L’Offertorio nella Forma Straordinaria

Preludio: Caino uccide Abele

Preludio: Caino uccide Abele

È la terza volta in qualche settimane che ritorniamo su Croce-Via a discutere dell’Offertorio della forma extra-ordinaria ( prima qui e poi qui)

Padre Mathias Augé ha presentato sul suo blog un’interessantissima analisi e paragone tra l’offertorio della forma ordinaria e quello della forma straordinaria mettendo brillantemente in evidenza i punti di continuità tra i due offertori come anche qualche punto elemento di differenza: consiglio davvero a tutti i nostri utenti interessati da queste materie di andare a leggere quel post.

Nelle righe che seguono vorrei però soffermarmi sugli aspetti misticamente bellissimi che l’offertorio della forma straordinaria mostra con naturalezza ed in un modo impareggiabile altrove: il che ci aiuta a capire come mai il Card. Sarah, seguendo le direzioni del Santo Padre Francesco, abbia l’intenzione di offrirlo come possibilità anche nel quadro della forma ordinaria, la quale, come ben sappiamo, permette la presenza di variazioni anche in molti i punti cruciali della celebrazione come ad esempio nelle preghiere eucaristiche e quindi noi di Croce-Via non vediamo perché questp non dovrebbe essere il caso anche nella scelta dell’offertorio.

Vorrei mostrare come l’offertorio della forma straordinaria interpreta in modo eccelso il desiderio del S.S. Concilio Vaticano II di rendere più evidente la partecipazione dei laici al sacrificio della Santa Messa e ciò perfino nella sua dimensione mistica la più intima.

Prima di tutto, contrariamente a quel che si afferma da poco prima del S.S. Concilio Vaticano II, se è vero che l’offertorio può essere, superficialmente, visto come un “doppione” del Canone Romano (Preghiera Eucaristica I) in realtà esso è il momento liturgico durante il quale si incontrano l’Antico Testamento con il Nuovo, nel quale si rivive l’Incarnazione stessa, nell’azione sacerdotale di tutti i fedeli che si uniscono al Cristo.

Nella forma straordinaria in generale è messo l’accento tra il preludio veterotestamentario e la completezza del Nuovo. Ad esempio nella processione prima delle preghiere ai piedi dell’altare in primo viene il suddiacono, seguito dal diacono ed infine dal sacerdote, il primo rappresentante l’A.T. il secondo il N.T. ed il terzo, ovviamente, il Cristo: durante la cerimonia il Cristo siede tra l’A.T. e il N.T., il suddiacono ed il diacono. Molte preghiere sono, ovviamente, direttamente ispirate dai Salmi, ad esempio nell’Introibo, per sostenere ed strutturare la Santa Messa, salmi che sono essi stessi preludio all’unica preghiera sacerdotale di Cristo.

L’offertorio della forma straordinaria non è “doppione” ma è preludio: l’Antico Testamento con i suoi sacrifici a YHVH è preludio al sacrificio sul Golgotha, l’antico Testamento non è un doppione, non se ne può fare a meno, e se il Sacrificio del Figlio al Padre realizza pienamente l’A.T. , per l’appunto, Esso può realizzare pienamente solo qualcosa che era già lì presente in modo imperfetto.

L’Offertorio, non doppione, ma preludio segue lo stesso movimento della stessa Incarnazione : “Non hai voluto né sacrificio né oblazione, allora ho detto: Eccomi!” (He 10, 5). Il Figlio dice al Padre “Presente!” , si incarna nella Vergine Santissima, non è ancora il Sacrificio ma ne è il Suo inevitabile e necessario preludio.

Nell’Offertorio della forma straordinaria si scombussola l’ordine cronologico del Sacrificio della Croce proprio come Cristo stesso ha fatto allegoricamente più volte:

(a) oltre all’offerta a Suo Padre incarnandosi, si è anche lasciato riscattare alla Presentazione, riscatto che è un atto eminentemente liturgico (Lc 2, 22-24) in quanto riscatto dei primogeniti secondo Lv (12, 8) dove questi venivano come scambiati con gli animali come Isacco fu riscattato: San Giuseppe offrendo due tortorelle una in sacrificio per il peccato e che è preludio della morte di Cristo ed una seconda in olocausto, consumata dalla divinità come preludio alla Risurrezione;

(b) il Cristo compie ancora una propria offerta di Se, preludio al Sacrificio sul Golgotha, nel giardino di Getsemani: l’Orate fratres dell’Offertorio ci ricollega naturalmente a Lc 22, 40 ed il silenzio di quella preghiera sacerdotale evoca la preghiera solitaria del Cristo in quel momento.

Guardiamo adesso più da vicino lo svolgimento di questo momento cruciale dell’Offertorio:

(a) durante la Santa Messa ci sono tre Entrate di Cristo : quella del Celebrante, quella del Santo Vangelo e quella del canto dell’Offertorio. Canto dell’Offertorio che è una delle tre antifone della Messa assieme all’introito e al canto della comunione.  Questo lo ritroviamo anche presso i Bizantini: la grande entrata dei bizantini raddoppia la piccola entrata del Vangelo prima del canto del Trisagion; nel rito romano gli onori dovuti agli oblati raddoppiano quelli dati precedentemente al Vangelo;

(b) sebbene non solenne quanto la grande entrata delle liturgie orientali, il rito romano nella forma straordinaria evoca con l’antifona dell’offertorio assieme allo svelamento del calice, della patena e l’incensamento degli oblati la gioia e le grida del Antico Testamento (Pr 22, 8; 2Co 9,7) del popolo di Israele  che offre i propri doni per l’edificazione del Tabernacolo, preludio di quell’altro preludio che è Cristo sull’asinello acclamato dagli Ebrei colle palme (Mc 11, 1-10); la stessa gioiosa antifona evoca ancora il grido nel dolore del Parto (Ap 12, 1-1) della Donna dell’ Apocalisse rivestita del Cristo- Sole come ci insegna la grande Liturgia Apocalittica.

Le preghiere dell’Offertorio che sono state eliminate nella riforma paolina lo sono state essentialmente perché considerate come dei doppioni: il parallelismo è vero ma lo sono in quanto pre-attuazione: come ricorda P. Augé la maggior parte  di quelle preghiere  sono Apologiae Sacerdotis  che risalgono al VII secolo nel Missale gothicum, e sviluppatesi sotto i carolingi fino al X e XI secolo. Un manoscritto del IX secolo, il manoscritto di Amiens integra per primo tutta la successione di tali preghiere incluse 5 formule possibili per il Suscipe sancta Trinitas a conclusione dell’offertorio, e l’Orate fratres da dire prima del Sanctus. Lo stesso fatto che sia l’offertorio che il canone romano erano recitati a voce bassa ne sottolinea la corrispondenza. Anche nella qualità del silenzio, però, non c’è doppione, perché le ragioni ne sono diverse:  nell’offertorio v’è silenzio in quanto preghiere personali del ministro che si rivolge a Cristo e alla Trinità a suo nome e a quello dei fedeli che hanno partecipato all’offerta come il silenzioso San Giuseppe lo fece per riscattare Gesù comprando e offrendo al sacerdote del Tempio le due tortorelle; nella secreta e nel canone invece il silenzio è a ragione del mistero che li circonda.

Corrispondenza ma non reale doppione, quindi: mentre nell’offertorio queste preghiere silenziose sono preghiere personali  che misticamente rappresentano la preghiera solitaria di Cristo a Getsemani e sono spesso espresse in prima persona e a Cristo stesso, esse sono in ciò distinte dalle grandi preghiere sacerdotali che usano del  “noi” (come nella colletta e secreta) e che si indirizzano solitamente al Padre come nel canone. L’ultima grande preghiera dell’offertorio Suscipe Sancta Trinitas.. che è un’anamnesi simile a quella del canone Unde et memores…. e che evoca anche il Comunicantes… è in realtà una preghiera che s’indirizza alla Santa Trinità, mentre il canone, ovviamente, come ogni preghiera eucaristica si indirizza solo al Padre.

Qui una corrispondenza tra le preghiere che preludono al Sacrificio e quelle del canone:

Suscipem sancte Pater corrisponde all’ Hanc Higitur: si sottolinea oblazione per i peccati

Deus qui humanae … e l’ Offerimus tibi … :corrisponde propio alla consecrazione propriamente detta

Il Deus qui humanae… non è propriamente un’Apologiae Sacerdotis ma un Sacramentario romano della festa di Natale e fa direttamente referenza all’acqua mescolata al vino, allegoricamente interpretato da San Cipriano (Epistola 63,PL 4,384) come il popolo che si unisce al Cristo riferendosi ad Ap (17, 15): “ e quelle acque lì … sono i popoli, le folle, le nazioni e le lingue”. L’attenzione dell’Offertorio quindi si incentra sull’umanità quella del Cristo e quella dei fedeli. Teologicamente questa mescolanza è importante, nei riti ambrosiani e certosini si riferisce direttamente all’acqua che esce dal costato di Cristo e sottolinea la doppia natura del Cristo. Questo è ricordato da  San Tommaso (S.T. IIIa q74, a6)  e ricordando Proverbi (9,5) “bevete il vino che vi ho mescolato”.

Mentre negli oblati ci porta l’offerta dei fedeli, con questa preghiera si uniscono esplicitamente l’umanità dei fedeli e quella di Cristo nell’offerta: è un momento centrale nel più puro spirito del S.S. Concilio Vaticano II.

In Spiritu humilitatis…. e l’invocazione Veni sanctificator corrispondono all’epiclesi del Supplices te rogamus

La parte del salmo (Ps 25, 6-12) Lavabo… preannuncia Nobis quoque peccatoribus

Orate, fratres evoca il Quam oblationes

È un continuo passaggio dall’uno altro: dal preludio dell’offerta dei fedeli alla completezza del Sacrificio perfetto.

L’incensamento che si compie tra il Veni Sanctificator ed il Lavabo proviene dai Franchi ma esisteva presso i Bizantini nella grande entrata di cui abbiamo parlato sopra ed è corrispondente allo svelamento degli oblati.

Però a differenza del primo incensamento qui c’è incensamento globale: gli oblati, la croce, l’altare, i ministri il clero, i fedeli preludio dell’unione di tutti nel Sacrificio del Figlio in soave odore al Padre: mentre fa i tre segni di croce incensando il sacerdote pronuncia Incensum istud a te benedictum, ascendat ad te, Domine: l’incenso rappresenta il sacrificio serale, quello del Golgotha, durante il quale Cristo ha elevato le mani (Ps 140, 2), ed il cui orante profumo  s’innalza verso Dio.  Eppoi conclude: Et descendat super nos misericordia tua, per mostrare quanto questi oblati ed il loro futuro sacrificio sia gradito a Dio.

La secreta che chiude l’Offertorio è la seconda grande orazione sacerdotale della messa romana: il suo nome oratio super oblata nel Sacramentario romano del VII secolo sembra sia di origine gallicana. È chiamata secreta in quanto era diventato d’uso di dirla a vice bassa come il canone di cui era preludio: esprime il fatto che  il momento della Passione si avvicina mentre orando sottovoce il sacerdote raffigura il Cristo a Getsemani.

Non dimentichiamoci che la stessa Laudato Sì del nostro Santo Padre Francesco trova il suo pieno respiro proprio in quest’offertorio.

In Pace



Categories: Liturgia e Sacra scrittura

3 replies

  1. Alcune considerazioni (collaterali all’ottimo post di Simon), sul problema “proclamare ad alta voce” e/o “recitare in silenzio”.
    Forzando i termini e generalizzando, si potrebbe dire che nella mentalità “pre-conciliare” tutto tendeva “al silenzio”, mentre in quella “post-” tutto tende “alla voce alta”.
    Qualche tempo fa, della questione si è occupato questo libro: http://associazionemadonnaumiltapistoia.blogspot.it/2010/09/claudio-crescimanno-la-riforma-della.html .
    La tesi dell’autore è che il proclamare ad alta voce sia in rapporto privilegiato con gli “elementi strutturali DEL rito”, mentre il recitare in silenzio corrisponda ad “elementi (n.b.: non irrilevanti ma) funzionali AL rito”.
    L’eccezione macroscopica a questo principio è che nel rito “pre-” a tanti elementi “strutturalissimi” in realtà è riservato il silenzio; nel rito “post-“, invece, l’imbarazzo per la recita silenziosa è evidente, sino al punto da diventare omissione di fatto (nelle liturgie comunemente celebrate), quando non di diritto (cfr. questione dell’incenso, lamentata dallo stesso p. Augé).
    Non entro nel merito delle motivazioni mistiche che si danno (o si tentano faticosamente di dare…, bisognerà pur dirlo) per il silenzio liturgico “pre-“.
    Mi focalizzo su un’incongruenza dell’uso attuale (post-).
    Così, non si può non notare la differenza di sorte riservata alle preghiere offertoriali sul pane e sul vino, che sono state:
    1) rese, di fatto, “strutturali” (non sono più “apologie individuali” – o “mistagogie”? [cfr. http://pellegrininellaverita.com/2015/07/23/offertorio-extra-ordinario-per-la-forma-ordinaria/?like_comment=15513&_wpnonce=42cfcc6344%5D ma “preghiere pubbliche”);
    2) forzate, di fatto, in senso conviviale, bypassando l’oblazione e il sacrificio, con il cortocircuito rituale di un alimento (naturale) che diventa alimento (spirituale), con l’effetto di una sorta di mistagogia pubblica, ma al ribasso…
    Ne vogliamo parlare?

  2. Parliamone, ma allora in modo sistematico per non restare nel superficiale, il che è sempre un po’ la tentazione in un blog.

    Personalmente, il fatto che tutto sia detto a voce alta lo trovo più una perdita di senso della quarta dimensione (la profondità, cf. http://pellegrininellaverita.com/2013/10/26/fantascienza-la-chiesa-cattolica-nella-quarta-dimensione/ ) che una promozione cosciente da funzionale a strutturale: in effetti ne va del suono come dei colori nella pittura, se non ci sono chiari-oscuri non si da senso di profondità all’opera pittorica, se non ci sono silenzi non si nota il rilievo dato alle parole pronunciate a voce alta.

    Ma discutiamo pure di questa lettura tra funzionalità e struttura, anche perché secondo me la continuità tra le due forme si esprime proprio negli elementi strutturanti , mentre sono quelli funzionali che hanno subito il cambiamento e questo, mi pare, indipendentemente dal fatto che siano celebrati a voce alta o bassa.

    Detto ciò non ne faccio una malattia del fatto che nella forma ordinaria tutto (praticamente) sia detto ad alta voce, salvo ovviamente il momento secondo me il più importante dell’offertorio (secondo me proprio strutturale) e cioè proprio quello dove si recita “Per huius aquæ et vini mystérium eius efficiámur divinitátis consórtes, qui humanitátis nostræ fíeri dignátus est párticeps.. (Formula che non è davvero paragonabile a quella antica della Deus, qui humanae substantiae dignitatem mirabiliter condidisti, et mirabilius reformasti: da nobis per hujus aquae et vini mysterium, ejus divinitatis esse consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est particeps, Jesus Christus, Filius tuus, Domimus noster…. nella misura in cui non si sottolinea abbastanza chiaramente il fatto che compartiamo con il Cristo la Sua umanità e che è proprio questo compartire la Sua umanità che fa sì che possiamo implorare di essere partecipi alla Sua divinità)

    E comunque la forza dell’antico offertorio è proprio nel fatto di essere essenzialmente, strutturalmente prolettica: e questo ne è un pregio come spero aver mostrato nel post qui sopra.

    Parliamone, grazie.
    In Pace

  3. In attesa di una logistica e di una tempistica adeguata all’improbo (per me) compito di scriverne in modo sistematico, mi limito a notare che la conclusione di Simon (“la forza dell’antico offertorio è proprio nel fatto di essere essenzialmente, strutturalmente prolettica”) rappresenta un giudizio inequivoco sulla riforma liturgica. Se l’essere prolettico è la forza dell’usus antiquior / sezione offertorio, ergo la riforma di tale usus/sezione ne ha provocato lo snervamento e il depotenziamento. Mi sembra un punto fermo!

    p.s. Sulla questione incenso, la mia coazione a linkare ha trovato modo di manifestarsi ancora:
    http://www.cantualeantonianum.com/2009/09/luso-dellincenso-nella-liturgia.html
    http://www.cantualeantonianum.com/2011/05/riprendo-da-zenit-questo-articolo-di.html

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