possono operare secondo gli stessi standard logici. E viceversa; essi possono differire fisicamente meno di quanto si possa mai specificare, tuttavia questa differenza può essere amplificata in modo che l’uno può operare secondo gli standard della logica, ma non l’altro. Questo sembra indicare che gli standard di logica non sono proprietà fisiche. (Lo stesso vale, tra l’altro, per quasi tutte le proprietà rilevanti di un computer qua computer) (P. 79)

Purtroppo, Popper si limita a suggerire l’argomento e non lo sviluppa in modo formale; il passo citato è tratto da un dialogo immaginario tra un “fisicalista” e “interazionista,” e Popper lascia che siano le risposte di quest’ultimo a darne una formulazione esplicita. Ma la tesi complessiva può essere ricostruita confrontando questi passi con alcune idee chiaramente legate al lavoro di John Searle, da un lato, e il lavoro dei sostenitori del cosiddetto’ “argomento dalla ragione” dall’ altro.

Il contesto rende evidente che Popper intende contestare sia il punto particolare contro ogni tentativo di spiegare la razionalità umana specificamente sul modello del moderno computer digitale, sia il punto più generale legato al primo contro ogni tentativo di spiegare materialisticamente la razionalità in termini causali. E ‘rispetto al primo punto che troviamo un chiaro parallelo con Searle. Nel passo citato, Popper afferma che “praticamente tutte le proprietà rilevanti di un computer qua computer … non sono proprietà fisiche.” Può sembrare strano dato che ammette contemporaneamente che “la proprietà di … un meccanismo di computer che lo fa funzionare secondo il standard di logica è … in un certo senso collegato con, o basato su, proprietà fisiche “Ma Popper sottolinea anche che la ragione di un computer che opera secondo principi logici è che lo stesso ” è stato progettato da noi -. da menti umane – per lavorare in questo modo “(p. 76). Le sue operazioni rispecchiano le caratteristiche semantiche di simboli linguistici e le loro relazioni logiche, proprio come le parole scritte in inchiostro su un pezzo di carta fanno; ma la semantica e le relazioni logiche non sono per nulla inerenti alle proprietà fisiche nel caso del computer esattamente come non lo sono i soli segni di inchiostro delle frasi. In entrambi i casi le relazioni logiche sono impartite ai fenomeni fisici da noi – dai programmatori e utenti in caso di computer, e da scrittori e lettori nel caso di parole scritte – piuttosto che derivate dai fenomeni fisici. Perciò essi non riescono a fornire un modello di come i processi del pensiero razionale potrebbe essere spiegati in termini puramente fisici.

La versione di Searle di questa argomentazione sottolinea che le nozioni fondamentali della moderna teoria della computazione – “manipolazione di simboli”, “regole sintattiche”, “l’elaborazione delle informazioni,” e simili – non sono definibili in termini di proprietà attribuite a sistemi materiali dalla scienza fisica, ma sono relativi all’osservatore, esistenti in un sistema fisico solo in quanto qualche mente competente a farlo ne attribuisce delle proprietà computazionali allo stesso. Da qui l’idea che la mente potrebbe essere spiegata in termini di calcolo è incoerente. L’argomento può essere riassunto come segue:

  1. Il calcolo comporta manipolazione di simboli secondo le regole sintattiche.
  2. Ma sintassi e simboli non sono definibili in termini di fisica di un sistema.
  3. Quindi il calcolo non è intrinseca alla fisica di un sistema, ma è assegnato da un osservatore.
  4. Quindi, il cervello non può essere intrinsecamente essere coerentemente paragonato ad un computer digitale.

(Searle sviluppa questo argomento nel suo saggio “Is the Brain a Digital Computer?” E nel capitolo 9 del suo libro The Rediscovery of the Mind.. Si noti che questo argomento è diverso dal noto argomento “stanza cinese” di Searle.)

C’è un chiaro parallelismo tra questa argomentazione Popper-Searle contro una teoria computazionale della razionalità e l’argomento di Popper contro le teorie causali di intenzionalità (che esaminano in sede di documento linkato sopra). In entrambi i casi, il materialista o fisicalista è accusato di fare uso di nozioni (alcune nozioni causali nel primo caso, quelli computazionali in dall’altro) su cui non può vantare nessun diritto data la sua ipotesi di lavoro iniziale che le uniche caratteristiche originali della realtà sono quelle descrivibili nel linguaggio della scienza fisica.

E’ invece nell’applicazione di questa idea di base di una critica di ogni possibile considerazione causale della razionalità che la posizione di Popper ricorda l’anti-materialista “argomento dalla ragione.” Si tratta di una “etichetta” che recentemente si è finito ad applicare ad una intera famiglia di argomenti correlati si trovano nel lavoro di pensatori diversi come Popper, JBS Haldane (che Popper cita come influenza), CS Lewis, Alvin Plantinga, Victor Reppert, e William Hasker. (Per una panoramica utile, vedere l’articolo di Reppert “The Argument from Reason” di William Lane Craig e JP Moreland, eds.nel The Blackwell Companion to Natural Theology. Discuto e difendo l’argomento nel capitolo 6 di Philosophy of Mind). Ci sono differenze significative tra le rispettive dichiarazioni dell’argomento di questi scrittori, ma una versione “generica” potrebbe essere questa:

  1. Il materialismo sostiene che il pensiero si compone di niente di più che il passaggio da un processo materiale nel cervello ad un altro in accordo con le leggi causali (sia che queste transizioni siano concepite in termini di trattamento dei simboli secondo le regole di un algoritmo simil computazionalismo, sia su qualche altro modello).
  2. I processi materiali hanno la loro efficacia causale, compresa la loro capacità di generare altri processi materiali, solo in virtù delle loro proprietà fisiche (ad esempio quelli descritti dalla scienza fisica), e non in virtù di qualsiasi significato o contenuto semantico che potrebbero essere associati con loro . (Per esempio, schiacciare i simboli “1”, “+”, “1” e “=” in una calcolatrice genererà il simbolo “2” che si associ o omeno i significati aritmetici standard con questi simboli o si assegni loro alcuni significati eccentrici, perché le proprietà elettroniche della calcolatrice solo sono ciò che determina quali simboli visualizzare. Allo stesso modo, i processi neurali che sono in realtà associati con il pensiero che tutti gli uomini sono mortali e il pensiero che Socrate è un uomo genererebbe il processo neurale che Socrate è mortale solo se questi processi naturale fossero associati con qualche altro significato ulteriore, perché le proprietà neurofisiologiche dei soli processi sono ciò che determinano quali ulteriori processi vengono generati.)
  3. Ma un pensiero può servire da giustificazione razionale di un altro pensiero solo in virtù del significato o contenuto semantico dei pensieri. (Per esempio, è solo perché noi associamo i simboli “1”, “+”, “1,” “=” e “2” con i significati standard di “1 + 1 = 2” che la calcolatrice esprime una verità aritmetica. Allo stesso modo , è solo per i significati intrisechi a “Tutti gli uomini sono mortali”, “Socrate è un uomo” che queste due frasi comportano logicamente la terza “Socrate è mortale”, e solo quando i processi neurali in questione sono associati con i corrispondenti pensieri che i primi due donano che esiste una giustificazione razionale per credere al terzo).
  4. Quindi, se il materialismo è vero, allora non c’è nulla sui nostri processi di pensiero che possono rendere un pensiero una razionale giustificazione di un altro; sono solo rapporti fisici e causali, non delle relazioni semantiche e logiche, a determinare quale pensiero segua necessariamente altri.
  5. Quindi, se il materialismo è vero, nessuno dei nostri pensieri mai è razionalmente giustificato.
  6. Ma questo include i pensieri di materialisti stessi.
  7. Quindi, se il materialismo è vero, allora non si può razionalmente giustificare nemmeno la teoria stessa che diviene pura autofagia.

Il risultato di questo argomento è che un’istanza di relazioni causali, di qualsiasi tipo, non crea di per sé alcuna istanza di relazioni logiche; e questo è precisamente ciò che Popper dice sopra: “i meccanismi del cervello” o “meccanismi informatici” potrebbero “essere diversi fisicamente meno di quanto si possa mai specificare, tuttavia questa differenza può essere amplificata in modo che l’uno possa operare secondo agli standard di logica, ma non l’altro”. Quindi, anche se ammettiamo che certi processi causali sono condizioni necessarie per il nostro ragionamento logico (cosa che Popper ammette in quanto afferma che la nostra capacità di seguire gli standard di logica è ” in un certo senso collegato con, o si basa su, proprietà fisiche “), non sono condizioni sufficienti – nel qual caso non ci può essere (puramente) spiegazione causale della nostra capacità di ragionare logicamente.

Il secondo passo dell’argomento sembra partire dal presupposto materialistico standard che qualunque cosa accada nelle mondo naturale accade per quello che capita a livello di microfisica della natura –  cioè a livello delle particelle di base descritte dalla fisica e delle leggi che le governano – unito all’ulteriore ipotesi materialista che il significato o il contenuto semantico non è una proprietà microfisica, al di là di qualsiasi cosa il materialista possa dire al riguardo. Che tutto questo sembra rendere il significato dei nostri pensieri un mero “epifenomeno” o causalmente irrilevante è quel che nel mondo accademico è conosciuto come “il problema della causalità mentale.” Naturalmente, i significati dei nostri pensieri sembrano avere un effetto su quello che diciamo e facciamo; in particolare, certamente a noi sembra di essere razionali a giudicare una deduzione come tutti gli uomini sono mortali e Socrate è un uomo, quindi, Socrate è mortale come vera, questo a causa dei significati associati a queste parole, e quindi giudicare irrazionale deduzioni diverse. Ma il punto di Popper è che, se il materialismo è vero, allora non possiamo avere alcun motivo per credere che quello che sembra essere un argomento lo sia davvero. Forse la deduzione in questione è in realtà irrazionale, mentre una deduzione che sembra irrazionale , come ad esempio tutti gli uomini sono mortali, e la nonna guida una fiat Uno, quindi, i robot stanno rubando il mio bagaglio è un paradigma di pensiero razionale. Forse non ne vediamo la razionalità per lo stesso motivo per il quale la calcolatrice avrebbe dato come risultato “2” in risposta alla sequenza “1 + 1 =” anche se quest’ultimo insieme di simboli esprimesse la proposizione La nonna sta guidando la fiat Uno? e la precedente secondo questa risposta bizzarra: No, i robot stanno rubando il mio bagaglio – questo perché solo le proprietà fisiche di eventi che si verificano in entrambe le calcolatrici e il cervello, e non tutte le proprietà semantiche o logiche ad essi associati, occorrono a determinare quali effetti genereranno.

Per questo motivo Popper afferma che il materialismo tende a ridurre la funzione argomentativa del linguaggio e la sua funzione descrittiva alle mere funzioni espressive e di segnalazione sub-razionale, e di conseguenza tende anche a “renderci ciechi alla differenza tra la propaganda, l’intimidazione verbale e argomentazione razionale “( The Self and Its Brain, p. 59). Ora Popper presumibilmente pensava che l’argomento sulla mente del suo amico F.A. Hayek si potesse sottoporre a questo tipo di critica, ed è proprio questo che discuto in  “Hayek, Popper, and the Causal Theory of the Mind.”  Che ironia: Hayek accusa gli altri di quel che Popper implicitamente accusa a lui. Hayek ha sostenuto in The Counter-Revolution of Science, importante critica allo scientismo, che “il terreno per un pensiero irrazionale” risiede implicitamente in qualsiasi visione di essere umano quale ente volto a “scoprire le cause nascoste che, sconosciute al pensatore stesso, hanno determinato le sue conclusioni . “(p. 159). Il suo obiettivo era combattere l’idea relativista che razza o una situazione di classe determini quello che uno pensa. Popper non fa che dichiarare che la visione materialistica, quella cioè pensa ai nostri pensieri come determinati da processi causali nascosti, da scoprire con la scienza fisica, implicitamente non sia meno irrazionale.



Categories: Filosofia, teologia e apologetica

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31 replies

  1. Io aspetto sempre dai “materialisti” almeno la rappresentazione di un diagramma di principio di “macchina” autocosciente: senza questo documento di base, non sarà mai possibile costruirne una.
    Non dovrebbe essere difficile, visto che sperimentiamo la nostra autocoscienza ogni volta che lo vogliamo.
    In Pace

    • Un materialista potrebbe risponderti che non ci possono essere rappresentazioni, descrizioni o modelli di ciò che è causalmente irrilevante (nell’articolo si ha un accenno dove si parla di “epifenomeno” e del “problema della causalità mentale).

      • Ti ringrazio per il contributo.
        Ma non ho capito la tua risposta: se tu potessi esplicitarla te ne sarei grato.
        In Pace

        N.B.: Anche se l’ombra è un epifenomeno, posso costruire una macchina che produce questo epifenomeno, come ad esempio un teatrino cinese. Perché se per l’epifenomeno di auto-coscienza, che è la sola cosa della cui esistenza siamo soggettivamente assolutamente certi , non sono capace di disegnare, almeno in linea di principio, la “macchina” che lo produce, allora un problemino concettuale sussiste…

        • Per spiegarmi meglio riporto un brano dell’articolo:

          «(…) sembra partire dal presupposto materialistico standard che qualunque cosa accada nel mondo naturale accade per quello che accade a livello di microfisica della natura – cioè a livello delle particelle di base descritte dalla fisica e delle leggi che le governano – unito all’ulteriore ipotesi materialista che il significato o il contenuto semantico non è una proprietà microfisica, al di là di qualsiasi cosa il materialista possa dire al riguardo. Che tutto questo sembra rendere il significato dei nostri pensieri un mero “epifenomeno” o causalmente irrilevante è quel che nel mondo accademico è conosciuto come “il problema della causalità mentale.”»

          Con quell’idea in mente il materialista può risponderti che l’autocoscienza è un epifenomeno ed è causalmente irrilevante, ovvero a livello fisico l’autoconsapevolezza non causa nulla. Quindi se per il materialista la realtà è puramente fisica ne consegue che le uniche rappresentazioni, o descrizioni, per lui valide sono rappresentazioni, o descrizioni, di eventi fisici.

          • Ma.,. infatti, io ho posto la mia domanda a fronte di quest’affermazione e tu mi dai la causa della mia domanda come risposta alla stessa….

            E te lo ripeto: è per lo scienziato ( e l’ingegnere) che “le uniche rappresentazioni, o descrizioni, per lui valide sono rappresentazioni, o descrizioni, di eventi fisici.”. Per costoro è normale tener fuori dal loro campo di ricerca quel che non è “materiale” e quindi la riflessione sull’autocoscienza che, chiaramente non è materiale.

            Ma per il materialista c’è un postulato (irrazionale e in contraddizione con quel che ciascuno di noi sperimenta soggettivamente come unica vera certezza assoluta) e cioè che, in sé, il proprio pensarsi esisterebbe in quanto effetto secondario ma incapace di riprodurlo, visto che non è capace di costruirne il teatrino cinese.

            E il fatto di essere irrilevante dal punto di vista causale non implica che tale fenomeno non esista e se esiste allora deve essere l’effetto di un processo materiale: se è l’effetto di un processo materiale deve essere possibile riprodurlo e quindi fornirne, almeno in linea di principio, i “piani” .

            In Pace

            • lol, si, spesso la risposta è nella domanda 🙂 Perdonami non avevo colto l’immediatezza della domanda retorica 🙂 By the way sò probblemi del materialista giustificare come un processo materiale possa produrre fenomeni non fisici, il mio parere è che anche solo nell’ammettere come “emergente” un fenomeno non fisico stanno ammettendo l’insostenibilità del materialismo, ma questa conseguenza non l’ammetteranno mai (altro “fenomeno” non fisico: la convinzione).

              • Bene cominciamo a metterci sulla stessa lunghezza d’onda! 🙂

                La nozione stessa di fenomeni “emergenti” ma dei quali si è incapaci di proporne il meccanismo è in contraddizione assoluta con il voler ridurre la coscienza ad un fenomeno materiale: e finché non c’è una persona che mi spieghi, almeno in linea di principio, come riprodurre con certezza scientifica tale “epifenomeno” , allora direi che siamo davanti a persone che credono in miracoli.

                A questo si aggiunge anche un’altra riflessione: l’autocoscienza, il pensare il proprio pensiero è un’atto semplice e unico, non è complesso, non è , per definizione e per sperimentazione, composto da più atti, riunisce constatazione logica e constatazione esistenziale senza differenziazione, da dove l’assoluta certezza che nessun sofisma potrà mai distruggere. Adesso vorrei capire come potrebbe una struttura complessa, cioè composta di due o più elementi, essere causa di tale semplicità e unicità.

                E non mi si venga a dire che un albero è una struttura complessa ma percepita come un’unità, in quanto questo da un punto di vista strettamente materialista non ne spiega l’unità: unità che è constatabile dal solo “epifenomeno” della coscienza in quanto tale.

                Quindi ritorno alla mia domanda iniziale: che mi si presentino i piani di una macchina capace, “epifenomenicamente” e con certezza, che è una e cosciente di esserlo.

                Sennò effettivamente, bisognerà ridursi all’evidenza: la nozione di fenomeno emergente o di epifenomeno quando ci si riferisce all’autocoscienza è solo sinonimo di non materiale e quindi di…. spirituale.

                In Pace

        • Ops, vedo che è spuntato un N.B. 🙂
          Si, l’ombra è un epifenomeno ma fisicamente non è causalmente irrilevante. Il materialista quando è messo alle strette sulla immaterialità del pensiero o dell’autoconsapevolezza ti dirà che è un epifenomeno che fisicamente è causalmente irrilevante e quindi non se ne può dare una rappresentazione o descrizione.

    • Intendendo per computer una macchina che, posti determinati ingressi elabora determinate risposte, un animale potrebbe essere assimilato ad un computer?

      • A livello puramente sistemico certo.
        Un cane ha fame, anche se non sa che ha fame, e va a cercarsi da mangiare valutando, senza saperlo, esattamente come un computer che gioca a scacchi, la miglior strategia per ottenere il cibo.
        Si può, in linea di principio, disegnare il diagramma di funzionamento di un cane.
        Ma il cane mai proporrà una strategia che non sia contenuta e dedotta dalla somma delle informazioni che lo costituiscono in quanto cane.
        In Pace

        • Il problema sarebbe quindi trovare un “collegamento” con l’autocoscienza?

          • Beh, sì : è il senso della mia domanda.
            Ma anche del “luogo” dove si prende cosciente coscienza dei fenomeni: cioè non solo del vedere il semaforo rosso e fermarmi, ma della coscienza esplicita che vedo il rosso e non il verde e quindi devo fermarmi.
            A poco serve dire che sia un epifenomeno, ancora devo esser capace di costruire, almeno in linea di principio, un meccanismo materiale che lo produca questo epifenomeno, se voglio essere un materialista serio e cioè che non fa solo giochetti di parole come l” nozioni “di emergenze e di epifenomeni” per nascondere il fatto che esistono realtà non materiali… in contraddizione quindi con la loro ipotesi di base.
            In altre parole, le sole dimosrtazioni ammissibili e coerenti da parte di un materialista, in qualunque materia si tratti, è un meccanismo materiale concreto o, almeno, una sua proposta concettuale
            In Pace

            • Io distinguo tra cervello e mente.
              Il cervello è quella “macchia” che mi fa fermare quando il semaforo è rosso e ripartire quando è verde.
              La mente umana potrebbe però “decidere” di fermarsi col verde e partire col rosso.
              Questo è possibile perché la mente è “composta” di cervello e di coscienza (o anima) e la coscienza è in grado di “programmare” il cervello a diversificare le uscite in funzione dei fini che si propone di raggiungere.
              Io ritengo la dimostrazione che il cervello è come un computer antefatto per dimostrare che la coscienza, in qualsiasi modo la si voglia chiamare, è in grado di programmare riprogrammare il cervello in continuazione al fine di raggiugere determinati scopi..

              • È un’ipotesi di lavoro interessante ma non materialista, almeno finché non mi dai i “piani” di principio per costruire una “mente” con cervello.
                In Pace

      • No perchè l’unità essenziale del computer è “estrinseca”, quella dall’animale è “intrinseca”. Gli atti del computer non sono decisi dai suoi componenti ma da qualcosa di esterno.

        • Non concordo: gli atti del computer sono decisi dal suo stato interno, descritto simbolicamente per noi dal suo “programma”.

          L’animale ha anche il suo programma e reagisce agli stimoli esterni ed interni esattamente come un computer (in linea di massima non c’è sostanziale differenza ma sola accresciuta complessità)

          La differenza fondamentale che risiede secondo me tra un computer tradizionale e un animale o un fenomeno vitale è la necessità di riprodursi che gli è intrinseca anche se non individuale.

          Un computer non ha tale bisogno intrinseco, anche se ormai si tentano di creare nanotecnologie autoreplicanti utili a qualcosa, ma in questi casi è un bisogno dell’individuo autoreplicante.

          In Pace

          • Il computer opera delle decisioni, certo, ma operare una decisione non è lo stesso atto del prendere una decisione. Il programma del computer è dato “estrinsecamente” dal programmatore, non fa parte della sua unità essenziale (unità per altro artefatta)… non è, tanto per fare un’affermazione fisica, nel suo DNA. Il programma dell’animale è “intrisecamente” unito alla sua essenza.

            “riproduciti.exe” (così come tutti i processi che *compongono* il suo BIOS) nel computer arriva da un programmatore esterno, nell’animale arriva dalla sua natura. Ecco sintetizzio così la mia osservazione: la natura di un computer è esterna, quella di un animale è interna.

            • Certo il programma è dato estrinsecamente dal programmatore ma esso non è operazionale che in quanto intrinseco al computer, cioè di uno stato fisico dato di quest’ultimo, il quale funzionerà in presenza oppure no del programmatore …

              In Pace

              • Necessariamente, tuttavia il computer è un artefatto e come tutti gli artefatti opera in virtù di una causa, anzi forse più di una, che non gli è intrinseca. Chiaro, essenze intrinseche (naturali) ed essenze estrinseche (artefatti) hanno una o più funzionalità ma questo non significa che il modo di essere, e di conseguenza di funzionare, sia lo stesso. Ad esempio pensiamo alla riproduzione di un virus.

                • Non vedo bene come, a parte questa differenza intrinseca tra riproduzione di una specie e riproduzione di un individuo, sia possibile funzionalmente fare la differenza tra un artefatto umano e uno naturale: nei due casi abbiamo input da un lato, manipolazione dell’input, e produzione di un output. Che la manipolazione dell’input venga da un codice genetico ricevuto in eredità o dal caricamento di un programma, non credo che cambi gran che alla questione.
                  Oppure?
                  In Pace

        • Ho scritto: “posto determinati ingressi” ed “elaborate determinate risposte”:
          – stomaco vuoto e sensazione di fame;
          – visione del cibo e pasto;
          – stimolo olfattivo feromonico, attrazione sessuale e presenza dell’altro sesso;
          – segnali di pericolo e fuga da reali o eventuali predatori…

  2. Domani correggo meglio l’articolo e poi finalmente metto in rete il nuovo libro iperurania che unisce tutte le traduzioni finora fatte del round up! 🙂

    • grande contributo, Ministrel. Noi di Viva le Monadi ci teniamo aggiornati continuamente con il grande lavoro svolto da Feser. A presto

  3. @Simon forse mi spiego male ma a me sembra evidente che la funzione di un virus biologico abbia un modo di essere diverso da un virus informatico. Il virus biologico è un’unità intrinseca per cui la sua funzione viene dal suo modo di essere, il virus informatico è un’unità estrinseca quindi ciò che fa non viene dal suo modo di essere. Rischio di ripetermi ma a me sembra (e tutti questi articoli sulla confutazione della mente meramente computazionale mi sembrano su questa linea) che le funzioni di un ente dipendono dal modo di essere dell’ente, non posso dire, correggetemi se sbaglio, dalle sole funzioni che due enti hanno lo stesso modo di essere.

    • Secondo me questi articoli si pongono un’altra domanda: come mettere in evidenza la differenza tra un’intelligenza artificiale e lo spirito umano, che è un’altra problematica che mettere in risalto la differenza tra virus informatico e virus biologico.
      Infatti in quest’ultimo caso stiamo parlando di sole entità materiali senza salto tra immateriale e materiale.
      In Pace

      • Certo Simon, ma lasciami fare un’ultima osservazione e non per polemica ma per completare meglio quanto ho detto. La serie di articoli mi sembra così efficace che, a mio parere, può essere tenuta presente per la differenza tra entità materiali. Penso che nemmeno i materialisti possano negare la differenza del modo di essere di un organismo dal modo di essere di una macchina. E’ possibile comprendere la differenza tra i due modi di essere e comprendere che per quanto le funzioni siano analoghe non possono di per sè giustificare un giudizio di identità dei due modi di essere e per quanto si possa imitare, sintetizzare, un organismo questo sarà comunque un artefatto e di conseguenza un modo d’essere diverso. D’altronde il “la” alla deriva materialista non nasce forse dal ritenere l’organismo nient’altro che un sistema-macchinoso?

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