TICenter – Hook, Spielberg e l’alienazione del fantasy

hook

Con il presente articolo inizia la collaborazione fra il nostro blog e i responsabili del Thomas International Center (TICenter), che sta promuovendo una università online in America. Ad oggi il TICenter offre ai naviganti web una vera e e propria televisione digitale con strepitose lezioni in svariate discipline (filosofia e teologia in primis), sia in inglese che italiano, suddivise in Lectures, Interviews, Classes e Daily Insights. La nostra collaborazione si sviluppa per ora proprio da queste ultime brevi e dense lezioni denominate “daily insights” tenute dal Prof. Fulvio di Blasi, presidente del TICenter. Avremo quindi il privilegio di ripubblicare su queste colonne gli articoli in italiano che riassumono (e sviluppano) le intuizioni filosofiche e teologiche di Fulvio.

Ho voluto personalmente iniziare con un vero e proprio lampo di genio dedicato all’ottimo film di Spielberg “Hook”, per un duplice motivo. Primo: ho proficuamente utilizzato la lezione con i miei figli dopo la visione del film, per parlarne come si deve. Secondo: il co-fondatore del blog Simon, appassionatissimo di sci-fi, non ha mai trovato il fantasy molto avvincente; forse grazie al filosofo Fulvio di Blasi, interessatissimo a tali tematiche, potrebbe cambiare idea o comprendere meglio il fascino che certe tematiche provocano in noi. L’articolo è reperibile anche in inglese.

Siamo ovviamente onorati della possibilità che il TIC ci offre e confidiamo che tutti i nostri lettori sappiano far tesoro della ricchezza di materiale ad oggi già reperibile sulla loro tv online e su facebook, rendendosi interessati alle avvincenti prospettive future che una università del genere può donare a chi, come noi, ha a cuore il messaggio filosofico e teologico di San Tommaso d’Aquino. Per comprendere meglio tali prospettive, abbiamo in programma una intervista con lo stesso Prof. Di Blasi nella quale verranno dettagliate queste e altre questioni. Continuate a seguirci e intanto… buona lettura!

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Il mio Peter Pan preferito, a livello filmico, è quello del 1991 di Steven Spielberg, “Hook”, in cui c’è anche un cast eccezionale difficile da battere per qualunque altro regista o autore! Robin Williams è Peter Pan, Dustin Hoffman Hook, Julia Roberts fa Trilli (o Campanellino), Maggie Smith Wendy, e Bob Hoskins Spugna.

Oltre ad essere molto piacevole come commedia, Hook presenta un’idea molto originale rispetto a tutte le altre versioni di Peter Pan, e cioè il fatto che il film cominci con un Peter adulto che vive una vita da professionista di successo e che non sa nulla né del suo passato eroico nell’Isola che non c’è né dell’esistenza della magia e di mondi fantastici in generale.

Questa trama si distacca non poco dal canone del romanzo o commedia originaria di James Matthew Barrie, rielaborata in varie versioni tra il 1902 e il 1911. Fa parte però del motivo per cui a me questo film piace così tanto. Esso, a mio modesto avviso, coglie perfettamente e con profondità di significato uno dei temi fondamentali di una parte rilevante della letteratura fantastica: l’idea di dover trovare e vivere un giusto equilibrio tra fantasia e realtà. Ovvero, in termini negativi, l’idea di evitare una possibile doppia alienazione: da una parte il concentrarsi così tanto sui sogni da perdere il contatto con la realtà, e dall’altra l’essere così preso dalla realtà da dimenticarsi dei sogni.

Entrambe le alienazioni prendono corpo nell’inchiostro dei poeti in termini di oblio di sé. Il soggetto “alienato” perde la propria identità e dimentica chi è realmente. Il senso della storia è il ritrovarsi.

Pensate all’inizio del film di Spielberg. Peter Pan è così concentrato sul lavoro e sui suoi affari multimilionari – tutti molto importanti! – da non rendersi conto delle cose più semplici che fanno felice la sua famiglia. Risponde a telefonate di lavoro durante la recita della figlia piccola. Nonostante le promesse, non va per l’ennesima volta alla partita di baseball del figlio. La moglie gli dirà che si sta perdendo gli anni migliori in cui giocare coi figli e stare con loro. La vecchia Wendy gli dirà turbata che è “diventato un pirata”.

Peter non crede più all’Isola che non c’è e quando Trilli ve lo riporta per salvare i suoi figli, lui dovrà ricordarsi chi è sul serio e imparare nuovamente a volare.

E come lo farà? Come avverrà la cura a quell’alienazione iniziale che gli aveva fatto preferire il lavoro e il successo professionale alla felicità della famiglia, la “realtà” ai “sogni”? Lo sappiamo, la cura è il suo pensiero felice, che nel film di Spielberg è però il diventare padre, il trovarsi tra le braccia il suo primo figlio Jack, simbolo anche dei sogni giovanili. Peter Pan scopre la felicità della paternità in una “realtà” diversa, nell’Isola che non c’è, più precisamente nel rifugio dove giocava da piccolo con Wendy e i suoi amici. La realtà del figlio unisce i due mondi e Peter inizia a volare di nuovo nella sua Isola, pronto a salvare i figli dal pirata che ha paura del tempo che scorre. Peter dovrà salvare specialmente Jack, che deluso dal padre se ne dimenticherà completamente e scambierà Hook, il regno della fantasia, per il suo vero padre, la realtà. Il tema dei bambini che per paura o per l’eccessiva delusione si rifugiano e si perdono in sogni vacui e ingenui è molto serio al livello psicologico ed è il tema di fondo, per esempio, de La Storia Infinita, di Michael Ende.

Ma torniamo a Peter. Anche per lui l’altra alienazione è dietro l’angolo! La troppa frequentazione e la gioia dell’Isola che non c’è tendono a fargli nuovamente dimenticare se stesso, questa volta a vantaggio dei sogni. Dopo che ha abbondantemenre riprovato la potenza della fantasia e l’ebbrezza del volo, Trilli gli dice con un pizzico di amarezza che ormai e pronto per salvare i suoi figli da Hook, ma Peter non sembra più ricordarsi di loro.

C’è qui un punto del film in cui lo spettatore distratto potrebbe rimanerci male, quando Julia Robert nei panni di Trilli Campanellino diventa grande, a misura d’uomo, ed apparendo in tutta la sua bellezza bacia Robin Williams. In questo momento si potrebbe pensare ad una bella storia d’amore tra loro due nell’Isola che non c’è, e ci si potrebbe dispiacere per Trilli quando Peter, mentre lei lo bacia, pensa a sua moglie e alla sua famiglia, ed esclama “ma io amo Moira, e Jack e Maggie” e si volge risoluto al piano per salvare i due bambini. Campanellino ridiventa subito piccola ma non è una storia d’amore spezzata. Affatto! È la cura dell’altra alienazione.

Campanellino era diventata “troppo grande” proprio quando Peter pareva essersi dimenticato della famiglia a vantaggio di sogni vuoti e infantili. Trilli stava per fagocitarlo. Adesso ridiventa piccola ma non scompare perchè Peter è già guarito dalla prima alienazione. Ormai si trova nell’Isola che non c’è e può volare senza dimenticarsi chi è realmente. Ha ritrovato il giusto equilibrio, e con esso la felicità. Trilli ne fa parte ma deve stare al suo posto.

Nel film di Spielberg, la moglie e i figli – la famiglia – sono il pensiero felice che fa ritrovare a Peter sia i sogni che la realtà. Questa ricetta si coglie in tutta la sua profondità se si pensa che entrambe le alienazioni di cui si nutre la letteratura fantastica implicano un ricadere su se stessi, un tuffo nell’egoismo. Essere troppo presi dagli affari e dalle “cose importanti” a scapito della famiglia o dimenticarsi di tutto inseguendo sogni puerili e ingenui nascosti nel cassetto sono frutti correlativi della stessa malattia etica. Il mangiarli non porta la felicità. La medicina è un pensiero felice che riporti ad abbracciare la realtà riscoprendone la bellezza. Ma questo pensiero felice deve andare nella direzione opposta: verso fuori, verso l’altro.

Alla fine del film Peter Pan rimane in collegamento con il sogno pur tornando nel mondo reale. Trilli gli dice che lo amerà sempre in quel “luogo che sta tra il sogno e la veglia, dove ti ricordi ancora che stavi sognando”, e lui torna a giocare con la sua famiglia e a scherzare con suo figlio. La vita in famiglia ritorna ad essere piacevole perché lui non è più un “pirata”.

L’Hook di Spielberg ci dice che la medicina per la doppia alienazione è l’amore, non come esperienza emotiva ma come sentimento che ci fa continuamente riscoprire la bellezza e le responsabilità del nostro ruolo di figlio, coniuge o genitore. Un amore che ci porta fuori di noi verso le persone che oggettivamente fanno parte della nostra esistenza e della nostra realtà. Solo questo amore è in grado di farci sognare sul serio e vivere in pienezza con i piedi ben piantati per terra.

Fulvio Di Blasi



Categories: Filosofia, teologia e apologetica, Fulvio Di Blasi

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15 replies

  1. Articolo interessante! Nel solco della narrativa fantastica, segnalo queste vecchie ma sempre molto pertinenti recensioni della saga fantasy che più ho amato da ragazzo, ancora non-cattolico: la saga di Thomas (appunto xD) Covenant l’Incredulo di Donaldson, su Cultura Cattolica

    http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=80&id_n=2123

    (attenzione spoiler!)

    Determinando questi come i due punti che più mi colpirono e ancora mi restano impressi:

    “”Il bene ed il male sono enfatizzati con forza, nella bellezza della Landa e nella grandezza morale dei suoi abitanti, nella drammatica realtà della lebbra e della colpa che tormenta il protagonista.
    In un mondo che nega la realtà del male e che banalizza la responsabilità morale, i romanzi di Donaldson sono come un pugno nello stomaco, e ripropongono con forza la serietà dell’esistenza. Anzi, a tal punto sottolineano il dramma del male, da parere a volte diffondere un messaggio di sola disperazione.””

    e

    “”La lettura e l’analisi di questo ciclo fantasy conferma così la diagnosi del nostro tempo come “orfano di Dio”, e la difficoltà che l’uomo moderno ha di riconoscere ed accettare la presenza di Dio. Ugualmente se la cittadina in cui abita ed opera “Buffy l’ammazzavampiri” è costruita sulla “bocca dell’inferno” abitato da demoni e vampiri, il cielo è invece vuoto. Rimane la nostalgia del Padre assente, ma negata e respinta dalla volontà di autorealizzazione e dalla presunzione di poter operare il bene da sé. Covenant pone pesantemente in crisi quest’ultimo aspetto, ma non riesce a colmare la distanza della lontananza di Dio.””

    Parlando in generale di fantasy, la forza specifica della narrativa fantastica a parer mio consiste nella capacità di riproporre archetipi comprensibili sempre, ma che parlano naturalmente di ciò che sta più a cuore a un uditorio specifico, quello laddove l’opera medesima nasce.

    Non c’è niente di più brutto di un’opera fantastica che tenta malamente di raffigurare la realtà contingente, discutere di “problemi sociali” transitori, utilizzando lo specchio del fantastico.

    Mentre un’opera fantastica che narra di ciò che transitorio non è, rendendolo fruibile a orecchie incapaci di intendere in altri modi parole eterne, è un’opera che rifulge; per questo un’opera fantastica dipende più di qualunque altra dagli archetipi.

    Per fare un esempio banale: Tolkien ha sempre negato di avere in mente il regime comunista dei suoi tempi quando diede vita al regno dell’est dell’Oscuro signore Sauron. Sono sicurissimo che fosse sincero. Ma allora perché i comunisti si sentivano tanto punti sul vivo dalla sua opera? Perché essa è tale da risultare un atto d’accusa tanto più calzante in quanto rammenta virtù che restano stabili e stabilmente a quel regime si oppongono; e non certo perché l’autore avesse in mente alcun tipo di “denuncia sociale”. Insomma, come mi capita a volte di dire, per i vecchi comunisti, così come la religione è l’oppio dei poveri, la narrativa fantastica ne è lo spinello. Sia l’istanza religiosa che quella che orienta a questo tipo di narrativa, nasce dall’aspirazione e l’esigenza di Verità ultime.

    Per tale ragione il fantastico, se vuol essere fatto con un certo criterio, è difficile e l’idea che invece sia “facile” inflaziona il mercato con un sacco di schifezze.

  2. Eccomi finalmente!
    Ringrazio di nuovo Roberto per il commento e Fulvio per lo splendido articolo regalatoci.
    Lascio volentieri il trackback al sito della TICenter nel quale si evince che la versione italiana dell’articolo è reperibile qui.
    Molte sarebbero le cose che vorrei dire, alcune delle quali anche private. E queste ovviamente le tralascierò. L’articolo in sé mi ha comunque fatto riflettere non poco sulle motivazioni per le quali OGGI il fantasy riscuote in me ancora tanto successo. Oggi che, credo, a differenza di quando ero preadolescente, sono più attento al reale e meno avvezzo a “scappare” dalle mie responsabilità in mondi lontani. Insomma, oggi non credo che i miei colleghi mi scriverebbero “torna sulla terra!” come a volte facevano i miei insegnanti. Certo è che se anche oggi chiedete loro che tipo sono, le risposte tipo passeranno dallo “strana copia di Lindberg” al “filosofo di bottega”. Non tutto insomma è cambiato.
    Ebbene, ancora oggi sento il fantasy molto vicino a me proprio per quello che Fulvio dice qui sopra e che Roberto ha riaffermato: perchè è il genere nel quale si percorre a piedi nudi quella lama di rasoio fra lo slancio della fantasia che sa astrarre e mitizzare la realtà (e quindi, come ben sa Simon, comprenderla!) e l’uso sapiente delle passioni (amori in primis) e delle virtù (guerriere o sapienziali) che fanno dell’uomo, un uomo.
    In questo senso chi apprezza questo genere ha una opportunità straordinaria di crescere e comprendere la propria realtà, a patto di non cadere nella doppia alienazione descritta da Fulvio. Facile a dirsi, una vita intera (forse più) a farsi.

    All’interno di questa enorme definizione di fantasy (cioè di genere “lama di rasoio”) non mi faccio scrupoli a immettere anche opere di ingegno mitologico di straordinario valore: dall’Odissea fino a Harry Potter i titoli imprescindibili sarebbero migliaia.
    Per noi italiani, anzi – che dico! – per noi europei il capolavoro fantasy per eccellenza è uno: EL DANTE. O come lo proclamò Boccaccio in fin della sua vita quando fu chiamato dalla cittadinanza di Firenze a spiegare il libro al popolo: la “divina Commedia”.
    Ebbene, in questi giorni, grazie alla guida sicura e straordinariamente empatica del professor Franco Nembrini – bergamasco di razza, dantista per passione, educatore per vocazione, tomista per forza! -, mi sto ri-immergendo nella lettura comprensione del capolavoro dantesco nel quale c’è tutto quel che qui si sta dicendo sul fantasy e anche di più! E di più c’è davvero molto, in primis sicuramente la concezione di uomo tipica del medioevo; cocnezione che fonda la struttura del poema in modo ad oggi inconcepibile eppure così intensamente potente da non poter lasciare indifferente nessuno.

    Sono anni che Nembrini gira l’Italia con le sue lezioni. Lezioni nelle quali parla di Dante, ma in realtà parla di Dio, parla del modo in cui il cristiano guarda la vita e la creazione, parla dei desideri implacabili che ci muovono “verso le stelle”, primo fra tutti il desiderio di comprensione del bene, della Verità, della bellezza. Guarda caso quel che ci distingue dalle capre, guarda caso i trascendentali scolastici che definiscono Dio e quindi (per immagine e somiglianza) noi uomini.
    E per il Nembrini questi trascendentali dimostrano quel desiderio di infinito che tutti sentiamo, necessariamente. Che splendida parola “desiderio”: de-sidera. da Sidera, stella! Tutti guardiamo le stelle, gli spazi sidera-li. E come si concludono le tre cantiche? Appunto.
    La Commedia dunque come fantasy sul desiderio umano di infinito rettamente inteso e percorso archetipale verso la misericordia di Dio. Scusate se non è poco, è tutto!

    TV2000 ci ha regalato più di 30 puntate con il Nembrini che percorre questi e altri cammini, attraverso la Comédia. Ne esce un panorama straordinario, nel quale si comprende la forza di un genere letterario tanto difficile quanto affascinante, che forse può avvicinare a Dio come nessuno altro e certamente permette la creazione di classici “senza luogo e tempo”, in questo senso cioè di veri libri “divini”.
    Eccole qui:
    https://www.youtube.com/playlist?list=PL6AqvbxnE8H5NfqHjAzl710Lxb3pzbWzq

    Presto su queste pagine compariranno articoli o aforismi dedicati a Dante, ripresi da conferenze o incontri o trasmissioni cui Nembrini è stato ospite. Ne vedremo delle belle.

    Per ora accontentiamoci di volare con Peter e Fulvio nel cielo terso dell’Isola che non c’è. Laggiù, in mare, c’è la nave di Uncino: una intera umanità che non sa più guardare le stelle è lì imprigionata!
    Avanti miei prodi bambini (chi non è come voi, non può volare nei cieli!)! Venite con me, in picchiata, contro “l’avversario”!

  3. Ho aggiunto Hook ai film segnalati dal blog.
    Penso sia inutile aggiungere il motivo. 🙂

    https://letterboxd.com/crocevia/film/hook/

    Segnalateci i film!
    https://pellegrininellaverita.com/segnalaci-un-film/

  4. Ringrazio Roberto e minstrel per gli interventi. Oltre Tolkien, mi sento di segnalare nel fantasy di razza anche Lewis, con le sue Cronache di Narnia e il suo regale leone Aslan.

    • “Nomination” oggettivamente immancabile. Grazie a te Alex! Vi dirò che personalmente non sono mai riuscito a leggere Lewis con lo stesso trasporto di Tolkien, in quest’ultimo trovo una sorta di dimensione in più, una sorta di serietà d’argomenti maggiore. Per capirci: non mancano in Narnia le battaglie epocali, ma volete mettere l’idea di ambientare una battaglia in una fortezza enorme, costruita a fianco di una montagna, senza alcuna possibilità di fuga in caso di sconfitta. E sotto una pioggia incessante un esercito immane di Uruk-ai e orchi…
      Narnia mi ha sempre dato la sensazione di essere scritta soprattutto per bambini, il Tolkien del Lord invece mi pare abbia scritto soprattutto per adulti. E la differenza di stile e situazioni e riflessioni fra Lord e Lo Hobbit pare darmi ragione. Forse è anche per questo che Hollywood ha saputo creare dal Lord una trilogia che è un vero capolavoro di cinematografia fantasy, da Lo Hobbit un pallido tentativo di rifare il verso della trilogia e ha rovinato Narnia con insulsi lavoretti per teen ager annoiati.
      Forse Narnia è talmente “spirituale” che io per primo non la capisco (e può starci) e l’America è il paese meno indicato per produrne un film…

      • Sono d’accordo con te, Narnia secondo me è rivolto soprattutto ai bambini. E forse paradossalmente è davvero più “spirituale” anche per questo.
        La trilogia dell’Anello è decisamente più adulta, e con vari livelli di lettura.
        La figura centrale a mio avviso è Smeagol/Gollum. Che mostra come Iluvatar dal male riesca a trarre il bene.
        Ed è la figura più penosa, che suscita compassione a chi la vede. Frodo e prima di lui Bilbo mostrano pietà al suo cospetto.
        E la frase più bella del libro per me resta quella di Gandalf:
        “Se merita la morte? Certamente. E molti che sono morti meritavano la vita. Sei tu in grado di ridargliela? E allora non essere così generoso nel distribuire morte nei tuoi giudizi.”

  5. Consiglio da aggiungere ai film la serie Black Mirror, attualmente su Netflix. Assolutamente imperdibile. descrive in modo surreale ma sublime gli eccessi psicologici potenziali derivanti da alcuni miti moderni, nuovi vizi e tecnologie.

  6. Black Mirror è fenomenale, grazie mentelibera!!!

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  1. Hook, Spielberg, and Fantasy’s Alienation - Thomas International Center

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