Edward Feser – Il materialismo ateo e la pigrizia mentale

C'è qualcuno a casa?!

C’è qualcuno a casa?!

Continua il progetto di traduzione del roundup dedicato al mind-body problem.
Feser in questo lungo e avvincente articolo riassume gli errori comuni di chi confonde intelletto con l’immaginazione e le aporie di chi pensa che l’intelletto possa avere spiegazioni materiali.
In conclusione parla del doppio standard incoerente presente in molti studiosi e lancia una frecciatina ai Nuovi Atei – quei neocultori della figura di Biff Tannen di Ritorno al futuro – che non fa mai male. Gustoso da tradurre, credo anche da leggere!
E allora buona lettura!

“Pensa, McFly, Pensa!”

Per come gli aristotelici e i tomisti usano il termine, l’intelletto è quella facoltà con la quale si colgono concetti astratti (come il concetto di uomo o mortale), li si uniscono in giudizi (come il giudizio: tutti gli uomini sono mortali) e permette quindi passare da un giudizio all’altro mediante la logica (come tutti gli uomini sono mortali e Socrate è un uomo e conclusione Socrate è mortale). Deve essere distinta dall’immaginazione, cioè la facoltà con la quale ci formiamo le immagini mentali (ad esempio l’immagine mentale visiva di vostra madre come appare, un’immagine mentale uditiva della vostra canzone preferita come suona, un’immagine mentale gustativa del gusto della pizza e così via); e dalla sensazione, cioè la facoltà con cui percepiamo quello che succede nel mondo materiale esterno e il mondo interno del corpo (come l’esperienza visiva del computer di fronte a voi, l’esperienza uditiva delle macchine che passano per la strada fuori dalla finestra, la consapevolezza della posizione delle vostre gambe, ecc).

Che tale attività intellettuale – pensiero nel senso più stretto del termine – sia irriducibile alla mera sensazione ed immaginazione è una tesi che unisce platonici, aristotelici, e razionalisti, siano essi dell’antica scuola parmenidea o moderni cartesiani. La tesi è esplicitamente o implicitamente negata da empiristi moderni e antichi filosofi come Democrito; come ho notato in un precedente post, le varie bizzarre conclusioni metafisiche difese da scrittori come Berkeley e Hume in gran parte poggiano sulla fusione dell’intelletto con l’immaginazione. Ma questa irriducibilità fra intelletto e immaginazione è innegabile, per diverse ragioni.

Pensare versus Immaginare

In primo luogo i concetti, che sono i costituenti dell’attività intellettuale, sono universali, mentre le immagini mentali e le sensazioni sono sempre essenzialmente particolari. Qualsiasi immagine mentale di uomo che io posso formare sarà sempre l’immagine di un uomo di una particolare specie – alto, basso, grasso, magro, biondo, capelli rossi, calvo o quello che volete. Si adatta alla maggior parte dei molti uomini, ma non a tutti. Ma il mio concetto “uomo” si applica ad ogni singolo uomo senza eccezione. Usando un mio esempio personale: qualsiasi immagine mentale di un triangolo potrà essere l’immagine di un isoscele, scaleno, o un triangolo equilatero, di uno nero, blu, verde ecc Ma il concetto astratto di triangolarità si applica a tutti triangoli senza eccezione. E così via.

In secondo luogo, le immagini mentali sono sempre in qualche misura vaghe o indeterminate, mentre i concetti sono quantomeno precisi e determinati. Per utilizzare il famoso esempio di Cartesio, un’immagine mentale di un chiliagono (una figura di 1.000 lati) non può essere chiaramente distinta da un’immagine mentale di una figura 1.002 lati o anche da una immagine mentale di un cerchio. Ma il concetto di un chiliagono è chiaramente distinto dal concetto di una figura di 1.002 lati o dal concetto di cerchio. Non posso chiaramente distinguere un’immagine mentale di una folla di un milione di persone da una immagine mentale di una folla di 900.000 persone. Ma l’intelletto comprende facilmente la differenza tra il concetto di una folla di un milione di persone e il concetto di una folla di 900.000 persone. E così via.

In terzo luogo, abbiamo molti concetti che sono così astratti che non hanno nemmeno quel collegamento approssimativo con le immagini mentali che hanno i concetti come uomo, triangolo, folla e cosi via. Non è possibile infatti visualizzare la triangolarità o l’umanità di per sé, ma si può al massimo immaginare un particolare triangolo o di un particolare essere umano. Ma abbiamo anche concetti – come i concetti di diritto, radice quadrata, coerenza logica, collasso della funzione d’onda e innumerevoli altri – che non possono essere associati strettamente ad una immagine mentale. Si potrebbe formare un’immagine visiva o uditiva della parola italiana “legge” quando si pensa ad una legge, ma il concetto di legge non ha ovviamente alcun legame essenziale con quella parola, dal momento che gli antichi greci, cinesi, indiani hanno avuto tale concetto senza l’utilizzo di quella specifica parola atta a nominarlo. Si potrebbe formare un’immagine mentale di un certo logico quando si pensa a quel che serve ad una teoria per essere logicamente coerente, o un’immagine mentale di qualcuno che sta osservando qualcosa quando si pensa al collasso della funzione d’onda, ma non vi è alcuna connessione essenziale di sorta tra (per esempio) la figura di Alonzo Church e il concetto di coerenza logica o (ancora ad esempio) la figura di qualcuno in atto di osservare un gatto morto e il concetto di collasso della funzione d’onda.

L’impossibilità del materialismo

Ora, il motivo per cui l’attività intellettuale non può in linea di principio essere ridotta a sensazione o ad immaginazione è, come accade, relativo al motivo per il quale l’attività intellettuale, in linea di principio, non può essere ridotta a, o emergere interamente da, o possa essere in qualsiasi modo spiegabile in termini di, processi materiali di qualsiasi tipo. Come per le immagini mentali, i simboli metaforici postulati dagli scienziati cognitivi (“frasi in testa,” “mappe” o quel che volete voi), e tutte le altre possibili forme di realizzazione materiale presunta di pensiero, (a) necessariamente mancano dell’universalità che i concetti hanno, (b) necessariamente mancano della determinatezza che i concetti hanno, e (c) in generale hanno esattamente la connessione approssimativa e non essenziale che lega i concetti che presumibilmente incarnano la parola “legge” al concetto legge o l’immagine mentale di Alonzo Church per il concetto di coerenza logica.

Non c’è modo per il quale il materialista possa far quadrare il cerchio. Per “spiegare” l’attività intellettuale interamente in termini di processi materiali inevitabilmente bisogna almeno implicitamente negare l’esistenza dei processi materiali, o di qualche aspetto essenziale degli stessi. Per esempio, se si identifica il pensiero con i processi materiali, necessariamente ci si impegna a negare, implicitamente o esplicitamente, che i nostri pensieri possano mai realmente avere un contenuto determinato *. Un certo numero di materialisti lo hanno constatato – Quine, Dennett, e Bernard Williams sono tre esempi – e hanno deciso di stringere i denti e accettare che il contenuto di tutto il pensiero e il linguaggio è intrinsecamente indeterminato. (Questo è, per esempio, quel che forma conclusioni come la famosa “indeterminatezza della traduzione” e “imperscrutabilità di riferimento” di Quine o l’esempio ” two-bitser ” di Dennett.).

Ma tali affermazioni sono indifendibili, per le ragioni che James Ross ha incisivamente enunciato. In primo luogo, se si nega la determinatezza del pensiero, in alcun modo si sarà in grado di dare un senso al vasto corpo di conoscenze incarnato nella matematica e nella logica, le quali presuppongono che si abbiano dei concetti determinati. E in quel caso non si sarà mai in grado di dare un senso alla scienza empirica, che ha presupposti matematici e logici, in nome della quale i materialisti avallano le loro tesi di indeterminazione. In secondo luogo, se si nega la determinatezza del pensiero, poi ci si deve impegnare a negare l’affermazione per la quale noi non abbiamo mai determinatamente pensato secondo forme valide di inferenza – modus ponens, tollens modus, ecc – o che abbiamo mai davvero fatto somme, sottratto, moltiplicato , ecc Bisogna sostenere che ci sembra solo di farlo. Ma questo implica che noi di fatto non ragioniamo mai in maniera logica o matematicamente consistente. Questo (ancora una volta) non solo rende la scienza incomprensibile, ma mina in modo assoluto ogni argomento possibile, fra cui ovviamente ogni argomento materialista. Terzo, anche se negassimo che i nostri pensieri hanno un contenuto determintato – es. il negare che impieghiamo sempre in maniera determinata l’addizione, a differenza della nozione di “quaddizione” di Kripke – dovremmo prima comprendere cosa sia un’addizione e quindi procedere col negare che la eseguiamo sempre. Ma ciò significa che è necessario disporre di un pensiero con un certo contenuto determinato anche per negare di aver mai avuto pensieri con quel contenuto specifico.

Quindi chi pensa che il pensiero può anche in linea di principio essere del tutto materiale non ha pensato con sufficiente attenzione sulla natura del pensiero. Il materialista smentisce il suo materialismo ogni volta che prova ad argomentarne i contenuti. O almeno così sostengo e ho sostenuto a lungo altrove (ad esempio nel capitolo 7 di Philosophy of Mind, nel capitolo 4 di Aquinas, e più a lungo nel mio prossimo articolo American Catholic Philosophical Quarterly “Kripke, Ross e gli aspetti immateriali del Pensiero”). Non ho intenzione di aggiungere altro sull’argomento in questo articolo, perché non è rilevante per il punto che voglio ora trattare. Quindi, se si vuole insistere sul fatto che l’attività intellettuale è materiale, allora bene, questo è un altro argomento. Il punto ai presenti fini è che il pensiero in senso stretto – afferrare concetti astratti, formulare proposizioni, ragionare da una proposizione ad un’altra – è differente dal formare immagini mentali o simili (questo anche se in qualche modo è materiale sotto altre prospettive).

La scienza è un’attività essenzialmente intellettuale

Tutti sanno che questo è vero quando ci si interessa di fisica e matematica. Naturalmente troviamo utile formare immagini mentali quando cerchiamo di cogliere le astrazioni di queste discipline, almeno inizialmente. Disegniamo figure geometriche su carta, pensiamo i punti come puntini e le linee come quel genere di cosa che si può disegnare con un righello, immaginiamo particelle come piccoli oggetti rotondi che si muovono e la struttura dello spazio-tempo come un foglio di gomma che potremmo rigirare in diverse forme. Ma nessuna di queste immagini è strettamente corretta: più profonda sarà la conoscenza dei concetti, più si comprenderà che queste immagini non sono che crude approssimazioni. È per questo che i fisici preferiscono mettere le cose in termini matematici. Non stanno cercando di mettersi in mostra o a fare cose difficili per il piacere del difficile. Sono piuttosto proprio quegli aspetti della natura che possono essere modellati matematicamente che sono interessanti per i fisici. Quindi, mettendo le loro idee in termini non matematici semplicemente falliscono nell’ottenere l’essenza di ciò che è che stanno cercando di descrivere. (L’errore che alcuni di loro fanno è presumere che una descrizione matematica esaurisca la natura invece di catturare solo un aspetto della natura. Ma questo è un altro argomento, che ho affrontato qui, qui, e qui).

Questo faceva parte del punto di considerazione cartesiano sulla possibilità che si potesse sognare quando si pensa di essere desti, o che il mondo dei sensi possa essere un’allucinazione immessa nella coscienza da uno spirito maligno. Non era soltanto interessato a fornire “foraggio” per le discussioni notturne al College o per sceneggiatori di fantascienza. E non era solo interessato a sollevare e rispondere al problema dello scetticismo epistemologico. Quello che stava cercando di fare era rafforzare l’idea che la fisica come avrebbe voluto (ri) definirla – e lui è uno dei padri della scienza moderna, oltre ad essere il padre della filosofia moderna – è qualcosa che può essere capito solo attraverso l’intelletto, e non tramite i sensi o l’immaginazione. Anche se la teoria fisica deve essere testata attraverso l’osservazione empirica, il suo contenuto è qualcosa di esprimibile solo in termini altamente astratti, che si possono cogliere solo con l’intelletto, piuttosto che in termini immaginativi o di percezione. Come per i concetti di legge e consistenza logica (per citare alcuni esempi precedenti), qualsiasi immagine mentale che associamo con i concetti che apprendiamo da un manuale di fisica sono necessariamente fuorvianti ed avranno poca o nessuna connessione essenziale con la realtà a cui i concetti corrispondono. Proprio per questo la fisica moderna è così difficile – richiede un grado di astrazione di cui pochi sono capaci.

La filosofia e la teologia sono anch’esse attività essenzialmente intellettuali

Ora i concetti chiave dei grandi sistemi della metafisica – che siano i sistemi platonici, aristotelici, tomistici o altra scolastica, o i moderni sistemi razionalisti come quelli di Cartesio e Leibniz – possono essere essi stessi colti soltanto attraverso un alto grado di astrazione intellettuale, quasi senza l’assistenza di immagini mentali. A ben pensarci questi concetti necessitano semmai di un grado di astrazione ancora più alto di quelli riportati dal fisico. Per molti di loro la preoccupazione non è solo sull’essere materiale, e nemmeno sugli aspetti più astratti dell’ essere materiale, ma sull’essere in quanto tale. Quando il metafisico indaga la natura dell’esistenza, o l’essenza, o la causalità, vuole sapere non solo che cosa essa sia o se quella cosa materiale esista o abbia una natura o una causa, e nemmeno semplicemente sapere se una cosa immateriale esista o abbia una natura o una causa. Vuole anche conoscere cosa è l’esistenza in quanto tale, che cosa è la causalità in quanto tale, e così via. La sua impresa richiede necessariamente di riflettere allontanandosi dalle immagini mentali – allontanandosi da ciò che possiamo visualizzare, per esempio – e il più possibile. Così, nonostante la metafisica non comporti calcoli complessi o simili, sotto un altro aspetto è ancora più difficile della fisica in quanto richiede uno sforzo prolungato e maggiore di astrazione.

Quindi quando il filosofo scolastico o il teologo dice che Dio è pura attualità, essere sussistente, assolutamente semplice, o che l’anima umana è la forma sostanziale di un essere umano vivente, si fraintende completamente se si pensa a questi concetti letteralmente, concependoli con quello che si può immaginare essere l’occhio della mente. Ad esempio, se ad esempio immagini una esplosione quando pensi a Dio quale Actus Purus che attualizza il mondo, o un piccolo oggetto simile al marmo quando pensi alla semplicità assoluta, o il profilo tratteggiato di un corpo quando pensi alla forma sostanziale, saresti in un maliteso peggiore – anzi, molto peggiore – del pensare le molecole letteralmente come palline tenute insieme da bastoni, o lo spazio-tempo come fosse letteralmente una sorta di foglio frastagliato. Allo stesso modo, se si pensa al concetto cartesiano di res cogitans sul modello di “ectoplasma” – del genere che si vede in Ghostbusters solo invisibile e intangibile – o come “pezzi di non-orologeria” (come Gilbert Ryle scrisse), ci si esporrà all’errore di essere quasi all’opposto di ciò che Cartesio in realtà aveva in mente. Uguali sono tutti i tipi di cose quasi-materiali che implicano estensione e/o la composizione. Il punto di Cartesia era che una res cogitans non è né ampliabile né composta di parti. Ed è proprio il genere di cosa che non è possibile visualizzare né è modellabile sul funzionamento di qualsiasi tipo di sistema materiale di sorta, anche il più etereo.

Doppio standard

Ed è qui che tanti tipi di Nuovi Atei crollano. (Trovo di dover tranquillizzare sempre il lettore ipersensibile, no, non intendo tutti gli atei. Mi riferisco al tipo di ateo che pensa seriamente che Richard Dawkins, Jerry Coyne o Laurence Krauss meritino di essere menzionati insieme a JL Mackie, J. Howard Sobel, o Quentin Smith nello stesso respiro ). Quelli tra loro che in realtà sanno qualcosa sulla scienza (e non semplicemente gridano “Scienzaaaa!”), sono ben consapevoli del fatto che non si ha intenzione di capire correttamente la fisica se si prende troppo sul serio le immagini mentali che si tende a formare quando sentiamo termini come “spazio-tempo,” particella “,” energia ” e simili. Essi sono ben consapevoli che la fisica ci impone di astrarre dall‘esperienza ordinaria, di allontanarci da quello che possiamo visualizzare o quanto meno immaginare. L’uomo della strada può pensare che tutto ciò che è vero deve essere qualcosa che si potrebbe in linea di principio vedere, sentire, toccare, odorare, o gustare, ma una persona più scientificamente esperta di un New Atheist sa che questo è un pregiudizio volgare e che è con l’intelletto, piuttosto che con i sensi, che possiamo veramente capire il mondo.

Eppure, quando si tratta di concetti metafisici o teologici gente come i nuovi ateisti improvvisamente diventato completi filistei, fingendo incapacità di cogliere qualsiasi cosa che vada oltre la più grezza descrizione fisica letterale. Quindi, quando sentono che tu sostieni l’immaterialità della mente umana, suppongono che semplicemente tu debba sostenere l’esistenza di una sorta di blob magico che galleggia sopra il cervello; e se dici che l’universo ha una causa, essi insisteranno che devi credere in una sorta di super-Edison che redige progetti, prepara i suoi strumenti e li imposta per lavorare. E quanto ti opporrai a questi straw men assurdi, essi dichiareranno che è vuota mera verbosità e che non riescono a capire la lingua in altro modo se non il loro (cioè leggere in modo banale e grossolano). Naturalmente, se avessero mantenuto con la fisica lo stesso standard letteralistico avrebbero dovuto respingere condotti spazio-temporali, schiuma quantistica, buchi neri, pozzi di gravità, campi elettrici, centri di gravità, e così via. (Ho discusso di questo doppio standard qui e qui.)

Non è un bene obiettare che i successi predittivi e tecnologici della fisica giustificano questo doppio standard, per due motivi. In primo luogo, i successi predittivi e tecnologici della fisica sono importanti solo per le credenziali epistemiche della fisica, ma non per la sua intelligibilità. In altre parole, che una teoria qualunque in fisica sia stata confermata sperimentalmente e/o abbia avuto varie applicazioni pratiche è rilevante per dimostrare che è giusta, ma non è necessariamente rilevante per interpretare il contenuto della teoria. I fisici conoscevano abbastanza bene quello che Einstein andava sostenendo prima che i test del 1919 e del 1922 sulle eclissi dimostrarono che avesse ragione. Allo stesso modo, anche se la teoria delle stringhe è dimostrata notoriamente essere difficile da provare, sappiamo abbastanza bene che cosa significhi la teoria; il problema è solo scoprire se è vera. (Nessuno farebbe la stupida obiezione che la teoria delle stringhe semplicemente deve prima sostenere letteralmente l’esistenza di lacci microscopici e fino ad allora la teoria è una completa invenzione).

Quindi, anche se fosse corretto dire che le affermazioni metafisiche e teologiche non possono essere razionalmente giustificate, questa affermazione non sarebbe conseguenza delle rudi letture che i Nuovi Atei spesso impongono su di esse, pena una verbosità vuota. Resta in ogni caso scorretto dire che tali affermazioni non possono essere giustificate razionalmente, il che ci porta al secondo problema. Che i metodi della scienza empirica siano razionali non implica che essi siano gli unici metodi razionali. In particolare, come ho sottolineato più volte, è semplicemente un non sequitur palese affermare che il successo della scienza nello scoprire quegli aspetti della realtà, che sono suscettibili di una rigorosa previsione e controllo, dimostri che tali aspetti esauriscano la realtà. Sarebbe come quell’ubriaco che insiste a cercare le chiavi solamente sotto il lampione perché solo lì c’è luce e ritiene, come conseguenza logica, che le chiavi non possano essere che lì e non altrove e/o che non ci possano essere metodi con il quale le chiavi potrebbero essere ricercate altrove.

Come ho sottolineato più volte, le premesse dalle quali procedono gli argomenti storicamente più importanti per l’esistenza di Dio non derivano dalla scienza naturale, ma dalla metafisica e la filosofia della natura. Esse sono le premesse che una qualsiasi scienza naturale possibile deve dare per scontato, e sono quindi più sicure che le pretese della stessa scienza naturale, non meno sicure come tanti teologi naturali pretenderebbero. Ovviamente tali affermazioni sono controverse, ma il punto è che a insistere sul fatto che le affermazioni metafisiche e teologiche devono essere giustificate con i metodi delle scienze naturali per poter essere degne di attenzione non è confutare i metafisici o i teologi, ma solamente ribadire una petizione di principio contro queste figure di studiosi. Le argomentazioni filosofiche sono diverse dalle argomentazioni scientifiche empiriche, ma non per questo sono meno razionali delle argomentazioni scientifiche empiriche.

Pensare astrattamente

Alcuni lettori potrebbero chiedersi come ciò che sto dicendo qui si concili con quello che ho detto in un recente post sul pericolo di reificare le astrazioni. Non c’è contraddizione. Nel post precedente non dicevo che l’astrazione di per sé è un male; anzi, dico il contrario. Quel che stavo criticando è il trattare come sostanze intese in senso aristotelico del termine, cose che per loro natura non possono essere sostanze. Le caratteristiche matematiche della realtà, per esempio, sono aspetti di sostanze, relazioni fra sostanze, non piene sostanze. Quindi è un errore trattare la descrizione matematica della natura che la fisica ci dà come se fosse una descrizione completa. E ancora: organi del corpo come il cervello non sono sostanze bensì componenti di sostanze (in particolare alcuni tipi di organismi) e sono comprensibili solo in riferimento agli organismi completi di cui fanno parte integrante. Quindi si tratta di un errore di categoria – derivante da una tendenza di astrarre prima il cervello dall’organismo e poi fallacemente trattarlo come sostanza a sé stante – parlare dei cervelli o di suoi componenti che “vedono”, “interpretano” e così via, errore comune ad alcuni neuroscienziati e filosofi. Il tutto per concludere che, poiché il libero arbitrio, il fine, ecc non sono stati trovati a livello di descrizione neurologica, ne consegue che non esistono affatto. Questi concetti si applicano in primo luogo soltanto per l’organismo nel suo complesso, e non alle sue parti.

Gli argomenti di teologia naturale che difendo non commettono errori come questo. Essi astraggono dall’esperienza, ma non trattano erroneamente gli accidenti come se fossero sostanze o le parti come fossero interi.

In ogni caso, è solo imparando a pensare in maniera astratta – cioè impegnarsi nel pensiero razionale nella sua forma più alta e più pura – che riuscirete a capire le argomentazioni metafisiche e teologiche tanto bene da guadagnarvi il diritto di criticarle. “I nuovi atei” – definizione con la quale, ancora una volta, non intendo tutti gli atei, ma gente del calibro di Dawkins, Coyne, Myers con loro gli innumerevoli cloni in fila indiana – non si sono guadagnati questo diritto proprio perché non pensano ad alto livello. In realta’, smettono praticamente di ragionare quando si parla di metafisica e teologia, a meno che non si voglia considerare ‘ragionamento’ qualche sparata pseudo arguta rivolta contro caricature di argomenti seguita da reciproci ‘dammi il cinque’. Quando si ha a che fare con tali cervelloni, si potrebbe tranquillamente incontrali sul loro campo e citare Biff Tannen

* questo perché sarebbe come cercare di eliminare l’aspetto intenzionale della mente facendo ricorso a elementi intenzionali della stessa, utilizzando cioè nella spiegazione gli elementi intenzionali che si vogliono eliminare. Se si vuole rendere di conto della mente in termini puramente materialistici, si sta eliminando l’aspetto intenzionale, ma nello stesso tentativo di spiegare la cosa, fai ricorso all’intenzionalità. In breve non è possibile spiegare la “mente” né eliminandola né ponendola come fenomeno puramente materiale. Questo perché l’eliminativismo è l’implicazione necessaria del materialismo. NDR



Categories: Filosofia, teologia e apologetica, Sproloqui

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6 replies

  1. Magnifico e 100% condivisibile!
    I “cervelloni” citati sono i “palloni gonfiati” già descritti su Croce-via” 🙂

    “Gli argomenti di teologia naturale … astraggono dall’esperienza, ma non trattano erroneamente gli accidenti come se fossero sostanze…”
    Centrale!
    In Pace

  2. Riguardo a questo post un certo Luigi su Critica Scientifica del Pennetta scriveva questo:
    “Il video è quello [che ha linkato in un primo commento] e ci sono tanti video analoghi, in cui i corvi o primati etc… mi sembra proprio dimostrino di avere quella qualità (non parliamo di quantità) di pensiero e non solo immaginazione come erano definite nel tuo link.

    Se la qualità umana è capire che un solido a 1002 facce è diverso da uno da 1000 facce, allora il corvo che utilizza un’asta di 10.5cm anzichè un’asta di 10cm dimostra di capire la stessa cosa.
    Ancora di più quando lo fa per risolvere un problema praticamente astratto: mettere sassolini in una gabbia (trasparente!) e tirare fuori un oggetto nella gabbia, quando mai puoi immaginare una cosa del genere? Se provassi a farlo a mio nipote piccolo lo stesso test, non sono sicuro lo passerebbe! Già ho dei dubbi sulle mie di abilità!

    Ancora più pazzesco è secondo me, quando i corvi (ma tutti gli animali domestici) riconoscono individui e perfino espressioni degli umani. Io mica sono in grado di vedere se un corvo è allegro o no, come fa lui? Non è qualcosa di astratto riconoscere lo stato d’animo, perfino di un altro animale?”
    Commento intero qui:
    http://www.enzopennetta.it/2015/05/spall-mend/#comment-37211

    Ovviamente c’è un qui pro quo di fondo in questo commento che dimostra di non aver inteso quanto scritto dal Feser, soprattutto sull’esempio del chiliagono.
    L’utente V- sta preparando un articolo di risposta a questo commento, cercando di ampliarlo spiegando perché un animale non è un uomo.
    Se riesce a trovare il tempo per finirlo lo pubblicheremo in contemporanea qui su Crocevia e su Critica Scientifica. In caso diverso risponderemo in due righe qui a questa boutade.
    Anyway lo sappiamo… è ridicolo scrivere un post sul perché un animale non è un uomo, ma tant’è: questo è il periodo storico in cui siamo capitati e come dice Gandalf “Possiamo solo decidere cosa fare con il tempo che ci è stato concesso”

    Dio benedica Tolkien:

  3. Nel frattempo sto correggendo dei refusi presenti nella traduzione. La lunghezza non mi ha dato una mano. 🙂

  4. Cambio tattico di titolo su consiglio di Claudio Er brasilero! 😀

  5. La risposta a Luigi la fornisce direttamente Feser in un suo discorso pubblico citato per altro in due trance anche sul suo blog: http://www.thepublicdiscourse.com/2015/04/14777/

  6. Leggendaria la gif animata di “Ritorno al Futuro”! 😀

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