“Dell’arte e della Fede”: un viaggio a due voci – 01 (Sulla Fiducia)

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Nostalgia, Andrei Tarkovsky

Perché noi al caso non ci crediamo, ecco.

Durante questi mesi nei quali volente o nolente Massimo Selis, regista del corto “il suono della vita”, ha dovuto contattarmi via mail o telefonicamente per comprendere quale direzione musicale dare al film che andavamo producendo, si è ovviamente approfondita la nostra conoscenza. Colloqui quasi rubati alla nostra vita quotidiana, fra un set cinematografico che lascia sempre poco tempo e una rapida corsa in macchina da casa allo studio di registrazione. Eppure in quella decina di minuti riannodavamo i fili interrotti riprendendo sia a lavorare sul corto che a discutere di svariati argomenti che regolarmenete toccavamo. Argomenti disparati, eppure quasi tutti legati da un fil rouge preciso: il senso di essere cristiani oggi, qui ed ora.

E allora ci è venuto in mente, intuizione avuta da entrambi nel medesimo tempo (e noi al caso non crediamo), di condividere queste nostre riflessioni. E farlo attraverso questo blog mediante una “intervista doppia”. O meglio ancora, farlo attraverso un articolo scritto a quattro mani dove ognuno di noi chieda all’altro una riflessione dalla quale artire per un viaggio a due. Senza uno schema preciso, come fosse in fondo una delle nostre telefonate, eppure certamente non casuale.

Perché si, noi al caso non ci crediamo, ecco.

Ed allora eccomi qui ad iniziare questo articolo, aprendolo con una domanda di rito ma che – conoscendo in parte la possibile risposta – apre già a delle suggestioni importanti. Pronto Massimo? Eccola qui:

MG: Carissimo Massimo, ma come hai fatto ad affidare le musiche del tuo corto (a tuo dire aspetto particolarmente importante di questo lavoro) ad uno che non sai che studi aveva compiuto, che lavori aveva prodotto, che ti è stato consigliato da un amico in comune che per altro egli non conosce personalmente e soprattutto non hai mai visto negli occhi? D’accordo la disperazione, ma qui, a costo di sbagliarmi, c’è sotto qualcosa d’altro. No?

MS: Ecco, carissimo Mauro, partirei proprio dalla disperazione! Scherzo ovviamente. Non mi riferisco a quella a cui tu accenni, ma appunto alla disperazione, come affezione dello sguardo, come velo calato sugli occhi. Se prendessimo un cannocchiale e lo puntassimo  di giorno verso il cielo, ognuno in un luogo diverso della Terra, a ciascuno sarebbe data di scrutare una diversa porzione di azzurro, una diversa flotta di nubi. Se però attendessimo pazienti la notte e puntassimo il nostro fedele strumento un po’ più in là, verso quel nero che ci sovrasta, puntellato di luci, ecco che allora lo scenario apparirebbe uguale per tutti. Bisogna vedere, caro Mauro, dove puntiamo il nostro cannocchiale. Ci sono ferite che aprono lo sguardo, sono come il foro del cannocchiale; da qualunque parti tu ti trovi, se miri bene, è l’universo tutto che ti si spalanca. È il dolce e tragico destino di chi cerca di seguire ad esempio una vocazione artistica.

Fin da ragazzo avvertivo che questo mondo avesse perduto la fiducia, avesse dimenticato la capacità di trasfigurare il reale. Certo, era solo una sensazione, ma via via che la vita mi ammaestrava con bonaria durezza, questa sensazione si è fatta sempre più nitida. Mi ricordo come diversi anni fa ebbi prima la grazia di fare il cammino degli Esercizi Spirituali nella Vita Ordinaria (E.V.O), un percorso durato due anni e successivamente anche la responsabilità di divenire a mia volta guida. Vedersi come ci vede Dio, vedere gli altri come li vede Dio: questo era un punto focale di tutto il cammino. Quanti filtri invece noi mettiamo davanti agli occhi, quante consuetudini, che ci sembrano innocue, ci atomizzano, mortificando lo sguardo e la percezione! Saper leggere dentro la propria anima e sentire gli altri come anime che lottano ogni giorno per non tradire la propria strada, credo che sia l’unico vero segno di conversione. Cosa conta il non esserci mai veduti in volto, il non sapere che percorso hai fatto, quale curriculum si possiede? Non è questa l’umanità per cui umilmente mi sforzo di scrivere. Dovremmo essere dei mattoncini di un ‘edificio spirituale’, delle anime risvegliate che sentono di condividere un destino comune, una chiamata che unisce. Vivere al livello della ‘propria personalità profonda’ insegnavano gli Esercizi Spirituali. Invece questa umanità si nasconde dietro gabbie che si è costruita da sé, felice e ignara della sua falsa libertà. Non si può testimoniare nulla senza fiducia, non si può costruire nessuna parete solida se le nostra fondamenta sono le consuetudini e le regole dei ‘curricula’, dei ‘progetti realizzati’ dei ‘premi da mostrare in bacheca’.

L’arte è l’unica attività dell’uomo che ha  come riferimento l’assoluto, l’ideale. Non si può scendere a compromessi, non si può aggiustare il tiro, perché altrimenti si rischia di non essere più sinceri. L’arte, quella vera intendo, è liberatoria tanto per chi la fa che per chi ne gode. L’artista è esigente e forse dalla sua piccola ferita non si accontenta di guardare le nubi che subito passano oltre l’orizzonte, ma resta in piedi la notte e indica agli uomini le stelle, sperando che essi non si fermino a guardare il suo dito. Caro Mauro, ho solo cercato di non tradire quello che  ho sentito dentro, da quando ci siamo parlati per la prima volta. Ho capito che non avresti abbandonato la barca e che anzi l’avresti guidata con me sino al porto, anche se allora non se ne vedeva traccia. Questo mi bastava, il resto era superfluo. Prova ne è, e correggimi se sbaglio, che anche in seguito, non ti ho mai domandato nulla sul tuo conto. Lo ammetto e spero di non sembrare disincantato, ma mi piacerebbe che ogni persona abbia almeno il desiderio di costruire le proprie relazioni in questo modo.

MS: Ho assolto il mio compito di intervistato e ora passo dall’altra parte e provo io a farti una domanda. Se io, come tu dici, ho deciso di affidarti le musiche di questo progetto senza spere nulla o quasi di te, vorrei sapere invece che cosa ti ha spinto a dedicare così tanto tempo, dedizione e creatività ad un progetto di uno sconosciuto, che stava aldilà del mare? Forse qualcosa ti muoveva dal profondo?

MG: Mi hanno insegnato che non si risponde ad una domanda con una domanda. Detto fatto: Cosa mi ha spinto ad accettare l’invito dell’allora poco conosciuto Simon ad andare a trovarlo a casa sua addirittura con tutta la mia famiglia? E prima cosa mi ha spinto ad aprire un blog dedicato al cristianesimo come Croce-Via insieme a lui, una persona ai tempi conosciuta solo virtualmente e della quale non conoscevo nemmeno la vera identità? E perché nel frattempo mi sono messo a scrivere musiche originali per teatri, da povero cantante qual sono, ben sapendo che la grandezza compositiva abita da un’altra parte? E agli inizi cosa mi ha spinto a salire su un palco non solo per cantare, ma per recitare senza per altro aver fatto scuole particolari? Prima ancora, chi me l’ha fatto fare di cominciare a studiare lirica e cimentarmi in concerti tecnicamente difficili, quando avevo già dimestichezza e la tecnica necessaria per affrontare i divertentissimi live di musica rock e musical? Ancora più indietro: chi o cosa mi ha spinto, alla veneranda età di quattordici anni, a seguire mio padre sulle cime più alte e sulle ferrate più esposte delle Orobie, senza tante corde di sicurezza, con passaggi di arrampicata anche non semplicissimi? E ancora, aprendo il ventaglio: cosa ha spinto me e mia moglie ad avere – in questo momento storico, in questa società suicida, con questi lavori precari a basso reddito, con il futuro incerto – tre figli? Chi me l’ha fatto fare di sposarmi con la prima ragazza conosciuta con la consapevolezza volontaria e volonterosa che sia “per sempre”?

Guarda, potrei andare avanti per ore. Ma la risposta credo sia una: mi ha spinto la fiducia che Simon ha messo nelle mie mani nell’invitare una intera famiglia di sconosciuti direttamente a casa propria, e la stessa che ha avuto nello spendere del tempo per un blog neonato con uno di cui non conosceva nemmeno il curriculum. E’ stata la fiducia del regista di Teatro Minimo sul fatto che le mie musiche fossero perfette per le sue storie, anche se tentennavo; la fiducia incondizionata dello stesso nella mia inedita abilità di recitazione mostratami quando mi ha proposto parti da protagonista senza nemmeno un provino. E ancora l’affidamento dell’insegnante di canto sulle potenzialità a me sconosciute della mia voce e quella avuta per affidarmi agli inizi delle parti importanti nei suoi concerti. E la fiducia di mio padre nelle mie forze e in quel sangue freddo necessario per affrontare abissi di 200 metri: lui sapeva sarebbe arrivato, io non ne sospettavo minimamente l’esistenza.

Inutile continuare carissimo, il fatto è questo: fiducia chiama fiducia, fiducia sprona fiducia. Senza il tuo entusiasmo nel propormi l’avventura, mai mi sarei arrischiato a scrivere una soundtrack cinematografica. Solo grazie all’apertura di credito gratuita che traspariva nelle tue  parole, mi sono sentito pronto. Perché non è solo volontà di sfida personale – che mi parrebbe autoinganno nietzchiano di superominidi spaventati – ma è la coscienza che senza fede non siamo nulla. La fiducia, la fede, non è che quello stimolo che ha guidato da sempre la mia vita, anche inconsapevolmente; l’unico che mi ha permesso di crescere davvero e di conoscere davvero quelle che sono le persone più importanti per me. Qualcuno dirà che sono stato fortunato, ma noi a questo stramaledetto caso non crediamo!

E la fiducia, se è vera, si ripaga con l’impegno massimo. Non solo perché un passo falso, fatto sopra pensiero o senza attenzione, ti fa cadere per 200 metri, ma soprattutto perché quella superficialità delude chi ti sta guidando e che fidandosi di te sapeva avresti fatto del tuo meglio.

Poi può succedere di tutto, bisogna essere pronti a misurarsi con l’errore e i propri limiti, ma i limiti non intaccano la fiducia, è il contrario: la fede intacca i limiti e a volte li supera. La fede in Dio demolisce i limiti dell’uomo, li travalica e ci si scopre santi in forza di questa fede nel Signore, nonostante il peccato originale. E’ la grazia santificante che tras-forma, forma trasfigurando, trans-guardando, va oltre cioè il nostro sguardo limitato e si affida a colui che tutto sa, al dabar del logos che agisce quale parola performatrice della realtà.

Senza fiducia, senza fede, l’uomo non è più uomo poiché è la nostra stessa condizione esistenziale ad essere una costante esposizione, viviamo 200 metri sospesi, nella più totale contingenza. E allora la sfida non è mostrare al mondo di oggi come sia “più bello” avere fiducia nell’altro, ma come sia necessario! La fede come dimensione dell’uomo e per l’uomo.

Sì, lo so caro Massimo, li vedo gli occhi che guardano in alto e li sento gli sbuffi: “è una scommessa”, “un azzardo!”, “facile parlare quando ti va tutto bene”.
Si, è azzardo, scommessa, è rischioso ed ora è facile parlare. Ma sollevo due appunti: primo, è rischio “calcolato” perché io sentivo che la fiducia non poteva essere malriposta: potevo tentare la scalata o la parte da protagonista o la scrittura di una OST o essere un buon marito e padre; secondo, noi siamo il risultato di una scommessa, di un azzardo, di un rischio che i nostri genitori hanno voluto fare. E siamo la prova di questa scommessa. La creazione stessa, dicendo un’eresia, è la prova della “scommessa di Dio”. Diciamolo meglio: l’esistenza stessa della creazione, tuttora in atto, è la prova della fiducia di Dio nei confronti dell’uomo. La fiducia muove il sole e le stelle che tu osservi con il cannocchiale. Con l’arte abbiamo fiducia di poter indicare le stelle agli uomini di passaggio, convinti che il nostro gesto mostri loro la bellezza di questa incondizionata fiducia divina. Che bello sapere che il nostro piccolo grande progetto sia nato da questa fede comune: fra noi stessi, fra noi e Dio.

Scriveva Arnobio il Vecchio «C’è nella vita un’azione o un affare d’importanza che non lo si promuova o lo si intraprenda o lo si inizi senza che preceda la fede? Viaggiate, navigate: non credete di ritornare a casa, dopo aver risolto gli affari in sospeso? Spaccate la terra con l’aratro e la riempite completamente con i vari semi: non credete di raccogliere le messi coll’avvicendarsi delle stagioni? Vi unite in matrimonio con patti coniugali: non credete che rimarranno puri e che saranno un’alleanza legittima per i coniugi? Accettate la prole dei figli: non sperate che si mantengano in buona salute e attraverso le tappe dell’età raggiungano il traguardo della vecchiaia?» ([255-327], Difesa della vera religione , II, 8).

Non si scommette la vita sapendo di poter perdere tutto se la sorte non ci arride, ci si affida invece ad una volontà superiore che vince sempre. Perché noi al caso non ci crediamo. Punto!

MS: Che aggiungere? La storia cristiana raccoglie i suoi primi figli sulle sponde di un lago. Dal litorale petroso si è chiamati a prendere il largo, a bordo di una piccola e povera barca di pescatori. Le acque misurano la nostra fede, ci staccano dalle certezze e dalle abitudini della terraferma. La fede è prima di tutto Mistero, attraversamento del non-ancora-conosciuto. Non tutto è visibile, i contorni sono sfumati, eppure, più ci si allontana dalla costa e più la pace ci avvolge. Il Centro non riposa dove tutto appare ordinato e tranquillo, ma proprio invece dove l’inaspettato governa. Se riuscissimo a vivere sempre in questo modo!



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46 replies

  1. “Solo grazie all’apertura di credito gratuita …, mi sono sentito pronto.”

    Quell’apertura di credito gratuita e sconfinata che ha Dio per l’Uomo… che ha avuto il Padre per me oserei dire.
    “Fiducia che chiama fiducia”, tanto che dopo anni di fiducia mai tradita, si può affermare: “si Padre, mi fido… ho fede in te”.

    Quella fiducia che l’Uomo sembra avere smarrito, in un mondo sfiduciato e sempre pronto al contrattacco o “all’attacco preventivo”, malfidato e malfidente …e per questo disperato!

    “Saper leggere dentro la propria anima e sentire gli altri come anime che lottano ogni giorno per non tradire la propria strada, credo che sia l’unico vero segno di conversione.”

    Si lo credo anch’io… credo anche vedere glia latri come anime che soffrono per i loro stessi errori, per la loro mancanza di fiducia in ciò che spesso non conoscono e perciò come non averne compassione?

    “L’arte è l’unica attività dell’uomo che ha come riferimento l’assoluto, l’ideale.”, ma che da tempo sembra aver smarrito ideali e riferimento, tanto che l’Arte (quella con la A maiuscola) sembra oggi completamente smarrita, perduta. Esercizio cerebrale, quando non semplice mercanteggiare, per supposti e supponenti “addetti ai lavori” … ma questa è un’altra storia.

    Grazie per questa bella riflessione/intervista a due voci ,-)

  2. E’ bello constatare come due amici speciali inizino a parlare di arte cominciando dalla fede, che è ‘quella cosa’ la quale trova posto precisamente nel cuore, come la stessa parola ‘credo’ (da kardìa) indica. Non parlo del cuore nell’accezione postmoderna, del miocardio dopato di sentimentalismo, ma dell’organo della Capax Dei, come capacità dell’infinito, di aprirsi con coraggio all’ulteriorità, a quel ‘di più’, tanto caro a Sant’Ignazio di Loyola.
    Come distingueva il buon San Vittore, ci sono tre occhi: l’oculus carnis, l’oculus rationis e l’oculus fidei. Questo terzo è appunto l’organo che ci distingue dagli altri esseri viventi, permettendoci di accedere ad una dimensione della realtà che trascende, senza negarla, ciò che viene colto dall’intelletto e dai sensi. Questo ‘terzo occhio’ è prerogativa anche dei veri artisti e degli asceti, in quanto entrambi hanno a che fare con la Bellezza. Non per niente i padri orientali hanno sempre definito l’ascetica “l’arte delle arti” e definita la conoscenza contemplativa derivata dall’ascesi più che filosofia, ma – appunto – filocalìa: amore per la bellezza, mostrando come l’arte delle arti non crea semplicemente l’uomo buono (che può ancora sguazzare in melme puramente filantropiche) ma in primis l’uomo bello, quale tratto luminoso e distintivo dei santi e….delle opere d’arte davvero ispirate da quella stessa Trascendenza.
    Detto questo, sappiamo benissimo che oggi, voi due, siete delle ‘mosche bianche’. Perché tratto distintivo – forza ma anche limite – dell’artista, a differenza dell’asceta, è sempre stato quello di vivere forse un po’ troppo estaticamente nel suo tempo, interpretandone lo spirito sovente in modo quasi profetico nei suoi esiti di bene (e di male), respirandone a pieni polmoni quel che Hegel chiamava lo ‘Objektiver Geist’. L’artista oggi pare abbia così perso sia l’oculus rationis che l’oculus fidei, impantanandosi nel solo oculus carnis. Ha perso la fede, in buona compagnia con questa umanità frastornata e idolatra, della quale assume il ruolo d’interprete fino agli esiti parossistici dell’ultima biennale di Zurigo, con 80 mila quintali di cluster composti da feci umane.
    Allora – mi chiedo e vi chiedo – come aiutare l’artista contemporaneo a riacquistare la sua fede, affinché possa esso stesso poi soccorrere – ridonando nuova luce e bellezza – questa povera famiglia umana allo sbando?
    Io sinceramente non so se vi è una risposta ragionevole a tale domanda, fin troppo velleitaria ed esigente, so però che qualcosa si potrebbe fare – ed i cristiani dovrebbero impegnarsi in questo – per ‘conservare il seme’ di una rinnovata filocalìa nell’arte, a cominciare da quella audiovisiva, che tanto è condizionata – e condiziona – l’uomo contemporaneo. Ciò affinché questo seme possa attecchire a tempo debito, anche se magari non saremo noi a raccoglierne i frutti, nella consapevolezza che vi è un Altro il quale non solo raccoglie, ma miete dove non ha (apparentemente) seminato.
    Un abbraccio fraterno!
    Mauro

    • Grazie Mauro per l’interessante riflessione. Alla tua domanda rispondo in modo sintetico, lanciando altre riflessioni. Chi vorrà, aggiungerà i propri commenti. Un artista, qualunque esso sia, porta con sé un talento, un dono ricevuto. Questo talento, va fatto fruttare, il che significa che deve crescere, prendere forma. Il talento insomma va indirizzato. L’ambiente in cui, specialmente in Italia, crescono gli artisti distorce invece questo dono, amplificando l’aspetto puramente individuale ed egocentrico del soggetto. Ne parlo in maniera più approfondita nelle mie risposte che seguiranno. Non voglio quindi svelare altro, però pongo queste ulteriori questioni che mi paiono doverose. Se l’artista ha bisogno di un ambiente sano dove far crescere il proprio talento, occorre domandarsi, perchè, specialmente in alcuni settori, si sia smarrita questa strada. Servono dei maestri, quindi. Aggiungo poi che gli artisti moderni vedono con disprezzo l’aspetto spirituale e religioso, come vero impedimento alla loro espressione. Forse che noi credenti siamo i primi responsabili di questo? Infine, chiediamoci se il pubblico vuole davvero l’arte con la A maiuscola. Spesso si ritiene che l’arte sia confortevole quando in realtà è prima di tutto scomoda, e solo per questo motivo, profetica.

      • Grazie Max, era la risposta che aspettavo. Attendo dunque un vostro approfondimento nella seconda parte dell’intervista 🙂

  3. Allora – mi chiedo e vi chiedo – come aiutare l’artista contemporaneo a riacquistare la sua fede, affinché possa esso stesso poi soccorrere – ridonando nuova luce e bellezza – questa povera famiglia umana allo sbando?
    Io sinceramente non so se vi è una risposta ragionevole a tale domanda,

    Io noncredo che l’artista , il musicista debba proporsi componendo una musica un intento caritatevole, se no parte già col piede sbagliato.
    Schubert , il grande Schubert, morto a trentadue anni, uomo di fede e cattolico, non si propose mai nella sua breve vita di “soccorrere” la famiglia umana ecc . ma la sua musica ancora oggi rende molte persone
    che l’ascoltano migliori o almeno più serene
    Io risponderei alla domanda di mauro: fate come Schubert cari musicisti!
    Componete della musica BELLA , anzi della musica SUBLIME , riversate nella vostra musica la vostra maestria e il vostro talento se ce l’avete .

    Non preuccupatevi di “soccorrere” non fate anche dell’arte un ospedale da campo, se no perderete l’arte e la vostra musica sarà brutta e insulsa e moralistica e non aiuterà nessuno.

    fate come Schubert! ( magari non c’è bisogno di morire a 32 anni.. 🙂 )

    • Il soccorrere non è ipso facto legato necessariamente alla charitas. Io ho un contratto con EuropAssistance e quando mi mandano il carro attrezzi non lo fanno certo per carità cristiana ;-). Dunque nessun intento smaccatamente caritatevole dell’artista: nemmeno Michelangelo ha scolpito La Pietà per pura carità. Che l’artista riscopra la fede e la Bellezza e la doni alla famiglia umana. Questo basta, il resto verrà dato in sovrappiù. Questo è ciò di cui l’uomo ha profondamente bisogno e chiunque lo faccia viene ad esso in soccorso. Siamo fondamentalmente d’accordo.
      Saluti

    • Zipoli pero` era missionario e gesuita e grande musicista:

      https://youtu.be/5FLoUFTV6CI?t=31m32s

  4. Se ce ne è uno che sia ben poco artista sono io, ma quest’intervista tra Massimo e Mauro è semplicemente meravigliosa, perché “vera” vita vissuta e non teoria.

    Mi interpellano particolarmente queste due espressioni di Massimo : “Ci sono ferite che aprono lo sguardo, sono come il foro del cannocchiale; da qualunque parti tu ti trovi, se miri bene, è l’universo tutto che ti si spalanca. …. L’arte è l’unica attività dell’uomo che ha come riferimento l’assoluto, l’ideale. Non si può scendere a compromessi, non si può aggiustare il tiro, perché altrimenti si rischia di non essere più sinceri. L’arte, quella vera intendo, è liberatoria tanto per chi la fa che per chi ne gode.”

    Ecco, riferendomi alla discussione sull’eviternità e sulla doppia natura dell’atto di osservazione umano, direi che l’artista è colui che permette all’eviternità di essere come ferita dalla temporalità.

    Quel che noto è che l’ipersensibilità è quel che caratterizza in una prima tappa l’artista: l’osservazione temporale, quella dei sensi, è assunta in quanto tale in modo esacerbato rispetto a chi artista non è.

    La sua anima non solo non rifugge la ferita della sensibilità ma addirittura la ricerca : in questo senso io vi vedo un’analogia sacrificale, quella di portare su di sè tutte le sensazioni del mondo purché questa ferita rimanga aperta , anzi, sempre più larga ed aperta.

    La seconda tappa è poi quella di esprimerla e compartirla, cioè tentare quello che solo una concettualizzazione permette, cioè l’oggettivazione dell’esperienze in modo tale da poter essere recepita da terzi: trasformare l’intima ferita in una compassione di tutti grazie alla sua opera e produzione artistica.

    Allora, sì, per me, l’artista, quello vero cioè quello che non bara né nel proprio vissuto sensibile né nel processo di oggettivazione di tale vissuto eminentemente soggettivo che è la creazione dell’opera d’arte propriamente detta, è un’immagine, una metafora del Cristo che redime il mondo: come Lui si lascia ferire e come Lui compie l’Opera.

    Ogni vero artista, ogni processo artistico genuino e non barato è quindi come una traccia della presenza dell’azione salvifica di Gesù: non per niente il sommo dell’arte si è storicamente riscontrato quando questa metafora si “transustanziava” nel Mistero e ne diveniva così Sacramento.

    Grazie Massimo, grazie Mauro! Non vedo l’ora di leggere il seguito.

    In Pace

  5. La domanda è intrigate e io non vorrei banalizzare, ma l’Artista è primariamente Uomo o se vogliamo prima Uomo che non Artista…

    Certo, verosimilmente un Uomo con una spiccata sensibilità, con una particolare spinta interiore, con un particolare talento (quello che lo distingue da altri Uomini) che si affina nella ricerca e nella pratica, sino a divenire Tecnica, capacità creativa ed espressiva… ma sempre Uomo.

    Quindi “come aiutare l’artista contemporaneo a ritrovare la Fede”, per cantare, scrivere, dipingere, creare, costruire, inneggiare alla Bellezza della Fede. Lodare Dio e la bellezza del Suo Creato visibile e spirituale, contemporaneo e futuro, terrestre e Celeste? Aiutando L’UOMO a ritrovare la Fede!

    Aiutando noi stessi a viverla, a crescerla, a testimoniare la Fede… non credo vi sia altra strada.

    La Fede è un Dono meraviglioso, ma anche contaggioso (grazie a Dio!) e non c’è una “fede per l’Artista” ed una “fede per il ciabattino” (artista anch’Egli), c’è la Fede in Cristo per l’Uomo.

    Sarà poi lo Spirito Santo ad irrorare di nuova energia (e anche di Talenti inattesi) l’Uomo, che scoprirà così il vero profondo senso di ciò che si ritrova nel cuore, nella mente, nelle mani… mettere il su oTalento al servzio di Dio Padre e Creatore. Artista dell’Universo conosciuto e conoscibile.

    • Grazie per la riflessione che mi permette tuttavia di affrontare la questione da un’altra angolazione. Non vi può essere Pietro senza Cesare. Non vi può essere vera Ecclesia, senza Imperium. Gesù si incarna infante in una famiglia umana e in questa cresce in ‘età, sapienza e grazia’. Dal padre Giuseppe riceve l’iniziazione religiosa ma anche quella artigiana. Non si parla più di queste cose, purtroppo, invece sarebbero utili per comprendere a fondo la realtà in cui ci agitiamo. L’ambiente fa crescere la fede, la sapienza e l’arte. Se un giovane si iscrive ad un qualunque corso d’arte e il suo ambiente di studio, sia insegnanti che compagni di corso, è completamente imbevuto dello spirito del mondo, e se dopo aver terminato il suo perfezionamento si affaccia nel mondo dell’arte ed è ovunque circondato da colleghi o addetti al settore che celebrano la gloria del ‘pensiero unico’, come egli potrà sviluppare rettamente la sua arte in senso spirituale? Mi permetto di aggiungere ancora un paio di cose per comprendere meglio le dinamiche di taluni ambienti che restano gelosamente chiusi ai ‘non addetti’. Per un artista che si sta formando, gli stimoli che riceve da insegnanti e colleghi e le relazioni che instaura lungo il suo cammino sono fondamentali, sono come l’aria che si respira. L’artista vive assolutamente di stimoli, perché metabolizzando questi stimoli egli elabora la sua particolare visione. Veniamo poi all’aspetto fattuale. Per realizzare arte occorre intessere relazioni, occorre entrare in certi ‘salotti’, dove è difficile avere il lasciapassare se le proprie idee non sono quelle ‘accettate’ da quell’ambiente. Tutto si gioca sulla fiducia. Un produttore, pone la sua fiducia in un giovane talento e improvvisamente le porte si spalancano. Come può un giovane accedere a quelle ‘stanze’ se chi detiene la chiave è orgogliosamente ostile a qualunque trascendenza? Più avanti, nella nostra chiacchierata darò la mia personale ricetta per uscire da questa impasse. Ma per ora non posso svelare di più.

      • Da quando esiste l’arte, esistono solo 2 modi perchè si mantenga. Uno prevede che qualche mecenate , di sua iniziativa e per convinzioni non soltanto artistiche ma anche politiche o ideali, la sovvenzioni. La seconda prevede che si mantenga da sola, perchè le opere sono viste, comprate, amate, da un largo numero di persone, e passando per un momento iniziare in cui l’artista convince qualcuno ad investire su di lui perchè gli farà guadagnare soldi.
        Fino a qualche secolo fa l’arte era prevalentemente religiosa, e la sua sovvenzione veniva direttamente dalla Chiesa, o da persone che comunque la sovvenzionavano per ideale. E sovvenzionando l’arte Cattolica, automaticamente escludevano quella non cattolica (non mi risulta che in italia fino a 200 anni fa ci fossero molti mecenati che sovvenzionassero arte atea, induista, etc etc). In quel tempo il “pensiero unico” era cattolico, lo sappiamo bene.
        Oggi quindi ci troviamo a combattere la stessa battaglia combattuta da artisti indipendenti di 150 o 200 anni fa, che normalmente morivano per lo più sconosciuti ed il povertà. Si potrebbe forse dire che , sopratutto in italia, come cattolici siamo stati un po viziati dalla storia, dando per scontato che tutto ci sia “dovuto”, ed ora ne paghiamo lo scotto.
        Chi oggi tiene le redini della borsa ci è in genere avverso, e quindi il mantenimento e promozione dell’arte che abbia un senso anche religioso, deve necessariamente passare per un sostegno iniziale volontario di chi è idealmente vicino alla chiesa, per approdare poi a mantenersi attraverso la diffusione generale. Deve essere quindi appetibile, anche come prodotto. Non è impossibile, ed in questo senso Ermanno Olmi , per esempio, insegna.
        Molto spesso si parla dell’egemonia artistica di una certa parte politica sull’altra, dimenticandosi però che quando qualche artista di quella parte politica produce qualcosa (una trasmissione televisiva, un libro, un film etc) poi c’è anche una risposta di un pubblico (magari della stessa parte politica, ma probabilmente anche di tanti altri) pronto a pagare per vedere o comprare queste cose, mentre invece spesso le produzioni dell’altra parte politica finiscono per non essere “comprate” da sufficienti persone. Lo stesso avviene per l’arte di inspirazione cattolica : se i cattolici non si abitueranno a pagarla di prima persona, è inevitabile che sia soffocata e che chi investe in arte la ignori.

        • Cos`e` l`arte atea? Di arte italiana a soggetto esclusivamente mitologico, filosofico-allegorico, paesaggistico, naturale, ritrattistico ce n`e` a caterve:

          http://www.bisanzio.com/img/his5_b.jpg

          http://www.artslife.com/wp-content/uploads/2016/05/Evaristo-Baschenis-Accademia-musicale-di-Evaristo-Baschenis-alla-spinetta-e-di-Ottavio-Agliardi-con-arciliuto-mandola-chitarra-violone-intavolatura-per-liuto..jpg

          • Mi sfugge l’attinenza tra quello che ho scritto, e quello che hai scritto tu….
            Per arte atea intendevo arte apertamente avversa alla chiesa, ovviamente. Non certo il dipinto di albero…
            Comunque il mio discorso era molto più generale.

          • Che poi tra l’altro i dipinti che hai pubblicato (pur ritraendo soggetti non religiosi) sono entrambi di due autori di ispirazione cattolica : Giovan Battista Moroni e Evaristo Baschetis.
            La pittura di Moroni fu protetta e sostenuta da san Carlo Borromeo, e Bachetis era prete….
            Non vorrei quindi che il consiglio che dai a Massimo Selis sia quello di iscriversi ai Sindacati ! 🙂

            • Ho pubblicato quelle immagini perche` mi piace il soggetto musicale e perche` uno dei personaggi ritratti mi assomiglia. E di Moroni possiamo dire, in un certo senso, che era un pittore “ateo”, visto il grado di quieto realismo che mette nelle scene religiose.

              Tu hai detto che in Italia non era possibile fare arte fuori dal sovvenzionamento della Chiesa; ma Canaletto, ad esempio, che e` uno dei pittori piu` famosi e apprezzati del `700, dipingeva forse solo delle chiese? e se in Italia il paesaggio e` quello, vuoi forse fargliene una colpa? e aveva solo acquirenti ecclesiastici? Non mi pare.

              Ma lasciamo i vedutisti perche` non sono propriamente atei; allora il problema, cercando di interpretare il tuo scritto, e` forse dei poveri e pochi pittori indipendenti che dipingevano soggetti blasfemi o anticlericali e per questo erano costretti alla fame?

              Forse perche` non c`era un mercato, per questo genere di opere, oppure c`era, ma non era alla luce del sole. Questo aspetto dell`arte pero` mi pare interessante da approfondire. Ci sono, ad esempio, ritratti commemorativi di Giordano Bruno?

              Di Savonarola esiste (1498), anche se non ne conosco la storia:

              http://www.marcelproust.it/imagp/bartolomeo_savonarola.jpg

              • Lovinski, credo che tu ti stia concentrando sul dito invece che sulla luna.
                Ogni epoca ha avuto un pensiero dominante. Nelle epoche passate essere contro il pensiero dominante significava rischiare anche la pelle, o quantomeno la libertà. Per fortuna oggi non è più così, Ma è indubbio che ogni pensiero dominante tende a sostenere se stesso, avversando gli altri.
                Che fino al 1700 in europa il pensiero dominante fosse prevalentemente religioso è fuor di dubbio, lo dice l’arte che ci è arrivata in tutte le sue forme, ma anche le motivazioni che spesso sottendevano le guerre ed i conflitti. D’altra parte esisteva un potere temporale della Chiesa che mischiava sacro e profano. Che poi ci fossero eccezioni , come ci sono in tutte le cose umane, non modifica nulla, anche perchè ‘arte figurativa, in mancanza delle fotografie e dei film, era l’unico modo per descrivere un evento o una persona, ed era quindi usata anche nella quotidianità. E’ il senso generale che conta, anche perchè pensiero dominante non significa pensiero unico. Conferma ne è questo blog, e tanti altri.
                Se torniamo ad oggi, dove forse le cose si sono rovesciate, esiste certamente una largo predominio artistico della cultura non cattolica , ma non direi “atea” o non religiosa, perchè invece la spiritualità, in genere, resta nel cuore di ogni artista.
                Ma l’arte si divide principalmente in buona arte e cattiva arte (o non arte). Quindi, indipendentemente dal tema, se non si produce un prodotto di qualità effettiva e che venga come tale percepito, non si può pretendere che sia anche diffuso, ne si può sempre indicare l’ostracismo esterno come causa della mancata diffusione. Ripeto il concetto di prima : se i cattolici non pensano , in prima persona e di tasca propria, a difendere e diffondere l’arte a sfondo religioso , non possono certo pensare che un mondo sempre meno cattolico lo debba fare “per definizione”.
                D’altra parte , e chiudo, l’arte in quanto tale deve scatenare delle emozioni per essere gradita.
                Emozioni perchè si resta colpiti dalla bravura tecnica dell’artista, emozioni perchè si resta colpiti dal significato del soggetto, emozioni perchè si resta colpiti dalla sensazione restituita al primo sguardo. L’arte sacra moderna è principalmente affidata alle emozioni restituite dal significato del soggetto. Un cattolico che guardi il ritratto di una santa in adorazione, a meno che non sia di straordinaria fattura tecnica, resta colpito perchè ci vede principalmente la spiritualità di questa persona e ci può percepire le sensazioni di amore verso Gesù che esso stesso prova. Chi non ha mai provato quelle sensazioni, non resterà minimamente colpito da quel ritratto.
                Un anarchico che invece veda un ritratto stilizzato e magari anche si scarsa qualità di Che Guevara, pur non capendo nulla di arte , resterà colpito dall’emozione che gli trasmette un personaggio e lui cara , e lo troverà bello.
                L’arte è emozione, oppure non è.

                • Dio mio Mentelibera, se dobbiamo ridurre l’Arte Sacra o comunque “religiosa” alla sola ritrattistica, siamo messi male…

                  Anche a me pur credente, certi ritratti di Santi dicono veramente poco… 😛

            • Nel post precedente ho fatto l’esempio del grande regista Ermanno Olmi. Quindi non ci sono solo ritratti tristi, ma anche cose egregie. Certo che (a mio parere) di recente l’arte sacra o a sfondo religioso prodotta non è un granchè. Che mi ricordi nel cinema l’unica opera di respiro universale recente è The Passion. Per il resto la religione entra nel cinema solo per stereotipi negativi, e purtroppo qualche volta pure a ragione. Ma non sono un grande esperto…lo ammetto…

              • MenteLibera, il tuo nickname mi sta molto simpatico, quantomeno per l’estrema ed ottimistica apertura di credito verso te stesso. Volendo fare un torto a Socrate avresti potuto chiamarti anche ‘So_di_Sapere’ 😉 A parte le battute benevole (non prendertela a male) mi sembra di capire che hai il pregio di stimolare positivamente questo blog ed a volte dici anche cose sensate, come tutti noi, d’altronde :-).
                Io non credo di essere propriamente una Mens Libera, ti lascio comunque un piccolo appunto:
                tu dici: ‘L’arte in quanto tale deve scatenare emozioni per essere gradita’.
                Semplicemente falso, o – che è lo stesso – assolutamente parziale. Il fatto di ‘scatenare emozioni’ non è condicio sine qua non per cui si possa decretare lo statuto artistico di un’opera d’arte o farne dipendere il suo ‘gradimento’ : mai base potrebbe essere più malferma se si fondasse sull’emozione che è quanto di più personale, variabile, transeunte e soggettivo possa esistere. E per fortuna i musei del mondo non coincidono propriamente con ritrovi di persone ‘emozionate’ 😉 L’arte ‘in quanto tale’ come espressione e linguaggio integrale e – nei suoi esempi paradigmatici – universale, parte certamente dall’elemento sensibile (dall’oculus carnis, per restare ai vittorini) ma non si ferma a questo e non è in questo che può trovarsi il suo valore fondante (o di gradimento per la sua stessa fruibilità). Nihil est in intellectu quod non prius fuerit in sensu ma l’elemento sensibile (estetico, e l’estetica non è certo lo studio delle emozioni) non coincide con quello emozionale che da molta arte – anche orientale ed islamica – è evitato, disdegnato o appena tollerato (come d’altronde anche in famosi autori occidentali) . Nel migliore dei casi può essere giusto un elemento concesso, in altri – certo – ricercato e voluto, ma sfiora solamente la superficie sia dell’artista che del fruitore. Fermandoci solo a quello saremmo infatti vicini al seme della parabola evangelica, gettato sulla roccia, dal quale nascono piante senza radici, destinate a seccarsi col primo sole. Mi emoziona, mi ‘colpisce’ ma poi, sparita l’emozione, cosa rimane di quell’opera nell’uomo? E se non mi emozionasse, quell’opera saprebbe di natura inferiore? Fallirebbe nel suo intento? E’ forse vero invece che l’arte nella sua integralità sa e deve interpellare l’uomo nella stessa medesima integralità (e integrità), che a volte -certo – può includere l’elemento emozionale ma che deve poi assolutamente aprire alle sue capacità di lettura ulteriore: intellettuale, semiotico/simbolica, iconologica, se vogliamo metafisica – spirituale insomma – non solo psicologico-cognitiva.
                L’arte può raccontare la verità più spietata senza trasformarsi nella Medusa che pietrifica gli uomini, con un effetto liberatorio e purificatore di cui già Aristotele parlava nella sua Poetica. E si fa sempre più stringente ed attuale invece la consapevolezza che certa produzione artistica (degradata a mero intrattenimente e divertissement) che fa leva solo sulle la parti concupiscibili ed irascibili non dominate da un buon cocchiere, non trascese e sublimate, porti agli esiti tirannici e dissipativi tipici da abuso, ubriacatura e doping di emozioni ed emotività, sentimentalismo euforico/depressivo a corrente alternata, che ottunde le menti e dissipa i cuori di molti contemporanei fruitori e consumatori di mozioni e stimolazioni ‘artificiose’ (da fuochi d’artificio) più che artistiche fine a se stesse…
                Con simpatia, mi fermo qui 😉

              • Grazie per il commento, molto gradito e interessante.
                Per evidenti ragioni di concisione ho collassato nel termine “emozione” una serie di concetti, alcuni dei quali sono proprio quelli da te espressi.
                Forse non ce ne rendiamo conto, ma anche quella meramente “intellettuale” è una emozione, cioè qualcosa che in un modo o nell’altro risveglia il nostro interesse.
                Che questo interesse sia legato ad una vera e propria emoizonalità istintiva o piuttoso ad una meditata valutazione, il fatto non cambia. Anche lo studioso Orientale, nel valutare un’opera, non può che far affidamento a parametri che lo colpiscano, pur apparentemente più freddi rispetto alla valutazione “impressionista”.
                D’altra parte sappiamo bene come i parametri di valutazione cambino inevitabilmente con lo scorrere degli anni e dei secoli, sicchè opere considerate magistrali in certe epoche, perdono tali caratteristiche con lo scorrere del tempo.
                La valutazione oggettiva dell’arte è quasi un ossimoro, perchè tali e tanti sono i parametri valutativi che si può concordare circa una valutazione tecnica, ma resta poi la valutazione soggettiva di quanto la valutazione tecnica sia oggettivamente importante rispetto a tutti gli altri parametri. Ed io direi per fortuna, perchè tutto resta, affidato alla unione quasi magica che c’è tra la creatività dell’artista ed la specifica sensibilità del fruitore, come un filo che unisca due persone trasmettendo sensazioni.
                In ogni caso è evidente che in tutti i campi ci sono delle opere su cui converge la valutazione positiva generale e che quindi, per semplifcazione, vengono definite come capolavori, ma la bellezza della diversità e della unicità dell’uomo fa si che anche di fronte ad evidenti capolavori ci sia sempre qualcuno che non concorda.
                Buona Giornata

      • @Massimo Selis, per quanto riguarda l’ “humus” in cui l’Artista cresce e si forma, siamo perfettamente d’accordo, ma torniamo a quanto dicevo: se non è l’Uomo a trovare o ri-trovare la Fede (uomo che sarà padre, insegnante, amico, ecc…) molti discorsi a poco valgono quanto alla formazione stessa dell’Artista.

        Per quanto consta alla possibile “fortuna” per l’Artista credente, in un ambiente diciamo “ostile” (come lo sono oggi molti ambienti, non solo quelli dell’arte), il “successo”, sarà affidato alla Volontà del Padre, giacché se è cosa buona per Dio e per l’Uomo-Artista, ma soprattutto per l’Uomo “della strada”, che dall’Arte del primo trae beneficio, sarà Dio e la Sua Provvidenza ad aprire porte e strade spesso sorprendenti a che ciò avvenga.
        Di fatto, non c’è ambito dove il disegno di Dio a nostro beneficio non trovi compimento.

        All’Uomo-Artista-Credente, resta il rimanere fedele alla sua Fede, al suo esser Uomo, al suo essere Artista (direi questo dovrebbe essere l’ordine…)

      • @Massimo & Bariom

        Un paio di domande / riflessioni sciolte.

        Mi porrei già la domanda, cosa vuol dire un’attività artistica “cristiana”: uno scopo liturgico? uno scopo di laude orante? uno scopo pedagogico? uno scopo motivazionale? uno scopo di carità?

        È cioè l’attività artistica cristiana generatrice di un’arte che sia strumento e non fine?

        Personalmente ( e l’ho espresso nel mio post più sopra) penso che il travaglio stesso dell’artista che non si prostituisce sia implicitamente affino alla corredenzione cristiana indipendentemente dal soggetto trattato: e per il cristiano il fine è l’annuncio della Buona Novella con la premessa che sia fondata su un ‘esperienza personale del Cristo stesso.

        Allora un artista non in voga, maltrattato, poco conosciuto ha una forza supplementare nella sua vicinanza al Cristo stesso: al soggetto penso alle icone del mondo ortodosso, sempre riscritte da generazioni in generazione da emeriti sconosciuti monaci eppure oggetto e mezzo di vera adorazione di Dio.

        Le catacombe possono anche esser un luogo di fioritura di opere profondamente artistiche: di solito l’arte di “regime” , benché sempre molto appariscente a causa della sua finalità propagandistica, non è che molto raramente di una grande qualità, appunto in quanto strumentalizzata.

        In Pace

        • @Simon, mio personale parere è che “l’attività artistica cristiana deve essere generatrice di un’arte che sia strumento e non fine”…

          Non ho molti dubbi su questo e può quindi avere “uno scopo liturgico, uno scopo di laude orante, uno scopo pedagogico, uno scopo motivazionale, uno scopo di carità”, uno scopo testimoniante, altro scopo…

          Di fatto ogni azione umana, anche il più umile dei lavori, ha un fine contigente (come quello de padre che provvede al sostentamento della famiglia o del medico che cura l’ammalato), ma in Dio ha un “fine ultimo” e spirituale (non lo dico io…).
          Non vedo come l’azione dell’Artista si potrebbe sottrarre e questa meravigliosa “sinergia”.

          Non mi è difficile poi immaginare che l’Artista, proprio per la peculiarità della sua azione, così legata al “bello” (altro tema che qui è stato sfiorato) e la sua particolare sensibilità, non possa che rispondere alla “bellezza” della Fede o della scoperta della Fede, con un’ “azione di Grazie” che è restituire Talento ricevuto e atto fruttare (come ci insegnala celebre Parabola).

          Artista non sono, ma il mio lavoro si è spesso mosso in campi “creativi” e sebbene non abbia avuto moltissime occasioni, non c’è nulla che dia gioia come poter mettere a frutto un qualunque taleto per “maggior Gloria di Dio”, come ben lasciano intendere anche i nostri due preziosi “intervistati”. 😉

          • Sarebbe poi interessante aprire una parentesi specifica sullo specifico tema dell’Arte al servizio della Liturgia, che si è andato sempre più perdendo, quando non addiritura snaturando (non così ad esempio per la Chiesa Ortodossa) e qui oserei dire, non tanto e non solo per la perdita della Fede e dell’importanza dei Simboli e di Segni da parte dell’Artista, ma anche per una carenza di “guida” e di “supervisione” della Chiesa stessa.

            Ne sono triste esempio moltissime Chiese contemporanee (o tragici interventi in chiese storiche) che tutto possono dirsi, tranne che “chiese”, sia nel loro aspetto esteriore che in quello degli spazi interni…
            Ma questa è una opinione mia, del tutto personale.

        • Come ogni azione umana, anche l’arte è strumento di qualcosa che tutti ci trascende. Però una vera opera d’arte ha, al tempo medesimo, il suo fine in se stessa, in essa si compie e realizza. L’ordine del Creato in essa trova forma. L’esperimento è quanto di più incompatibile con la realizzazione artistica. Non mi riferisco, e lo leggerete se avrete pazienza nel proseguo di questa chiacchierata, all’arte ‘religiosa’ o ad un’arte ‘cristiana’, ma semplicemente all’arte da un punto di vista tradizionale, come attività spirituale. Mi rivolgo semmai a come un cristiano dovrebbe fare arte. E’ cosa assai diversa.
          Uso in prestito alcune parole di Pavel Florenskij: “L’essenza stessa della percezione geniale del mondo sta nella capacità di penetrare nel profondo delle cose, mentre l’essenza della percezione illusoria sta nel nascondere a se stessi la realtà.“

  6. …eccoci al cuore del problema, del quale tante volte abbiamo discusso. Penso che Croce-Via sarà l’unico luogo virtuale nel quale vi si potrà trovare sviscerata la questione, e spero possa essere un buon catalizzatore di contributi costruttivi. Dunque forza con la seconda parte dell’intervista! 🙂

  7. Scusate se mi intrometto, secondo me sarebbe tempo di “Blog dei blogs”.

    http://www.libertaepersona.org/wordpress/2016/06/una-chiesa-sempre-piu-divisa/
    https://anticattocomunismo.wordpress.com/2016/06/07/alice-nel-paese-di-amoris-laetitia/
    http://www.papalepapale.com/rubrica/la-zattera-della-medusa-le-4-fasi-della-chiesa/
    http://www.lanuovabq.it/it/articoli-se-il-mostro-e-un-prete-contrario-alle-unioni-gay-16531.htm

    E tante altre cose ci sarebbero da vedere. Comunque, colgo l’occasione per dare il bentornato al grande Mastino di Papalepapale.

    E torno a porre un quesito: ma che fine ha fatto “Navigare necesse est”?

    • Tutto molto interessante, ma che c’entra con l’arte ? Magari andava pubblicato su una altra conversazione. Vorrei commentare, ma si aprirebbe un “film” , e l’interessante post di Minstrel ne verrebbe sommerso.

    • Ho chiesto scusa per l’intromissione. Si tratta di un OT, in effetti, ma avrei il desiderio di confrontarmi su questi temi. Insomma, un “Blog dei blogs”, dato che è parecchio tempo che non se ne fanno.

      • Grazie frà per lo sprono e mentelibera per l’intelligenza. Ne son successe effettivamente di cose, ma il sottoscritto ora è letteralmente ufficialmente in ferie e si collega raramente. Al mio ritorno vedo di far mente locale. Intanto grazie a tutti per i meravigliosi commenti che sono apparsi in coda al presente scritto e un benvenuto caloroso fra i commentatori al caro Massimo ! 🙂

  8. Ho pubblicato un commento, ma è finito in attesa di moderazione, per i link credo. Se possibile… grazie.

  9. Prima di tutto voglio chiedere scusa per l’intromissione davvero inopportuna che ho fatto per chiedere un “Blog dei blogs”. Semplicemente non avevo letto né l’articolo né i commenti e sono entrato come un elefante in una cristalleria.

    Ho letto l’articolo (meglio tardi che mai…) e l’ho trovato davvero profondo ed illuminante. Una cosa continua a risuonare dentro di me: “Saper leggere dentro la propria anima e sentire gli altri come anime che lottano ogni giorno per non tradire la propria strada, credo che sia l’unico vero segno di conversione. Cosa conta il non esserci mai veduti in volto, il non sapere che percorso hai fatto, quale curriculum si possiede? Non è questa l’umanità per cui umilmente mi sforzo di scrivere. Dovremmo essere dei mattoncini di un ‘edificio spirituale’, delle anime risvegliate che sentono di condividere un destino comune, una chiamata che unisce”. La compassione! Saper vedere in ogni persona qualcuno che ce la mette tutta per “mettersi in salvo”. Che bello! Saper vedere anche nella persona più arrogante ed ignorante un anima profondamente bisognosa di amore. Ed è un bisogno comune, la “chiamata che ci unisce”.

    Un’altra cosa continua a risuonare dentro di me: “E’ forse vero invece che l’arte nella sua integralità sa e deve interpellare l’uomo nella stessa medesima integralità (e integrità), che a volte -certo – può includere l’elemento emozionale ma che deve poi assolutamente aprire alle sue capacità di lettura ulteriore: intellettuale, semiotico/simbolica, iconologica, se vogliamo metafisica – spirituale insomma – non solo psicologico-cognitiva.
    L’arte può raccontare la verità più spietata senza trasformarsi nella Medusa che pietrifica gli uomini, con un effetto liberatorio e purificatore di cui già Aristotele parlava nella sua Poetica. E si fa sempre più stringente ed attuale invece la consapevolezza che certa produzione artistica (degradata a mero intrattenimente e divertissement) che fa leva solo sulle la parti concupiscibili ed irascibili non dominate da un buon cocchiere, non trascese e sublimate, porti agli esiti tirannici e dissipativi tipici da abuso, ubriacatura e doping di emozioni ed emotività, sentimentalismo euforico/depressivo a corrente alternata, che ottunde le menti e dissipa i cuori di molti contemporanei fruitori e consumatori di mozioni e stimolazioni ‘artificiose’ (da fuochi d’artificio) più che artistiche fine a se stesse…”
    . Davvero, io non sono nessuno per parlare di arte. Ma credo che l’arte abbia profondamente a che fare con la verità (più spietata). L’arte, io credo, è un mezzo di interpretazione della realtà… anzi, è la Realtà stessa decodificata dall’uomo. Capire in profondità la creazione.

    Scusate se ho detto delle banalità. Aspetto con ansia la “ricetta” di Massimo Selis, dato che una figlia aspirante “artista”.

    • ….arte e verità, che bellissimo connubio! Un sonetto in romanesco diceva pressappoco così: “viva er teatro, dove tutto è finto ma niente c’è de farso” 😉

      • Sull’arte sono d’accordo con Oscar Wilde : l’unica categoria che si può applicare all’opera d’arte è quella ESTETICa. la morale, la fede, non c’entrano nulla.
        I grandi artisti possono anche essere dei grandi str…nzi se mi permettete la parolaccia oppure dei fascisti degli anti.semiti ( Vedi WAGNER, VEDI CELINE, vedi Ezra Pound) La loro arte è lo stesso meravigliosa. altri erano degli uomini buonissimi , quasi dei santi , e la loro arte è mediocre . certo si da’ anche il caso di artisti che siano sia santi che eccelsi. ma sono pochi.
        e comunque resto dell’opinione di Oscar Wilde ( anch’egli cattolico) : l’arte va giudicata ed apprezzata solo col metro della Bellezza .

        • Sono ovviamente d’accordo sulla ininfluenza della storia e convizioni dell’autore sul giudizio sull’opera.
          Per quanto riguarda la parte estetica, invece, bisogna capire cosa si intende, ed Il tuo discorso è corretto solo se ci si limita alla musica.
          Ma l’arte figurativa statica non può prescindere dal significato del contenuto e dal contesto storico in cui viene prodotta ed in cui , invece, si trova chi la giudica.
          Tu immagina una meravigliosa fotografia (tecnicamente meravigliosa intendo) di un uomo che violenta un bambino, ripresi non per denuncia ma per compiacimento estetico. Potrebbe essere definita un’opera d’arte? Per alcuni mai, per altri invece comunque si.
          Per non parlare poi dell’arte dinamica (cinema , teatro, etc etc ), dove l’intreccio di numerosi aspetti incide sul giudizio complessivo (scenografia, fotografia, recitazione, soggetto, etc etc).
          Pensare di poter giudicare un’opera solo per l’aspetto “estetico” è quindi un ossimoro, a meno di non allargare il concetto di estetica a significati molto più ampii e, di per se stessi, sempre più soggettivi. Di certo estetico non può significare soltanto “bello”.

  10. Ora lancio una provocazione che magari aggiusterò nei prossimi giorni. Qui qualcuno ha citato the passion di Gibson come ottimo esempio di film cristiano. Ecco, per me esso è quanto di più lontano ci sia da quello che Massimo va narrando. E non sono solo le inutili scene violente, che da esperto di film violenti come sono mi stancavano non poco, o la ridicola OST, o l’uso ricercato della lingua originale che pare solo un vezzo, o l’uso di scritti apocrifi per accentuare inutilmente quel che successe in quelle ore. È proprio la mancanza di “mistero” generale che dà fastidio, culminante nella scena finale della ridicola resurrezione, dove il regista si permette quel che nemmeno gli apostoli si son permessi: entrare nella tomba e svelare il mistero più grande. Rendendolo ridicolo come solo gli americani più tamarri sanno fare.
    Basta una scena dell’ateissimo Vangelo di Pasolini per recuperare il mistero. La prima, con il silenzio, il vento, Maria triste che si tiene il ventre e Giuseppe arrabbiatissimo, incredulo che scappa via, lontano.
    Magari nemmeno Massimo é d’accordo, ma nel successo di Passion io ci vidi solo il declino della sendibilotà del fruitore medio di comprendere il bello del mistero del reale e quindi del suo creatore. Esempio perfetto di quanto il caro Massimo qui sra dicendo.

    • Ho citato “the passion” come film a tema cristiano e con un respiro internazionale.
      Poi nel merito se sia o meno una opera d’arte, credo che ognuno possa farsi una sua idea.
      Personalmente , a parte la violenza un po esagerata (ma ho sempre criticato i film troppo edulcorati, la violenza era insita nella società di 2000 anni fa, la vita umana valeva meno di zero), io invece apprezzo moltissimo la lingua originale, attraverso la quale si possono apprezzare i toni reali del tempo, la differenza tra l’idioma parlato dai gesù (credo che fosse aramaico) e il latino dei soldati.
      Francamente è un’opera che può piacere o non piacere, ma di certo trasmette l’idea della sofferenza reale, e della bruttezza della sofferenza. Forse è poco spirituale, ma è la realtà.
      Il Silicio romano era un’arma terribile, ed i chiodi fanno un male insopportabile e inimmaginabile.
      Gesù era colui davanti a cui si copre il volto per non vedere, e questo è quello che purtroppo abbiamo fatto al figlio dell’uomo, se i vangeli dicono il vero.
      I film di altre epoche hanno versioni più classcheggianti e metaforiche, ed appartengono ad un altra modalità espressiva, ma anche questa di Gibson è efficace.
      Se passione c’è stata, quella di Gibson la descrive in modo realistico, che piaccia o meno. C’è infatti sempre il rischio che il concetto “morto per noi” resti a livello superficiale, e non raggiunga il cuore, che è quello che deve essere raggiunto.
      Un appunto finale : La croce vista dal cielo attraverso la lacrima di Dio che cade verso la terra rende perfettamente l’idea della soffrenza anche di Dio per la fine del figlio, e magari sarà poco teologica, ma restituisce l’idea del Dio Padre che soffre.

      • Grazie mentelibera. Non vorrei che passi l’idea che volevo criticare la tua opinione aggratisse. No. Nemmeno volevo fare una rece di The passion che, personalmente, sarebbe certamente più cattiva e pesante di queste 4 mie righe striminzite. Volevo solo fa notare come anche i film che sembrano per il mainstraem andare nella direzione giusta siano, in realtà, passibili di critiche pesanti e forse non completamente campate in aria che fanno comprendere come tutto porti al quadro tracciato da Massimo.
        Innegabile infine che ci siano buone idee come quella che tu suggerisci, ma starebbero bene i un contesto molto più mistico poiché sono palesi errori di grammatica teologica (Dio NON soffre!) e essi sono comprensibili, o meglio inquadrabili, solo all’interno di un Ambiente divino mistico dove il mistero è offerto in tutto il suo essere, non in un film umanissimoe senza alcuno scampolo divino lasciato alla “fantasia” del fruitore. Non ho problemi a vedere la violenza di The passion, uno cresciuto con ichi the killer di miike a certe cose ci ride sopra, per assurdo. Il problema è proprio aver offerto una descrizione presumibilmente realistica con una volontà divina, volontà che si perde di fronte al l’umano troppo umano e che quando viene presentata diviene la parodia di sè stessa, non la perfezione della realtà stessa, ma una fantasia per menti troppo fantasiose.
        Ma andiamo avanti. La mia era una provocazione per tutti, non (solo) per te che hai offerto la tua visione personale del film. Sai che litigate ci ho fatto con gli amici?! Molti ad osannato e più lo facevano e più mi incazzavo. Ma con il sorriso eh. 😉

        • Figurati…neppure io sono un cultore totale di The Passion, e in particolare di Gibson, su cui ci sarebbe molto da dire ! Si faceva solo per parlare..:-). D’altra parte ognuno ha le sue sensibilità, religiose ed artistiche, ed io personalmente sono molto “neorealista”. Buongiorno!

    • P.S. Non so quanto sia corretto dire che Pasolini fosse ateo , benchè egli stesso si definisse così. Era certamente e profondamente anti-clericale, ma la spiritualità di alcune sue opere è indiscussa.
      Rigettava l’idea di gerarchia cattolica. Non ci dimentichiamo che vasce e vive a Roma già prima del CVII , non lontano dal vaticano, e cioè in un luogo dove la presenza fisica delle massime gerarchie ecclesiastiche , benvestite e pasciute, era in contrapposizione continua con la povertà delle borgate da lui descritte.

  11. E’ assurdo giudicare gli artisti secondo il metro” era ateo-non era ateo “era buono no era cattivo “ecc.
    I grandi artisti sono solo persone che riescono a riversare nella loro opera d’arte una scintilla della
    grande armonia e della grande bellezza divina. Cosa importa se sono atei o no?
    un grande poeta ateo ( Montale) ha scritto:
    Solo questo oggi possiamo dirti
    Ciò che NON siamo
    Ciò che NON vogliamo

    un grande musicista ( pessimo uomo) ha scritto la musica sublime del Parsifal. che ci importa quando la sentiamo se Wagner era antisemita o se aveva o non aveva fede?

    • Sì Giacomo, infatti ho fatto notare quanto rispetto al mistero e alla fede abbia avuto Pasolini nel narrare Gesù, rispetto al Gibson di The passion.
      Il discorso poi sull’uomo “dietro” l’artista è lungo, magari vedremo di toccarlo nelle altre puntate per parlarne tutti insieme.

  12. Evviva l’Inghilterra!!!

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