TICenter – I due modi di sopravvivere alla morte

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Dopo la morte, la nostra anima continuerà ad esistere perché è spirituale e non ha un’esistenza che dipende esclusivamente dall’unione col corpo. Certo, sarà un’esistenza un po’ strana perché l’anima umana è fatta per stare insieme al corpo: per “informarlo”, come si suol dire. Immaginate un’esistenza senza poter più avvertire i sapori o senza poter sperimentare la bellezza delle fotografie e i video dei nostri cari o delle nostre avventure. Già, perché l’anima separata dal corpo non avrà più il supporto di tutto ciò che è materiale, incluse le immagini con cui ci trastulliamo nella memoria e nell’immaginazione.

Forse non ci avete mai pensato in questi termini ma le immagini appartengono alla materia, non allo spirito. L’anima separata dal corpo manterrà la sua percezione intelligibile delle cose ma non quella materiale, un po’ come fanno gli angeli, eccetto che gli angeli sono fatti per questo, noi no. Il loro essere spirituale non sentirà mai la mancanza del corpo: degli odori, del calore di un abbraccio o del brivido di un bacio. Tutti i film in cui gli angeli sono rappresentati come se potessero vederci o ascoltarci o provare emozioni falsano la realtà delle cose, magari in buona fede, per esigenze cinematografiche, ma pur sempre in maniera ingannevole. Le emozioni sono una vibrazione dello spirito sul corpo che gli esseri che ne sono privi non possono sperimentare; possono solo capire il concetto: cioè, che noi “animali” abbiamo un rapporto particolare con questa cosa chiamata “materia”, una cosa che ci apre ad altre dimensioni del reale e che ci consente di morire.

La morte è la separazione dell’anima dal corpo. Nell’ordine naturale delle cose, noi siamo condannati a un’esistenza eterna priva di ciò che ci rende umani: priva di ciò di cui siamo così innamorati che l’idea stessa di non poter più avvertire il tocco della mano di nostra moglie o di nostro figlio ci atterrisce. Che eternità c’è senza il sorriso, senza piangere e gioire insieme, senza inebriarsi della musica o senza i profumi della primavera e i colori dell’autunno?

Gesù Cristo non ci ha promesso solo la vita eterna. Ci ha promesso la resurrezione dei corpi. I filosofi di Atene intuirono subito la grandezza di questa idea ma, siccome non credevano, presero in giro San Paolo e lo cacciarono via. L’apostolo delle genti però aveva capito che Cristo è resuscitato. Se non lo fosse, la nostra fede sarebbe “vana” (1 Cor 15,17) e l’esistenza dell’uomo rimarrebbe frustrata da un’eternità disumana.

Il primo vero modo di sopravvivere alla morte non è la spiritualità dell’anima ma la risurrezione dei corpi. C’è un altro modo però, più interessante in un certo senso, e più vicino considerata la nostra attuale condizione. Dio non ci ha creati solo per il mondo che dovrà venire dopo la risurrezione dei corpi: il mondo a cui la nostra anima aspira quando avverte il bisogno di un’eternità vera, senza più dolore e ingiustizia. Dio ci ha anche creati per un mondo che si sviluppa nel tempo, e che non è in sé eterno ma aspira all’eternità e ne è immagine. L’eternità di questo mondo, come diceva Platone nel Timeo, limitata e relativa, passa attraverso la morte nel susseguirsi delle generazioni. Dio ci ha messo nelle mani la creazione nel tempo della generazione successiva e della società che a noi deve sopravvivere.

È importante capire che, poiché abbiamo un’anima immortale, l’aspirazione generica più forte del nostro spirito è quella alla vita eterna. Questa aspirazione ci proietta anzitutto in un mondo avvenire in cui saremo pienamente felici con Dio: un mondo i cui tratti specifici non sono stati rivelati, ma in cui sappiamo che saremo tutti insieme e avremo i nostri corpi, e in cui tutte le cose che sperimentiamo adesso – le cose che ci eccitano e ci fanno entusiasmare – esisteranno nel loro massimo splendore. L’eternità non sarà noiosa ma affascinante come i migliori film di fantasia in cui sappiamo volare, giocare con i leoni o esplorare gli abissi marini. D’altronde, il trend fantasy della resurrezione l’ha cominciato Gesù passando attraverso i muri col corpo glorioso e levitando verso il cielo. Io sono convinto che in paradiso (che è un mondo materiale perché noi siamo esseri materiali), oltre alle cascate e alle montagne, ci saranno anche gli animali perché anch’essi fanno parte di ciò che rende bello il nostro mondo umano e materiale. E anche perché, come scriveva San Tommaso d’Aquino, la varietà delle creature riflette meglio l’infinita perfezione divina, che difficilmente potrebbe rispecchiarsi nell’esistenza di un solo tipo di esseri. La grandezza di Dio non la vediamo solo dalla maggiore dignità dell’uomo ma dalla bellezza e ricchezza della natura tutta. La nuova creazione non perderà nulla della vecchia ma sublimerà ogni cosa a un più alto livello. Ci saranno infiniti strumenti musicali da imparare e tutto il tempo necessario per farlo. Ci saranno tutte le persone della storia da conoscere, e con cui parlare e diventare amici, e tutto il tempo per farlo. Ci saranno infiniti libri da leggere e da scrivere e tutto il tempo dell’eternità per farlo. Ci sarà un mondo infinito da esplorare e contemplare con infinite varietà di piante e di animali. Non avremo mai motivo (né il tempo) di annoiarci.

L’aspirazione all’eternità però si riflette anche su questo mondo transeunte e richiede la morte non come porta verso il cielo ma come passaggio del testimone. Dio vuole che questo mondo, così com’è, continui per un numero imprecisato di anni, e ha fatto sì che noi non solo aspirassimo a preservarlo e migliorarlo ma che avessimo in noi, nei nostri stessi corpi, la capacità di creare la generazione futura. La nostra identità fisica più profonda, in questa fase della nostra esistenza, è data dalla capacità di procreare insita nella corporeità e che passa dall’unione con un’altra persona di sesso opposto. Dio ha voluto che noi concreassimo con Lui ma non da soli. Il nostro corpo significa al tempo stesso unione col corpo corrispondente e creazione della società futura.

L’accento contemporaneo sull’aspetto unitivo dell’amore, pur con i sui pregi, ha trascurato l’aspetto essenziale che rende eterne in questo mondo tutte le nostre aspirazioni, incluso l’amore interpersonale. L’unica cosa in grado di rendere davvero saldi i nostri impegni e sforzi in questa vita è il modo in cui essi si proiettano nel futuro dopo la morte. Ciò non riguarda solo il matrimonio. Tutto ciò che facciamo con nobiltà d’animo mira a lasciare una qualche eredità. La nostra stessa identità sessuale ci proietta nell’eternità grazie alla capacità di generare. Questa è una cosa di cui non possiamo psicologicamente fare e meno. Quando pensiamo ai nostri corpi e li vediamo maschili o femminili pensiamo ai figli che potremmo avere e che ci renderanno eterni, non eterni rispetto all’al di là ma eterni rispetto all’al di qua in cui attualmente ci troviamo.

David O’Connor, con le sue riflessioni sul Signore degli Anelli rispetto alla versione filmica di Peter Jackson (si veda per esempio la lezione “The Paradise of Dangerous Women in LOTR”)[1] ha colto appieno questo aspetto. Il film contiene una variante rispetto al libro di Tolkien che per O’Connor rimane però fedele all’ispirazione più autentica dell’autore. Il re degli elfi Elrond, padre di Arwen, le dice che il futuro con Aragorn le riserva solo morte e dolore. Lei si trova di fronte ad una scelta drammatica: rinunciare all’immortalità per sposare Aragorn o tornare col padre ad Aman, il regno degli elfi oltre le sponde del mare. L’amore come tale non è sufficiente a sancire la sua unione con Aragorn. L’idea della morte come esito dell’amore spinge Arwen a seguire il padre e salpare.

Di primo acchito, si potrebbe pensare che Arwen non ami Aragorn abbastanza, anche se la scelta di rinunciare all’immortalità (se uno davvero ce l’avesse) non può essere trattata con sufficienza. O’Connor fa però notare che dietro la scelta di Arwen non c’è l’attaccamento alla propria immortalità ma l’orrore al pensiero di vedere infine morire l’amato. L’idea di lasciare da sola la persona amata dopo una vita passata insieme, oppure di vederla morire tra le proprie braccia, è terribile per chiunque sia abbastanza maturo da soffermarvisi. Possiamo dare tutto noi stessi alla persona amata eccetto l’immortalità, sia nostra che sua. Possiamo però lasciarle noi stessi tramite i figli. Gli amanti più appassionati pensano a questo, a lasciare all’amato il conforto, l’aiuto e l’amore dell’unico prolungamento possibile di noi stessi: i nostri figli. Il significato procreativo del nostro essere è l’unico in grado di dare in questa terra conforto ed eternità a quello unitivo. Il rapporto di paternità e maternità, poi, è un fatto che rimarrà tale anche in Paradiso.

Mentre si incammina verso il porto attraverso la foresta, Arwen ha una visione in cui si trova con Aragorn e con il loro bambino e capisce che nel loro futuro non c’è solo morte ma vita. L’esistenza del figlio, come estensione della propria e di quella di Aragorn, le fa cambiare idea e le fa scegliere il matrimonio e la vita mortale. Sottovalutare la procreazione nel comprendere l’amore umano e il matrimonio equivale ad un impoverimento drammatico di entrambi. Le coppie che si amano davvero ma non possono avere figli devono trovare altri modi per rendere eterno il loro rapporto, ad esempio tramite l’adozione. Un giusto atteggiamento esistenziale verso la procreazione è ciò che rende il matrimonio sensato in questa vita rispetto alla morte, e che lo rende duraturo nel senso più pieno in cui l’amore umano può esserlo.

Fulvio Di Blasi

[1] http://ticenter.tv/video/paradise-dangerous-women-lotr/

 

Versione inglese dell’articolo sul blog del TICenter



Categories: Filosofia, teologia e apologetica, Fulvio Di Blasi

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15 replies

  1. Penso che Tolkien era particolarmente sensibile alla santità di sua moglie e si rendeva conto quanto il sacrificio di codesta per lui e per la sua discendenza nella concretezza quotidiana era un dono di valore infinito.

    In Pace

  2. Ciò che saremo, dice san Paolo, non è stato ancora rivelato, ma riferito a Gesù, dice, se non sbaglio, che saremo come egli è, perché lo “vedremo” così com’é; allo stesso modo “vedremo” il Padre, lo Spirito Santo, Maria madre di Dio, gli Angeli e i Santi e tutti i nostri cari che saranno nella Gerusalemme Celeste. Com’è vero che il corpo prima della sua morte sia lo strumento con cui l’uomo si rapporta con il creato materiale e con i suoi stessi simili e sia soggetto alle leggi naturali, fisiche, chimiche e biologiche, l’anima separata dal corpo, e in attesa della sua resurrezione, si riunirà al tempo stabilito al corpo non più soggetto a corruzione. Da corpo “animale” diverrà corpo “spirituale” poiché sarà soggetta alle leggi dello spirito le quali essendo di ordine superiore a quelle naturali, non impediranno all’anima di “pensare”, “sentire, “vedere”, “udire”, “toccare”, “amare”, “gioire”. E tutto ciò che è corruttibile diventerà incorruttibile nella nuova terra e nei nuovi cieli, poiché la creazione stessa attende impaziente la rivelazione dei figli di Dio per essere lei stessa liberata dalla corruzione. Quello è in giorno escatologico che i figli di Dio attendono con trepidazione.

  3. “L’eternità non sarà noiosa ma affascinante come i migliori film di fantasia in cui sappiamo volare, giocare con i leoni o esplorare gli abissi marini. D’altronde, il trend fantasy della resurrezione l’ha cominciato Gesù passando attraverso i muri col corpo glorioso e levitando verso il cielo. Io sono convinto che in paradiso (che è un mondo materiale perché noi siamo esseri materiali), oltre alle cascate e alle montagne, ci saranno anche gli animali perché anch’essi fanno parte di ciò che rende bello il nostro mondo umano e materiale. E anche perché, come scriveva San Tommaso d’Aquino, la varietà delle creature riflette meglio l’infinita perfezione divina, che difficilmente potrebbe rispecchiarsi nell’esistenza di un solo tipo di esseri. La grandezza di Dio non la vediamo solo dalla maggiore dignità dell’uomo ma dalla bellezza e ricchezza della natura tutta. La nuova creazione non perderà nulla della vecchia ma sublimerà ogni cosa a un più alto livello. Ci saranno infiniti strumenti musicali da imparare e tutto il tempo necessario per farlo. Ci saranno tutte le persone della storia da conoscere, e con cui parlare e diventare amici, e tutto il tempo per farlo. Ci saranno infiniti libri da leggere e da scrivere e tutto il tempo dell’eternità per farlo. Ci sarà un mondo infinito da esplorare e contemplare con infinite varietà di piante e di animali. Non avremo mai motivo (né il tempo) di annoiarci.”

    Esatto, penso che sarà una figata assoluta. E penso anche che coloro che, non dovendo purificarsi in Purgatorio o avendo già completata detta purificazione, sono già in Paradiso, si considerano molto più “vivi” di noi che ci arrabattiamo in questa valle di lacrime.

    Ogni tanto succede anche che vengano a farci visita, per mostrarci che sono vivi, altroché. 😉

    Gli manca ancora la pienezza che si avrà col corpo glorioso ma sono ben più vivi di noi, oserei dire.

  4. a proposito della materia e dello spirito, e di ciò che si è detto sulle immagini, che sono materiali, corporee per cos’ dire, credo che la preghiera renda ancor più netta questa separazione tra corporeità e spiritualità. Non fraintendetemi dicendo: “e allora l’Eucarestia?” perchè sto dicendo un’altra cosa. Dico che, al netto della bellezza materiale (e reale) di alcune cose, il momento in cui siamo più vicini, a mio avviso, all’idea di un ultra-corporeo, è nella preghiera. Almeno a me capita questo. Nella preghiera, ad occhi chiusi, non c’è immagine che tenga: solo affidiamo il nostro cuore nelle mani di Dio.

    In pace

  5. Il regno ultramondano è il regno della realtà cosi come essa è…nelle mie non vaste letture vi è un libro che più di ogni altro, per me, ha penetrato la realtà del reale e si tratta de “Il grande divorzio” di C.S.Lewis. Purtroppo l’unica traduzione disponibile, della Jaka Book, è inaccurata e malfatta. Ma vale comunque la pena di leggerlo!

  6. Anche se totalmente differente l’ultra mondano è pienamente in continuità con il reale che conosciamo e in particolare nell’ordine della carità.
    Quel che rimane è l’obbedienza alla volontà divina : questa obbedienza è pura carità e atto di volontà.
    Sperimentiamo il paradiso ogni qual volta la nostra volontà in umile ossequio si mette al servizio altrui per il suo bene.
    Ovviamente qui non capiamo, anche se lo conosciamo, l’oggetto della nostra obbedienza: Dio Trino.
    Ma questo movimento di obbedienza nei Suoi comandamenti è lo stesso che si continua attraverso la morte ed è il ponte o il cordone ombelicale che rilega la nostra vita terrestre alla nostra vita eterna.
    È vero che dopo la morte nulla di materiale potrà esercitarsi per definizione come l’immaginazione, la memoria sensibile eccetera, ma lo slancio nell’obbedienza questo rimarrà in quanto eminentemente spirituale.
    In Pace

  7. Si potrebbe dire: l’anima è la forma del corpo e il corpo… in-forma l’anima?

    • No.
      Il corpo è corpo in quanto è materia informata.
      Non c’è corpo senza forma.
      C’è forma senza corpo: ad esempio il concetto di minotauro.
      C’è materia senza forma alcuna: la potenza pura.
      In Pace

      • Si, si, mi è noto l’ilemorfismo di Tommaso.
        Con “in-forma” non intendevo dire che il corpo dà una forma all’anima ma che “informa” l’anima attraverso i sensi corporei. Stando all’articolo sembra essere così: senza corpo la nostra anima non fa esperienza di alcune cose che la “dilettano” (odori, calore, colori, baci, sorrisi).

  8. Anche a me piace immaginare il Paradiso con la massima varietà immaginabile, con tutta la creazione, animali e piante comprese. Ma la dottrina della Chiesa se non sbaglio nega questa possibilità. Non credo si parli di resurrezione possibile per loro.

    • Non c’è resurrezione nel senso che non hanno un’anima che ri’-informa un corpo.
      Ma di certo ci sarà una creazione nuova, quindi con tutto e tutto sarà perfettamente ordinato alla gloria di Dio.
      In Pace

    • A me piace immaginarlo come il luogo in cui esiste la massima varietà di espressione del bene vero.

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