Eviternità – V

Eviternity

Ma quale è il meccanismo stesso che permette all’osservatore umano, proprio in quanto attuato nell’eviternità e nella temporalità, di sperimentare al secondo grado tale costrutto “Tempo”?

Ricapitoliamo alcuni punti messi in evidenza: nella temporalità, proprio per definizione, non abbiamo garantita l’intangibilità dell’identità e l’osservatore in questa categoria nota che ci sono cambiamenti ma non è in grado di stabilire tutta la catena di causalità, il mondo gli appare come relativamente caotico, complesso e appiattito; nell’eviternità invece i cambiamenti sono osservati rispetto ad un punto fisso che è l’osservatore eviterno stesso che li conosce propriamente. È proprio la doppia natura eviterna/temporale dell’osservatore umano che genera quest’effetto di olografia e di profondità nella sua osservazione del reale: in un solo atto esso coglie i cambiamenti in quanto insieme caotico complesso ed appiattito e in quanto in relazione alla propria “fissità”. Il tempo non è quindi reale fuori di noi e/o dentro di noi ma è l’effetto sull’osservazione della doppia natura eviterna e temporale dell’osservatore umano.

Per tentare di illustrare questo concetto, ricorreremo alla nozione di ologramma come analogia: un ologramma è una lastra bidimensionale nella quale sono impresse le interferenze prodotte da una luce (coerente tipo laser) riflettuta da un oggetto con la stessa luce senza interferenze. Quando si illumina questa stessa piastra con un nuovo fascio di luce (coerente) come prima, allora appare ad un osservatore l’immagine dell’oggetto inizialmente illuminato: in altre parole tutta l’informazione tridimensionale è riconducibile all’ informazione bidimensionale registrata sulla lastra (cf. Questo sito per una spiegazione sommaria del principio olografico).

ologramma2

L’analogia consiste nel dire che l’ologramma stesso (a due dimensioni e alquanto incoerente ed indecifrabile a guardarlo in sé senza luce coerente) è l’osservazione compiuta da un osservatore nella temporalità, in questa analogia la luce coerente che lo illumina è l’osservazione eviterna, mentre l’occhio che vede l’ologramma è proprio l’osservatore umano al contempo eviterno e temporale, il quale, cogliendo l’immagine della lastra bidimensionale e quella della luce coerente in un solo atto, vede un oggetto a tre dimensioni.

Da questo unico atto di osservazione, compiuto da due nature differenti, l’umano osserva che ci sono cambiamenti “quasi” perfettamente ricorrenti, che ve ne sono alcuni che “sembrano” ricorrere più volte mentre un altro “sembra” ricorre meno spesso, oppure osserva cambiamenti che chiaramente non sono mai ricorrenti, e rispetto a queste ricorrenze, per riflessione e in una seconda tappa e grazie a questo effetto olografico, potrà affermare “l’impressione” che un avvenimento ha avuto luogo “prima” di un “seguente”, che gli “sembra” esista come una correlazione “temporale” tra tali avvenimenti (oppure nessuna).

Se abbiamo chiaro che l’origine dell’esperienza di successione temporale che constatiamo non proviene dal fatto di essere immersi “dentro” un tempo che ci conterrebbe assieme ai cambiamenti osservati e che sarebbe “come” esistente per se, ma  che questa origine ha le sue radici nella nostra doppia natura di osservatore eviterno e nella temporalità, allora ci appare chiaro il perché il tempo è sempre presente, eppure non è mai là , ma è come l’ombra che ci insegue sempre ma che non possiamo mai acchiappare e, infatti, come la nostra ombra è prodotta dalla combinazione di luce solare che tutto illumina e della nostra presenza ma non potrebbe  mai esistere di per sé, così il tempo è il prodotto della nostra osservazione nell’eviternità che incrocia la nostra osservazione nella temporalità, ma non ha nessuna pretesa all’assolutezza.

(CONTINUA)

In Pace



Categories: Filosofia, teologia e apologetica

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2 replies

  1. Due notazioni veloci, spero di poter ritornare sul tema con mente più lucida perché ne vale davvero la pena!

    È proprio la doppia natura eviterna/temporale dell’osservatore umano che genera quest’effetto di olografia e di profondità nella sua osservazione del reale

    Questo ritengo sia assolutamente Vero e in linea con quanto riportato dai più grandi pensatori cristiani medievali. E questo ci porta ad una riflessione ancora più profonda, oserei dire il “fine” di tutti i discorsi dell’uomo sul creato (e quindi anche su se stesso e sul suo modo di conoscere).
    Riporto:
    “Nell’uomo c’è tutto! Non ci siamo mai chiesti perché i medioevali dicevano che l’uomo è un microcosmo? Non dicevano: l’uomo è microcosmo, ascolta si fa sera! Non dicevano certo “ascolta si fa sera” o altre baggianate. Quando dicevano che l’uomo è microcosmo intedevano dire che tutto il cosmo è nell’uomo! Tutto il cosmo è nell’uomo, non gli manca niente! San Tommaso, citando Dionigi pseudoareofagita, diceva: «l’uomo è questa strana creatura che è in mezzo tra le realtà puramente fisiche e le realtà puramente spirituali e quindi non manca né delle une né delle altre.» Quelle fisiche non hanno spirituali, quelle spirituali non hanno fisico, l’uomo ce le ha tutte e due. Quindi c’è tutto il cosmo, non gli manca niente ed è chiamato alla scoperta della totalità in sé, poiché in sé all’uomo non manca niente, assolutamente niente. E vedremo che il cristianesimo è funzionale a questa scoperta, ci vuole la grazia, ma è questa la scoperta!
    […] Per questo dico che il punto focale è solo uno: andare a scoprire Dio nell’uomo e l’uomo in Dio. I classici lo chiamavano il socratismo cristiano. Conosci te stesso diceva Socrate. L’esordio della mistica cristiana infatti fu questo: conosci te stesso e allora ogni discorso che tu farai su Dio, certamente sarà più calibrato. Altrimenti ti ritroverai a farti grandi fantasie religiose, settarie, superstiziose. Bisogna partire di lì o comunque bisogna arrivare a lì. Quando uno prega significa che sta facendo una buona riflessione su questi concetti.”

    Padre Giuseppe Barzaghi OP, L’essenza del Cristianesimo, Accademia del Redentore,http://www.accademiadelredentore.it/blog-it/L%27essenza-del-cristianesimo.-Prima-conferenza-45.html, lezione 1

    dalla precedente il tempo come ente non esiste insieme a questa origine ha le sue radici nella nostra doppia natura di osservatore eviterno e nella temporalità, allora ci appare chiaro il perché il tempo è sempre presente, eppure non è mai là , ma è come l’ombra che ci insegue sempre ma che non possiamo mai acchiappare

    Primo penserei come modificare il nome “natura” perchè a me pare che ovviamente la natura umana sia UNA, mentre è la prospettiva della conoscenza del mutamento nella creazione che ci fa assumere 2 posizioni di osservazione che in noi, come diceva poc’anzi Barzaghi citando Tommaso, coesistono in quest’unica natura. Concordi carissimo? E se si, quale termine potrebbe andare bene (domanda aperta a tutti)?

    Ricordo che durante la tua prima “sparata” contro la nozione moderna, newtoniana, di tempo, nacque una disputa/discussione (dipendeva dai momenti…) con un fisico e un matematico ai quali questa idea non piaceva (eufemisticamente). A tale proposito, non ricordo più se qui o privatamente, mi fu fatto notare che non era solo l’intera impalcatura Einsteiniana a “chiedere” uno “spazio-tempo”, ma è proprio il dato misurato a sottolinearlo. Ad esempio lo “sfasamento” fra orologi quando questi viaggiano a velocità diverse. Come è possibile esplicare questo “fatto” secondo il tuo ragionamento? Bisogna ipotizzare che il mutamento abbia “velocità” diverse oppure è proprio sbagliata l’idea di procedere ad una misura di un mutamento che è immisurabile integralmente e farlo significa comunque procedere per astrazioni irreali MA utili?

    Lo scritto comunque è fenomenale Simon, andrebbe solo ripulito oltre che dei piccoli francesismi, anche di espressioni che a prima lettura non mi risultano particolarmente chiare. Visto che quasi sicuramente confluirà in un nuovo quaderno o addirittura (vedremo la lunghezza), in una nuova pubblicazione, faremo una vera e propria risistemazione a la Masiero (che fece con Creazione ed Evoluzione un gran bel lavoro!), magari rivisto anche da te con aggiunte ad hoc post disputa. 🙂

    Grazie ancora!

    • Ritorno su questo tuo commento di cui ti ringrazio il tenore e la profondità.

      (a) Come ben sai non cerco di inventare nulla, ma di riproporre quello che la philosophia perennis aveva scoperto da tempo in un linguaggio comprensibile contemporaneo che tiene conto delle rigidità del pensiero comune odierno: il lato positivo è che si è capiti più facilmente, quello meno immediatamente positivo è che chi legge si trova nell’obbligo di uscire da un modo di pensare il mondo sclerotizzato fin dai tempi dell’illuminismo fino ad oggi e ciò malgrado le profonde scosse della relatività e della quantistica.

      (b) Il tempo, caro amico, visto da un punto di vista ontologico è una “deformazione” dell’anima…..

      (c) Accolgo la tua perplessità sulla nozione di “doppia natura” utilizzata: ti spiego il mio problema: in modo molto “da fisico contemporaneo” tutti questi articoletti mi sono occupato della nozione di osservatore in quanto tale e non tanto di quello di umanità, “angelicità“, “deità”. Quindi mi sono riferito a nature di osservatori e semplice definito l’osservatore umano in quanto definito dal fatto di avere due nature al contempo in un solo atto di osservazione. Ma posso intuire che possa creare qualche domanda supplementare. Come anche il fatto di aver introdotto la nozione di temporalità come categoria di osservazione ( essenza la nozione di tempo): avrei fatto meglio di usare della nozione di materialità? Ma il mio scopo non è quello di fare dell’ontologia eppoi ricadremmo nella solita sterile discussione tra spirituale e non spirituale che non c’entra che in tangenza con il mio intento.S ono comunque aperto a suggestioni.

      (d) Riguardo a Einstein e altre disquisizioni, personalmente ho accolto la riflessione di Mentelibera e gli ho risposto: si può benissimo fare una fisica senza la nozione di tempo ed è quel che avviene in fisica molto di più di quel che si crede. Se ho tardato a uscire la VI puntata di Eviternità è perché sto aggiungendo una serie di riflessioni più particolari sulla relazione tra fisica e tempo. Vi rispondo, secondo me, alla tua domanda sullo sfasamento tra gli orologi, aspetta 24 ore al massimo. Ma, nel frattempo, il fatto stesso che la misura del tempo dipenda dalla velocità relativa di un osservatore rispetto ad un altro, ti mostra che non c’è niente di meno assoluto che questa nozione di tempo….

      (e) Se pensi che ne valga la pena, beninteso sarò felicissimo di creare una pubblicazione ad hoc al soggetto. Penso che la riflessione sul tempo, aiuti a rimettere molte cose a posto nella concezione della storia e nella nostra posizione nell’universo

      In Pace

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