Il tempo è superiore allo spazio… scusi Santo Padre, ma in che senso?

Per ora accontentiamoci di sapere che il dottore è superiore. Punto!

Per ora accontentiamoci di sapere che il Dottore è superiore. Punto!

Nel lungo fiume di commenti presenti sull’ultimo bell’articolo di Simon dedicato ad AL, uno scritto da Daniele ha messo in luce il primo “principio” sul quale Papa Francesco basa la sua azione pastorale e magistrale: “il tempo è superiore allo spazio“.

La frase è alquanto oscura e risulta leggibile in molti modi e in molti contesti. Per questo non ho timore a scrivere che tale frase non è null’altro che poesia, o meglio è una frase ad effetto che può essere scambiata per “poesia”, cioè affermazione che utilizza la cosiddetta “licenza poetica”. E far discendere dalla poesia dei principi generali senza dare un’occhiata al mittente del messaggio, al lettore implicito per il quale fu scritta e ai destinatari finali significa compiere un abominio ermeneutico per il quale Ricouer stesso potrebbe risvegliarsi e correre a picchiarci. A ragione.

La mia intenzione non è analizzare questa frase nelle varie sfaccettature dunque, bensì leggerla e applicarla in quella che a me sembra l’unica sfaccettatura di lettura possibile: la pastorale.

Per farlo rileggiamo insieme l’ottimo articolo di Sandro Scalese, citato da Magister qui, nel quale approfondisce i cosiddetti 4 principi sui quali il Papa ragiona:

– il tempo è superiore allo spazio;
– l’unità prevale sul conflitto;
– la realtà è più importante dell’idea;
– il tutto è superiore alla parte.

Il “disastro ermeneutico”, se così possiamo chiamarlo, viene dal fatto che questi principi hanno forze diverse. L’ultimo ad esempio è perfettamente tomista e può avere un inquadramento ontologico potentissimo. Idem il penultimo. Gli altri invece sembrano possedere meno profondità, meno possibilità di lettura generale. Il secondo ad esempio sembra più una idea politica e il primo… e il primo?

Riguardo al primo principio, al Papa tanto caro visto che lo rimarca in ogni suo scritto magisteriale (e nelle interviste), credo sia giunto il momento di comprendere fin dove si possa spingere la lettura senza tradirne i contenuti o sovrastimarne la portata, per cercare di andare incontro al Santo Padre e comprendere meglio il suo punto di vista alla luce del Magistero.

C’è da chiudere subito la possibilità di una lettura ontologica e filosofica della frase, non solo per motivi legati alle nozioni che mette in campo (tempo – spazio), tutte da chiarire, ma perché il risultato di questa prospettiva generalissima potrebbe portare ad una lettura rischiosa: lo storicismo, falsa filosofia denunciata come erronea da Pio XII nella Humani Generis. Il rischio quindi è di trovarsi a sposare anche una idea di “progresso” che fa acqua da tutti i pori, ovviamente tanto osannata in questa società morente e senza futuro, la quale per ritrovare speranza temo debba continuamente dirsi di essere la migliore di tutte le epoche passate. Sul perché l’idea di progresso sia, oltre che antistorica, completamente irrazionale, se ne parlerà un’altra volta, qui vogliamo fermare la lettura filosofica. Lo stesso Scalese paventa una possibile deriva nell’articolo sopra riportato:

“Personalmente, anziché le radici teologiche – che rimangono tutte da dimostrare – non posso non avvertire alla base del primo postulato alcuni filoni della filosofia idealistica, come lo storicismo, il primato del divenire sull’essere, la scaturigine dell’essere dall’azione (“esse sequitur operari“), ecc. Ma è un discorso che andrebbe approfondito dagli esperti in sede scientifica.”.

A mio avviso è un discorso che non andrebbe nemmeno approfondito, è proprio da scartare a priori. Se vogliamo, diciamo, “perdere tempo” allora possiamo permetterci di tentare di comprendere la frase da un punto di vista filosofico cercando delle nozioni di “tempo” e “spazio” che non diano spazio a conclusioni erronee e denunciate già da tempo. Io non credo di esserne all’altezza. E se fossi alto abbastanza non lo farei comunque.

Tralasciamo una lettura teologica, completamente subordinata a quella filosofica poiché nulla nella tradizione e nel magistero ci guidano alla comprensione di una frase simile. Una lettura morale invece mi pare impossibile da dare: come le nozioni di tempo e spazio possono entrare nella ricerca generale dei principi del bene umano? Inoltre questa lettura deriverebbe necessariamente da premesse filosofiche e ricadremmo nel problema chiarito sopra.

Gira e rigira arriviamo al punto: se il Papa invita a illuminare una prospettiva che lui definisce “temporale” anziché “spaziale” fermandosi al solo punto di vista pastorale allora sono d’accordo. Cosa intendo? Faccio al volo un esempio. Se il Papa sta dicendo: “ritengo sia più utile ed importante guardare al percorso di un uomo e non fermarsi ad un suo inevitabile errore” allora mi trova d’accordo, anche se ovviamente essendo una affermazione pastorale non ha valore né dogmatico né razionale. Cioè può benissimo essere considerata razionale anche l’affermazione opposta. Tommaso le chiama “opinioni” e queste hanno un valore relativo. E allora, ben sapendo che possiamo anche permetterci RAZIONALMENTE di dissentire, ma essendo IL PAPA colui che la pronuncia a mio avviso è necessario leggere questo suo principio con tutta la carità necessaria.

E allora la prima carità la faccio a me stesso e mi chiedo: cosa ti piacerebbe sentirti dire? “FERMATI e guardati! ECCO ORA sei nel peccato, o ti penti o sei fottuto!” oppure “NON fermarti proprio ora, convertiti e vai verso Cristo, va verso il tuo futuro e non peccare più, Salvati!”? Si, domanda retorica e volutamente provocatoria. Si, potete assolutamente criticarmela o trovarne altre meno tranchant, tanto il succo non cambia. Personalmente il primo che cerca di applicare questo principio, letto in questo modo, sono io a me stesso. Il risultato però non è molto confortante però: spesso faccio poco per migliorare, mi ritrovo a scusarmi per comportamenti non consoni o attendo la venuta del messia per confessarmi… diciamo che è una opinione e il suo valore varia anche alla persona a cui si applica e alla sua storia.

Ma è questo che intende il Papa? A mio avviso si, anche se una spiegazione precisa e rigorosa temo sia impossibile averla. Sentiamo una spiegazione del principio da sue parole tratte da una intervista al solito Spadaro:

“Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa” (p. 468).

Rileggendo questo passo ora mi pare di esserci, di averci azzeccato. Forse è una illusione, forse no. E’ una opinione…

In conclusione mi appare sempre più chiaro come io da Papa Francesco non possa cercare parole di conforto da un punto di vista logico, parole di raffinata teologia o ragionamenti lineari scritti in modo inoppugnabile. Non è il suo talento. Dio mi chiama a cercare qualcosa d’altro in lui e nel suo modo di fare che forse negli splendidi anni di Papa Ratzinger non avevo nemmeno considerato. L’aspetto pastorale di un discorso papale ne è un esempio concreto. Non riesco a considerarlo? E allora meglio che faccia silenzio. Lo considero minore ad un discorso di pura logica teologica? E se fosse un mio limite?

Certo non posso dimenticare il mio amore per il logos e sono il primo a dire che mi piacerebbe avere un Pio XIII o un Leone XIV al soglio pontificio. Eppure il fatto che non ci sia dimostra solo come io non capisca nulla di quello che al mondo serve oggi, non altro. E dimostra che quello che serve al mondo oggi può benissimo essere diverso da quel che serve a me. O almeno a quello che IO PENSO serva a me.
Dio solo sa cosa mi serve.
E forse me lo sta già dando con Papa Francesco.



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23 replies

  1. grazie Minstrel per questa operazione a cuore aperto che ci hai mostrato.

  2. Ottimo articolo caro Minstrel che imposta ben una problematica che questa apparentemente strana affermazione del Santo Padre ben cristallizza: come fare per ” cercare di andare incontro al Santo Padre e comprendere meglio il suo punto di vista alla luce del Magistero.”.

    Perché di questo in fin dei conti si tratta: proprio perché, in quanto cattolici veri, intendiamo vivere il nostro ossequio della mente e della volontà verso quel che il Magistero ci insegna , abbiamo l’obbligo morale di usare tutta la nostra intelligenza e buona volontà a tale scopo, cercando sempre di usare di uno sguardo benevolo, cioè cattolico, che cerca sempre di vedere quel che c’è di buono in quello che il Santo Padre ci dice e di trovarlo.

    La nostra ambizione su Croce-Via è quella di ripulirsi gli uni e gli altri e gli interventi succinti di Daniele mi hanno permesso, anzi obbligato, a guardare da molto più da vicino questa frase incomprensibile che avevo troppo rapidamente archiviato come una delle frequenti slittate del Pontefice attuale sulle quali bisogna caritatevolmente tacere perché è il nostro Padre, come lo era Noè.

    E questo tuo articolo è molto chiarificante e la citazione dei quattro punti di P. Scalese uno spunto interessante per andare avanti nella riflessione positiva, secondo il “principle of charity” come metodologia e intenzione, come siede a un cattolico che ama la Chiesa ed il Santo Padre.

    Ho parlato nel post precedente di “volo pindarico” e, forse, ci sono andato troppo brutalmente anche se si incontra con la tua interpretazione poetica in un certo qual modo.

    Ma la tua lettura, le osservazioni di Daniele e il testo di P. Scalese mi portano a formulare un’ipotesi di lettura di questi testi un po’ enigmatici del Santo Padre che dovrebbe riconciliare tutti i punti di vista nell’ottica di questo principio di carità.

    Il Santo Padre non ha il calibro filosofico di un San Giovanni Paolo Magno, e non ha il bagaglio e la finezza teologica di un Benedetto XVI, su questo non ci piove, troppe sono state le toppate su ambo i piani quando parla a titolo personale e non magisteriale, però quel che il Santo Padre Francesco sul piano umano porta meravigliosamente alla Chiesa è la sua qualità di manager.

    Francesco ragiona da manager, da persona che di fronte ad un problema cerca di trovare delle soluzioni che “funzionano”, cioè siano efficaci ed efficienti. Orbene, ogni manager sperimentato, basa se lue proprie azioni su un sistema euristico che funziona sufficientemente ben in un gran numero di casi.

    L’euristica è tutta’altro che un procedimento scientifico di secondo ordine: è la metodologia regina per scoprire nuove sponde intellettuali, cognitive e pratiche.

    Benché non rigorosa essa è caratterizzata dalla sua praticità nel prevedere risultati e quindi di andare avanti per scoprire nuovi lidi: la logistica seguirà, le dimostrazioni formali seguiranno. Esempio di affermazioni euristiche che funzionano ma non si sa bene, a priori, perché sul piano intellettuale benché ci siano congetture: “l’80% dei problemi si risolvono da soli”, “bisogna concentrarsi sul 20% dei problemi che conducono all’80% di soluzioni”, “meglio vale un cattivo deal che un buon processo”, “è quando uno è debole che è, in realtà il più forte” etc etc

    Anche in matematica abbiamo tantissimi esempi di algoritmi / procedimenti euristici come ad esempio qui https://it.wikipedia.org/wiki/Problema_del_commesso_viaggiatore.

    È perfettamente lecito al Santo Padre di fare affermazioni che sono valide da un punto di vista euristico come le quattro citate da P. Scalese : alcune saranno poi dimostrabili in sede filosofica , teologica, scientifica, altre no, semplicemente “funzionano”!

    Questa del tempo superiore allo spazio quale illustrata nella Evangelii Gaudium è sicuramente l’affermazione di qualcuno che ha l’esperienza del management e del vissuto umano e che esprime una convinzione profonda : “con il tempo tutto si risolve e non bisogna sempre tentar e di voler risolvere tutto oggi e dappertutto, questo è uno spreco di tempo e di efficienza ed è nei fatti quasi sempre controproducente” .

    Allora certo, questa volta, per davvero mi sembra aver capito il Santo Padre e capace di spiegarlo intorno a me secondo il “Principle of Charity” da buon cattolico.

    E, per giunta, come ben suggerito da Daniele nel post precedente, ora abbiamo anche la “Chiave Ermeneutica” del pensiero di Papa Francesco: euristica manageriale. E ci permette di capirne ormai lo stile d’azione.

    Se quest’ipotesi è vera allora di sicuro Papa Francesco sta trasformando la Chiesa per ridargli quell’impeto che aveva perso in due / tre secoli di attacchi dalla società civile sul piano culturale e etico: vuole una Chiesa del “buon senso” e dove c’è “buon senso” siamo vicini al “senso comune”, cioè al sano realismo filosofico: non bisogna mai averne paura.

    Anzi, mi si permetta per chiudere una provocazione finale voluta: tutti dogmi cattolici sono, senza eccezione, affermazioni euristiche…

    In Pace

    • Per Simon

      “Se quest’ipotesi è vera allora di sicuro Papa Francesco sta trasformando la Chiesa per ridargli quell’impeto che aveva perso in due / tre secoli di attacchi dalla società civile sul piano culturale e etico: vuole una Chiesa del “buon senso” e dove c’è “buon senso” siamo vicini al “senso comune”, cioè al sano realismo filosofico: non bisogna mai averne paura.”

      Senza contare che, citando uno dei documenti più importanti del Concilio Vaticano II, la Lumen Gentium al paragrafo 12
      http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen-gentium_it.html

      “Il popolo santo di Dio partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll’offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome suo (cfr. Eb 13,15). La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando « dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici » mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale”.

      Questi concetti di sensus fidei fidelium sono del tutto assenti prima del Concilio Vaticano II.

      Questa è uno dei (tanti) approfondimenti che erano necessari e per i quali si è reso necessario il Concilio, e che ci fa capire diverse decisioni della Chiesa attuale in temi di morale ed etica.

      • Sensus fidei fidelium c’è sempre stato nell’insegnamento della Chiesa: aggiornati. 😉
        In Pace

        • Ma non inteso nel modo in cui lo ha inteso la Lumen Gentium, mi pare.

        • O per meglio dire, inteso come “istinto di Fede della Chiesa” come Magistero siamo d’accordo sul fatto che ci fosse anche prima, ma è altrettanto indubbio che prima del Concilio Vaticano II 4. esisteva il concetto di una sepurazione nettissima tra
          Chiesa docente (Ecclesia docens) e Chiesa discente (Ecclesia discens).

          Il Concilio ha indubbiamente abolito questa netta separazione. E senza l’abolizione di questa separazione non sarebbe nemmeno stato possibile porsi al “centro” tra la norma del Magistero e la pratica della maggioranza dei fedeli su molte questioni con l’epikeia, perché se lo Spirito Santo assistesse solo e soltanto la Chiesa docente sarebbe ovvio che ogni volta che un fedele la pensa su qualche argomento in modo contrario al Magistero sarebbe o per ignoranza incolpevole o colpevole o per durezza di cuore (colpevole).

          In un contesto del genere l’epikeia in varie circostanze morali nelle quali la coscienza del fedele diverge dal Magistero.

          In particolare prima del Concilio, se c’era il sensus fidei fedelium inteso come senso di Fede della Gerarchia, mancava molto il concetto di sensus fidei fidelis, che riguarda il credente.

          Cito da qui http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html

          “Grazie al sensus fidei fidelis, e col sostegno della prudenza soprannaturale donata dallo Spirito, il credente è in grado di percepire, all’interno dei nuovi contesti storici e culturali, quali possono essere i mezzi più adatti a rendere una testimonianza autentica alla verità di Gesù Cristo e di conformarvi le proprie azioni. Il sensus fidei fidelis riveste così una dimensione prospettica nella misura in cui, fondandosi sulla fede già vissuta, permette al credente di anticipare uno sviluppo o un’esplicitazione di una data prassi cristiana. In forza del legame reciproco fra la pratica della fede e l’intelligenza del suo contenuto, il sensus fidei fidelis contribuisce affinché emergano e siano illuminati determinati aspetti della fede cattolica che prima erano solo impliciti; e in forza del reciproco legame fra il sensus fidei del credente e il sensus fidei della Chiesa in quanto tale, ovvero il sensus fidei fidelium, tali sviluppi non sono mai soltanto privati, ma sempre di natura ecclesiale. I fedeli sono continuamente in relazione gli uni con gli altri, come pure con il magistero e con i teologi, nella comunione ecclesiale.”

          Altro concetto importantissimo, che si ricollega direttamente ad alcune problematiche del nostro tempo, come quelle trattate in Amoris Laetitia

          “73.Ciò che è meno noto, e a cui si presta minore attenzione, è il ruolo giocato dai laici nello sviluppo dell’insegnamento morale della Chiesa. È dunque importante riflettere anche sulla funzione esercitata dal laicato nel discernere la concezione cristiana di un adeguato comportamento umano, in accordo con il Vangelo. L’insegnamento della Chiesa si è sviluppato talora, in ambiti particolari, a seguito della scoperta da parte dei laici che nuove situazioni avanzavano nuove esigenze. ”

          Questo concetto, ad esempio, è negato strenuamente dai tradizionalisti, e non c’è da stupirsene, perché la Chiesa tridentina aveva ridotto davvero all’osso l’importanza del laicato e della coscienza personale in merito alla dottrina morale.

          Altro punto importante

          “i) Fra il canone 20 del concilio d’Elvira (circa 306), che vietava al clero e ai laici di percepire interessi, e la risposta Non esse inquietandos di papa Pio VIII al vescovo di Rennes (nel 1830)[87] vi è un chiaro sviluppo nell’insegnamento dovuto sia al comparire di una nuova sensibilità fra i laici coinvolti negli affari sia a una nuova riflessione da parte dei teologi sulla natura del denaro.”

          E io aggiungo che questo è avvenuto e sta avvenendo anche riguardo a molte situazioni personali che coinvolgono i fedeli, ad esempio riguardo alla gestione della propria vita privata, dei propri sentimenti e delle proprie manifestazioni affettive. Una nuova comprensione che nei secoli passati non c’era.

          E direi che quest’altra citazione

          “80. Accade tuttavia che in certe occasioni la recezione dell’insegnamento del magistero da parte dei fedeli incontri difficoltà e resistenze; in tali situazioni occorre allora un’azione adeguata da entrambe le parti. I fedeli devono riflettere sull’insegnamento che è stato dato, facendo del loro meglio per comprenderlo e accoglierlo. Resistere per principio all’insegnamento del magistero è incompatibile con un autentico sensus fidei. Il magistero deve ugualmente riflettere sull’insegnamento che è stato dato ed esaminare se non vi sia spazio per chiarirlo o riformularlo al fine di comunicarne il messaggio essenziale in maniera più efficace. Questi sforzi comuni in momenti di difficoltà esprimono essi stessi la comunione che è essenziale alla vita della Chiesa; essi esprimono altresì un’aspirazione a ricevere la grazia dello Spirito che conduce la Chiesa «a tutta la verità» (Gv 16,13).”

          Chiude il cerchio con quanto stavo affermando e secondo me rende ragione soprattutto della epikeia che la Chiesa ora ha deciso di applicare dando rilievo non più solo alla Legge, ma finalmente anche alla coscienza.

          • Ho scritto

            “In un contesto del genere l’epikeia in varie circostanze morali nelle quali la coscienza del fedele diverge dal Magistero.”

            Dopo “diverge dal Magistero” dovevo scrivere “non avrebbe senso”.

            La frase corretta è: In un contesto del genere l’epikeia in varie circostanze morali nelle quali la coscienza del fedele diverge dal Magistero non avrebbe senso.

            E ho notato che nel testo c’è un “4” di troppo, scusate.

    • Senza aver meditato o quanto meno letto la lumen gentium specie in quel punto (ma più in generale nella sua totalità) non è possibile capire il grande rilievo che si da all’epikeia e alla coscienza del fedele nella Chiesa di oggi.

      Nè si capirebbero cose come questa http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1344740 o l’epikeia di Al verso chi vive in situazioni irregolari.

      Dal mio punto di vista Lumen Gentium chiarisce che lo Spirito Santo guida non solo il Magistero ecclesiastico, ma l’intero popolo di Dio e ricompatta lo “scisma sommerso” tra Magistero e fedeli su alcune questioni dando più risalto e rilievo alla coscienza personale.

      Se infatti la totalità dei fedeli non può sbagliare in temi di Fede e di Morale, e su questi alcuni di questi temi c’è uno strappo profondo tra ciò che insegna il Magistero e la vita dei fedeli, è evidente, visto che nemmeno il Magistero può sbagliare su questi temi, che in questo caso bisogna porsi al “centro” tra la norma e la pratica, con l’epikeia, per l’appunto.

    • Eheheh ed ecco checsul finale spunta il solito guizzo sorprendente di Simon che meriterebbe un approfondimento. Ma fermo gli ardori, ci sarà SPAZIO e TEMPO se Dio vorrà. Grazie ancora!

    • Da questa angolazione si comprende quale grazia ci ha fatto lo Spirito dandoci q0uesti due papi nello stesso tempo.pensate se Benedetto fosse morto che disastrose divisioni nella Chiesa

      • Pienamente d’accordo. Già ci sono divisioni adesso, e questo Papa sta incontrando fortissime resistenze per gli insegnamenti perfettamente ortodossi (come dimostrato anche da questo blog) di Amoris Laetitia -per farvi un’idea di tale resistenza http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2016/07/rivelati-i-nomi-dei-45-studiosi-critici.html – nonostante il Papa emerito non abbia mai sconfessato Francesco, nè vi si sia opposto, ANZI, figuriamoci se fosse morto.

        Hai pienamente ragione, Daniele, sarebbe stato un autentico disastro. Grande osservazione.

  3. Ho appena finito di leggere questo articolo http://www.cittadellaeditrice.com/munera/alla-scoperta-di-amoris-laetitia-20-intervista-per-la-rivista-ihu-on-line/ del teologo Grillo, e devo dire che pur sostenendo egli cose inaccettabili alcune volte (come la teoria della “morte del matrimonio sacramentale”, chiaramente inaccettabile nel cattolicesimo) questa volta ha dato una buona, anzi ottima, descrizione di Amoris Laetitia e del mondo di intendere la coscienza, il rapporto tra Legge e coscienza, la collegialità e via dicendo che questo Papa sta imprimendo alla Chiesa nel suo Pontificato.

    In particolare, visto che sulla coscienza ho già parlato, cito queste parole di Grillo sul Magistero

    “cambia il magistero: il rapporto tra autorità centrali e autorità periferiche risulta profondamente modificato. Il papa aveva appreso a risolvere le controversie mediante una norma ecclesiale che riservava a sé la decisione. Francesco utlizza la pripria autorità per investire di autorità Vescovi e presbiteri. Passa dalla logica del Motu Proprio a quella dell Motu Communi”.

    E questa è un’altra cosa che avevo detto anche io nei giorni scorsi. Con Benedetto XVI e San Giovanni Paolo II si era assistito, a mio parere, ad una “ri-romanizza zone”, ricentralizzazione che era a mio avviso di segno opposto a quella che ci si era proposto durante il Concilio Vaticano II.

    Lo stesso dicasi per il rapporto tra coscienza e legge (sebbene il documento che ho postato prima sulla contraccezione sia del 1997).

    Insomma, nei Pontificati post Papa Roncalli si erano fatti a mio avviso molti passi indietro dalle Aperture del Concilio.

    Con Papa Francesco è tutto diverso anche perché, come ha rilevato Andrea Grillo, è un Papa figlio del Concilio, non è uno dei padri che vi avevano partecipato. Perciò per lui la Chiesa post conciliare è “naturale”, così come gli sviluppi del Concilio stesso. Non vede il Concilio come un cavallo pazzo da domare e/o imbrigliare il più possibile.

    E che i Pontificati successivi a Roncalli portassero ancora molte delle caratteristiche pre conciliari, quasi come se il Concilio si volesse “nasconderlo sotto il tappeto”, non sono io a dirlo, ma il Papa stesso.

    Cito da qui http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/intervista-repubblica-papa-francesco.aspx

    “Il Vaticano II, ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna – per Bergoglio – I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare”.

    E in effetti lo sta facendo. Ecco perché sta incontrando tutta questa resistenza da parte dei conservatori.

    • Credo che Vincent abbia ragione solo in parte, ma purtroppo ha ragione. Da un lato infatti c’è un piccolo cortocircuito logico nell’argomentare di Vincent, che vorrei fargli notare. Egli accosta la frase “è stato fatto molto poco in quella direzione” di “ecumenismo religioso e dialogo coi non credenti” alla sua affermazione che proprio per questo papa Francesco è così attaccato dai conservatori. Laddove Vincent stesso sa (perché l’ha sperimentato anche lui su queste pagine) che il motivo maggiore per cui le posizioni di Papa Francesco sono contestate (Amoris Laetitia) non riguardano l’ecumenismo religioso e il dialogo coi non credenti, ma le norme morali interne: che c’azzecca la comunione ai divorziati risposati col dialogo coi non credenti? Attenzione quindi a non accostare in modo incongruo.

      • Dall’altra parte però dicevo che Vincent “purtroppo ha ragione” a dire che il Papa parla (sembrerebbe parlare) in modo negativo dei pontificati precedenti; la critica – attribuita in questo articolo al Papa – alla mancanza di progressi in termini di ecumenismo e dialogo religioso, è innegabile.
        Dico “purtroppo ha ragione” perché trovo queste frasi di Papa Francesco decisamente deludenti. Si salva un po’ (rispetto a Vincent che include tutti i papi post-concilio insieme…) Paolo VI, ma non si cita affatto Giovanni Paolo II, e il suo / i suoi incontri di Assisi per la pace. E l’incontro in sinagoga col Rabbino. Per non parlare dell’analogo incontro di Benedetto XVI in sinagoga, ed il suo analogo incontro alla Mosche Blu con la parte musulmana…
        Quindi riassumendo: Minstrel, vengo bannato se dico che stavolta la si è fatta un po’ fuori dal vaso? Ripeto, sono assai deluso da queste parole. Ovviamente se qualcuno di voi mi spiega ancora una volta il senso recondito… mi dice che in realtà papa Francesco evidentemente intendeva… comunque non mi tolgo dalla mente l’impressione che talvolta papa Francesco, per continuare a rispettarlo, non devo leggerlo… o almeno non leggerlo con attenzione…

        • Come ti ho detto Marco, penso che il Papa si riferisse più “globalmente” allo spirito dei Papi post conciliari che lo hanno preceduto.

          Ecumenismo religioso e dialogo coi non credenti infatti va a braccetto con la questione della coscienza e il suo rapporto con la legge. Non sono questioni slegate come sembri addurre tu.

          Infatti il mettere davanti alla coscienza della persona una legge “spietatamente” oggettiva per la quale non c’è epikeia che tenga, assumendo che dove la coscienza del fedele contrasta col Magistero è spesso per durezza di cuore colpevole, non può non ripercuotersi anche nel dialogo con l’ateo e col musulmano/buddista/ebreo/induista.

          Infatti la Chiesa non può essere “in uscita” per quanto riguarda i non credenti e gli appartenenti ad altre religioni e contemporaneamente ripiegarsi su se stessa di fronte alle difficoltà e alle esigenze dei fedeli.

          Ci siamo, Marco?

          Questo Papa incarna il CVII, nè più nè meno, ecco perché non piace ai conservatori, secondo me. Che poi nei due pontificati antecedenti a questo il Concilio si sia cercato, se non a parole almeno nei fatti, di “disinnescarlo” (e non mi riferisco solo alla questione del l’ermeneutica della continuità, sacrosanta, ma a tutto l’insieme), mi pare davvero difficile da negare.

      • Per Marco

        “Credo che Vincent abbia ragione solo in parte, ma purtroppo ha ragione. Da un lato infatti c’è un piccolo cortocircuito logico nell’argomentare di Vincent, che vorrei fargli notare. Egli accosta la frase “è stato fatto molto poco in quella direzione” di “ecumenismo religioso e dialogo coi non credenti” alla sua affermazione che proprio per questo papa Francesco è così attaccato dai conservatori. Laddove Vincent stesso sa (perché l’ha sperimentato anche lui su queste pagine) che il motivo maggiore per cui le posizioni di Papa Francesco sono contestate (Amoris Laetitia) non riguardano l’ecumenismo religioso e il dialogo coi non credenti, ma le norme morali interne: che c’azzecca la comunione ai divorziati risposati col dialogo coi non credenti? Attenzione quindi a non accostare in modo incongruo.”

        In realtà, Marco, direi che è tutto collegato. Quando il Papa dice “molto poco fu fatto in quella direzione” secondo me parla un po’ di tutte le istanze del Concilio.

        Ad esempio, è vero che San Giovanni Paolo II fu attivo nell’ecumenismo, a modo suo, ma in tema di morale soprattutto sessuale era estremamente conservatore, forse il Papa più conservatore in assoluto del post concilio.

        E anche in termini di collegialità, che è il leitmotiv del Concilio, mi pare evidente che nel suo Pontificato avessimo assistito ad un riromanizzazione e ricentralizzazione antitetica alle istanze conciliari.

        Perciò il discorso è complesso. Secondo me su questo Grillo ha ragione: Papa Francesco è attaccato perché è il primo Papa REALMENTE post conciliare, figlio del Concilio e non Padre dello stesso.

        I papi post Roncalliani hanno diciamo, su molti aspetti, “congelato” le istanze del Concilio, Papa Francesco invece le sta semplicemente applicando. Non solo su liturgia (applicata in pieno già prima) ed ecumenismo (dove avevamo visto dei miglioramenti e dei passi in avanti) ma anche sul rapporto tra coscienza e legge, specie sulla morale sessuale, sulla collegalità e più in generale sullo “spirito” che deve guidare la Chiesa.

        Si critica Papa Francesco perché non si era pronti ad un Papa che accettasse il Concilio per quello che è e che lo applicasse invece che “frenarlo” in ogni modo. Mia umile opinione, sia chiaro.

        Ma secondo me i cattolici che accettano davvero il Concilio Vaticano II e non vorrebbero “nasconderlo sotto il tappeto”, tra quelli che scrivono sul web sono davvero pochi.

        • …insomma Vincent, tu rimani sulle tue posizioni (e vabbé… nessuno può fare una colpa all’altro di questo, soprattutto su forum e blog dove non ci si vede… e dove in genere difficilmente esse cambiano, reciprocamente…). D’altro canto la tua risposta è così articolata e garbata che in qualche modo devo rispondere… anche se, come sa chi ha la sventura di leggermi, la mia prosa è torrentizia: si sfoga magari con cinque post e poi sta assente per mesi.
          Allora, cosa devo dire. E’ ovvio che (ed è proprio qui piuttosto, per me, la brutta generalizzazione delle parole di PF) dal concilio vaticano II ad oggi, soprattutto a livello di clero comune / di semplici sacerdoti, ci possono essere stati quei sacerdoti poco ecumenici (cattiva formazione).
          Per quanto riguarda però l’ecumenismo di un Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (e quindi anche sulla concreta possibilità che coesistano l’apertura al dialogo e una pastorale non rigida, ma rigorosa – sono due cose diverse)… dicevo per quanto riguarda ciò mi spiace ma questo è fuori discussione. Basta leggersi il discorso di Giovanni Paolo II alla sinagoga del 1986. Papa Wojtyla descrive la sua visita come sviluppo necessario del Concilio Vaticano II e della Nostra Aetate, e cita proprio quella Lumen Gentium che, qualche post più sopra, tu vorresti maggiormente messa in pratica…
          Basta, adesso mi taccio di nuovo. Un saluto.

          • Per Marco

            “insomma Vincent, tu rimani sulle tue posizioni (e vabbé… nessuno può fare una colpa all’altro di questo, soprattutto su forum e blog dove non ci si vede… e dove in genere difficilmente esse cambiano, reciprocamente…). ”

            Ma certo. Come ho scritto oggi pomeriggio nel commento a fondo pagina che è stato appena pubblicato, si tratta di sensibilità diverse che ben difficilmente posso essere ricondotte “ad unum”.

            “Per quanto riguarda però l’ecumenismo di un Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (e quindi anche sulla concreta possibilità che coesistano l’apertura al dialogo e una pastorale non rigida, ma rigorosa – sono due cose diverse)… dicevo per quanto riguarda ciò mi spiace ma questo è fuori discussione. Basta leggersi il discorso di Giovanni Paolo II alla sinagoga del 1986. Papa Wojtyla descrive la sua visita come sviluppo necessario del Concilio Vaticano II e della Nostra Aetate, e cita proprio quella Lumen Gentium che, qualche post più sopra, tu vorresti maggiormente messa in pratica…”

            Hai ragione, ma infatti io stesso ho ammesso più sopra che sull’ecumenismo erano stati fatti passi in avanti.

            Cito da qui le mie parole

            “I papi post Roncalliani hanno diciamo, su molti aspetti, “congelato” le istanze del Concilio, Papa Francesco invece le sta semplicemente applicando. Non solo su liturgia (applicata in pieno già prima) ed ecumenismo (dove avevamo visto dei miglioramenti e dei passi in avanti) ma anche sul rapporto tra coscienza e legge, specie sulla morale sessuale, sulla collegalità e più in generale sullo “spirito” che deve guidare la Chiesa.”

            Come vedi non ho problemi a riconoscere che San Giovanni Paolo II e il Papa Emerito abbiano fatto passi in avanti riguardo all’ecumenismo, ma il Concilio Vaticano II non trattava solo di ecumenismo, ma anche, per l’appunto, del rapporto tra coscienza e legge, specie riguardo alla morale sessuale, della collegialità dell’episcopato e dello stesso spirito che deve adottare la Chiesa.

            Uno spirito che non può che portare ad una pastorale all’insegna di un maggiore ruolo affidato alla coscienza dell’uomo, che non si può più uniltaralmente presumere come colpevolmente indurita ogniqualvolta diverge dal Magistero su alcune questioni morali.

            Una Pastorale che è chiamata ad accompagnare e a formare le coscienze, tenendo conto del bene possibile, della situazione concreta della persona e dei suoi bisogni, è una pastorale in linea col Concilio, una Pastorale più “rigorosa”, dove il principio viene sopra tutto, mi spiace dirlo ma è incompatibile con l’epikeia pastorale, che per l’appunto cerca di porsi al centro tra l’ideale astratto e la situazione pratica del fedele.

            Molti cattolici erano abituati ad una Chiesa dove l’ideale, il principio, era l’unica cosa che contava, quantomeno “ufficialmente”, ma questa a mio avviso è una forma di kantismo, non ha nulla a che vedere con quello che deve essere il realismo cattolico.

            Io non ho paura di dire che amo questo Papa e la sua idea di Chiesa, perché è anche la mia, e che spero che si continui così anche nel prossimo pontificato, che rappresenterà la chiave di volta, secondo me, per confermare la linea di Francesco.

            Tuttavia, come ho scritto anche a fondo pagina, capisco che chi ha uno spirito più conservatore non possa amare la linea presa dalla Chiesa attualmente, semplicemente perché non può incontrare la sua sensibilità.

  4. Papa Francesco predilige anche il prisma alla sfera (tanto amata invece da Parmenide e dai greci). Sarebbe interessante approfondire anche questa intuizione euristica di una ‘ontologia ‘prismatica’ dove la realtà – l’Essere – è più simile ad un poliedro con diverse facce, dove non tutti suoi punti sono equidistanti dal centro, con pareti lisce ma anche spigoli appuntiti. Potrebbe essere la fine di tutti gli idealismi e le filosofie della totalità astratta che uccide il concreto.
    Riguardo invece al tempo ‘superiore allo spazio’, forse si potrebbe passare dal pastorale al teologico semplicemente ricordando che per il cristiano il tempo è sempre ‘tempo di redenzione’ (o perdizione), verticalizzato, non meramente ‘ciclico e spazializzato’, come per i greci. Non vi è un eterno ritorno dell’identico. “A Lui tende tutto il corso degli eventi, in Lui, come la periferia verso il centro convergono tutti i raggi del tempo”, ebbe a dire Teofane il recluso.
    Questo è essenziale, perché – scusate il gioco di parole – alla ‘fine dei tempi’ non si avrà propriamente più ‘tempo’ da spendere nel bene o nel male: avremo finito le riserve a nostra disposizione.
    Allora finché c’è tempo è necessario avviare processi, essere lievito, sale della terra. Ricordiamo la parabola dei talenti. Lo stolto ha voluto ‘mantenere la sua posizione’ nello spazio, ha sotterrato ciò che gli era stato donato. Il savio invece -finché poteva – ha ‘trafficato’, ha avviato dinamiche e processi di redenzione propria e altrui, ha fatto circolare e fruttificare ciò che ha ricevuto. Ha amato. E che cos’è l’amore sé non la vittoria dell’unità sopra il contrasto e la divisione, sopra l’asfissiante autofagìa dell’ astratta identità Io=Io?
    Ecco che allora quei 4 punti potrebbero forse essere meno oscuri di quel che sembrano…

    Un salutone
    Mauro

    • Ecco sguardi che illuminano e danno fiato! Grazie Mauro!
      In Pace

    • Volendo riportarlo ancora più al concreto, si potrebbe dire che il Papa Francesco non sia interessato alla conquista e consolidamento del potere del suo papato (Spazio, cioè la convizione degli scettici e di quelli che lo contestano) , ma bensi a porre le basi per un processo (tempo) di “cambiamento” o meglio di “crescita” nella pastorale (e quando la pastorale cambia pesantemente è difficile sostentere eternamente che non sia cambiata nella sostanza anche di un po di dottrina).
      Lui sceglie senz’altro di seminare nel cuore e nella mente dei cristiani (di tutti i cristiani, clero e laici) nuove o più ampie possibilità di lettura della parola e della dottrina, lasciando poi che negli anni e secoli futuri sia lo Spirito a vagliare questo seme ed a decidere se va fatto crescere, confidando nel fatto che la Chiesa è portata da Dio, e qualsiasi cose le riservi il futuro sarà volontà del Signore.
      Il suo messaggio è proiettato al futuro e poco conta se il presente non lo accoglie pienamente.
      D’altra parte la resistenza è la critica sono la conferma che c’è qualcosa di diverso.

      • Io posso dirti, Mentelibera, che la stragrande maggioranza dei cattolici accoglie con gioia Papa Francesco.

        Sul web e i “cattolici militanti” che scrivono in molti siti il discorso è più complesso, ma sarebbe errato volerne trarre delle conclusioni universali. 🙂

        Ad ogni modo per il resto concordo. Papa Francesco non ha fatto altro che riprendere ad innaffiare il seme piantato 50 anni fa, nè più nè meno.
        Già solo la chiarezza sul rapporto tra misericordia e Giustizia rappresenta una sostanziale novità.

        Certo, la Misericordia di Dio è sempre stata predicata, ma precedentemente era sempre messa al pari o subordinata alla Giustizia, quando invece è l’attributo maggiore di Dio.

  5. Rispondo qui a questa frase di Marco

    “comunque non mi tolgo dalla mente l’impressione che talvolta papa Francesco, per continuare a rispettarlo, non devo leggerlo… o almeno non leggerlo con attenzione…”

    Guarda Marco, ora parlerò con franchezza, perché ritengo che in questi casi sia la cosa migliore: Papa Francesco non potrà MAI piacere ai conservatori.

    Questa è la pura e semplice realtà dei fatti, inutile girarci intorno. Esattamente come una persona con la sensibilità religiosa mia o di Mentelibera è assai difficile, se non impossibile, che si trovi d’accordo con un conservatore, per il semplice motivo che abbiamo due modi di intendere la Chiesa e Dio, due “sensibilità”, per l’appunto, estremamente diverse, oserei dire drasticamente incompatibili.

    La differenza è che, almeno io, quando c’erano Papi che, pur rispettandoli e amandoli, come San Giovanni Paolo II, non incontravano la mia sensibilità, non li diffamavo quotidianamente e incessantemente come fanno i conservatori in rete con Papa Francesco.

    E ti dirò di più: se dopo Papa Francesco dovesse essere eletto ad esempio uno come il Cardinale Burke, che per me è l’archetipo esatto di come NON deve essere la Chiesa, lo accetterò e non passerò di certo le mie giornate ad infamare un Santo Padre che, in quel caso, non potrebbe essere più lontano, sideralmente lontano, dalla mia sensibilità.

    Ci siamo capiti? Io penso che il prossimo Papa sarà il Cardinale Tagle, anche perché non credo che un Papato come questo sia di “transizione”, ma sia al contrario un nuovo inizio sul unle costruire, ma il discorso che ho fatto rimane. Io accetterei e pregherei anche per un Papa come Burke o come il Cardinale Sarah, che rappresentano quanto di piu antitetico esista alla mia idea di Chiesa.

    Io non ho mai pensato che i conservatori dovrebbero “apprezzare” Francesco. È impossibile, perché è troppo diverso da loro su troppi aspetti. Mi aspetterei, però, che perlomeno la smettessero di creare tutte queste divisioni e di fare tutta questa resistenza nella Chiesa.

    Tutto li.

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