La Chiesa ritorna alla conquista

Bergoglio Sinodo

Il discorso del Santo Padre alla commemorazione del 50° anniversario della creazione dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, benché sia un riepilogo di quanto già annunciato nella Evangelii Gaudium , sarà sicuramente considerato dagli storici della Chiesa cattolica del 22° e del 23° secolo come il vero momento a partire dal quale la Chiesa cattolica è ripartita attivamente alla conquista delle anime nel mondo intero: non è un discorso che sorge dal niente ma è l’espressione riattualizzata nel contesto attuale di affermazioni profetiche dei precedenti Papi, come il Beato Paolo VI e San Giovanni Paolo Magno sulla scia dell’impulso dato dal S.S. Concilio Vaticano II.

Questo discorso è dunque da essere considerato un momento solenne: noi, in quanto fedeli cattolici, dobbiamo capirlo e aiutare a metterlo in opera concretamente usando del migliore di noi stessi per farlo intelligentemente e con spirito davvero universale, cioè cattolico.

Quando accompagno catecumeni verso il battesimo, personalmente, lo faccio sempre camminando con loro, per i boschi o per i pendii montagnosi tipicamente con un percorso sui 10 chilometri: mi è sempre stato naturale di fare la strada (odos) assieme (sin) a chi  vuole ricevere e compartire la buona novella, sia in fedeltà ai peripatetici di aristotelica memoria sia in omaggio ad un esperienza personale fatta anni fa sul cammino da Gerusalemme a Emmaus assieme ad un frate che alla fine del percorso mi confessò. Il camminare assieme, ben leggendo i Vangeli ma anche gli Atti degli Apostoli, è la postura naturale della Chiesa che annuncia il Kerygma: nel camminare, lo sforzo, il ritmo stesso del passo che rimanda alla recitazione dei salmi, la comunità di intenti che si traduce simbolicamente nel percorrere assieme lo stesso sentiero per giungere allo stesso traguardo, l’ascolto dell’altro più intenso e non conflittuale in quanto si cammina in parallelo e non guardandosi competitivamente sempre faccia a faccia, il fatto stesso di camminare assieme risolve la maggior parte dei problemi e fa compartire il successo di aver raggiunto assieme la meta.

Il concetto stesso di Sinodo è dunque benvenuto e dovrebbe essere sviluppato anche liturgicamente: quando nelle nostre celebrazioni eucaristiche la smetteremo di essere tutti seduti in tondo attorno all’altare, simboleggiando chiusura, e cominceremo di nuovo a esprimere un moto dell’assemblea in direzione della Meta, il Risorto che viene dal sol levante, tutti dietro il Sacerdote che cammina con noi, davanti a noi, per noi?

La Chiesa si deve mettere in Sinodo: non in chiacchiere ma negli atti. La Chiesa cattolica si deve rimettere in moto.

Lo shock è maggiore: la Chiesa “Istituzione” non è più un’istituzione se non per se stessa; siamo noi cattolici tutti quanti, ma i soli, a credere che siamo ancora in un’istituzione a causa di secoli di istituzionalizzazione, cosa non per forza nefanda in sé stessa, ma di certo, già agli occhi della Storia, senza senso in questo secondo decennio del terzo millennio. L’Istituzione conforta e coccola il piccolo borghese che sonnecchia in ogni cattolico ben fatto e ciò a causa di pieghe e modi di pensare incrostati da secoli di cultura istituzionale. La situazione storica ci obbliga volenti o nolenti a cambiare sguardo e atteggiamento: se non lo facciamo da noi, altri lo faranno al posto nostro e sarà ben più doloroso.

Al soggetto il Santo Padre propone di nuovo la rivoluzione manageriale già voluta da Cristo :

“La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. Se capiamo che, come dice San Giovanni Crisostomo, «Chiesa e Sinodo sono sinonimi»-perché la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore- capiamo pure che al suo interno nessuno può essere “elevato” al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno “si abbassi” per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino. Gesù ha costituito la Chiesa ponendo al suo vertice il Collegio apostolico, nel quale l’apostolo Pietro è la «roccia» (cfr. Mt 16, 18), colui che deve «confermare» i fratelli nella fede (cfr. Lc 22, 32). Ma in questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti. È servendo il Popolo di Dio che ciascun Vescovo diviene, per la porzione del Gregge a lui affidata, vicarius Christi20, vicario di quel Gesù che nell’ultima cena si è chinato a lavare i piedi degli apostoli (cfr. Gv 13, 1-15). E, in un simile orizzonte, lo stesso Successore di Pietro altro non è che il servus servorum Dei.  Non dimentichiamolo mai! Per i discepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce, secondo le parole del Maestro: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20, 25-27).”

Questa è la Chiave per ripartire alla conquista del Regno di Dio e, se usata per davvero, essa davvero aprirà le Porte della Gerusalemme celeste alle moltitudini!

Quanto affermato dal Santo Padre Francesco è antico quanto Lao Tsu, ben sei secoli a.C.: “Il governante più perfetto è proprio colui della cui esistenza  la gente è appena cosciente; in seguito ci sono i governanti che la gente ama ed ammira; poi sotto  questa categoria coloro che il popolo teme; infine coloro che il popolo disprezza e sfida. Quando tu manchi di fede, gli altri ti saranno infedeli. Il governante saggio si eclissa naturalmente ed è avaro in parole: quando ha finito la sua missione e che tutto è stato compiuto come si deve, tutto il popolo dice “Lo abbiamo fatto noi” [Lao Tzu, “Tao Teh Ching”, traduzione in inglese da John C. H. Wu (Boston, Massachusetts: Shambhala, 2006), p 35 ]

Questo tipo di concezione, unita alle parole ancora più abbondanti di Cristo al soggetto e già citate dal Papa nel suo discorso, hanno condotto fin dagli anni 70 del secolo al concetto di Servant Leadership elaborato da Robert K. Greenleaf, ma poi sviluppato da altri specialisti del management e della leadership come Bolman, Covey, Deal, Heifitz, Fullan, Keith,  Sipe e Frick.

È una questione di sguardo, in fin dei conti: come quello di chi, osservando un bicchiere d’acqua, lo considera mezzo pieno o, all’opposto, mezzo vuoto. Il leader che capisce che il proprio successo e quello della sua impresa è dipendente dal successo di tutti i suoi subordinati e che assimila l’idea che la sua funzione principale è proprio quella di aiutare i propri subordinati ad avere successo, interpreta la piramide gerarchica non come una relazione di potere sui livelli più bassi ma come una relazione di servizio ordinato al vero bene comune.

Ovviamente, poi, lo stile che questo servizio di leadership inverso i seguaci deve avere, dipende dalle circostanze culturali nelle quali si deve esercitare, la maturità dei detti seguaci, le circostanze particolari: in verità, quindi, non si può concepire la leadership come servizio al bene comune se non si è capaci di delegare, decentralizzare geograficamente e funzionalmente l’organizzazione stessa. In questo contesto, il leader realizza soprattutto l’unità organica ed ideale dell’organizzazione che serve: la sua funzione principale è, cioè, quella di garantire l’unità di intento dell’insieme nella realizzazione del suo successo.

Rendiamoci anche conto che i sistemi relativamente chiusi, siano essi economici, culturali, fisici, tendono a favorire l’apparire di mastodonti organizzazionali mentre i sistemi aperti favoriscono soprattutto l’emergenza e la riuscita di organizzazioni piccole, agili, cooperative e aggregative. Nel mondo aperto di oggi sarebbe suicidale per la Chiesa cattolica continuare con lo sviluppo di una concezione centralizzata mastodontica: non sarebbe più adatta al suo ambiente ed è quel che succede nella nostra vecchia Europa sotto gli occhi nostri, l’esempio della Chiesa tedesca essendo paradigmatica di questa situazione di fatto. A contrario una concezione più ecumenica della Chiesa dovrebbe favorire queste agilità, cooperazioni ed aggregazioni che sono la martingala vincente nei contesti attuali.

È tempo di rimetterci in moto, camminando assieme, al servizio del successo spirituale mutuale, seguendo con gioia e fiducia, pieni di Fede, Speranza e Carità il cammino che ci indica il Santo Padre Francesco.

In Pace



Categories: Magistero, Sinodi della famiglia

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3 replies

  1. Grande Simon!
    La lettura di questa tua splendida riflessione mi ha ricordato un percorso fatto tempo fa con una fraternità di amici dedicato all’homo peregrinus che viene affiancato dalla figura cristologica dell’homo viator e si fa “viator” esso stesso..
    Quest’ultimo è infatti il latore di un messaggio, che compie percorsi stabiliti e precisi, simbolo del Cristo appunto, ma al contempo è anche colui che è consapevole di compiere un preciso cammino, a sequela di chi è il suo “maestro di via”.

    Il passaggio dunque da peregrinus – cioè di camminatore “non appartenente alla comunità con cui viene in contatto, è straniero, sconosciuto e anche strano”, un diverso, uno straniero che “non conosce i luoghi e gli itinerari e perciò deve trovare il suo cammino attraverso piste non sempre giuste” cfr. qui – a viator è dunque un percorso esso stesso (di Grazia? di Santità?), fatto in primis di fede e quindi di ricerca del difficile equilibrio fra la razionalità delle risposte che la nostra coscienza ci impone e l’abbandono della superbia di sentirsi superiori alla Chiesa docente.

    Che sia questo post un richiamo per tutti noi a farci docili camminatori a sequela del Viator per eccellenza, Cristo; con la sincera speranza di poterci ritrovare un giorno stupìti di essere “viator ad imitazione”, da semplici pellegrini stranieri della santità che eravamo. E scoprire così che tutto ciò è stato compiuto dalla Grazia, lasciata semplicemente agire da noi stessi durante il nostro tortuoso cammino.

  2. Splendide riflessioni su un discorso altrettanto splendido.

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