“L’illusione è chiamarla illusione”: la teoria Matrix vs. Dio Creatore

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Prendo in prestito un verso di una splendida canzone di Claudio Rocchi (qui in una bellissima e recente versione di Battiato/Alice) per il titolo di questo articolo dedicato alla confutazione di uno degli scenari filosofici che vanno per la maggiore presso alcuni ambienti accademici: la realtà non è che una illusione creata ad arte da un software alla “matrix.
Questo scenario viene spesso utilizzato anche dai transumanisti per dare spago ai loro sogni più proibiti; la possibilità di vivere in una illusione stile matrix creata da un supercomputer, modernissimo e hollywoodiano esperimento mentale di quello più datato del “cervello in una vasca” di Putnam, permette infatti di sviluppare una serie di teorie strampalate che definire da sci-fi è far loro un complimento realista: vivere per sempre facendo in modo che l’illusione non finisca mai o poter downloadare una intera “persona” (in queste visioni degradata al solo cervello, visto per altro in senso quantitativo) dal corpo ad un chip elettronico (per altro illusorio anch’esso…).

COME TI UCCIDO MATRIX

Ebbene, come direbbe Feser, l’argomento in campo è talmente devastante per il senso comune che risulta difficile pensare ad una vera e propria confutazione che non contempli il banale buon senso. Si dà cioè per scontato che stessa realtà, quella che noi pensiamo sia la realtà, confuti con il suo stesso “darsi” questa stramba idea. Eppure eccoci qui a ragionare con filosofi di rango che ritengono l’ipotesi probabile con tanto di formule matematiche in ballo. E non basta: et voilà un articolo dove si legge che 2 miliardari hanno dato disposizione a diversi scienziati di verificare questa ipotesi (non chiedetemi come, non oso nemmeno pensarlo) e paghino per studiare la soluzione su come uscirne. Fantascienza? Si, ma con riflessi oggi talmente reali da scadere nel ridicolo. Ma davvero è tanto ridicolo? Vediamo.

Nell’articolo linkato di Feser, il nostro filosofo si occupa tangenzialmente di demolire logicamente la teoria matrix. La confutazione secca, netta e precisa è parafrasabile in questa battuta che uno degli scienziati pagati dai miliardari dovrebbe in qualche modo trovare il coraggio di dir loro: “Signori, voi ci chiedete di studiare sull’ipotesi della cosidetta “teoria matrix”. Ma vi rendete conto che qualora aveste ragione, nemmeno i vostri ragionamenti e argomenti sulla stessa teoria avrebbero alcun valore poiché la loro apparente solidità argomentativa potrebbe benissimo essere solo un’altra illusione generata da Matrix? E non lamentatevi di chi oggi vi deride o di quando fra un anno noi scienziati vi porteremo il conto da saldare, nemmeno compiacetevi di chi vi dà ragione: per quanto ci è dato sapere sia voi, che noi che loro potreste pur sempre essere finzioni generate da Matrix. Signori, in gergo tecnicissimo si dice “Autofagia pura”. Come spiegarmi meglio… ecco: è una cazzata!”
Boom, 20 a 0. L’arbitro fischia la fine della partita al nono del primo tempo e ai miliardari non resterebbe che pagare da bere all’onesto scienziato, anche se in teoria dovrebbero pagarlo a peso d’oro visto il risparmio di tempo, soldi e fegato che egli ha appena assicurato loro.

COME BOSTROM MI UCCIDE

Al che la domanda: ma come è possibile che tanti soldi e tanti interessi accademici si muovano davanti ad una teoria autoconfutatoria? Davvero siamo così intelligenti da aver smontato, in 6 righe wordpress, un giocattolo su cui gente filosofa da anni e ci fa pure tesi da master Ph.d? Insomma, va bene l’autostima, ma non si sta peccando di superbia?

Dunque ho continuato a documentarmi su questo scenario che pensavo, erroneamente, fosse confinato nel solo panorama sci-fi. E scopro così, fra le tante cose, che Nick Bostrom lo prefigura nelle sue varie tesi, con tanto di calcolo matematico e – mica stupido – con quello che a me pare un escamotage atto a depotenziare il mio unico argomento. Leggiamo da wikipedia (grassetto mio):

“È importante tenere conto che gli argomenti portati da Bostrom a favore di una probabile simulazione di realtà all’interno della quale vivremmo, non presuppongono necessariamente che anche le coscienze degli esseri viventi siano anch’esse facenti parte della presunta “illusione”.

Questo dato non è di poco conto: ha ragione! E’ un non seguitur pensare che necessariamente una illusione possa illudere l’interezza della persona umana, coscienza compresa. Questo dato è non solo accettabilissimo da un punto di vista tomista, ma è addirittura obbligatorio. Come faceva infatti notare Simon in un commento degno di nota:

“la nozione di coscienza […] non è riducibile ad una computerizzazione”

questo perché – San Tommaso insegna – il pensiero è un “senso” enormemente diverso dagli altri sensi umani: il pensiero infatti pensa sé stesso e come tale è una attività extra-corporea o meglio extra-materiale. Simon continua:

“Da qui il bisogno di concepire coscienze anche se al di fuori del reale computerizzato. Infatti, tra l’altro, ne ha bisogno per rendere la sua teoria scientifica cioè falsificabile: “se ci sono errori nel programma anche chi ci vive dentro lo dovrebbe trovare”. Infatti, ma un programma non si rende conto che ci sono errori ma casomai lo autocorregge secondo i suoi algoritmi se lo può o senno cessa di funzionare. Solo una coscienza può sapere che c’è un errore e quindi dichiarare la falsificazione del concetto.”

Dunque il suo argomento è legittimo oltre ogni dire. Ha senso infatti specificare che le coscienze umane possano essere estranee all’illusione per la nozione stessa di coscienza, la quale non è “computerizzabile”, cioè non può essere materialmente rinchiusa in un chip! Non ci è dato sapere della nozione di coscienza “secondo Bostrom”, ma questo piccolissimo particolare, si noti, demolisce per bene qualsiasi pretesa transumana di spostare la coscienza (o la mente o qualsiasi altra cosa che possa essere definita “persona”), da una “persona” appunto ad un chip che, per quanto estremamente sofisticato, ha tutt’ora il difetto di essere un pò troppo materiale per la natura della coscienza, Tommaso direbbe “dell’anima”, umana.

C’è chi suggerisce nei commenti di Repubblica.it che forse non si sta parlando di un mero programma, quest’ultimo attinente alla nostra realtà, ma forse a qualcosa di ben più “alto”, una simulazione capace di cose “considerate impossibili all’interno della nostra realtà”. Il commentatore (tal Wolock Funkfella) fa un esempio: “mi viene in mente il mondo dei sogni…”. Rispondo che se è di questo che parliamo, cioè del “sogno di Dio”, allora non si scomodi Matrix e si utilizzi la tanto odiata teoria del Dio Creatore: tutto si risolve magicamente.
Ma ci arriveremo…

NON CI STIAMO FORSE UCCIDENDO L’UN L’ALTRO?

Supponendo che entrambi si abbia la stessa nozione di “coscienza”, il legittimo argomento di Bostrom  smonta definitivamente la possibilità di dichiarare irrazionale la tesi matrix? Ha dunque senso questa teoria?
Ebbene, in un eccesso di nichilismo, direi di no. L’argomento sembra, di primo acchito, la confutazione definitiva all’argomento sopra riportato, se non fosse che questa stessa confutazione si autoconfuta poichè la necessità di pensare che le coscienze (anche pensate tomisticamente) siano esterne all’illusione – o meglio possano cogliere aspetti che vanno oltre l’illusione stessa – risulta un assunto irrazionale e improvabile, necessario solo perché senza di esso cadrebbe la logica di tutto il discorso. Questo principio infatti potrebbe benissimo essere una perfetta illusione di matrix, illusione atta a far credere di possedere una attività (la coscienza, il pensiero) in grado di cogliere l’aspetto illusorio della realtà in cui la coscienza è inserita. Cioè in fondo chi ci dice che quella che Bostrom chiama “coscienza”, con tutte le sue caratteristiche, non sia una perfetta illusione del supercomputer?

Dunque 21 a 0? Aspettate, chiediamoci prima se ha senso questo estremo nichilismo. Procedendo a descrivere un tale quadro, dove tutto (logica compresa) è illusione, forse non stiamo letteralmente facendo a pezzi non solo la teoria di Bostrom, ma tutte le teorie possibili?

Ebbene, più andiamo avanti più ci accorgiamo di quanti paralleli siano possibili fra questa teoria e quella ben più antica di “Dio creatore”. Se infatti sostituissimo la figura del supercomputer – materialissima, che soffre di problematiche riduzioniste e scientiste – quella di un ente immateriale che non partecipa dell’essere come noi, ma E’ l’essere, tutto tornerebbe. Oppure no? Anche la visione di quello che noi chiamiamo Dio soffrirebbe delle medesime problematiche?
Ad esempio: come possiamo sapere che quello che noi chiamiamo Dio non ci stia illudendo che egli esista oppure che egli è buono? Come possiamo sapere che quello che noi chiamiamo Dio non ci stia illudendo sulla sua bontà? In qualche modo non è un assunto improvabile quello di pensare che Dio in quanto Dio non inganna? Il ragionamento si spezza solamente pensando che se Dio ingannasse “non sarebbe Dio”? Chi lo dice? Non potrebbe essere questo stesso ragionamento una illusione di un Dio ingannatorio?

SE TI INGANNO DICENDOTI LA VERITA’, NON TI INGANNO

Prima risposta alla prima domanda. Se Dio esiste e ci illude che esista non ci sta illudendo affatto. Come vedete la domanda cade essendo un palese sofisma. Ma con questo annulliamo anche la precedente obiezione a Bostrom nella quale si prefigurava che matrix stesso potrebbe offrirci il destro per illuderci di uscirne: se matrix ci illude con una attività pensante che può suggerirci l’esistenza stessa di matrix, accidenti, allora non sta ingannando, ma sta dicendo la verità. In altre parole se la realtà è illusoria, l’ illudere l’uomo mediante una illusione come la coscienza dandogli potenzialità tali da sentirsi estraneo all’illusione, significa che l’uomo non è affatto ingannato poiché in qualche modo intende la verità della realtà!

Dunque finalmente ci siamo? Bostrom ha dunque ragione a passare le sue giornate pensando all’ipotesi della simulazione? La risposta è a mio avviso ancora NO e insieme SI: no se si pensa alla realtà “simulazione supercomputerizzata”, si se si pensa alla realtà come “pensiero di Dio”, cioè ente ideale nel pensiero di Dio! Cioè Bostrom ha torto se identifica la realtà come una finzione di un supercomputer, ma ha ragione se la vede come riflesso necessario del pensiero di Dio che pensa la realtà e nell’atto di pensarla la crea. In soldoni potrebbe pure saltar fuori che Bostrom ci aiuta semplicemente a dare una prova in più dell’esistenza di Dio!

Egli infatti suggerisce che  “la realtà nella quale viviamo possa essere in realtà una simulazione creata da eventuali esseri intelligenti al di fuori di essa.” Ma la simulazione non può essere totalmente materiale, cioè non può essere solo frutto del lavoro di un supercomputer che si presuppone materiale, poiché non può esistere alcuna coscienza per come noi la conosciamo che possa essere riprodotta da un computer o ridotta SU di un computer. Pertanto la coscienza, il “pensiero che si pensa”, è necessariamente estraneo alla simulazione e depotenzia l’intera struttura: come è possibile pensare che mio figlio è nato dieci anni fa ed è una simulazione, ma dimostra in foro esterno di possedere l’attività di pensiero che è estranea alla simulazione stessa? Dunque mio figlio è nato dalla simulazione oppure no? E se non lo è dunque nemmeno l’atto che lo ha prodotto è una simulazione? E mia moglie? Ma è possibile pensare che solo chi pensa non sia una simulazione? E chi ha dunque immesso il primo uomo nella simulazione? E cosa dell’uomo è vero e cosa è simulazione? Il mio corpo è simulato? Eppure io sento il dolore attraverso la stessa coscienza che è esterna alla simulazione! Dunque il dolore è simulazione oppure reale? E se è reale come è possibile che non lo sia il corpo dal quale questa coscienza pare a volte essere subordinata? Provate a togliermi una parte del cervello e io smetto di sembrare una coscienza che si pensa. E ancora: io sono solo la mia coscienza? E dove conosco cosa è la mia coscienza se non nel reale dove essa agisce?

Banalmente: abbiamo introdotto una dualità mente-corpo estrema dove nascono più domande che risposte. Parliamo di una attività immateriale (la coscienza) e la leghiamo a doppio filo alla illusione in cui essa agisce (la cosiddetta realtà creata dal computer), illusione che per altro risulta essere assolutamente e totalmente materiale. Ma solo questo? Forse no, forse c’è una confutazione finale al tutto.

ELEMENTI DI GNOSEOLOGIA PER RISORGERE

Per ora andiamo alla seconda domanda riguardo alla bontà e la utilizziamo indirettamente per ripensare la gnoseologia in campo, cercare di comprendere come l’uomo conosce e quindi comprendere la differenza fra le due teorie Matrix – Dio Creatore. Forse scopriremo quale fra le due ha più senso.

Bontà dunque. La risposta la possiamo trovare non solo pensando a cosa sia la bontà, ma a come la nostra coscienza immateriale è entrata in contatto con la nozione di “bontà” e quindi ne ha delineato i contorni. Esiste “la bontà”? Dobbiamo pensare platonicamente che esiste “l’idea di bontà” e noi siamo attratti verso questa? La questione è schiettamente gnoseologica ed è impossibile qui tracciare un quadro di tutte le gnoseologie esistenti e le loro problematiche. Questo è un blog che si rifà al tomismo e come tale procediamo a chiarire una gnoseologia tomista, certi che eventuali qui pro quo si possano sanare sui manuali giusti (o nei commenti). Dunque da dove la “bontà”? Come la conosciamo?

La logica, il senso comune e i nostri stessi sensi ci indicano che noi astraiamo la nozione di “bontà” (come tutte le altre nozioni) direttamente dalla nostra esperienza reale. Arrivo subito alla conclusione di tutto il capitoletto: quella che noi chiamiamo “realtà” è l’unica modalità di conoscenza non solo della realtà stessa, ma di noi stessi e in ultima analisi della conoscenza stessa. Non è possibile uscire da questo reale da un punto di vista gnoseologico, per logica perché noi siamo all’interno di questo reale, ma anche perché la nostra percezione di quel che è la conoscenza stessa si forma mediante quello che noi chiamiamo reale e pertanto ne è per così dire plasmata. Ne consegue che dare valore a quello che noi chiamiamo conoscenza significa darlo al reale che la fonda.

  • PER CAPIRCI MEGLIO

A ben pensarci la nostra nozione di coscienza, di pensiero, deriva completamente dall’esperienza reale. Siamo davvero sicuri che una persona non abbia bisogno della realtà per pensare di pensarsi? In fondo è pur sempre in questa realtà che compie questa attività di pensiero, di riflessione, e soprattutto ha l’esperienza di cosa significhi pensare poiché pensa e conosce sulla realtà stessa MA ANCHE grazie ad essa.
In altre parole noi conosciamo la realtà, ma “sappiamo di conoscere” dalla realtà, per riflessione (appunto!).
Ecco il perché: dobbiamo riconoscere a noi stessi che vediamo enti colorati, ma non vediamo il vedere, udiamo suoni, ma non udiamo l’udire e così via.

“Sappiamo dunque di conoscere, ma non con la medesima immediatezza con cui percepiamo una cosa verde : sappiamo di conoscere per riflessione o, che è lo stesso, l’auto- coscienza è una conoscenza riflessa.” (Vanni Rovighi, SofiaElementi di Filosofia 1, La scuola, Brescia, pag. 110).

Per dirla con una battuta: è un problema mal posto quello del come si possa “passare” dalla coscienza all’essere, della coscienza che “trascende” il mondo, poiché anche la coscienza è una realtà e come tale ha l’essere dunque è un ente. E il concetto di “ente” è un oggetto conoscibile, anzi è il primo concetto possibile per l’uomo e il più universale. Questo porta ad un ulteriore concetto fondamentale (grassetto mio):

“noi constatiamo soltanto enti, ma nel comprendere che questi enti che constano non sono me, debbo ammettere una loro presenza a me, debbo ammettere che io sono aperto intenzionalmente a quegli oggetti, che c’è fra me e quegli oggetti una singolare relazione che chiamo conoscenza. […] Dunque la conoscenza non è una cosa accanto alle altre, ma è il puro essere presente delle cose a me, il puro esser manifesto delle cose; e da parte mia, conoscere è il puro manifestare qualche cosa.” (Vanni Rovighi, SofiaElementi di Filosofia 1, La scuola, Brescia, pagg. 112-113). [1]

Attenzione, la conoscenza non consiste solo nell’avere delle rappresentazioni! Esso sono ovviamente condizioni necessarie dell’atto di conoscenza, ma non sono la conoscenza. Non basta avere delle rappresentazioni, bisogna esser coscienti delle rappresentazioni che si hanno: esiste necessariamente una certa unità di esperienza fra le rappresentazioni degli oggetti conosciuti, le sensazioni che essi provocano in me (e che non sono negli oggetti) e la conoscenza degli stessi nella mia coscienza. Tutto questo fa parte di una unica unità esperienziale: noi abbiamo coscienza di conoscere perché non possiamo dire che certe realtà esterne a noi siano “noi” oppure siano “nostre”. Io ho freddo ed è realtà mia personale, ma che la neve sia bianca è un dato esterno a me e che raccolgo nella mia realtà personale come esterno. Ci sono dunque due unità che si compenetrano nella conoscenza: quelle nostre e quelle esterne. La nostra “coscienza” sa di conoscere perché abbiamo coscienza di queste due diverse unità, perché constiamo dell’altro a noi! E questa presenza dell’altro rispetto a noi è ciò che noi chiamiamo conoscenza. Sempre la Vanni:

Sappiamo [dunque] che c’è un soggetto ed un oggetto perché sappiamo, con un atto di riflessione, che l’insieme di quei sentimenti che sono io (o meglio : di cui io sono la sostanza) non è l’insieme di quelle superfici qualificate che pure mi constano, mi sono presenti. […] La presenza di queste realtà che io non sono è la conoscenza. Dunque io sono conoscente. […] E se l’interlocutore, angustiato dall’esperienza dell’errore, di allucinazioni, del sogno (dell’illusione, del matrix ndr!), obietta che tavola, pareti ecc. potrebbero essere niente altro che immagini (o illusioni ndr), si potrà rispondergli, prima di esaminare una ad una le sue obiezioni : è pur vero che qualche cosa appare, qualunque cosa sia ciò che appare. Ora « io penso » vuol dire appunto : qualche cosa mi appare ; vuol dire, per usare i termini di Hume : a quella « individua persona delle cui azioni e sentimenti ognuno di noi è intimamente cosciente » appare qualche cosa. Ecco cosa vuol dire il cogito, quando lo si metta all’inizio della ricerca. Sicché, a ben guardare, il cogito mi insegna immediatamente che aliquid est, piuttosto che ergo sum e più esattamente si dovrebbe dire : gaudeo, doleo, volo, ergo sum.
(Vanni Rovighi, SofiaElementi di Filosofia 1, La scuola, Brescia, pag. 111 – 112).

  • QUANDO GRIDI LA REALTA’ NON ESISTE, HAI DECISO DI ESSER DIO E DI CREARE

Il discorso si farebbe lunghissimo, ma credo sia comprensibile ora perché scrissi ad inizio paragrafo che “la nostra percezione di quel che è la conoscenza stessa si forma mediante quello che noi chiamiamo reale e pertanto ne è per così dire plasmata”.

Usare dunque la conoscenza della coscienza per demolire ciò che fonda la conoscenza stessa è illogico. Per questo motivo non è possibile uscire da quello che chiamiamo “reale” senza compiere illogicità. O meglio ancora: non è possibile pensare ad una conoscenza che abbia valore se si riduce la conoscenza stessa ad una dualità umana fra pensiero e pensato, cioè non si risponde logicamente al rapporto che si instaura necessariamente fra l’essere pensato e l’essere reale che informa lo stesso pensato e quindi lo stesso pensiero come ente, con tutte le sue caratteristiche straordinarie.

Ora, possiamo chiamare il reale come vogliamo: “pippo” oppure “illusione”. Il dato finale non cambia: non potremo mai uscire da “pippo” o dalla illusione che dir si voglia. Il risultato cioè non muta poiché non potendo uscire da questa illusione chiamarla illusione pensandola tale è un autoinganno; per la nostra conoscenza questa illusione è quella che fonda la conoscenza stessa e pertanto “usare” la conoscenza di questa illusione per cercarne falle interne è come voler demolire la conoscenza stessa.
Ecco il risultato della ricerca. Dite ai due miliardari che mi accontento di una giornatona per cinque a Gardaland con cena compresa.

CONCLUSIONI

Le due teorie (matrix vs Dio creatore) si toccano in sostanza, sotto questo aspetto gnoseologico, nella riduzione dell’essere al pensiero, ma nella stessa cosa si differenziano completamente!

  1. In Matrix il pensiero è pensiero “sovraumano” (diverso solo quantitativamente!) che imposta e crea l’illusione della realtà umana, con i suoi aspetti materiali E immateriali (che formano comunque una unità esperienziale!) mediante una simulazione che “gira” su di una macchina con componenti necessariamente materiali;
  2. nel Dio Creatore il pensiero è invece pensiero divino (altro da quello umano, qualitativamente soprattutto) che imposta e crea l’illusione della realtà umana, con i suoi aspetti materiali E immateriali (che formano comunque una unità esperienziale!), mediante una simulazione materiale e immateriale insieme che “gira” su una macchina indipendente, semplice, infinita, immutabile e completamente immateriale,  che è il pensiero di Dio stesso.

In Dio essere e pensiero si identificano. Dio pensando crea e dunque sotto questo aspetto dire che “noi siamo” in questo momento perché partecipiamo dell’essere di Dio, significa perfettamente che “noi siamo” in questo momento poiché siamo pensati da Dio.

Dunque la pretesa di Bostrom di utilizzare una coscienza capace di estraniarsi dall’illusione si scontra con una visione gnoseologica della teoria stessa in cui la conoscenza è mera rappresentazione; lo scontro crea moltissime criticità illogiche e il risultato finale è uno: la teoria non regge.

Eppure tali criticità potrebbero benissimo risolversi se “IL Matrix” rispondesse a queste caratteristiche:

  • essere indipendente da ogni ente creato: non deve essere egli stesso una illusione!
  • essere immutabile e perciò non può avere mai avuto delle versioni 2.0: deve essere nato perfetto. E per altro dev’essere nato “da sè”.
  • essere infinito e cioè non possedere alcuna limitazione, soprattutto materiale. E non può essere una semplice persona quantitativamente più intelligente. Non può nascere coscienza dal pensiero di un supereroe…
  • essere semplice e non composto, deve essere un unicum, senza parti, inframmentabile, UNO nel senso pieno del termine, nel quale tutto converge e tutto si irradia.

Cioè in poche parole la teoria si salva se dietro la nozione di “matrix” si nascondesse quella di “Dio creatore“: le difficoltà cessano e tutto diviene logico e perfettamente coerente. Peccato ovviamente che il concetto di simulazione, usato dalla stragrande maggioranza dei filosofi e transumanisti, non permetta di avere queste 4 fondamentali caratteristiche che porterebbero la teoria ad essere inattaccabile.

E porterebbe noi a farci suoi strenui difensori.

“Se ci guardiamo intorno questo mondo è magico. Se io mi guardo intorno ora: vedo queste luci, le telecamere, questo podio, io stesso… e la verità di queste cose è che tutto è nelle mani di Dio. Dio è qui presente e sta pensando le cose e mentre le pensa le crea, le rende esistenti creandole dal nulla. L’atto creatore non è avvenuto nel tempo, l’atto creatore è presente alle cose che sta creando perché se smettesse di pensarle in quell’unico atto creatore, rispetto a noi fuori dal tempo, tutto scomparirebbe nel nulla. Questa è la “presenza di Dio nelle cose”. Significa che Dio è presente alle cose più di come le cose sono presenti a sé stesse. Dio è presente in ogni cosa, anzi meglio: ogni cosa è presente in Dio in un atto del suo pensiero che la sta creando. […] In questa visione in cui tutto è nelle sue mani, io sono in grado di vederle le sue mani e di amarle.”
Fulvio di Blasi, Antropologia cristiana: l’uomo è capace di Dio, TC International, Video

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[1] Questa “intenzionalità” della conoscenza è dimenticata dalla filosofia contemporanea, tutta tesa a pensare la conoscenza come una mera “rappresentazione” della realtà, errore che alcuni filosofi fanno derivare dalla critica all’oggettività delle qualità della realtà (i sapori, i suoni, i colori) partita dal Saggiatore di Galileo (cfr. Cassirer, Storia della filosofia moderna, Torino, Einaudi, 1952, voi. I, pagg. 434 ss.).



Categories: Filosofia, teologia e apologetica, Transumanesimo

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64 replies

  1. Bellissimo argomento!
    Supponiamo che a due persone venga somministrato un lo stesso medicinale, ad uno dei due viene descritto per filo e per segno di quale prodotto si tratti e anche quali effetti certi avrà sul suo fisico, mentre il secondo è all’oscuro tutto, anche del fatto di far parte di una sperimentazione.
    Ora nel momento in cui questo farmaco darà gli effetti per cui è stato somministrato, intervistando i due individui, avremo il primo che confermerà le informazioni ricevute preventivamente, mentre il secondo descriverà gli stessi effetti, ma avendoli appresi spontaneamente.
    Potremmo così aver dimostrato in qualche modo l’esistenza di una realtà indipendente dai soggetti?

    • Eh, l’esperimento mentale non è affatto male! Anche perché, diciamoci la verità, la scienza stessa acquista la sua validità sull’implicito che il reale esista esternamente al pensiero umano e che sia quantitativamente parzialmente comprensibile. Se tutto fosse illusione, in realtà la scienza cosa misurerebbe? Astrarrebbe le quantità illusorie del programmino?
      Quindi la sua utilità in senso pratico potrebbe benissimo essere un inganno del computer: la scienza funziona perché le fa funzionare il computer che si diverte a vederci gioire di false vittorie e ogni tanto ci mette qualcosa di nuovo, giusto per tirarci matti.
      A mio avviso non è una teoria decente nemmeno per gli scopi primi degli scienziati che accettano il lavoro dei due miliardari che dovrebbe essere quello di fare scienza.
      Poi uhe, non è che bisogna sempre sputare nel piatto dove mangi, c’è chi sorride e comincia ad avvicinarsi alla gallina dalle uova d’oro…

    • Mi sembra che ci pensi già la realtà a dimostrarsi indipendente dai soggetti: se mentre sei in coma profontdo indotto arriva un terremoto e ti cade una trave sulla gamba quando ti sveglieranno ti ritroverai con una gamba fratturata.

      • Secondo me in questo caso si tratta di una percezione personale senza nessun confronto con altro da se

      • “Mi sembra che ci pensi già la realtà a dimostrarsi indipendente dai soggetti.”

        però, dal pochissimo che credo di aver capito della meccanica quantistica, sembrerebbe che ci sia invece un forte legame tra soggetto ed oggetto. Nel senso che l’osservazione e la misura dello sperimentatore in qualche modo definisce la realtà (almeno a livello elementare).
        Quindi c’è un’apparente contraddizione tra la realtà macroscopica e quella soggiacente. Perchè per “materializzare” un elettrone devo far collassare la sua funzione d’onda, e per una trave che mi cade sulla gamba no?

        • Perchè sono in coma profondo?
          E al mio risveglio scoprirò cose accadutemi mentre ero “assente”.

        • Perché nella trave sono già collassate.
          Questo processo di decoerenza avviene ogni qualvolta che una stato quantistico interagisce con un sistema più complesso.

          Quel che è meraviglioso colla meccanica quantistica è che la potenza di un ente è considerata tanto reale quanto il suo atto: in un certo modo è il tener conto che non si può ontologicamente separare la potenza dall’atto.
          In Pace

          • aiutami a capire Simon… quindi immagino che una volta collassate il processo sia irreversibile. Ciò che viene in essere (o forse meglio dire si “materializza”) una volta, poi è per sempre? Ma allora, vorrei capire questo paradosso, come si è materializzato l’universo (stelle pianeti…) finchè non c’è stato nessun osservatore?
            Magari sono domande assurde, ma leggendo da profano certi libri di divulgazione scientifica, mi restano sempre in testa.

            • Il processo di riduzione del pacchetto d’onda quantistico non ha luogo perché osservato da una “coscienza” ma in quanto è il risultato dell’incontro tra un sistema quantistico non più chiuso su se stesso ma in interazione con il suo ambiente.

              In altre parole, “osservabile”= “classico” e il processo che rende un sistema quantistico osservabile cioè classico, si chiama “misura” ed è descritto con la teoria della decoerenza quantistica che spiega la famosa “riduzione” del pacchetto d’onda.

              Non è un “venire in essere” ma un passaggio da potenza ad atto: come quando tu sei giovane hai mille possibilità ma invecchiando ogni scelta che hai fatto ti preclude l’accesso a tutte le potenzialità che avevi inizialmente.

              Quindi l’universo è passato dalla potenza all’atto….

              Spero che aiuti: chiedi ancora se necessario.
              In Pace

              • “Il processo di riduzione del pacchetto d’onda quantistico non ha luogo perché osservato da una “coscienza” ma in quanto è il risultato dell’incontro tra un sistema quantistico non più chiuso su se stesso ma in interazione con il suo ambiente.”

                Mi risulta particolarmente ostico capire questo… nel senso, l’ambiente con cui si pone in relazione, e che dovrebbe causare la riduzione del pacchetto d’onda, come a sua volta è stato ridotto, nel senso… come è venuto in essere?
                A me pare che manchi un primo ente causale, che dia inizio al processo, e che dalla potenza passi all’atto… non so però se riesco a spiegarmi.

                • È il processo quantistico stesso dell’entaglement (aggrovigliamento) che produce l’incontro di un sistema quantistico puro con il suo “ambiente” (=”strumento di misura”)e ne riduce il pacchetto d’onda: gli stati puramente quantistici “decadono” per diventare miscele statistiche e non più quantistiche.
                  In altre parole ogni sistema quantistico considerato a livello micro entra in relazione con il suo ambiente il quale anche se esso stesso quantistico è aggrovigliato e riduce i propri pacchetti d’onda per decoerenza: onde per cui l’insieme è misurabile e misurato cioè “classico”.
                  In Pace

              • ah ok, ora mi è più chiaro, spero 🙂 … non c’è effettiva separazione ed identificazione tra un soggetto (insieme quantistico) ed un oggetto (ambiente). C’è un legame tra i due che fa perdere il senso di questi due termini.

  2. Considerando anche che il farmaco è un prodotto di altri individui…

    • Illuso! 😀

    • C’è una ulteriore difficoltà nell’ esempio che ho fatto, mentre il primo soggetto descriverà la realtà accadutagli con dei termini competenti fornitigli da altri, il secondo descriverà tale realtà con temini presi dal suo bagaglio personale di conoscenze.Inoltre questa differenza nelle descrizioni date dai due sarebbe contingente.

  3. Leggendo l’articolo, per associazione mentale ho ricordato lo splendido monologo di Jap Gambardella che chiude “La grande bellezza”:

    “Finisce sempre così: con la morte. Prima però c’è stata la vita nascosta sotto il bla, bla, bla, bla, bla. E’ tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore… il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura, gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo… bla, bla, bla, bla.
    Altrove c’è l’Altrove: ma io non mi occupo dell’Altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio.
    In fondo è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.”

  4. ” Ma la simulazione non può essere totalmente materiale, cioè non può essere solo frutto del lavoro di un supercomputer che si presuppone materiale, poiché non può esistere alcuna coscienza per come noi la conosciamo che possa essere riprodotta da un computer o ridotta SU di un computer. ”

    Ad oggi è così. Ma non possiamo escluderlo a priori.
    Ammettendo per assurdo che comunque la cosa sia fattibile, non si fa altro che spostare il problema: chi ha creato gli alieni che si divertono a giocare con noi?

  5. Articolo approfondito, ma temo che l’argomento non valesse lo sforzo pur lodevole.
    Questi sono argomenti border line tra scienza e fantascienza, e l’odore dei soldi convincerebbe chiuque a sperimentare l’insperimentabile, pure le tecnologie degli Avengers !!
    La spennellata di credibilità serve solo a dare un pizzico di suspence.
    Concordo pienamente sull’espressione : “l’argomento in campo è talmente devastante per il senso comune che risulta difficile pensare ad una vera e propria confutazione che non contempli il banale buon senso”. D’altra parte lo sforzo necessario per dimostrare che si tratta di una fregnaccia sarebbe non inferiore a quello per provarla, con la diffrenza che nessuno verrebbe pagato 🙂
    Inoltre , almeno per me, c’è un fatto derimente che descrivo
    Quando leggo di mondi paralleli, multiversi, etc etc mi chiedo : Ma se pure esistessero queste cose, mi cambierebbero la vita , non potendole di fatto raggiungere? La risposta è NO.
    Anzi…nel caso specifico la mia vita peggiorerebbe perchè da una parte sarei consapeole di essere in una simulazione, con tutti gli aspetti psicologici che ne conseguono, dall’altra sarei consapevole che l’interruzione della simulazione stessa significherebbe , probabilmente , la fine della mia vita.
    Quindi esistono o non esistono, meglio non saper nulla e pensare alla vita eterna, semmai. 🙂

    • Guarda, l’articolo l’ho scritto in modo che tu ti tranquillizzi seduta stante. In brevis: non può essere una simulazione e se lo è allora stai chiamando “simulazione” il pensiero di Dio. Ed effettivamente se Dio smette di pensarmi, io ricasco nel nulla.
      L’esistenza della realtà è prova tangibile che Dio continua incessantemente a “pensarci” e quindi dell’amore di Dio nei confronti della sua creazione.

      Ecco. 3 righe e ho riassunto il post ahahah 😀

      • Quindi l’atto creatore non è stato unico all’inizio dei tempi, ma è un processo dinamico continuo?

        • Non esistono “Inizi dei tempi” in Dio poiché in lui tutto è assolutamente e necessariamente contingente. L’atto creatore è un atto unico. In Dio c’è tutta la creazione, completamente e assolutamente. Questo potrebbe comprimere il cosiddetto libero arbitrio, ma chi lo ritiene compie un errore poiché si ritiene erroneamente che l’atto unico di creazione non possa avere molteplici effetti sotto l’aspetto della creatura.
          La questione è avvincente e complessa. Ottima magari per un prossimo articolo. 🙂

        • Dio crea adesso: hic et nunc sei creato.

          Le dimostrazioni di Dio in quanto causa prima si riferiscono tutte all’atto di creazioen hic et nunc: non è un risalire indietro nei tempi ma nel guardare a cosa causa l’esistenza hic et nunc.

          In Pace

    • Queste filosofie prendono facilmente piede fra i giovani non sono da sottovalutare. Sono facilmente accettabli dalle generazioni di ragazzi 2.0

  6. Ma secondo voi non è possibile provare a sostenere un’idea come quella di Bostrom senza scadere nello scetticismo radicale e, anzi, inquadrandola entro una cornice realista?

    • A mio avviso l’unico modo è quello che ho delineato: ritrovarsi a parlare dell’essere per sé sussistente chiamandolo “matrix”, perché parlare di Dio non mi porta finanziamenti…
      Per me il problema è proprio gnoseologico. Questi avanzano nell’idea kantiana di conoscenza come rappresentazione e creano dualità insanabili. Poi hai voglia di fare tesi e controtesi per tentare di far quadrare il cerchio.
      Pensaci: cosa significa che gli argomenti portati da Bostrom a favore di una probabile simulazione di realtà all’interno della quale vivremmo, non presuppongono necessariamente che anche le coscienze degli esseri viventi siano anch’esse facenti parte della presunta “illusione”?!
      MA cosa è l’uomo allora? Come puoi pensarlo divisibile in modo che abbia PARTI illusorie ma la sua coscienza no?! Qui fa proprio a pezzi l’idea di unità umana. Puoi anche essere solo materialista e pensare che l’uomo sia solo ammasso di atomi illusori, ma come puoi pensare che allora una parte di questi atomi illusori possano andare oltre l’illusione che essi sono?
      Ma dai!

      • L’intelletto può essere “ingannato” però, lo sappiamo tutti: imponendogli determinati stimoli sensibili (la capacità di giudizio/ragionamento invece non può essere mossa efficientemente da un agente fisico). Quindi, come si fa a ritenere impossibile che esista un livello non-simulato (quindi reale, corporeo, ma non questo) in cui sta avendo luogo una simulazione nelle menti di esseri razionali per opera di qualche supermacchinario? Che poi è lo stesso identico scenario di Matrix ed è proprio ciò di cui il Bostrom vorrebbe provare l’esistenza.

        Però è chiaro non gli si può ritorcere contro l’argomento “ma che ne sai che allora è TUTTO simulato?”, perché è proprio quello che sta negando: c’è almeno una cosa che è irriducibile alla simulazione, ossia la coscienza umana. Quindi risulta una necessità l’ammetterla come esterna al simulatore (ed è ciò che succedeva in Matrix: le coscienze erano esterne alla matrice, erano quelle degli uomini che giacevano nelle vasche nei cd “campi”). E devo ammetterla peché diversamente negherei le mie stesse capacità intellettive e deliberative. Quindi farei meglio a tacere.

        • Il fatto che una parte dell’intelletto possa essere ingannato potrebbe benissimo essere un inganno, ma come ben fai notare è una doppia negazione che afferma.
          Ora ho capito comunque come si potrebbe “dividere”, semplicemente distinguendo i sensi ingannabili da quelli non ingannabili anche se quelli che ingannano confluiscono nella conoscenza in quella che non inganna.
          Il problema comunqeu non è che Bostrom non ci veda giusto nell’affermare che la coscienza umana intesa come logica sia estranea alla simulazione, ma il fatto che una simulazione possa contenere enti che possiedono tale possibilità significa ontologicamente che la simulazione permette loro tale possibilità. Non c’è storia. Non esiste nulla nella realtà che non sia analoga alla realtà stessa e noi CI comprendiamo solo tramite essa. Se attraverso di essa noi vediamo che la realtà è intelleggibile, ma la stessa realtà non sa spiegare la sua intelleggibilità è gioco forza procedere verso un trascendente e la coscienza ce lo permette: l’uomo infatti è “capax Dei”.
          Ora, mi si può anche dire che il matrix non è il creatore del matrix e io ti sto dicendo infatti che se chiamiamo Matrix la creazione (TUTTA, coscienza compresa!) e Dio il superuomo che ha creato tutto si sistema. Ma attenzione, questo solo se matrix ha le caratteristiche della creazione e il suo creatore quelle di Dio.

          • Quello che io osservo è che il discorso di Bostrom non vuole esprimersi sulla natura della Realtà (R maiuscola) ma – nell’ipotesi che questo sia un livello simulato – sulla natura di questa particolare realtà (virtuale). È questo che gli permette di non entrare in contraddizione e di proporre un’idea sicuramente strampalata (anche se intrigante), ma in qualche modo sostenibile, forse anche falsificabile.

            Per mettere a tacere Bostrom & C. è necessario dimostrare che lo scenario di Matrix è una impossibilità metafisica.

            • “Per mettere a tacere Bostrom & C. è necessario dimostrare che lo scenario di Matrix è una impossibilità metafisica.”

              PS. Il problema è che già dal punto di vista fisico non mi sembra sia impossibile…

            • Allora forse non lo capisco io, a me pare sia una impossibilità metafisica perché la metafisica si fa con la gnoseologia che questa realtà ci permette. Noi siamo quello che comprendiamo di noi ATTRAVERSO questa realtà. NOn esiste Realtà e “realtà”.
              Dove sbaglio?

              • Io direi invece che – se per metodo sei realista – la gnoseologia la fai con la metafisica che sostieni.

                Comunque, da quel che capisco, Bostrom afferma che
                1) esiste un livello non simulato (che per lui è corporeo) e
                2) le coscienze sono irriducibili alla simulazione e probabilmente anche alla realtà del livello non simulato/corporeo, se lo si ammette come tale.

                Ora, rimanendo nella sua ottica, ammettiamo che il livello non simulato è questo e partiamo dal dato di fatto: la realtà della visione fosfenica, che in pratica consiste nell’attaccare degli elettrodi alla corteccia cerebrale (nella zona deputata alla vista) di una persona cieca e far sì che questa riesca (per mezzo di una videocamera) a vedere dei puntini luminosi che delineano le sagome degli oggetti. È una teconologia ancora in fase embrionale, “primitiva”, ma nulla vieta che un giorno sarà possibile ricostruire perfettamente la visione in modo “digitale”. Se è possibile con la vista, per principio lo puoi fare anche con gli altri sensi. Da notare che all’altro capo degli elettrodi, al posto della videocamera che dà sul mondo esterno, potrebbe esserci il computerone che simula ciò che devi vedere/sentire. E del resto non c’è conoscenza se prima qualcosa non è passata attravreso i sensi, no?

                Ancora, si può immaginare che sia possibile tenere la persona in uno stato di coscienza tale per cui sia in una sorta di catalessi, ma ancora sia in grado di esercitare le capacità di giudizio/ragionamento (del resto stati simili già si verificano “naturalmente” nei casi di malattia, incidenti etc.) a partire dai dati sensibili che le stai fornendo.

                A questo punto Bostrom dice: e se ciò è già avvenuto, quel livello di tecnologia è già stato raggiunto, e noi siamo una sorta di “volontari” (nello scenario migliore) di questa simulazione?

                Insomma, mi pare che per ammettere quel tipo di scenario si debba necessariamente pensare che
                1) il livello non-simulato sia qualcosa di non troppo diverso da questo (almeno non sostanzialmente).e quindi
                2) che degli esseri razionali su cui si possa agire a livello sensibile esistano (quindi degli uomini, anche se accidentalmente differenti da noi) e
                3) che la macchina, non potendo agire sulle capacità di giudizio/ragionamento di tali esseri, non possa ingannare sotto ogni aspetto i suoi utenti.

                Lasciando perdere le valutazioni personali (merita il premio ignobel?), la domanda è: a partire da uno scenario simile ci si può lavorare su o è per principio impossibile? A me sembra che, date le 2 premesse di partenza, sia almeno per principio ammissibile.

              • Comincio a comprendere quel che intendi. Inizio qui:

                si può immaginare che sia possibile tenere la persona in uno stato di coscienza tale per cui sia in una sorta di catalessi, ma ancora sia in grado di esercitare le capacità di giudizio/ragionamento (del resto stati simili già si verificano “naturalmente” nei casi di malattia, incidenti etc.) a partire dai dati sensibili che le stai fornendo

                Il problema è che noi prendiamo come possibili questi casi di coscienza possibile slegata dal coma pescandola da una esperienza che si dichiara essere una simulazione. Come puoi pensare che sia possibile e invece non è una illusione? E poi come immaganizzare quello che poi forma la mia conoscenza, conoscenza DI ME STESSO che penso? Dove? Su un chip? E sempre cadremmo nel materialismo più becero. Nella mia coscienza?

                Ma anche se l’ambiente tecnicmanete o metafisicamente fosse possibile (cosa da valutare visto che la metafisica è metafisica della realtà che tale non lo è affatto), chi mi dice che tale ambiente non sia invece tale anche per i creatori di quel matrix? Chi dice loro, visto che la realtà non può differire molto dall’illusione (tuo punto 1) che non sono essi stessi delle illusioni? A questo punto il problema non è se è illusione o verità, ma se da tale illusione si può uscire. Per come è combinata quel che noi chiamiamo conoscenza (anche di noi stessi e della nostra coscienza, conoscenza che non avviene subito. Tu ricordi forse quando è la prima volta che ti sei reso conto di pensarti? E prima non ti pensavi per caso?) io dico NO. Quindi chiedersi se tale realtà sia (totalmente o parzialmente) una simulazione è un dato da rasoiare come Occam comanda.

                Tu tenti di dare un disegno realista ad uno scenario che ritengo sia necessariamente scettico. Forse non sono riuscito a dare una degna spiegazione per la cagata che ritengo essere matrix. Forse, come suggerisce feser, è necessario trovare le giuste definizioni di “nozioni come razionalità, percezione, realtà, ecc”, capire come giustificare razionalmente la realtà “del passato, o la realtà delle altre menti, o la realtà del mutamento, o di qualsiasi altra frangia del buon senso”.
                Forse era una sfida più grande di quello che pensavo, anche se finora più la approfondisco più capisco che non funziona sto cazzarola di matrix.

              • “Come puoi pensare che sia possibile e invece non è una illusione?”

                Perché lo so a partire dalla realtà che conosco e ritengo non essere una simulazione e perché, come ho già detto, non tutto può essere simulato, nello specifico non ciò che concerne le facoltà di giudizio/ragionamento (data l’irriducibilità alla simulazionedi cui si è già detto). E se voglio provare a fare una ipotesi come quella di Bostrom, questa è l’unica via percorribile, almeno così mi pare.

                “E poi come immaganizzare quello che poi forma la mia conoscenza, conoscenza DI ME STESSO che penso?”

                Nel SNC degli utenti del simulatore. Hai letto quanto ho scritto nelle conclusioni del precedeente post?

                “chi mi dice che tale ambiente non sia invece tale anche per i creatori di quel matrix?”

                Questo è irrilevante perché:
                1) per quanti siano i livelli di simulazione, dovrà essercene uno che non è simulato e
                2) se le coscienze sono esterne alla simulazione non importa quanti siano i livelli simulati, dovranno comunque risiedere esternamemte ad essa, al livello non simulato.
                Per Occam – e per comodità -si può ammettere che il livello simulato sia solo uno.

                “A questo punto il problema non è se è illusione o verità, ma se da tale illusione si può uscire”

                Anche per me.

              • Ecco, per me non si può uscire.

              • Anche per me non se ne potrebbe uscire, ma mi pare che l’intento dei figuri in questione sia “solo” di capire se si tratti di simulazione o meno.

              • Il fatto che tu non possa uscire implica a mio avviso che quella che tu chiami “illusione” è per me “la realtà”. Tant’è che la coscienza mi indica l’immaterialità e l’intelleggibilità di una realtà che non spiega da sé tale intelleggibilità mi indica la presenza di un Mr. realtà. Tutte cose che mi preannunciano qualcosa di “oltre” la realtà, ma che non posso con i miei SENSI arrivare a scoprire.
                Ripeto: se questi di Matrix si mettono a riproporre la teoria della creazione con diversi termini troveranno in me un loro difensore a patto che ripristinino i termini a cui sono affezionato.

              • “Il fatto che tu non possa uscire implica a mio avviso che quella che tu chiami “illusione” è per me “la realtà”

                Infatti è per questo che ritengo in ultima analisi irrilevante la faccenda, fosse anche vero che in questo momento mi sto agitando febbricitante in una vasca di fluidi nutritivi immaginando di leggere gli sproloqui sul concetto di natura del pazzo lgbt…

  7. Intanto ho trovato questo che non ho ben capito dove vuole andare a parare ahah

    https://corpus15.wordpress.com/2016/10/08/prigionieri-di-matrix-484/

    • mi ritorna in mente la storiella zen dell’allievo che dopo anni di meditazione, va dal maestro tutto contento e gli dice: ” è vero!!! Finalmente ho raggiunto l’illuminazione, niente di tutto questo è reale, siamo immersi nell’inganno di maya”
      Al che il maestro sorride e gli da una bastonata in testa… e si diverte alle urla di dolore del falso illuminato 🙂

  8. Se qualcuno arriva al casello dell’autostrada e dice “io non devo pagare perché tanto sono solo un’illusione (o un fascio di particelle)” . Cosa gli risponderà il casellante? “Intanto paga che poi ne parliamo”. Questo per dire che la teoria è così lontana dal buon senso che per riconciliarsi con esso ci vorranno dei secoli. Se è vero che a oltre cento dalla teoria della relatività non è ancora entrata nel senso comune.

    • Io penso che è un’ottimo spunto per discutere con certa generazione che capisce più di mondi virtuali che di mondi reali.

      Dimenticando che il supporto del mondo virtuale è in finis per forza reale ad un momento dato: ma è, tecnicamente e da un punto di vista logico, la stessa dimostrazione dell’esistenza di Dio portata da San Tommaso. Anzi, presa a ritroso, ne è una illustrazione che dovremmo poter usare sul piano pedagogico per aiutare a spiegare le 5 vie.

      In Pace

      • Esatto SImon! Che poi è quello che dico io mettendola sul piano gnoseologico. Il supporto virtuale è necessariamente materiale, ma come può permettere qualcosa di immateriale come la coscienza che per altro si mostra a noi mediante quel che noi chiamiamo realtà?

        • Forse perché vado di fretta, ma non sono sicuro di seguirti.
          L’opposto al “virtuale” è il “reale” non il “materiale”: anzi, quasi quasi si potrebbe dire che non c’è niente di più materiale che un mondo virtuale.
          La coscienza è una forma, il reale è conoscibile appunto in quel che non è materiale, che è potenza, ma “formale” in atto.
          In Pace

  9. A me, la domanda che interessa è sapere se l’affermazione “il mondo nel quale viviamo è una simulazione informatica” è falsificabile oppure il suo opposto “”il mondo nel quale viviamo non è una simulazione informatica”: cioè dopo aver definito cosa significhi simulazione informatica, vedere se è possibile immaginare ed attuare un’esperienza che falsifichi tale affermazione.

    Se non è possibile, allora tale affermazione non è scientifica; e se è possibile ed è falsificata allora non è vera…

    Le problematiche altre vengono dopo….
    In Pace

    • Ed è possibile per te?

      • Già bisognerebbe mettersi d’accordo su cosa sia una simulazione informatica: di cosa sia una “matrix”!
        In Pace

        • Non sarei naturalmente in grado di stabilire cosa sia possibile scientificamente, mi chiedo però se tale affermazione scientifica fosse falsificabile ed esperimenti non la falsificano cosa significherebbe epistemologicamente. Come è possibile che una ipotesi scettica possa reggere al suo stesso scetticismo?
          Mi chiedo infine perché nelle tre ipotesi di Bostrom, reperibili anche sulla wikipedia, egli non ne infili una che dica: la conoscenza che abbiamo della realtà rende impossibile stabilire se la realtà sia o meno una simulazione computerizzata. Punto. Non si può perché una gnoseologia decente dichiara che provarci è autofagia.
          Perchè, mi ripeto, se per simulazione parla di realtà simulata creata dal nulla e che al nulla può ritornare se il “computer” smette di “programmare”, diciamoci chiaro che sta parlando di Dio con dei banali termini informatici e nulla più. 🙂

          • Se fosse un’ipotesi “assolutamente” scettica concordo con te per dire che sarebbe ridicola e il proprio scetticismo ne segnerebbe la fallacia.

            Vi è però modo di considerarla solo “parzialmente” o “relativamente” scettica e, in questo caso dovrebbe o potrebbe essere oggetto di un discorso e di una conoscenza.

            In altre parole una cosa è affermare “tutto è illusione” che è un’affermazione, come ben fai notare, che si auto-gambizza ma un’altra cosa è affermare che “il mondo nel quale viviamo è un gioco video o una simulazione informatica”: in questo caso vi è sottintesa l’idea che esiste almeno un mondo reale nel quale esiste almeno un computer capace di creare una simulazione che, per l’appunto, non è quel mondo reale lì.

            La questione in questo ultimo caso gira intorno alla questione : di che stiamo parlando quando parliamo di simulazione in un computer davvero esistente nel mondo reale. Descrivendo la differenza tra mondo reale e una simulazione su computer sara poi possibile dire che è possibile procedere a delle domande perfettamente scientifiche: se ad esempio alpha è una differenza tra mondo reale e mondo simulato possiamo constatare alpha? o non alpha?

            Cito un’analogia conosciuta da tutti: supponiamo che ci siano degli enti intelligenti che vivono in uno spazio a due dimensioni, ma il loro spazio può essere piatto oppure la superficie di una sfera, come farebbero a rendersi conto in che realtà sono senza dover entrare in uno spazio a tre dimensioni al quale sono alieni? Riflettendo sulle differenze tra questi due spazi: se piatto la somma degli angoli dei loro triangoli sarebbe uguale a 180° se una superficie di sfera tale somma sarebbe superiore ai 180°. Finora, ad esempio; le misure che abbiamo potuto fare misurando triangoli conducono alla conclusione che i risultati scientifici sono compatibili con un mondo piatto…

            Ripongo quindi la domanda: qual’è la differenza tra un mondo “reale” ed una “simulazione informatica”? E la mia domanda qui non è “filosofica” ma scientifica.

            In Pace

            • Ed essendo tale mi tolgo dal discorso. Vorrei capire però se pensi ci siano fallacie nel mio pensiero gnoseologico. Cioè il mio ritenere impossibile l’uscita dal reale mediante la conoscenza del reale stesso poiché tale conoscenza avviene per mezzo dello stesso reale il quale in qualche modo, con la sua intelleggibilità che non si spiega da sè, ci suggerisce l’esistenza di qualcosa oltre che però deve avere almeno le 4 caratteristiche divine per chiudere tutte le eventuali problematiche teoretiche.
              Il mio pensiero è in divenire eh, ti ringrazio della disputa!

              • Ma io penso che hai tutto il tuo posto nel discorso e che non devi uscirne: in fin dei conti una domanda scientifica è analoga alla domanda del bambino alla mamma la sera “mamma, raccontami une bella favola stasera prima di dormire” e la mamma gli risponde raccontandogli una storia che sia funzionale al bisogno del figlio.

                In altre parole anche tu puoi sviluppare un “mito” sulla questione di cui disputiamo e il tuo “mito” potrà essere chiamato scientifico se sei capace di verificarne una predizione (o generare una falsificazione) che il discorso mitico induce per forza.

                Proviamoci assieme su questo blog a raffiniamo il discorso fino a renderlo scientifico.
                Il mito (teoria scientifica) è il seguente: esiste in un luogo un computer così tecnicamente raffinato che è capace di simulare un mondo intero come il nostro nel quale viviamo.

                Mamma, cos’è un computer? È un macchinario che elabora dati e che da un input di dati genera un output di dati.
                Mamma, ma i dati dell’output in cosa sono differenti da quelli dell’input? Sono differenti nella misura in cui sono stati processati dal computer secondo il suo programma, cioè il l’insieme di dati che definiscono il computer.
                Mamma , ma il computer, può generare dati che non siano il risultato della combinazione dei dati che riceve in input e di quelli che lo definiscono lui? No figliolo il computer anche quando genera dati che ridefiniscono il proprio programma non può generare un nuovo programma che non sia il risultato del suo programma precedente e dei dati che gli servono da input.

                Ma come si fa a sapere che il computer sta facendo una “simulazione” o un gioco video e non altra cosa? Beh figliolo sia c’è qualcuno che vedendo i dati dell’output è capace di dire che sono una simulazione , sia c’è un secondo computer che controlla che il primo computer produce dati che corrispondono a quel che è stato programmato come essendo una simulazione eppoi c’è qualcuno che conferma che sia il caso.

                Bene mamma, allora raccontami la tua storia. Nel mondo simulato c’è gente? Ah certo sì, ci sono gruppi di dati che sono programmati per reagire e agire quantitativamente “come” gente, sai non è che è gente vera, sono solo pacchetti di dati che, interpretati dal programma, quantitativamente reagiscono in modo simile , da dove il termine simulazione, alle persone reali.

                Ma, mamma, lo sanno quei pacchetti di dati che sono come persone? No non lo sanno, perché sono solo pacchetti di dati; e un pacchetto di dati non sa nemmeno di esistere, figurati di sapere essere “come” gente! Stiamo parlando di un computer, figliolo

                Ma allora questi pacchetti di dati non sapranno mai di essere una simulazione? Ovvio che no. Solo chi usa di questo può sapere che possono essere visti come simulazione del reale.

                Allora, allora cosa succede con questa storia? Beh figlio mio, hanno fatto un’esperienza per vedere le la simulazione era buona: hanno preso dei bambini che fin dalla nascita vivevano connessi solamente ai dati della simulazione per vedere se questa simulazione fosse sufficientemente efficace.

                Oh poveri bambini! Figliolo se tu rimani bravo non ti faro mai connettere ad una simulazione, ma attento!!!! O viene il cattivo programmatore che ti ci mette dentro e neanche lo saprai!!!

                No, no mamma, sarò buono, promesso. E come fanno questi bambini per scampare dalla simulazione, oppure non possono ed è una prigione a vita? Beh figliolo, questa è la storia che ti volevo raccontare, cioè come uno di quei bambini, rinchiuso nel simulatore dal cattivo programmatore riuscì a scamparsene…

                Ecco, continuiamo il romanzo assieme, scriviamo questo mito e vediamo se è funzionale e se siamo capaci di concepire un’esperienza all’interno della simulazione che falsifichi l’affermazione “questa non è una simulazione”

                In Pace

              • Scusa carissimo se te la ributto in filosofia, è solo per un attimo poi tornerò sul tuo bel lancio!

                Leggendo questo il computer, può generare dati che non siano il risultato della combinazione dei dati che riceve in input e di quelli che lo definiscono lui? No figliolo il computer anche quando genera dati che ridefiniscono il proprio programma non può generare un nuovo programma che non sia il risultato del suo programma precedente e dei dati che gli servono da input. mi è subito venuto in mente questo post di Feser:
                https://pellegrininellaverita.com/2015/04/20/edward-feser-possiamo-dare-un-senso-al-mondo/

                ll mondo dunque è completamente comprensibile di per sé, ma solo in parte comprensibile per noi. E’ concepibile in linea di principio che il programma si “comprenda” completamente, cioè abbia in sé tutta la comprensione e abbia un algoritmo “che nasconda questa compresione”? Mi chiedo come abbiano raccolto così tanti input i creatori da creare una simulazione così complessa. Ora continuo la lettura.

              • Altro ma: la gente NON PUO’ per sua caratteristica essere “un pacchetto di dati” perché possiede il pensiero. O meglio io ritengo che possieda la coscienza. Qui o IO sono l’unico individuo sottoposto alla simulazione (e allora nessuno può aiutarmi, nemmeno gli scienziati che pago per capire matrix che sono un pacchetto di dati elaborato per prendermi in giro) oppure devo ritenere valida la logica dell’esperienza e i derivati, fin’anche a quelli che il tomismo chiama “universali”.
                Lo sceneggiatore sei tu Simon, per ora il plot mi piace davvero parecchio! 😀

                PS. e intanto mi hai fatto ricordare del testamento di Ludi… sigh

              • ma se fossimo semplicemente una simulazione, un pacchetto di dati, in un futuro più o meno lontano potremmo trovare il modo di essere immortali. Prima della morte, basterebbe un download dell’intera mappa mentale (memorie) e potremmo poi successivamente riversare questo IO in un nuovo cervello “vergine”.
                In questo modo il nuovo organismo sarei sempre IO? Se fossimo una semplice simulazione, forse si.
                Ma questo è impossibile. E si capisce immaginando di fare lo stesso processo, ma con me ancora vivo. Mi troverei davanti un nuovo organismo con IO nel suo cervello, esattamente identico al mio, ma sarebbe comunque una nuova identità da me separata.
                Questo perchè esiste una coscienza, non separabile dal corpo che è tutt’una con esso.
                E niente potrà mai ridurre l’essere umano ad un semplice pacchetto di dati.
                E così finisce il sogno dell’immortallità realizzata da noi umani 🙂

                • Alex, nel mito scientifico che stiamo tentando di raccontare non diciamo che noi siamo meramente un pacchetto di dati, infatti i dati non “si sanno”.

                  Una dato non è un’informazione: per diventare un’informazione ha bisogno di un contesto e questo è sempre vero in un contesto di simulazione informatica: il dato “2001” non ha nessun significato se preso isolamente in quanto tale.
                  Ci vuole un contesto: ad esempio se nel contesto parliamo dell’arte del cinema, ci possiamo riferire al film di Kubrick 2001, Space Odissey; se siamo in caserma nell’esercito svizzero significa ore otto e 1 minuto di sera; se siamo in Russia al mercato indica il prezzo in rubli di un souvenir e così via di seguito.

                  È il contesto che trasforma un dato in informazione: da un punto di vista informatico non c’è dato o serie di dati che siano di per sé contesto. Non esiste dato che si contestualizza di per sé: non c’è dato che è, per il semplice suo porsi, informazione.

                  Un dato deve sempre inserirsi in altro che sé, il contesto, per diventare informazione.

                  Le stringhe di uno e di zero si trasformano in altre stringhe di uno e di zero sotto l’azione di operazioni compiute da altre stringhe di uno e di zero: cioè i dati sono trattati da dati per diventare altri dati. Finché questa stringa di dati non è innestata in un contesto essa non è informazione. Ad esempio il codice genetico è informazione se e solo se è recepito in un contesto, ad esempio una cellula, nel quale esso diventa informazione operante.

                  Noi, essere umani pensanti, siamo a noi stessi un dato che è informazione senza che sia necessario altro contesto: quando mi penso, il dato del mio pensiero non ha bisogno di nessun contesto per essere informazione al mio pensiero. Il mio pensiero è il contesto del mio dato: guardo il dato e ho al contempo l’informazione, guardo il contesto e ho il dato.

                  Sarà, forse possibile trasferire la mappa di tutte le proteine nel mio cervello e del come sono relazionate tra di loro in forma simbolica su un altro supporto materiale, ma questa mappa sarà solo dati senza contesto, non sarà mai la “mia” informazione, in quanto manca un elemento centrale e che è il download del “dato che è informazione in sé, identico al proprio simbolo, senza altro contesto che se stesso” il quale è, per definizione stessa, estraneo ad ogni sistema informatico.

                  Aspettiamo sempre la formula matematica ( matematica in quanto l’informatica tratta solo di quantità, di numeri) che descrivi e simbolizzi un dato che sia, per il semplice fatto di essere posto, informazione in sé: quella formula matematica che, posta, abbia un significato in sé chiaro per tutti senza bisogno di alcuna spiegazione e contestualizzazione, che non ha bisogno di ipotesi e di corollari, ma che si afferma in quanto tale per il semplice fatto di porsi in quanto dato.

                  Ragion per cui, nel mito scientifico che ho cominciato a scrivere (il quale, forse non te ne rendi conto, è tanto scientifico quanto la teoria della relatività generale) non ho ammesso pacchetti di dati che sono in sé informazione, ma ho aggiunto i bambini che sono connessi alla simulazione: questi bambini sono il contesto che da senso alla simulazione, cioè è grazie a loro che la simulazione si trasforma da pacchetti di dati in informazione ed in un video game .

                  In Pace

                  P.S.: la teoria scientifica (mito) di Croce-Via della Matrix non è ancora completa, aiutatemi a renderla compiuta, ragazzi!

                • Tento, ogni malgrado, di mandare avanti la costruzione di una teoria scientifica, cioè di un mito falsificabile, della Matrix: correggetemi o aggiungete.

                  La questione è di sapere se è possibile per i bambini connessi fin dall’infanzia alla simulazione Matrix di rendersene conto: per continuare a disquisire occorre fare una petizione di principio e cioè che i bambini che non sono connessi alla Matrix sono per altro in tutto uguali a quelli che lo sono, tutti elaborando i dati del mondo “vero” o della Matrix allo stesso modo cioè rispetto al contesto che è fornito dal loro io pensante solo capace in ultima analisi di trasformare un montagna di dati in informazione cosciente.

                  Ovviamente le due categorie di bambini non possono comunicare o piuttosto quelli nel mondo “vero” potrebbero in linea di principio farlo, ma, ed è questa la nostra seconda petizione di principio, non possono farlo.

                  Bisogna anche fare una terza petizione di principio: gli essere umani connessi essendo in tutto simili a quelli non connessi, possiamo postulare che la loro evoluzione culturale sarà simile o molto analoga a quelli che non sono connessi, il pensiero stesso essendo identico nei due insiemi la sola differenza risiedente nell’origine dell’accesso ai dati.

                  Questo mi sembra dare grosso modo tutte le basi per essere un mito che “funzioni” come il film Matrix stesso funziona.
                  Per far passare questo mito a discorso scientifico bisogna adesso essere capaci di far formulare a chi vive connesso nella Matrix una domanda che sia falsificabile, cioè, come già espressso più sopra, la cui esperienza mostrerebbe che l’asserzione “questo mondo non è una simulazione informatica” sia falsa.

                  Supponiamo che tale esperienza “F” esisti: se la risposta sperimentale a essa è “sì” allora sarebbe dimostrato che il loro mondo è una simulazione informatica.
                  Una tale esperienza F è ovviamente pensata dai bambini connessi in quanto il loro pensiero è di per se stesso fuori dalla simulazione, visto che abbiamo visto che non è possibile simulare sul piano informatico un pensiero di se stesso (non esiste la formula matematica che permetterebbe di farlo): a questo punto abbiamo bisogno di un’altra petizione di principio e cioè che chi ha programmato la Matrix non vuole che chi vi è connesso se ne renda conto, dunque, ogni volta che una F è concepita sia conduce alla messa in evidenza che ci si trovi in una simulazione sia no, nel secondo caso nulla è fatto mentre nel primo caso ala Matrix è dato l’ordine di cancellare la memoria degli sperimentatori e di lasciar rifare l’esperienza F già preparando un risultato sperimentale che non conferma la falsificazione.

                  Concretamente, se le menti connesse alla Matrix sono capaci di pensare ad un’esperienza che mai nessun computer potrebbe calcolare con i propri algoritmi e fanno l’esperienza e vedono ch ei risultati sono quelli di un calcolatore ma mai quelli che dovrebbero essere in realtà di per la natura dell’esperienza, allora si può presumere, che ci si trovi in una simulazione, sennò non è il caso. Ad esempio, se la simulazione è basata su una logica booleana, e se andiamo a misurare nel concreto le ineguaglianze di Bell essere non saranno mai violentate in un mondo simulato e chi ha concepito la meccanica quantistica e testata in altri contesti dove funziona, potrà affermare con certezza che, se c’è simulazione Matrix, questa non soddisfa la logica booleana.

                  Al che si può presumere, per rendere le cose più complesse ma per andare fino in fondo al al mito, che chi programma la Matrix, questa non essendo capace di risolvere questo dilemma da se ( cf. Gödel), cambieranno la programmazione vedi anche la tecnologia che supporta la Matrix per far si che le risposte simulate permettano la violazione delle ineguaglianze di Bell, cancelleranno la memoria corta degli scienziati in questione che rifaranno un’esperienza con risultati in linea con le teorie quantistiche pensate dai bambini connessi.

                  A questo punto potremmo dire che questo mito ci racconta il percome il mondo che studiamo è sempre così vicino al nostro modo di modellizzarlo e perché la scienza funziona così bene! Essa funziona bene perché ogni volta che potrebbe non funzionare il programmatore della Matrix, fa evolvere il suo programma, cancella le memorie e rifa fare le esperienze in modo che sempre il mondo appaia in linea con le teorie e questo sempre in modo progressivo. Però questo mito non è ancora scientifico, bisogna poter falsificarlo: ma se ogni volta che lo falsifico c’è qualcuno che mi cambia il programma allora non riuscirò mai a falsficarlo: quindi questo mito non è scientifico ma è solo un mito, una bella storia.

                  O allora bisogna togliere almeno una delle petizioni di principio di cui abbiamo parlato per renderlo falsificabile: ad esempio il fatto che sia possibile costruire un computer che non sia nella sua radice la più intima, booleano; oppure che non esiste programmatore che fa evolvere la Matrix; oppure …. oppure … oppure….

                  Però anche se questo mito non è scientifico con l’integralità di tutte le petizioni di principio poste, esso può imporre una riflessione sul piano filosofico: supponiamo che questo mito fosse “vero” quale sarebeb la vera differenza tra i bambini nel reale e quelli connessi alla Matrix? In fin dei conti, non è la Matrix giusto il nostro corpo che ci trasmette dati tramite i suoi cinque sensi?

                  In Pace

              • “Aspettiamo sempre la formula matematica ( matematica in quanto l’informatica tratta solo di quantità, di numeri) che descrivi e simbolizzi un dato che sia, per il semplice fatto di essere posto, informazione in sé: quella formula matematica che, posta, abbia un significato in sé chiaro per tutti senza bisogno di alcuna spiegazione e contestualizzazione, che non ha bisogno di ipotesi e di corollari, ma che si afferma in quanto tale per il semplice fatto di porsi in quanto dato.”

                Mi viene da pensare che un semplice dato non potrà mai essere descritto matematicamente come anche informazione in sè, perchè resta nello stesso dominio, cioè quello matematico. Ci vuole un dominio superiore per far ciò.
                Sto provando a far fruttare i miei pochi talenti in materia, se dico idiozie abbiate pazienza 🙂

                • La ragione intima è che la matematica tratta di quantità e che i numeri sono in sé l’espressione di una relazione tra enti… quindi un’espressione matematica che sia assoluta e che si auto-esprimi senza relazionarsi ad altro che a se stessa è un ossimoro. Non la vedremo mai scritta…
                  In Pace

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