For Men Only: Coniugare il Fare

oldman

Nella nostra mini-rubrica al maschile verace, For Men Only, è forse giunto il momento di scambiare un paio di riflessioni sul fare: sembrerebbe che noi maschi siamo profondamente motivati dal nostro agire. Ma, ovviamente, passiamo tutti attraverso diverse tappe nella nostra relazione al fare con l’avanzare dell’età, della vita familiare, di quella professionale e di quella spirituale. Personalmente ho individuato quattro grandi tappe: (1) il sognar di fare, (2) il fare propriamente detto, (3) il lasciar fare, (4) il guardare fare. Ma sono aperto alle vostre suggestione per aggiungere altre tappe con differenti sfumature.

Nello sviluppo dall’infanzia all’età adulta il sognar di fare riempie tutta la nostra gioventù: tempi d’eroismo fantasticato, desiderio di fare qualcosa che conta e che incida in qualche modo sul mondo, elaborazione di piani personali di formazione e di studi. Nella piena forza dell’età adulta, poi, mettiamo tutta la nostra energia a concretizzare quel per il quale ci siamo preparati a volte durante decenni, lavoriamo, prendiamo sempre più responsabilità, prendiamo sberle ma traiamo anche molte soddisfazioni, vediamo i nostri sogni concretizzarsi differentemente da quanto inizialmente immaginati ma sempre giudicati migliori in quanto corretti dalla realtà: la realtà sempre sorpassa l’immaginario. Continuando ad avanzare vediamo poi che siamo più efficienti quando lasciamo a terzi il fare concreto mentre ci concentriamo sull’essenziale che consiste nell’assicurarsi che la propria missione e visione in questo mondo sia mantenuta. Anzi, dopo un po’, apriamo sempre di più le mani e davvero lasciamo gli altri fare, anche in quel che ci concerne, al punto che qualcuno può prenderci per la cintura e condurci anche dove non vogliamo andare: arriva, cioè, l’ultima tappa dove semplicemente guardiamo il fare, fare che ci concerne sempre ma dove non siamo più attori attivi e neanche più attori passivi ma osservatori attivi: il fare attorno a noi e dentro di noi diventa così un mondo di reale contemplazione.

Queste tappe le constatiamo ad esempio da un punto di vista professionale: sogniamo una carriera, lavoriamo per la carriera, avanziamo nella carriera, poi osserviamo quel che succede dopo di noi. Oppure capita anche con la famiglia: sogniamo una famiglia, mettiamo su una famiglia, poi lasciamo fare questa famiglia eppoi, alla fine, contempliamo questa famiglia svilupparsi senza di noi.

Nella vita spirituale procediamo in modo analogo: sogniamo un relazione con Dio tutta nostra e piena di generosità, ci lanciamo poi in tante occupazioni spirituali, piene di vita di preghiera e di opere di carità, indaffarati come siamo nel nostro “fare” la nostra relazione con Dio; poi capiamo che dobbiamo lasciar fare lo Spirito Santo, che fa tutte le cose in modo ben più eccelso ed efficace ed in vera lode al Padre per il Cristo Gesù; alla fine vediamo che l’essenza della nostra relazione alla Santa Trinità consiste solamente in contemplare la Sua azione, in noi e negli altri aldilà, addirittura, del lasciar fare, nel puro sguardo.

A questo punto mi viene da considerare che, però, Dio agisce con noi esattamente alla rovescia di questo processo: e cioè Lui comincia con il guardarci ed il contemplarci come siamo, eppoi ci lascia fare; più in là, invece, è proprio Lui che fa il cielo e la terra e noi e la nostra vita di umani e di cristiani uniti a Lui; e, alla fine, Dio … ci sogna.

In Pace



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1 reply

  1. Sarebbe un peccato che un post come questo finisse nel limbo dei post “scaduti” senza avere avuto l’onore di almeno un commento. Merita infatti un placet, perché ravvisa il culmine dell’agire in una relativa forma di 無為, di non-agire. L’ergomania, la smania di fare, è una malattia della psiche e ha gravi ricadute sullo spirito, come a suo tempo ebbe opportunamente modo di sottolineare papa Benedetto XVI (quale opportunità straordinaria fu quel pontificato! e quanto poco afferrata dai suoi stessi più radicali sostenitori!). Il vero approdo di qualsiasi fare è la contemplazione, il puro sguardo come dice Simon (e lo sguardo puro, aggiungo io). Per questo chi si vede interdire la possibilità di fare, di tradurre in fatti i progetti elaborati in gioventù, dovrebbe pensare a tale avversità come a una scorciatoia, un’opportunità per maturare in tempi assai più rapidi quel puro sguardo contemplativo cui gli uomini troppo appagati dal proprio agire e dai suoi frutti approdano solo in tarda età (o, a volte, mai).

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