Con il presente lungo articolo si conclude la pubblicazione dei nostri “Lineamenti di Teologia”. Le pubblicazioni diverranno a breve una nuova pubblicazione gratuita per la collana IperUrania, reperibile nei consueti canali: direttamente, passando dalla nostra biblioteca, oppure sfruttando le potenzialità di lettura offerte dal portale issuu.com. Buona lettura!
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IL QUARTO COMANDAMENTO
Il quarto comandamento: “Onora il padre e la madre” ci ordina di rispettare, dopo Dio, i nostri genitori, e anche tutti coloro che Dio, per il nostro bene, ha rivestito di una qualche autorità.
Il quarto comandamento si rivolge anzitutto ai figli, ma implicitamente riguarda chiunque è sottomesso a ogni legittima autorità. Inoltre esso implica e sottintende i doveri dei genitori, tutori, docenti, capi, magistrati, governanti e di tutti coloro che esercitano un’autorità su altri o su una comunità di persone.
I figli devono esercitare nei riguardi dei genitori la virtù della pietà filiale, che comporta il rispetto, la riconoscenza, l’obbedienza e l’aiuto nelle necessità, soprattutto durante la vecchiaia. I genitori, dal canto loro, sono i primi responsabili dell’educazione dei loro figli alla fede, alla preghiera e a tutte le virtù. Essi hanno il dovere di provvedere, nella misura del possibile, ai bisogni materiali e spirituali dei loro figli.
La famiglia è la società naturale in cui l’uomo e la donna sono chiamati al dono reciproco di sé nell’amore aperto alla vita. Essa è la cellula originaria della vita sociale. L’esempio più bello delle virtù familiari e domestiche lo troviamo nella Santa Famiglia di Nazaret, dove Gesù visse sottomesso a Maria Santissima e a S. Giuseppe fino a quando iniziò la sua missione pubblica annunziando il Regno di Dio.
La società civile è l’unione di molte famiglie radunate sotto un’unica autorità al fine di conseguire con l’aiuto reciproco il proprio perfezionamento e il bene di tutta la comunità. L’autorità civile deve rispettare la famiglia come società naturale che precede la costituzione stessa dello Stato, per cui deve tutelarla e assicurare l’esercizio dei suoi diritti fondamentali. Tutti coloro che sono sottomessi all’autorità civile devono rispettarla e obbedire alle leggi che essa promulga. Qualora però tale autorità prescrivesse qualcosa di contrario all’ordine morale o all’insegnamento del Vangelo, il cittadino deve rifiutare l’obbedienza. I cittadini devono da parte loro contribuire a far sì che la società civile sia virtuosa, pacifica, ordinata e prospera, e ciò per il bene di tutti. Devono per esempio pagare le tasse prescritte. Se obiettivamente le considerassero ingiuste, si impegnino a pagare un poco di più di quanto in coscienza ritengono doveroso, e inoltre siano generosi con le istituzioni caritative.
Chi osserva fedelmente il quarto comandamento gode di una particolare benedizione del Signore, che garantisce la concordia familiare e un amore premuroso e appagante. Possiede inoltre il pregio dell’ottimismo e della serenità interiore, che nascono dalla consapevolezza di collaborare attivamente alla costituzione del bene comune, che è il bene terreno “più grande e più divino” (S. Tommaso d’Aquino).
IL QUINTO COMANDAMENTO
Il quinto comandamento: “Non uccidere” ci ordina di rispettare ogni vita umana innocente, dal momento del concepimento fino a quello della morte.
E’ necessario rispettare la vita umana, perché ogni persona umana è stata voluta per se stessa a immagine e somiglianza del Dio vivente e santo e, dotata di un’anima spirituale e immortale, è chiamata a partecipare nell’eternità alla vita stessa di Dio.
Il quinto comandamento ci proibisce di uccidere, ferire o percuotere il prossimo; di danneggiare in qualsiasi altro modo la sua vita corporale o spirituale, e anche di offenderlo con parole ingiuriose o di volergli del male. Ci proibisce inoltre di danneggiare la nostra stessa vita, e soprattutto di sopprimerla con il suicidio.
I casi in cui è lecito uccidere sono limitati alla legittima difesa personale o anche del bene comune della società civile, supposto però che non vi sia alcun altro modo per ottenere il risultato voluto.
L’aborto diretto, essendo la soppressione di una vita umana innocente, è in se stesso un abominevole delitto. La Chiesa condanna con la scomunica questo gravissimo peccato. Dal momento che deve essere trattato come persona fin dal momento del concepimento, l’embrione deve essere difeso nella sua integrità. curato e guarito come ogni essere umano. Non bisogna mai dimenticare poi che ogni essere umano ha diritto a nascere in una famiglia “normale”, e ad avere un padre e una madre naturali. La diagnosi prenatale è lecita se rispetta la vita concepita ed è orientata alla sua salvaguardia. È invece illecita se contempla l’eventualità di provocare un aborto: una diagnosi non deve mai equivalere a una sentenza di morte.
L’eutanasia, cioè ogni comportamento avente lo scopo di mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o in stato terminale, costituisce un omicidio, e quindi è sempre gravemente illecita. Chi la chiede per se stesso si rende colpevole di suicidio.
Nel Nuovo Testamento parla spesso dello “scandalo”. Che cos’è lo scandalo?
Lo scandalo è un atteggiamento o comportamento che induce altri a compiere il male. Può essere un peccato particolarmente grave, perché attenta alla vita della grazia nel prossimo, mettendo in pericolo la sua salvezza eterna. Chi ha danneggiato il prossimo nel corpo o nell’anima non basta che si confessi, ma deve riparare il male arrecato risarcendo i danni, ritrattando gli errori insegnati e dando il buon esempio. Tutto ciò è richiesto dalla virtù della giustizia.
Il quinto comandamento si collega anche alla virtù della temperanza, in quanto prescrive la giusta misura nella cura del corpo, e proibisce, ad esempio, l’abuso dei cibi, dell’alcool, del tabacco e soprattutto della droga. Tutto ciò è richiesto dalla virtù della temperanza.
Chi osserva il quinto comandamento, ottiene l’amicizia, che è il premio dei buoni. Il dono dell’amicizia favorisce una grande felicità, poiché nella prosperità non infastidisce e nelle avversità non abbandona. Con l’amicizia sopraggiunge anche la gioia di vivere e di agire per il bene. Inoltre vede istintivamente nel prossimo Gesù stesso, il quale ha detto: “Ogni volta che avete fatto (o non avete fatto) queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, le avete fatte (o non le avete fatte) a me” (Mt 25, 40 – 45). Quindi rispetta il prossimo nella sua identità culturale, religiosa e sociale, e viene incontro secondo le sue possibilità alle altrui necessità spirituali e materiali con generosità disinteressata.
IL SESTO COMANDAMENTO
Il sesto comandamento: “Non commettere atti impuri” ci prescrive la pratica della virtù della castità secondo i vari stati di vita.
La castità è quella parte della virtù della temperanza che regola l’uso della sessualità secondo il dettame della retta ragione. La retta ragione ci dice che la sessualità ha due finalità indissolubili: l’amore reciproco e la generazione. Perciò non vi dovrà essere rapporto sessuale senza apertura alla generazione. Così la sessualità potrà essere esercitata lecitamente solo nel matrimonio legittimo, e inoltre in tale matrimonio la soddisfazione sessuale completa potrà essere ricercata solo nel rapporto coniugale secondo natura e aperto alla vita. In questa norma è riassunta tutta la morale sessuale.
Questa norma si fonda sulla natura stessa della sessualità, che ha lo scopo di unire l’uomo e la donna in un rapporto di amore indissolubile (matrimonio) che per sua natura è fecondo e aperto al dono della vita. La sessualità ha in se stessa qualcosa di sacro per l’intrinseco legame che ha con il mistero della vita, legame che l’uomo non può spezzare di sua iniziativa.
Il sesto comandamento proibisce per ogni categoria di persone qualsiasi uso deliberato della sessualità al di fuori della norma di cui abbiamo parlato. Essa proibisce quindi la ricerca solitaria del piacere sessuale, la fornicazione (unione sessuale fra uomo e donna al di fuori del matrimonio), l’adulterio (rapporto di una persona coniugata con una persona che non è il proprio coniuge), l’omosessualità (rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso), la bestialità (rapporti sessuali con animali) e le altre possibili depravazioni sessuali. Naturalmente sono proibite anche altre mancanze più particolari, quali ad es. la prostituzione e lo stupro. Ogni comportamento che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione, è sempre illecito. Se praticata per seri motivi la continenza periodica è lecita, perché non compromette la natura intrinseca dell’atto coniugale.
Oltre all’adulterio, sono gravemente lesivi della dignità del matrimonio il divorzio, la poligamia, 1’incesto e le unioni libere. I divorziati risposati, a differenza di quelli non risposati che vivono nella continenza, si trovano in una situazione oggettiva di peccato, nella quale vogliono liberamente rimanere. Quindi non possono ricevere l’assoluzione e accostarsi alla comunione eucaristica per la mancanza del pentimento e del proposito.
La Chiesa insegna che l’ordine umano della sessualità tocca valori così alti per cui ogni violazione diretta di quest’ordine è oggettivamente grave.
Strettamente collegata con la castità, quasi a sua salvaguardia, è la virtù della pudicizia, o modestia, che regola quegli atti che possono facilmente causare una soddisfazione o un piacere di natura sessuale, quali gli sguardi, i toccamenti, i baci e gli abbracci. Fuori dal matrimonio, infatti, tali atti possono essere più o meno peccaminosi a seconda dell’intenzione di chi li pone, del loro influsso sul piacere sessuale e del pericolo più o meno grande di acconsentire a tale soddisfazione o piacere. Il pudore protegge l’intimità. Esso regola gli sguardi, le azioni e i gesti in conformità alla dignità della persona. Ispira la scelta dell’abbigliamento e resiste, se necessario, a eventuali sollecitazioni della moda. Insegnare il pudore ai fanciulli e agli adolescenti è suscitare in essi il rispetto della persona umana.
La castità impreziosisce ed eleva qualsiasi stato di vita, sia quello giovanile che quello matrimoniale e quello vedovile, ma la sua forma più elevata è costituita dalla verginità scelta per il Regno dei cieli, cioè per seguire Gesù più da vicino. La verginità consacrata da un voto è poi un elemento fondamentale e caratterizzante dello stato religioso.
Il sesto comandamento ci insegna il rispetto del corpo, proprio e altrui, sede di un’anima spirituale e immortale destinata a essere tempio vivo dello Spirito Santo. Ci insegna inoltre l’ascesi, la rinuncia, lo spirito di sacrificio per sconfiggere il nostro egoismo e poter amare Dio, noi stessi e il prossimo senza riserve e con tutte le nostre forze.
Chi osserva fedelmente il sesto comandamento mantiene intatta la sua bellezza e la sua forza interiore, rendendosi capace di un amore e di una donazione totali, senza schiavitù e senza secondi fini. Così l’uomo e la donna si incontrano nel matrimonio per camminare insieme gioiosamente sulla via della perfezione cristiana, amandosi fedelmente e aiutandosi “come compagni di viaggio” (A. Manzoni). Chi ha scelto invece la via della verginità vive in pienezza la libertà dei figli di Dio, quasi anticipando la condizione beata dei risorti (Lc 20, 35).
IL SETTIMO COMANDAMENTO
Il settimo comandamento: “Non rubare” prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e dei frutti del lavoro umano. Esso esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni e del diritto di proprietà privata.
Il diritto alla proprietà privata, acquisita con il lavoro, o ricevuta in eredità oppure in dono, non elimina l’originaria donazione della terra all’insieme dell’umanità, per cui la destinazione universale dei beni rimane primaria, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto ad essa e del suo esercizio.
Al settimo comandamento si collega in primo luogo la virtù della giustizia, la quale fa sì che vengano rispettati i diritti del prossimo e gli venga dato ciò che gli è dovuto, e in secondo luogo la virtù della solidarietà sociale.
Il settimo comandamento ci proibisce il furto e ogni modo di sottrarre o conservare ingiustamente i beni del prossimo o della collettività, come trattenere deliberatamente cose avute in prestito o oggetti smarriti, commettere frodi nel commercio, pagare salari ingiusti, alzare i prezzi speculando sull’ignoranza o sul bisogno altrui, non compiere il proprio dovere durante le ore di lavoro o sottrarsi indebitamente o con l’inganno alle proprie mansioni. Tali mancanze sono da considerarsi gravi quando il danno arrecato al prossimo è rilevante.
Chi ha danneggiato in qualsiasi modo il prossimo nei suoi beni non basta che si penta e si confessi, ma deve anche risarcire il maltolto e riparare i danni arrecati.
Il dominio accordato da Dio all’uomo sulle risorse minerali, vegetali e animali dell’universo non può essere disgiunto dal rispetto degli obblighi morali, compresi quelli che riguardano le generazioni future.
La Chiesa può e deve dare un giudizio in materia economica e sociale quando sono in gioco i diritti fondamentali della persona e la salvezza delle anime. Essa si interessa del bene comune temporale degli uomini in quanto è ordinato al Bene supremo che è Dio.
La virtù della giustizia è assolutamente necessaria, ma non è sufficiente. Oltre ad essa bisogna esercitare, secondo le proprie possibilità e le necessità del prossimo, anche la carità e le opere di misericordia spirituali e corporali. Le principali opere di misericordia spirituale sono: istruire gli ignoranti, ammonire i peccatori, consigliare i dubbiosi, consolare e confortare gli afflitti, perdonare le offese e sopportare con pazienza le persone moleste o fastidiose. Le principali opere di misericordia corporale sono: nutrire gli affamati e dar da bere agli assetati, ospitare i senza tetto, vestire chi ne ha bisogno, visitare gli ammalati e i carcerati, seppellire i morti. Gesù considererà fatto a Lui stesso ciò che avremo fatto al più piccolo dei nostri fratelli.
Chi rispetta il settimo comandamento, ottiene la libertà interiore rispetto ai beni materiali. Non sperimenta quindi più l’asservimento che abbrutisce, ma la liberalità che innalza, sperimentando che “vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20, 35). Così l’uomo generoso (munifico), dispensatore di doni, assomiglia sempre più al suo Signore, che senza chiedere nulla in cambio veste i gigli del campo, nutre gli uccelli del cielo e fa sorgere il sole per la felicità di tutte le creature.
L’OTTAVO COMANDAMENTO
L’ottavo comandamento: “Non dire falsa testimonianza” ci prescrive la veracità, o sincerità, cioè quella virtù che consiste nel mostrarsi veri nelle azioni e nelle parole, rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall’ipocrisia.
In quanto cristiani dobbiamo rendere testimonianza al Vangelo con gli atti e con le parole.
La testimonianza suprema resa alla verità della fede è il martirio, che è anche l’atto supremo della virtù della fortezza.
L’ottavo comandamento ci proibisce la bugia, la maldicenza e la calunnia, i giudizi e i sospetti temerari (o infondati).
La bugia o menzogna consiste nel dire il falso con l’intenzione di ingannare. Essa è per sua natura sempre illecita, anche se normalmente diventa grave solo quando lede in modo considerevole la giustizia o la carità. Non è comunque sempre necessario dire la verità, anzi, talvolta è colpevole il dire tutta la verità, per esempio nel caso in cui siamo tenuti al segreto.
La maldicenza, o diffamazione, consiste nel mettere in pubblico senza un valido motivo le mancanze vere, ma non conosciute, del prossimo, la calunnia invece nel riferire notizie false lesive del suo buon nome. La calunnia è certamente più grave della semplice maldicenza. Nell’un caso e nell’altro comunque la gravità deve essere misurata dell’entità del danno arrecato al buon nome del prossimo, tenendo presente che tale buon nome vale ancora di più dei beni materiali. Come in tutti i peccati contrari alla giustizia, chi ha diffamato o calunniato non basta che si penta e si confessi, ma deve riparare i danni arrecati al buon nome del prossimo.
Si ha rispettivamente il sospetto o il giudizio temerario quando senza un motivo ragionevole si sospetta o si giudica che il prossimo abbia commesso una qualche colpa morale. Si ha comunque peccato grave solo quando si attribuisce al prossimo con certezza e senza fondamento una grave mancanza.
Per ciò che concerne i compiti dell’autorità civile rispetto all’ottavo comandamento, questa deve garantire una pubblica informazione fondata sulla verità, sulla libertà e sulla giustizia, e provvedere che attraverso l’uso dei mezzi di comunicazione sociale non derivino danni alla moralità pubblica o lesioni dei diritti personali dei cittadini.
Chi osserva fedelmente l’ottavo comandamento prende possesso del ruolo che gli compete in quanto creatura dotata di un’anima spirituale. Come dunque Dio governa il creato non soggiogandolo, ma attirandolo con il suo splendore, così l’uomo veritiero partecipa del privilegio di guidare se stesso e gli altri non con l’asservimento, ma con la luce e la forza che promana dalla verità.
IL NONO COMANDAMENTO
Il nono comandamento: “Non desiderare la donna d’altri” ci ordina di essere casti e puri anche interiormente, cioè nella mente e nel cuore.
Il nono comandamento proibisce espressamente ogni desiderio contrario alla fedeltà coniugale, e in generale ogni pensiero o desiderio contrario alla castità. Si ha un pensiero contrario alla castità quando ci si rappresenta nella mente un’azione contraria alla castità e ci si compiace di essa.
Chi osserva il nono comandamento ottiene la capacità di esercitare facilmente e gioiosamente il pieno dominio sulla sua sensibilità, sentendosi appagato e libero. Conduce un’esistenza semplice ed è capace di contemplare e di incantarsi, poiché scorge negli esseri umani la grandezza e la bellezza del suo Signore.
IL DECIMO COMANDAMENTO
Il decimo comandamento: “Non desiderare la roba d’altri” ci chiede il distacco dalle ricchezze e dai beni terreni.
Il decimo comandamento ci proibisce l’avidità dei beni terreni, la brama sregolata, l’invidia e il desiderio di appropriarsi ingiustamente dei beni del prossimo.
L’invidia è la tristezza o il rammarico di fronte al bene altrui. Può diventare un peccato grave se arriva a desiderare seriamente un male grave del prossimo.
A chi è distaccato dalle ricchezze terrene, cioè è povero nello spirito, è promesso il Regno dei cieli (Mt 5.3).
Chi osserva fedelmente il decimo comandamento viene ricolmato della virtù dei grandi, che è la magnanimità. Desidera solo il bene, dona con sovrabbondanza, elargisce misericordia e riversa benevolenza. Inoltre è beneficato di una grazia insolita: quella di desiderare di possedere Dio, che è il Sommo Bene.
I PRECETTI DELLA CHIESA
La Chiesa, Madre e Maestra, ci dà dei precetti per garantire ai fedeli il minimo indispensabile per quanto riguarda lo spirito di preghiera e l’impegno morale e ascetico. Noi dobbiamo ascoltarla perché Gesù ha detto ai suoi Apostoli e ai loro successori: “Chi ascolta voi ascolta me” (Lc 10, 16).
I precetti della Chiesa ci prescrivono la partecipazione alla Messa nelle domeniche e nelle altre feste di precetto, la confessione almeno una volta all’anno e la comunione nel periodo pasquale, infine l’astinenza dalle carni al venerdì e il digiuno al mercoledì delle ceneri e al venerdì santo.
Il digiuno prescritto dalla Chiesa consiste nel fare un solo pasto normale e ridurre gli altri due pasti al minimo indispensabile. Esso obbliga chi è maggiorenne e non ha ancora compiuto il 59° anno di età (mentre il precetto dell’astinenza obbliga chiunque abbia compiuto il 14° anno).
In Italia è permesso sostituire l’astinenza delle carni con un’altra opera di penitenza, ma solo fuori del tempo di quaresima.
Per loro natura i precetti della Chiesa obbligano gravemente, però la trasgressione del precetto dell’astinenza e del digiuno diventa grave solo quando è abituale e ripetuta.
Chi osserva fedelmente tali precetti è compensato da un vivo sentimento di amore verso la Chiesa, sua Madre, per cui volentieri dedica ad essa il suo tempo e il suo impegno, e addirittura la sua vita a imitazione di Cristo Signore (Ef 5, 25 ).
Categorie:Filosofia, teologia e apologetica