Franco Nembrini – Ulisse e l’erronea ricerca di Dio

nembrini

“Leggiamo allora il Purgatorio, fine del primo canto.

Venimmo poi in sul lito diserto, 
che mai non vide navicar sue acque 
omo, che di tornar sia poscia esperto. 

Quivi mi cinse sì com’altrui piacque: 
oh maraviglia! ché qual elli scelse 
l’umile pianta, cotal si rinacque 

subitamente là onde l’avelse.   

Ora… se conosco bene Dante, tutto posso dire, ma non che gli è capitato per caso di finire in questo contesto – unico caso del Purgatorio e nell’Inferno – con le stesse tre parole che rimano fra loro che ha usato per il naufragio di Ulisse: acque – piacque – rinacque. Cosa ci sta dicendo Dante con questo collegamento? Ci sta dicendo: “Ragazzi, non basta aver lo slancio vitalistico di voler buttare il cuore oltre l’ostacolo, cercar Dio con tutte le proprie forze, cercar di vivere adeguati al proprio desiderio. Si parte solo se il viaggio parte da un grande atto di umiltà.”

L’umiltà è la virtù che permette l’incontro con l’Infinito. […] Gesù quando dice “chi non lascia suo padre e sua madre non è degno di me” non credo invogliasse le famiglie a separarsi od odiarsi. […] Gesù ci invita a riconoscerlo più decisivo delle circostanze in cui ci ha messo a vivere. Ed è la cosa più bella del mondo, la cosa che Dante ci aiuta a scoprire in tutta la Divina Commedia proprio parlando di Beatrice, e cioè: guarda che l’Infinito, il mistero, l’essere, non lo devi andare a cercare di là dal mare. Certo che lo devi cercare, se non cerchi l’Infinito non sei un uomo! Non sei fatto per “vivere come un bruto”, ha ragione Ulisse! Ma ha sbagliato strada… ha provato a farcela illudendosi che cambiando le circostanze potesse essere più facile. Cioè che le circostanze della sua vocazione, [una moglie fedelissima, un padre affettuoso, un figlio da crescere lasciati per un ultimo viaggio oltre le colonne d’Ercole], dovessero essere negate per andare a trovare Dio.

Non funziona così, ma in un altro modo. Funziona che Dio ti viene incontro attraverso le circostanze in cui ti mette a vivere! E così le circostanze, cioè quella moglie, quel figlio, quel padre, sono esattamente il luogo quel mistero Infinito per cui ci si sente fatti può essere reperito. Questo fa la misericordia di Dio: ci viene incontro senza chiederci di andare “di là dal mare”. Qualcuno magari lo farà, a ciascuno il suo, ma non è il punto. […] Da 2000 anni a questa parte l’Infinito ha scelto di venirci incontro nella carne di Beatrice, nella carne di tua moglie, nel lavoro che fai, nell’ambiente che hai, così come sei, nelle circostanze della vita.

In questo senso forse Ulisse aveva bisogno di sentirsi dire da un Virgilio: “a te conviene tenere altro viaggio” come con Dante. Sentirsi dire: “Ulisse, certo che hai ragione, certo che bisogna arrivar là, ma stai sbagliando strada!” Non è il viaggio del negare le circostanze, sognando una diversità impossibile. Il viaggio va fatto in profondità, non facendo il surfista della vita, sempre sulla superficie delle cose, sempre alla ricerca di una novità. La novità è in te! La novità è dentro il particolare che vivi. Devi andare nella profondità di un punto se vuoi vedere la verità, non devi cercarla girando in lungo e in largo. Stai sulle circostanze che Dio ti dà perché quello è fattore inevitabile della tua vocazione. Passa di lì l’incontro fra te e ciò a cui sei chiamato.

Nembrini, Franco. “Nel mezzo del cammin”, puntata 7 – Inferno III: la porta dell’Inferno. Tv2000. 2016.  Video on line



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10 replies

  1. Stiamo pensando ad un ebook con queste chicche, corredato ad una intervista a Franco per la quale ho già scovato contatti insperati. Buon Week end!

  2. chiedo umilmente scusa se faccio un umile obiezione.
    il personaggio di Ulisse non è per Dante così negativo. E parlando di super-uomismo e di slancio vitale contrapposto all’umiltà di chi accetta le condizioni della vita, non mi pare che Ulisse sia un paragone ben scelto.
    Ulisse si è trovato proprio in quelle circostanze della vita! Ulisse non ha “scelto” di partire di fare naufragio, di essere sballottato dai venti, di avere mille avventure. Se ricordate bene, fu l’odio di Poseidone a impedire ad Ulisse di far ritorno a casa dopo la caduta di Troia. Ulisse voleva semplicemente tornare a casa dalla moglie.Ulisse , quello dell’Odissea che Dante aveva letto, non è un eroe superomistico come Prometeo o come Icaro , non è un eroe romantico dello slancio vitale cme Faust o come Byron..
    Ulisse è la vittima di certe circostanze indipendenti dalla sua volontà ( le tempeste marine, l’odio di Poseidone, le avventure con Polifemo ecc.) in cui però Ulisse a differenza dei suoi compagni rimane sempre con la dignità, il coraggio e tutte le prerogative dell’uomo saggio ed intelligente. Di fronte alle avversità della natura Ulisse non “subisce “semplicemente ma cerca sempre di trarre profitto dalle circostanze, esercita la sua famosa “astuzia”, che altro non è che ciò che oggi va di moda chiamare discernimento.
    Sono d’accordo che Dio ti viene incontro nelle circostanze in cui ti mette a vivere.
    se per esempio il terremoto distrugge la tua casa, fa morire tutta la tua famiglia, Dio ti viene incontro proprio in queste circostanze. ma c’è chi si lascia prendere dallo sconforto, chi bestemmia Dio, chi come i compagni di Ulisse si lascia attirare dalla Sirene, e c’è chi come il saggio ulisse, l’astuto Ulisse, sopporta tutto e prosegue con tutte le forze della sua intelligenza , perchè spera di tornare un giorno a Itaca.
    tutto sommato il ritorno a Itaca potrebbe essere una metafora del ritorno di ogni uomo alle origini.

    • Hai ragionissimo Gian Piero, ma forse non ricordi che Dante non si ferma a narrare l’Odissea, ma ha l’ardire di narrare la morte di Ulisse che avviene DOPO l’arrivo a Itaca. Ed è proprio un invenzione di Dante per farci comprendere quel che il Nembrini qui descrive.

      Dante narra quindi di Ulisse che, dopo alcuni anni passati a Itaca, si fa prendere dalla voglia del viaggio e riprende a viaggiare con i suoi fidi marinai, abbandonando tutti e tutto. Ecco che poi, arrivato davanti alle Colonne d’Ercole, fa un meraviglioso discorso ai marinai, quello celeberrimo del “fatti non foste per esser come bruti!”. E con quel discorso incita ad andare “oltre il consentito”. Per giorni e giorni vedono solo mare, poi finalmente ecco la terra. E la terra è proprio la montagna del purgatorio “che mai non vide navicar sue acque omo”. Nemmeno Ulisse. Giunto infatti vicino all’enorme mole del purgatorio, un mostro marino distrugge la barca di Ulisse uccidendo tutti.
      Da qui la riflessione di Franco che condivido in toto!
      Grazie Gian Piero!

    • né dolcezza di figlio, né la pieta
      del vecchio padre, né ‘l debito amore
      lo qual dovea Penelopè far lieta,

      vincer potero dentro a me l’ardore
      ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
      e de li vizi umani e del valore;

      INFERNO, XXVI 94 e contt.

      • Non è il Sommo Poeta, ma a suo modo è un poeta lui pure… 🙂

        Bisogna che lo affermi fortemente che, certo, non appartenevo al mare
        anche se i Dei d’Olimpo e umana gente mi sospinsero un giorno a navigare
        e se guardavo l’isola petrosa, ulivi e armenti sopra a ogni collina
        c’era il mio cuore al sommo d’ogni cosa, c’era l’anima mia che è contadina,
        un’isola d’aratro e di frumento senza le vele, senza pescatori,
        il sudore e la terra erano argento, il vino e l’olio erano i miei ori….

        Ma se tu guardi un monte che hai di faccia senti che ti sospinge a un altro monte,
        un’isola col mare che l’abbraccia ti chiama a un’altra isola di fronte
        e diedi un volto a quelle mie chimere, le navi costruii di forma ardita,
        concavi navi dalle vele nere e nel mare cambiò quella mia vita…
        E il mare trascurato mi travolse, seppi che il mio futuro era sul mare
        con un dubbio però che non si sciolse, senza futuro era il mio navigare…

        Ma nel futuro trame di passato si uniscono a brandelli di presente,
        ti esalta l’acqua e al gusto del salato brucia la mente
        e ad ogni viaggio reinventarsi un mito a ogni incontro ridisegnare il mondo
        e perdersi nel gusto del proibito sempre più in fondo…

        E andare in giorni bianchi come arsura, soffio di vento e forza delle braccia,
        mano al timone, sguardo nella prua, schiuma che lascia effimera una traccia,
        andare nella notte che ti avvolge scrutando delle stelle il tremolare
        in alto l’Orsa è un segno che ti volge diritta verso il nord della Polare.
        E andare come spinto dal destino verso una guerra, verso l’avventura
        e tornare contro ogni vaticino contro gli Dei e contro la paura.

        E andare verso isole incantate, verso altri amori, verso forze arcane,
        compagni persi e navi naufragate per mesi, anni, o soltanto settimane…
        La memoria confonde e dà l’oblio, chi era Nausicaa, e dove le sirene?
        Circe e Calypso perse nel brusio di voci che non so legare assieme,
        mi sfuggono il timone, vela, remo, la frattura fra inizio ed il finire,
        l’urlo dell’accecato Polifemo ed il mio navigare per fuggire…

        E fuggendo si muore e la mia morte sento vicina quando tutto tace
        sul mare, e maledico la mia sorte, non provo pace,
        forse perché sono rimasto solo, ma allora non tremava la mia mano
        e i remi mutai in ali al folle volo oltre l’umano…

        La via del mare segna false rotte, ingannevole in mare ogni tracciato,
        solo leggende perse nella notte perenne di chi un giorno mi ha cantato
        donandomi però un’eterna vita racchiusa in versi, in ritmi, in una rima,
        dandomi ancora la gioia infinita di entrare in porti sconosciuti prima…

    • Bisogna tener conto che Dante non conosceva l’Odissea, se non indirettamente attraverso fonti latine. In effetti anche a me, che sono un grande ammiratore del poema omerico, l’Odisseo “luminoso e costante” di Omero è sempre apparso come uno dei grandi personaggi cripto-cristiani della letteratura pre-cristiana. Il suo “multiforme ingegno” risulta tanto più ammirevole in quanto si accompagna sempre alla temperanza, al rispetto per il divino, alla magnanimità, alla sopportazione, alla “speranza contro ogni speranza” che rimane viva nonostante tutte le vicissitudini cui va incontro, e nonostante un fato maligno sembri negargli la via del ritorno. Ma dalla sua ha Zeus e soprattutto Atena, che gli fa da mediatrice col padre e lo conforta.

  3. In effetti, il dantismo di seconda mano, decontestualizzando Inferno XXVI, 118-120, ne ha rimosso il carattere sofistico, manipolatorio (del resto coerentissimo col personaggio).

  4. Dante ci vuole mettere in guardia dagli sport estremi che ogni anno mietono tante vittime che coscientemente o incoscientemente,sfidano un mal inteso “non essere bruti”,Dio é dentro di noi e senza dubbio,lo possiam scoprire nel nostro quotidiano,anche se la sfida titanica resta una forte tendenza e sempre spinge Icaro in alto,così in alto da restarne vittima.Dio i cristiani e gli uomini “di buona volontà” lo debbono scoprire nel prossimo a terra,e qui sicuramente Lo trovano e Lo possono soccorrere.(mi trovo di nuovo in Burundi).

  5. È potente l’indicazione di non vivere come un surfista in quanto realizza il concetto utilizzando un’immagine esterna mentre avverto un’operazione a rovescio quando chi parla vuole fornire una spiegazione adeguando la stessa all’interno del fatto da spiegare.

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