Domanda per tutti: ma che vuol dire “Re-Integrare”?

integrazione

Questo blogpost è aperto in seguito ad una discussione che si sta sviluppando in “Papa Francesco in linea con Croce-Via (e viceversa)”.

Ho una domanda per tutti e sono davvero curioso di leggere le vostre risposte perché ho l’impressione che la gente, e con “gente” includo anche cardinaloni, vescovi e sacerdoti oltre che i laici, usa parole che non hanno un granché di significato: sembrano vuote e, pertanto, non spingono all’azione. “Re-integrazione” sembra una di queste.

Il Santo Padre nell’intervista descritta nel precedente blogpost già citato risponde cosi: “…Come reintegrarle? Che vadano in chiesa…. Quello che la Chiesa vuole è che tu ti integri nella vita della Chiesa…  Se credono, anche se vivono in una situazione definita irregolare e la riconoscono e l’accettano e sanno quello che la Chiesa pensa di questa condizione, non è un impedimento. Quando parliamo di integrare intendiamo tutto questo”

Già vorrei arrivare a capire cosa sia un cattolico “integrato” nella vita della Chiesa, se l’integrazione è uno “stato”, una situazione, oppure una dinamica e soprattutto cosa significhi concretamente.

Il Santo Padre altrove ci dice che lui, personalmente, non trova normale che un divorziato risposato non possa essere padrino di battesimo mentre lo può essere un mafioso ( forse perché ha visto il mitico The Godfather di F.F. Coppola): ma è così sicuro che un mafioso sia “integrato” nella vita della Chiesa? Ancora una volta, che vuol dire integrazione? Sembra ancora una di quelle parole che significano troppe cose indefinite e manipolabili a piacere.

Eppoi c’è qualcosa che non capisco in questo esempio papale e forse qualche utente me lo spiegherà (almeno spero): se il divorziato risposato non può essere padrino è perché non può essere pubblicamente esempio di vita cristiana che tenta di essere coerente col messaggio evangelico sul Matrimonio, quindi sul Dono di Dio alla Chiesa e quindi sulla Santa Eucaristia, e ben siam d’accordo che questo sia anche il caso del mafioso notorio, ma allora perché, invece di voler permettere al divorziato risposato di essere padrino di battesimo, non si enuncia chiaramente che essere un mafioso impedisce definitivamente di essere padrino di battesimo, come l’essere uno strozzino, come l’essere uno che non paga il giusto salario ai suoi impiegati?

Cosa significa essere integrato nella Chiesa? Pagare la Kirchensteuer e, quindi, in cambio, ricevere la comunione secondo la neo-teologia (sic) cardinal-marxista dei vescovi tedeschi?

Ma noi cattolici “regolari” siamo davvero così integrati alla Chiesa? Cosa vuol dire? Quale segno o attività esterno lo mostra? Il successo degli evangelisti e altri movimenti settari è di mostrare socialmente e pubblicamente questa integrazione nella comunità: ma noi cattolici, nei nostri paesi, come la mostriamo questa integrazione? Chi se ne importa dei cattolici aldilà dei 18 anni e prima di ricevere l’estrema unzione?

Insomma, prima di voler re-integrare divorziati risposati e altre persone che vivono nella propria psiche e pelle tendenze contro la natura umana, bisognerebbe già aver chiara l’idea di cosa significhi essere integrato nella Chiesa per il vulgum pecus.

Non sarebbe mica, piuttosto,  il desiderio di santità personale e collettiva, reale, concreta, attuato e attuale ed efficace il solo elemento veramente sensato di integrazione nella Chiesa? Perché non insistere sulla necessità assoluta di lasciare lo Spirito Santo attuare in noi il nostro desiderio di santità, di figliolanza reale di di Dio? E questo è valido per noi, per i divorziati risposati, per tutti coloro sottomessi alle tentazioni le più insulse ma che tentano di resistervi con tutta la loro buona volontà e con l’aiuto dello Spirito Santo.  Come può la Chiesa aiutare in ciò? Come possiamo aiutarci tra di noi in ciò? Concretamente? Poi lo estendiamo ai divorziati risposati, a chi ha tendenze omosessuali, pedofile, di strozzinaggio, eccetera eccetera.

Ma, una Chiesa che proporrebbe un epsilon di meno che la Santità di Dio per ognuno dei Suoi membri è davvero credibile e desiderabile?  È davvero di Dio? Secondo me sarebbe una pura istituzione di benevolenza umana e senza interesse per chicchessia che abbia aspirazione a vivere della Vita di Dio per la Grazia di Dio.

Aiutatemi a rispondere, vi prego! Grazie

In Pace



Categories: Sinodi della famiglia, Sproloqui

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52 replies

  1. Grandioso Simon, GRANDIOSO! Sottoscrivo lettera per lettera tutto quello che hai scritto. L’unico concetto a cui mi rimanda la parola reintegrazione è proprio quello che dici tu: il desiderio insopprimibile di essere santo. In questo senso mi sento perfettamente integrato nella chiesa, anche se so bene che non sono santo. Però lo desidero. Amo la mia chiesa come se fosse mia madre ed il santo padre come se fosse mio padre, anche se so bene che la mia impulsività mi porta, certe volte, ad essere non rispettoso nei suoi riguardi. Però sento che la chiesa è la mia famiglia e mi sento profondamente a mio agio dentro la mia chiesa. Tra cattolici mi sentirei a casa mia anche se fossi nel luogo più lontano del mondo da Roma. Ed allora mi domando: chi può impedire ad un cattolico (anche se fosse un divorziato risposato, anche se fosse un assassino, un serial killer o il peggiore e più ripugnante pedofilo della storia) che davvero voglia “integrarsi” nella sua chiesa, di farlo? Se davvero integrarsi significa desiderare di essere santo, chi può impedirglielo?

    La condizione di peccato impedisce oggettivamente di essere santo, e questo fa bene a ricordarlo la chiesa, e BENISSIMO FANNO ANCHE I CATTOLICI che non si stancano di ricordare a tutti che la condizione di peccato (come l’adulterio o gli atti omosessuali) sono INCOMPATIBILI con la santità. Tuttavia, neanche la condizione di peccato può impedire ad un cattolico di “sentirsi integrato” nella sua chiesa, se desidera davvero di essere santo.

    Allora, oggi, la domanda non è “cosa possiamo fare per aiutare i peccatori (divorziati risposati) a sentirsi integrati, ad essere reintegrati nella chiesa cattolica”, ma, piuttosto: “Figliolo, desideri essere santo sopra ad ogni cosa?”. Ecco: “Se lo desideri, allora sei integrato nella tua chiesa e NESSUN OSTACOLO (vero o PRESUNTO!) può oggettivamente impedirti di fare pienamente parte della chiesa cattolica. Se, invece, non lo desideri, allora nessuna misericordia, nessun perdono, nessuna comunione potrà fare di te un cattolico autentico. Sarai sempre fuori, e sarà una tua scelta.”.

    Tu, caro Simon, chiedi di essere aiutato a rispondere ad una domanda che è solo retorica, perché sai bene qual è la risposta: una chiesa che proponesse anche solo un epsilon di meno della santità di Dio, non sarebbe né credibile né desiderabile, ed io concordo pienamente con te. Grazie per avermi aiutato ad esplicitare in maniera così chiara cosa significhi “essere e sentirsi integrati”.

  2. Reintegrare? Simon pone la domanda chiave,che non riguarda una semplice adesione di massima alla vita parrocchiale,ma soggiace al significasto stesso di essere cristiano e cattolico.Per un cristiano,cattolico battezzato,reintegrarsi nella chiesa significa che fosse già integrato precedentemente.Tutto ciò va tenuto presente per non farsi delle illusioni,ma neanche per farne un motivo di scoraggiamento.Il cristiano integrato nella chiesa,é un membro vivo del Corpo di Cristo,nelle sue vene scorre sangue divino.Essere integrato,non significa solamente risultare attivo e contribuente,ma che si testimonia la Comunione di Fede,la riconciliazione continua e la condivisione dei beni.”I cristiani erano riconosciuti dallo spezzare il pane e si confessavano i peccati gli uni degli altri,riparavano le colpe(come Zaccheo)”,e tra loro non c’erano poveri”,Questa è l’essenza dei credenti che celebrano l’Eucaristia e la vivono,in memoria testimoniate prclamando coerentemente e non solamente ,come bella liturgia,la morte e resurrezione del Cristo..Se il Papa mette il dito sul fatto che tradizionalmente siamo stati esageratamente accoglienti con i ricchi ,i potenti e i corrotti,e severi con i comuni peccatori e con i semplici fedeli,che ciò costituisca uno spunto di riflessione costruttiva e non di sterile polemica.

    • Onestamente non capisco come la chiesa possa essere “esageratamente accogliente”. L’accoglienza della chiesa verso i poveri peccatori, come Berlusconi ad esempio, non è MAI esagerata. Cristo è venuto anche per i potenti, i ricchi ed i corrotti, non solo per i poveri.

      Tra l’altro, Simon, “corrotti” è un’altra di quelle parole su cui necessiterebbe fare un po’ di chiarezza. Molti, con la parola “corruzione”, più volte usata dal papa, intendono quelli di tangentopoli. Credo e spero che non sia quello che intende il papa.

    • Mi scusi signor Enzo, ma come sa che la Chiesa é stata esageratemente accogliente con i ricchi i potenti e i corrotti e severi con i comuni peccatori? A i verbali delle loro confessioni? Poi i ricchi, i potenti e i corrotti sono peccatori speciali? Da quando?

  3. Caro Simon, più ci penso e più mi sembra che “essere integrati” nella chiesa cattolica significhi, soprattutto, conoscere ed amare la propria chiesa, quindi (di conseguenza) desiderare di essere santi. Questo desiderio di santità è davvero fondamentale, perché, se davvero lo desideri, Dio ti farà santo. SOLO se lo desideri però. Questo è strettamente connesso con la fede, con quello che la chiesa ci insegna a credere. Non ha importanza se siamo peccatori, questo non ci impedirà di diventare santi perché Dio ci farà uscire dalla condizione di schiavitù (del peccato). L’unica cosa importante per diventare santi è CREDERE E DESIDERARE di diventare santi: allora lo diventeremo. Non deve spaventarci la nostra schiavitù, di quella si occuperà Dio in persona. Deve invece spaventarci, e molto, la nostra resistenza a credere e desiderare di diventare santi.

    E’ folle cercare accomodamenti della dottrina e “misericordia” per la nostra condotta peccaminosa. Con questi mezzi non diventeremo MAI santi. Impariamo, piuttosto, a CREDERE E DESIDERARE di diventare santi e Dio opererà questo miracolo: non saremo più peccatori e saremo santi, come ci vuole Dio. Questo è quello che dobbiamo dire a noi stessi, ai divorziati risposati, agli omosessuali ed a tutti i peccatori.

  4. Scusa Simon, un appunto. Sui padrini mafiosi o corrotti, riguardo a Papa Francesco io sapevo questo http://vaticaninsider.lastampa.it/news/dettaglio-articolo/articolo/mafia-mafia-mafia-francesco-francis-francisco-35007/ quindi non ho ben compreso quel tuo passaggio del blogpost.

    Sul fatto di re-integrare oppure integrare io condivido quello che scrive Don Enzo in quanto vi percepisco un vero cristianesimo: incarnazione, concretezza, rifiuto delle ipocrisie, incontro col fratello.
    Ok faccio un esempio che necessita di una premessa: ogni cattolico fa quello che può fare in accordo con le proprie capacità e possibilità e fasi della vita, però qui è l’atteggiamento quello su cui voglio porre l’accento.
    Esempio: una persona che in parrocchia si adoperasse tanto e parlasse tanto per organizzare una conferenza sui divorziati-risposati e poi la stessa persona si trovasse alla Messa sempre accanto ad un conoscente o parente divorziato-risposato e non andasse a parlargli, a colloquiare, a stringergli la mano, a chiederegli “come va?”, ad invitarlo in casa sua, alle attività comunitarie varie ed eventuali, eccetera – ecco, secondo me con la conferenza di cui sopra quel cattolico non avrebbe combinato proprio nulla sulla strada dell’essere cristiano, umano e santo, e sulla strada di favorire la re-integrazione di “persone irregolari”.

    Un altro fronte che richiama Don Enzo per me è fondamentale, basilare. Eppure oggi molto sottovalutato, per non dire direttamente ignorato. Eppure è una delle caratteristiche principali del cristiano, o meglio dovrebbe esserlo. È la questione economica: un cattolico che dicesse “sono cattolico ma non toccatemi i soldi” per me non ha capito niente. Forse non ha nemmeno Fede tout-court (e probabilmente sarebbe lui ad aver bisogno di essere reintegrato e re-istruito sulla sua Chiesa).
    Spesso fa molto chic destinare fondi per scopi chic. Fa meno chic, ma favorirebbe l’integrazione nella Chiesa (sia del donatore che del destinatario) l’andare ad aiutare delle persone in difficoltà economica: possono essere vedovi, divorziati/e che hanno perso tutto, padri che hanno perso il lavoro, eccetera. E tutto ciò NON perché le Opere debbano prevalere sulla Fede, ma…. “mostrami la tua Fede senza le Opere”.

    Ecco, questi sono solo alcuni esempi di integrazione. E nel momento in cui NOI ci integriamo in questo modo nella nostra Chiesa e nella comunità in cui siamo….forniamo anche testimonianza viva e tangibile a quelli che necessitano di integrazione.
    L’idealismo (“desiderio di santità”) di Giancarlo può anche andare bene come spinta iniziale, come motivazione. “Credere e desiderare” di essere santi. A parte l’errore di basare la fede sul solo “credere fortemente e sarai salvato” – secondo me i Santi hanno FATTO i Santi, hanno letteralmente DATO LA VITA (in varie modalità piuttosto concrete) – non hanno solo “creduto e desiderato” di essere santi.

    Ecco. La questione dell’integrazione e re-integrazione andrebbe sviluppata anche in altri sensi, ma per il momento mi fermo qua con le mie riflessioni.
    Quello a cui il Papa secondo me ci chiama spesso è: AGIRE. “La realtà è superiore all’idea” (cit.)

    • Il più dei Santi non hanno mai “creduto” di esserlo e sul desiderio forse il loro unico profondo desiderio era quello di piacere a Dio e di fare la Sua Volontà… 😉

    • Mi scusi cara trinity,ma quando lei dice ” non avrebbe combinato proprio nulla sulla strada dell’essere cristiano, umano e santo, e sulla strada di favorire la re-integrazione di “persone irregolari”.”
      Vuol dire che re integrare alla Chiesa una “persona irregolare” vuol dire salutarla é parlarle?
      Poi quando dice “sono cattolico ma non toccatemi i soldi” Chi tocherebbe i soldo ai cattolici? E per essere integrato un cattolico ricco dovrebbe annunciare come dona i soldi? Come la mettiamo col “che la tua mano destra non sappia quello che fa la sinistra? Per essere integrati alla Chiesa bisogna far finta di essere poveri? Quando uno é materialmente ricco? Quando si é materialmente poveri?
      Secondo me tutti noi che leggiamo un blog e commentiamo usando un computer collegato a internet siamo tutti materialmente ricchi é d´accordo?

      • reintegrare una persona alla Chiesa vuol dire parlarle e salutarla?
        Anche.
        Perché fornisce il CONTESTO nel quale il lontano o confuso potrà reintegrarsi, circondato da amore e fratellanza. Molte volte questa semplice azione di aiuto alla re integrazione è l’unica cosa che può fare un normale parrocchiano. E quindi deve farla. Se può fare di più, secondo cariche e responsabilità, dovrà fare di più.
        In ogni caso, tenga presente che ho fornito SOLO un paio di ESEMPI. Ma possono essere molteplici, secondo le situazioni.

        un cattolico ricco deve annunciare come dona i soldi?
        No. Deve donarli e basta. Comunque alcune volte il donare in modo disinteressato ma “pubblicizzato” può aiutare altri a fare lo stesso, cioè a donare. Noi spesso confondiamo quel passaggio che hai citato e lo intendiamo come “fallo di nascosto”. In realtà se qualcuno mantiene economicamente un proprio amico o parente o parrocchiano…1) può essere difficile nasconderlo 2) se lo fa perché ama il prossimo (e non per acquistare prestigio sociale) lo sta facendo per il motivo giusto: non sappia la tua mano destra…..

        per essere integrati bisogna far finta di essere poveri?
        No. Bisogna esserlo davvero. Che cosa significa? Che ti devi spingere “nella povertà” fino a dove riesci, fino a dove ce la fai. Ad esempio potrebbe essere facilissimo donare il superfluo. Poi, potrebbe essere facile rinunciare ad un paio di scarpe per donare a chi non le ha. Potrebbe essere più difficile rinunciare a qualcosa d’altro più importante nella nostra mentalità e stile di vita.
        Ognuno fa una riflessione per sè e su che cosa può fare per la comunità in cui vive, per i poveri e affamati vicini e lontani, eccetera.
        Dopodiché…secondo me, dopo quella riflessione, si FA una cosa similare a quella che consiglia Simon per i figli (quelli immaginati ragionevoli +1). Ecco, allora si fa: quello che si immaginava possibile +1. Però vorrei far capire che questo è UN ATTEGGIAMENTO verso gli altri, e NON è un calcolo contabile materiale. Il calcolo contabile viene da sè e nemmeno te ne dovresti accorgere: non sappia la tua mano destra….

        tutti noi con computer collegato a internet siamo tutti materialmente ricchi, è d’accordo?
        CERTO !!
        Poi c’è chi ha diversi computer in casa, c’è chi potrebbe comprarne 10 o 20, e c’è chi risparmia mesi per poter comprarsene uno modesto.
        Ma in ogni caso: sì, tutti materialmente ricchi.
        E quindi tutti, secondo possibilità personali, possiamo fare qualcosa “in più” per migliorare il mondo : azioni dirette e indirette. Ma non illudiamoci troppo con le “azioni indirette” che non ci toccano. Ogni tanto facciamoci toccare 🙂

        • “Molte volte questa semplice azione di aiuto alla re integrazione è l’unica cosa che può fare un normale parrocchiano.”

          Ma allora saluti e sorrisi sono solo aiuto alla re integrazione la quale é responsabilitá del dis integrato.

          “Che ti devi spingere “nella povertà” fino a dove riesci, fino a dove ce la fai. .”

          Di nuovo qui dici che noi ricchi dobbiamo fare lo sforzo per re integrarci. Non é la Chiesa che ci frena o evita la re integrazione, non sono i nostri vicini piú poveri o piú ricchi ad ostacolare la re integrazione. Tutto sta in noi.

    • Cara trinity, sui padrini mafiosi, quello che scrive Simon è molto semplice: il padrino di un bimbo che fa la cresima, non deve essere mafioso naturalmente, ma non deve essere neanche divorziato risposato perché in tutti e due i casi quel padrino non darebbe un buon esempio al cresimando.

      Su don Enzo Chiarini ho già posto delle domande a cui nessuno ha risposto finora. Cristo è venuto per tutti, quindi anche per i potenti, i ricchi ed i corrotti? Oppure è venuto solo per i poveri ed i sofferenti? L’essenza dei credenti (come la chiama don Enzo), non è affatto quello che dice lui: “I cristiani erano riconosciuti dallo spezzare il pane e si confessavano i peccati gli uni degli altri, riparavano le colpe (come Zaccheo),e tra loro non c’erano poveri, Questa è l’essenza dei credenti che celebrano l’Eucaristia e la vivono, in memoria testimoniate proclamando coerentemente e non solamente ,come bella liturgia, la morte e resurrezione del Cristo.”. L’ESSENZA DEI CREDENTI E’ LA FEDE che scaturisce dal battesimo. Non serve altro per salvarsi. Infatti, se uno muore subito dopo essere stato battezzato, va dritto sparato in paradiso. Tutto il resto, in particolare “le opere” di cui tu e don Enzo sembrate particolarmente preoccupati, sono conseguenza di una fede autentica, non il contrario. Insomma, prima la fede, poi, di conseguenza, le opere.

      Porti l’esempio di uno che chiacchiera bene e razzola male, da una parte fa le conferenze sui divorziati risposati, dall’altra non si cura del fratello divorziato risposato. Sei la solita moralizzatrice, trinity… che tristezza. Purtroppo l’incoerenza tra il predicare bene ed il razzolare male è tipico della nostra natura umana, cara trinity, non essere troppo dura con chi non è coerente. L’importante è predicare bene.
      Sulla “questione economica”, come la chiami tu, anche qui: che tristezza! Quale sarebbe, o dovrebbe essere, una delle caratteristiche del cristiano? La povertà? Be’, se ti piace tanto la povertà, vendi tutto e regala ai poveri il ricavato, ma non chiedere a me di fare questo. A me non piace affatto la povertà, te la lascio volentieri. Ti ricordo che Gesù non ha mai detto “beati i poveri” ma “beati i poveri IN SPIRITO”; i “poveri” ed i “poveri IN SPIRITO” sono due cose completamente diverse, carissima trinity, non c’è nessuna relazione tra le due cose: si può essere poveri ma attaccati ai quattrini, e si può essere ricchi ma poveri “in spirito”. Meglio essere ricchi, ma poveri in spirito, che essere poveri.

      Infine “l’idealismo (“desiderio di santità”) di Giancarlo”. Il mio desiderio di santità non ha niente a che vedere con un astratto idealismo. Il desiderio, carissima, è il motore fondamentale della persona. Tutto, ma proprio tutto quello che facciamo è motivato dal desiderio. La stessa fede, in fondo, è vera fede solo se quello che crediamo è anche quello che desideriamo.

  5. Caro Simon, a me pare che le domande (o le serie di domande) siano due. Da una parte la domanda è “cosa significa essere cristiani cattolici?”. Le risposte possono essere varie e complesse a seconda dell’angolazione ma fondamentalmente essere cristiani cattolici prevede l’incontro con Cristo, la confessione del credo e il desiderio e l’intenzione di essere parte/membro della Chiesa Sposa di Cristo, il cui modello è la Madre di Nostro Signore in quanto perfettamente santa, casta e docile. Di conseguenza la nostra vita è un continuo cercare di essere perfetti come è perfetto nostro Padre, nonostante la nostra congenita fallibilità.
    D’altra parte la domanda è “cosa succede con peccato e peccatori, cosa fare con le ferite (escoriazioni o tagli profondi che siano) che martoriano il Corpo di Cristo?”. Un indizio per una risposta a me pare si trovi nel “confessio” dell’atto penitenziale. Ci pensavo proprio stamattina a messa; questa formula dell’atto penitenziale mi commuove sempre (è la mia preferita), perché chiediamo aiuto, oltre alla Madonna, agli angeli e ai santi, ai nostri fratelli e loro lo chiedono a noi. Cioè, è previsto che noi partecipiamo in qualche modo al “trattamento” di quelle ferite (in quanto fratelli e in quanto membra di questo Corpo) ed è per questo che partecipiamo alla “confessione” altrui. Secondo me questo vuol dire il Papa nella citazione che riporti sul Post, ci mette davanti al fatto che il recupero delle pecore smarrite dipende anche da noi che ci diciamo cristiani cattolici.
    La conversione non è qualcosa che avviene da un momento all’altro e una volta per tutte. Penso a me quando vivevo immersa nel peccato senza esserne consapevole ma sentendo un certo disagio che non potevo condividere con chi mi circondava. Poi pian piano mi sono riavvicinata alla messa, sono stata accolta con dolcezza (a parte qualche sporadica esperienza con la “polizia parrocchiale”, ma anche quello è servito e li ringrazio), con dolcezza mi sono state spiegate alcune cose, altre le ho capito da sola, ma un po’ di tempo ci è voluto finché non ho fatto quel Incontro che mi ha cambiata e mi cambia ogni giorno. All’inizio del cammino però il desiderio di conversione non era nemmeno il 10 per cento della motivazione; direi che in buona parte era nausea della mia situazione ma soprattutto interesse, volevo stare meglio. Il desiderio di conversione, di essere completamente sua senza riserve è cresciuto e ha preso il sopravvento dopo un bel po’ di tempo. Penso che sia così per molti, e penso che sia questo il motivo per cui quei peccatori vedono come rimedio l’eucarestia, perché non sanno ancora cosa stanno cercando, Chi stanno cercando, Chi li sta’ cercando. La accoglienza, il sorriso e la dolcezza sono fondamentali, così come lo è la verità, per dar loro la possibilità di crescere nella fede e arrivare a capire e accettare Quello che cercano e cosa Lui voglia da loro.

  6. Il post è bello, la domanda è intelligente interessante e pertinente.
    Solo che, almeno per me, non è questo il punto centrale, ne fa parte ma non è il centro.
    Il punto centrale per me non è il “come, chi”.
    Il punto per me è in “cosa”, e cioè: qual’è l’identità esatta che deve avera la Chiesa? (Ho semplificato al massimo, cercate di non farlo anche voi, nel senso: facciamoci davvero le domande a tutto tondo sul “cosa” senza ricorrere alla formuletta e rispondiamoci dentro di noi dopo una buona riflessione e non d’istinto sul blog; che con la formuletta preconfezionata la domanda non me la sarei posta nemmeno io).

  7. mi trovo al momento in Burundi dove misi piede la prima volta il 20 gennaio 1971.Avevo l’opportunità di restare a Friburgo in Germania,dopo aver riflettuto ascoltai l’invito del mio vescovo che mi indicava la missione in Burundi.Guerre,difficoltà,incomprensioni,malattie,aggressioni, e tante soddisfazioni ,a distanza di anni,ringrazio Mons.Padre Abele per l’invito a partire.Chiaramente é la Fede che fa il cristiano,ma la Fede va vissuta,ma come?Giancarlo con la sua volontà di farsi santo é ammirevole,ma Gesù pone delle condizioni speciali a chi lo vuole seguire e per giunta essere perfetto(come il giovane ricco),e molti si ritirarono fin d’allora.Siamo liberi di seguirlo,ma é molto impegnativo.
    Ognuno si esprime nella maniera che ha potuto recepire dai suoi formatori e dagli esempi,più o meno impegnativi e coerenti che ha incontrato nel suo percorso.Beati coloro che hanno potuto incontrare gente come San Francesco,il quale era povero in spirito!,cioé per scelta,non perché non potesse fare altrimenti.D’altronde i poveri resteranno poveri fino a quando aspireranno a diventare ricchi.Gesù,non ha niente contro i ricchi,ma se gli chiedono di seguirlo,allora il discorso cambia.Nelle prime comunità cristiane non c’erano poveri,,una conquuista del genere supera tutte le alchimie economiche e tutte le gravi disparità che vediamo ogni giorno.”Date loro voi stessi da mangiare”! ma come? Ritornando ad essere cristiani coerenti che spezzano il pane e che vivono il Sacramento come Lui l’ha voluto e come gli apostoli l’hanno capito.Non giudichiamoci,neanche il Signore ci giudica,ma ci vuole salvare,e certamente questa Salvezza vale infinitamente,vale oltre il prezzo della nostra vita e dei nostri beni.

    • Carissimo don Enzo Chiarini, prima di tutto complimenti vivissimi per la sua scelta di essere missionario: oggi ho pregato per lei e per la sua missione in Burundi.

      Naturalmente nella chiesa cattolica sono tante le vocazioni possibili, tante e diverse possono essere le responsabilità, tantissime e profondamente diverse le strade che (tutte!) portano a Dio ed alla salvezza. La scelta della povertà e della sequela di Cristo, che lei indica, è certamente una delle più impegnative che si possano fare, ma, lei converrà con me, non è per tutti. Soprattutto, almeno la povertà, non è necessaria per la salvezza.

      Ora so che lei è missionario in una regione estremamente povera dell’Africa e capisco bene la sua continua attenzione per i nostri fratelli più poveri; le chiedo scusa se, a volte, sono stato un po’ brusco (forse anche un po’ maleducato) con lei. Qui, però, stiamo riflettendo su cosa vuol dire “essere integrati nella chiesa cattolica”. Io credo che la cosa essenziale, per essere integrati nella chiesa, sia la fede ed il desiderio di essere santi che consegue alla fede. Credo che la fede sia davvero l’inizio, la “condicio sine qua non” perché poi si realizzi (forse!) tutto il resto, le opere di carità, l’attenzione ai sofferenti, la condivisione, tutto.

      Oggi la chiesa sta vivendo la più spaventosa crisi della sua storia. Credo che questo tragico momento sia molto strettamente legato, anzi, credo che sia la diretta conseguenza del venir meno della fede in tantissimi cattolici. Un chiaro segno di questa mancanza di fede si può notare ogni volta che qualcuno crede di poter mettere nella sua agenda e, magari, anche in quella degli altri, la opere al primo posto, la carità prima di tutto, i sofferenti ed i poveri in particolare al centro dell’attenzione. Ecco. Io dico NO, non viene prima la carità, non è più importante la carità, non sono più urgenti i bisogni dei poveri. La prima cosa, la più importante, la più urgente è AVERE FEDE, coltivare la fede, inginocchiarsi di fronte al Santissimo, pregare, adorare. Poi viene il resto. Dopo aver curato la nostra relazione con Dio possiamo anche curare le necessità degli altri, cominciando dai familiari naturalmente. Ma PRIMA LA FEDE, oppure rischieremo di fare solo beneficienza, attivismo, protagonismo.

      Tornando, adesso, al significato di “essere integrati nella chiesa”, credo che, come giustamente faceva notare Blas, essere integrati è RESPONSABILITA’ PERSONALE e dipende, essenzialmente, dal credere o meno alla Parola di N.S.G.C. morto e risorto. Chi crede e desidera diventare santo, è integrato. Chi non crede, non può integrarsi.

      • Il problema NON è essere ricchi o poveri…
        E’ avere un solo Dio e questo NON può essere Mammona.

        Molti credono di essere liberi dall’idolo delle richezze, ma con quelle il Demonio li tiene per la cavezza…
        Anche un povere può non essere affatto libero dal denaro, anche se non ha 50 centesimi in tasca.
        Poi vale sempre la storia del cammello 😉

        • Diciamo così (e poi mettiamoci una pietra sopra): è vero che la ricchezza può diventare un idolo ed essere un gravissimo ostacolo per la salvezza, ma non è affatto necessario, ci si può salvare anche essendo ricchi, ma poveri in spirito. Del resto, neanche la povertà è garanzia di salvezza, a meno che non sia scelta per poi mettersi alla sequela di Gesù.

          Credo che oggi ci sia, da parte di molti cattolici, una esagerata attenzione alle condizioni economiche che, in realtà, hanno ben poco a che fare con la salvezza dell’anima. L’unica cosa che conta per la salvezza è quella che ha detto Gesù: essere poveri in spirito. E possono esserlo sia i poveri che i ricchi. E questo è quanto.

          • Mi pare tu abbia solo ripetuto quanto ho appunto detto… poi se vuoi metterci un pietra sopra per avere l’ultima parola, mettiamo pure ‘sta pietra.

            Cmq non mi risulta che Gesù abbia detto “siate poveri in spirito per avere la salvezza…”, ma fa lo stesso ;-)… lasciamo lì la pietra.

            • Matteo 25
              31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria.32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”.

            • Ottimo trinity. E allora?

            • E allora: a me non interessa avere ragione, a me interessa che tu lo sappia. Tramite blog è l’unica cosa che posso fare: dirtelo.
              Mi sembra che la tua prospettiva sia un tantino sbilanciata e secondo me dovresti rivederla (sempre se vuoi eh).
              Lidia nel commento delle 12.10 ha fatto una sintesi perfetta, e poi Bariom è andato ad analizzare più profondamente alcuni aspetti. Che altro potrei aggiungere io?
              Potrei aggiungere questa ulteriore riflessione che ho trovato sul Samaritano http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/29312.html
              Il Signore vuole che ci chiniamo sull’uomo ferito. Uno che capita a caso, col quale ci s’imbatte e si resta persino inconsapevoli di aver usato misericordia. Il samaritano vede il ferito e agisce; il dottore della legge stava ancora cercando risposte di comodo a domande ipocrite. Il prossimo è il Samaritano che forse non conosceva la legge, uno straniero, senza un nome, ma che da quel racconto sarà per sempre identificato con il più bello degli aggettivi: buono. ”
              ” La questione posta dal dottore della legge non è secondaria. Per avere la vita eterna bisogna fare quello che fa Dio, essere come lui, “buono”. Tutto il capitolo 10 di Luca racconta la grande storia dell’amore di Dio, che si abbassa sull’umanità malata, la cura e la salva. Anche i dodici e i settantadue sono inviati a fare lo stesso, a moltiplicare la misericordia che li ha raggiunti per primi, a farsi samaritani, prossimi di tutti i piccoli.”

              Vedi Giancarlo, a me riesce difficilissimo (impossibile) immaginare che una persona abbia la Fede più fervente e sincera e poi….non veda nel prossimo sofferente (fisicamente o psicologicamente) il volto di Cristo.
              L’evento contrario (cioè l’attivismo sterile senza Fede) è uguale.
              Mi riesce comunque, ancora, difficile (impossibile) immaginare che una persona che spende la vita sempre con attenzione al prossimo bisognoso e sofferente (come il samaritano) non incontri o non abbia già incontrato Gesù: e appunto se stiamo parlando di “cristiani” le due cose, Fede e Opere, dovrebbero andare insieme. Se stiamo parlando di cattolici… devono andare insieme.

              Tutto qua.
              Non voglio aver ragione. Non voglio che tu mi dia ragione.
              Non m’interessa 🙂

              P.s. Sempre a proposito di “metterci una pietra sopra” Matteo spiega proprio bene che ad un certo punto Qualcuno ci metterà una pietra sopra 😉

            • Cara trinity, vedo che sei molto preoccupata per la mia salute spirituale. Bene. Allora prega per me, perché, noi poveri peccatori, sempre abbiamo bisogno di preghiere. Anch’io pregherò per te.

              Vorrei capire dove hai inteso che io “non veda nel prossimo sofferente (fisicamente o psicologicamente) il volto di Cristo”. _Certo_ che vedo il volto di Cristo nei sofferenti.

              Tuttavia, _c’è una gerarchia in tutte le cose_. Anche nella carità c’è una gerarchia ed è Gesù stesso a stabilirla rispondendo ad un dottore della legge su quale fosse il più grande comandamento della legge: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. _Questo è il più grande comandamento_. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mt 22, 37-39). Come vedi, Gesù chiede _prima l’amore per Dio_, poi quello per gli uomini.

              _Prima la fede_, cioè la carità verso Dio, poi la carità verso gli uomini.

              Leggendo, proprio ieri, questo articolo:

              http://www.papalepapale.com/develop/il-mostro-abominevole-che-dio-non-perdona-il-peccato-contro-lo-spirito-santo-ma-cose/

              che consiglio a tutti di leggere, ho trovato, tra l’altro, anche queste parole di Gesù che sembrerebbero dare più importanza alla fede che alle opere: “Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno: perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno” (Giovanni 12, 47-48). Insomma, chi respinge Gesù e non lo ascolta, pecca contro lo Spirito Santo e nessuna sua opera lo potrà salvare. Ancora una volta: prima la fede, dopo (forse!) le opere.

            • E come farebbe un disgraziato a credere a Gesù e a fare Opere in piena sintonia con la sua Fede…. e nel contempo a “respingere” Gesù???

              Il tuo non è l’insegnamento della Chiesa Cattolica.
              Quello che, a più riprese, stai affermando tu, sono solo tue idee.

              Riguardo a Fede&Opere, nel mio primo intervento su questo topic 19 marzo ore 22.42 affermavo in modo chiaro:
              E tutto ciò NON perché le Opere debbano prevalere sulla Fede, ma…. “mostrami la tua Fede senza le Opere”.

              Tra l’altro pure io, se analizzo quella mia frase, mi sono un pò sbilanciata in senso errato. In realtà, se guardiamo alla Salvezza, c’è un prevalere delle Opere sulla Fede (anche se, come già ben specificato da Lidia e Bariom, non è proprio il caso di fare classifiche. Le due cose devono coesistere e fine della storia).
              Comunque, se volessimo trovare questo pelo nell’uovo, perché dico che ci sarebbe una “leggera” prevalenza delle Opere?
              Per almeno due motivi semplici.
              Perché sappiamo di sicuro che la Fede (di chi dice “Signore signore”) senza le Opere non salva proprio per niente.
              E perché sappiamo di sicuro che anche il famoso samaritano (anche se non credente) si può salvare – con i mezzi straordinari di salvezza di Dio (cioè anche al di fuori della Chiesa Cattolica, mezzo ordinario).

              Tra l’altro, su questa tua strada di ricerca per forza della “prevalenza” (che fondamentalmente e in primis SCINDE l’essere umano in sè stesso) potresti trovare anche il caso di un cattolico divorziato-risposato che dice di credere intensamente e di avere taaaaaantaaaaa Fede e che quindi non importa né con quante e quali mogli va a letto né tantomeno importa se s’impegna a fare opere di bene per il prossimo (e invece magari trova giusto accumulare denari e fondi d’investimento speculativi e truffaldini ai danni altrui). Insomma: se prendi solo la Fede…viene fuori proprio un bel quadretto di credente e cattolico. Ok che alla fine si può chiedere Perdono delle peggiori malefatte, però cavillare sulla Legge in questo modo è….farisaico.

            • Trinity, scusa, ma ho l’impressione che tu non capisca quello che dico. Forse sono io che non mi spiego.

              Io non ho mai detto che una persona possa credere a Gesù e a fare Opere in piena sintonia con la sua Fede…. e nel contempo possa “respingere” Gesù. Gesù (non io) ha detto che chi ascolta le Sue parole e poi non le osserva, Lui NON lo condanna. Poi, aggiunge Gesù, ci sono persone che Lo respingono e non ascoltano le Sue parole, insomma rifiutano di credere, rifiutano la fede. Ebbene, dice Gesù, per queste persone che rifiutano la fede, è già scritta la loro condanna. Sono parole di Gesù, non mie. Insomma, se posso permettermi di interpretare le parole di Gesù senza avere la pretesa di affermare con certezza quello che dico, io intendo così le Sue parole: se una persona ascolta le Sue parole, ma poi non le mette in pratica, cioè se ha fede, ma poi, a questa fede, non seguono le opere, Gesù non lo condanna. Ribadisco le parole di Gesù: chi ascolta le parole di Gesù (cioè, ha fede), ma poi non le osserva (cioè, non le mette in pratica), Gesù NON lo condanna. Invece, sempre secondo le parole di Gesù (non le mie), chi rifiuta Gesù e non ascolta le Sue parole, E’ GIA’ condannato. Insomma, per chi rifiuta la fede, la sua condanna è già scritta. Cosa significa? Che la fede, ANCHE senza le opere, salva. Invece, il rifiuto della fede è il peccato contro lo Spirito Santo e non sarà perdonato.

              Come si può conciliare il primato della carità ed il fatto che saremo giudicati sulle opere, con le parole di Gesù, secondo le quali, chi accoglie la fede si salverà e chi rifiuta la fede si dannerà? E’ molto semplice, sono vere tutt’e due le cose, perché la prima e più importante opera di carità è credere alle parole di Dio, avere fede. Dunque, chi ha fede, ha già compiuto la prima e più importante delle opere (di carità spirituale) ed anche se non avesse altre opere che testimoniano per lui, Gesù non lo condannerà.

              Vorrei anche rispondere all’ultima parte del tuo commento.

              Cara trinity, si può avere una fede grande e profonda, di quelle che fanno restare Gesù ammirato e lo fanno esclamare: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”. E non è necessario essere cattolici per avere una fede così, dato che questa donna era straniera e pagana. Ma, pur avendo questa fede grande e profonda, si può essere miseri peccatori come lo è un cattolico divorziato e risposato. Fede autentica e peccato possono dunque coesistere nella stessa persona? Certo trinity, possono coesistere. Si può avere una grande fede e, nello stesso tempo, essere miseri peccatori; non importa, Gesù non ci condannerà, se abbiamo fede, perdona il nostro adulterio, se riconosciamo di essere peccatori. Ci condannerebbe, invece, senza appello, se rifiutassimo le sue parole sull’indissolubilità del matrimonio. Nessuno può dire di avere fede mentre rifiuta le parole (sul matrimonio) di Gesù.

              Piccolo appunto per Simon. Carissimo, non ho ancora capito come si fa a scrivere sottolineato o grassetto, per cui ti prego di perdonare le parole che ho scritto maiuscolo: ho cercato di limitarle al massimo.

              • Credo sarebbe bene qui tirare un po’ di somme e mettere una serie di punti fermi tra le cose dette correttamente un po’ da tutti (compreso Giancarlo e cito lui perché non si pensi che mi interessa farne una questione di persona…).
                Mi spiace poi che alla fine a forza di strattonare i concetti come si farebbe con una coperta corta, si arrivi sempre solo a parlare di salvezza o condanna come se su tali argomenti potessimo avere una parola definitiva. .

            • Concordo Bariom. A questo punto ci vorrebbe un intervento di Simon che riassumesse le proposizioni condivisibili, dato che proprio lui ha voluto suscitare questo dibattito sul significato profondo di “essere integrati nella chiesa”.

              • Ti dirò, avevo in mente di provarci io ripartendo proprio da una tua affermazione che ho condiviso… Ma no se se e quando riuscirò.
                Oggi sono impegnato in un incontro che ha molto a che fare con la mia conversione… Anzi se qualcuno volesse da questo virtuale luogo fare una preghiera per me e per la mia suddetta conversione, gliene sarei grato 😉

      • Caro Giancarlo,non ti preoccupare,ognuno si esprime alla sua maniera personale,l’importante é di voler condividere la propria passione cristiana.Dopo qualche anno di “formazione”,discepoli e seguaci chiedono a Gesù come manifestare e vivere la propria Fede e Gesù racconta l’episodio del Samaritano.L’Eucaristia aiutava la comunità cristiana ad essere dei Buoni Samaritani,motivati e sostenuti dalla Memoria viva di Cristo Morto e Resuscitato per noi.Grazie per le tue preghiere.

        • Di fatto sarebbe bene rispetto le 3 Virtù Teologali non dare “classifiche” o essere così decisi nell’affermare “questa viene prima di quest’altra”, almeno sinché siamo pellegrini su questa terra.
          Infatto Esse sono definite “vincolo di perfezione” e se è alla perfezione di Cristo che miriamo – come è buono e giusto per un Cristiano – è bene le si tenga strettamente unite.

          Nella visone della Salvezza poi, la “classifica” è già fatta (e non da noi)… sappiamo quale delle 3 resterà (corretta la citazione di Matteo fatta d aTrinity).
          Ma anche nel vivere quotidiano dei più, fossero anche i non-credenti, l’episodio del Buon Samaritano e comunque li stesso passo di Matteo, ci ammaestrano.

          Il primo a passare oltre, di fronte al malcapitato a terra, è proprio colui che come sacerdote dovrebbe aver maggiormente coltivato la sua “relazione” con Dio, preghiere e quant’altro (relazione o vuote liturgie?).
          Daltronde anche in Matteo, c’è chi si meraviglia di aver fatto del bene a Cristo nei Suoi Piccoli a dirci che non sempre chi fa del bene, ha l’esatta percezione di questa intima e mistica Unione, ma questo Bene non va perduto né sarà senza “premio”.

          Che diremo dunque, che meglio sono le opere di bene che la Fede? Che la Fede è solo un “accessorio”? Certo che no!
          La Fede ha ben altre valenze e conseguenze (diamole qui per scontate e ben conosciute…),
          ma certamente agli occhi di Dio ha ben più valore un’Opera di Bene e di Misericordia (che non dimentichiamo, sono opere da Lui “ispirate” e corrispondono all’Impronta Divina presente nel cuore di OGNI Uomo) che non una fede fatta di vuoti riti e vuote parole…

          • Bariom, mi pare che il sacerdote ed il levita non si fermino ad aiutore l´uomo caduto non perché “farisei” ma perché la “legge ed i profeti” non possono far niente. L´uomo caduto sara salvato solo dal samaritano que lo curerá col vino ed olio della vita sacramentale, lo montera sulla sua croce per portarlo alla Chiesa, l´osteria dove avranno in abbondanza cura di lui.

            • Caro “blaspas59” anche questa è una chiave di lettura corretta.

              Come ben sai la Scrittura ha più di un piano… quello simbolico, profetico, escatologico e anche quello concreto e singolare nel tempo e nella storia, quindi se oggi come sacerdote non mi fermassi (o mi fermassi) non sarebbe tanto e solo perché la Parola si compia a livello simbolico. 😉

              Possiamo leggere anche un altro aspetto in quell’episodio: il sacerdote, magari diretto a compiere un rito era preoccupato del venire a contatto con qualcuno che poteve essere impuro e quindi venir contaminato.
              Oggi lo vediamo come atteggiamento farisaico, ma allora era stringente prescrizione… non dobbimo sottovalutare la difficoltà a comprendere *allora* Cristo e il suo dire e fare “scardinante”.

      • Caro Giancarlo, attenzione a non cadere nei tranelli speculari e opposti che colui-che-divide sempre ci prepara. Prima la Fede poi le Opere è uguale a prima le Opere e poi la Fede che tu giustamente contesti, solo di segno opposto. Fede e Opere dovrebbero sempre viaggiare assieme. La cura della nostra relazione con Dio implica la cura della nostra relazione col prossimo. Sono d’accordo sulla responsabilità personale ma anche questa implica responsabilità nei confronti del prossimo (responsabile è chi risponde). D’accordo con “chi crede desidera diventare santo” ma “chi non crede non può integrarsi” è decisamente troppo escludente per essere cristiano. Al mondo ci sono tante persone che stanno cercando, non sanno cosa a volte non sanno nemmeno di stare cercando (lo so perché ero una di loro) ma cercano e nostro dovere di cristiani è per quanto possiamo aiutarli in questa ricerca. Non credo che Don Enzo sia in Burundi soltanto per occuparsi dei “poveri”, credo che a lui soprattutto stiano a cuore le anime, come stanno a cuore a Dio e come dovrebbero stare a cuore a noi (anche io pregherò per Lei, Don). Poi starà a Dio alla fine dei tempi fare la divisione tra “pecore e capre”.

        • … e “capri” (che ha un significato che va al di là di quello zoologico), le povere capre non hanno colpa alcuna 😉

          • Grazie Bariom, certe cose a volte mi sfuggono, qual’è la differenza? Non sono madrelingua italiana anche se sono in italia da molto tempo. Grazie per l’informazione che vorrai darmi. 🙂

            • @Lidia per quel che sta alle mie conoscenze, che non è detto siano completamente esaustive, il termine “capri”, nell’ultima versione di traduzione biblica (per me tristissima…) riportato a “capre”, riporta direttamente al rito ebraico dello Yom Kippur, durante il quale, a sconto simbolico dei peccati del popolo, venivano presi due capri (esemplari maschi di capre) “identici” (cita il rito), su cui venivano “caricati” tutti i peccati della comunità e che venivano poi in modo diverso, sacrificati (esula ora qui il come e il perché).

              Da qui è derivato poi il senso del termine “capro espiatorio”, ma mentre nell’accezione comune il capro è un innocente che paga per colpe NON commesse (lo stesso Gesù rientrerebbe in tale accezione…), verosimilmente Cristo fa una netta distinzione tra le “pecore” – quelle che ascoltano la sua voce, che fanno parte dell’ovile, ecc, ecc. – e i “capri” carichi di peccati e che NON rispondono alla voce del Buon Pastore. Carichi nel giudizio finale, non tanto di peccati “trasferiti”, giacché dopo Cristo non vi è più alcuna necessità di vittima sacrificale, essendosi fatto Lui stesso Vittima e Sacrificio a sconto dei peccati dell’Umanità, ma carichi dei PROPRI peccati che non hanno VOLUTO rimettere a Cristo.

              Ora seppure il maschio di capra, il capro, sempre capra è, utilizzare il termine “capre” al posto di “capri” per semplice errore o volutamente, credendo di rendere più intelleggibile la Scrittura (vedi nuova traduz. tanto per ribadire) è fuorviante e lascia il senso ad un livello molto superficiale, ma anche non comprensibile e logico… che predilezione di tipo zoomorfa dovrebbe infatti esserci tra le pecore (al di là dell’essere ampiamente citate come simbolo) e le capre? Perché allora per simbologia, non meglio i serpenti?

              Dimenticare che Cristo era Ebreo e parlava (per lo più) ad Ebrei che per cultura se non per fede, ben conoscevano simboli e riti, è un grave errore.
              Pensare di servire sempre un piatto premasticato per evitare la fatica di “masticare” e cercare il senso delle cose la dove sfuggono, altrettanto…

              😉

              Ciò detto sarò io stesso grato a chi abbia visone più corretta o calzante e desse, anche a me, di arricchire il senso di questa simbologia.

        • Cara Lidia, non sono un teologo e non vorrei impuntarmi su cose che poi non sono in grado di dimostrare. Vorrei però provare a fare un ragionamento di buon senso.

          Direi che la carità è il vertice di perfezione cui noi tutti dobbiamo e vogliamo aspirare. Non a caso s. Paolo ci ricorda il “primato della carità”. Ora ti domando: può una persona digiuna di fede e di speranza, avvicinarsi a Dio compiendo opere di carità? Dio ci chiama ad un cammino di perfezione che, se fatto con fede e con speranza (perché senza speranza muore anche il desiderio e, alla fine, la persona), sicuramente ci porterà a compiere opere mirabili di carità. PER GRADI PERO’! Non facciamo come i bambini che, dopo aver visto un “grande” fare qualcosa, subito anche loro vorrebbero fare la stessa cosa. Non è possibile, bisogna andare per gradi. Chi non ha ancora imparato a camminare, non può pretendere di correre una gara di 100 metri piani. Ecco, è semplicemente questo quello che intendo io quando raccomando di COLTIVARE LA FEDE prima di gettarsi a capofitto nelle opere. PREGHIERA, ADORAZIONE, CONFESSIONE, COMUNIONE; queste sono le INDISPENSABILI PREMESSE per poi volgersi con UN CUORE PIENO DI GIOIA ai fratelli che hanno bisogno della nostra carità. Senza poi dimenticare che le opere di carità si dividono in spirituali e materiali; più importanti sono le opere di carità spirituali, solo in secondo luogo vengono le opere di carità materiale. Infine, è Cristo stesso ad insegnare il vero significato ed il vero fine della carità, rispondendo alla domanda di un dottore della legge su quale fosse il più grande comandamento della legge: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mt 22, 37-39).

          Quindi Gesù pone una importantissima gerarchia: prima amate il Signore Dio, QUINDI ABBIATE FEDE, poi, solo poi, amate il prossimo, quindi abbiate carità.

          • Caro Giancarlo,
            se tu potessi evitare le maiuscole sarebbe mica male nel senso che esse rappresentano un “urlare”.

            Sul nostro blog forse puoi sottolineare : questo lo puoi fare con il segno < seguito dalla lettera “u” e finendo con il segno > poi le parole che vuoi sottolineare e chiudendo con con il segno < seguito dalla lettera “/u” e finendo con il segno > ; ovviamente il tutto senza le virgolette.

            Se vuoi scrivere in grassetto usa "b" al posto di "u" e se vuoi scrivere in corsivo usa la lettera "i".

            Grazie.
            In Pace

        • sono sceso oggi dalla missione dove non esiste connessione,internet.Trovo pertinente l’osservazione di Lidia.Purtroppo i poveri stanno a disagio perché,disprezzati e spesso non sono responsabili della propria miseria .Tanti sono derubati o vittime di situazioni estranee alle proprie azioni.Aggiungiamo che gli indici di benessere sono stabiliti da chi se lo può permettere!.A noi sta indicare la Via della Salvezza che non esclude nessuno e neppure ci può trovare indifferenti alle necessità o emergenze dei nostri fratelli.

  8. Lex orandi, lex credendi, lex vivendi.
    Integritas secondo san Tommaso D’Aquino è il perfetto equilibrio per cui una cosa è se’ stessa, integra nella sua natura essenziale.
    L’integritas, è l’adeguamento dell’oggetto a sé, o meglio a ciò che deve essere nel rispetto delle esigenze della propria forma, è perfectio, nella misura in cui è perfetta realizzazione di ciò che la cosa doveva essere, adeguandosi così all’idea che di essa preesiste in mente dei .
    Re-integrare vuol dire riacquistare quella integritas , quell’equilibrio che rende la vita cristiana veramente cristiana. Non ci dovrebbe essere dissociazione fra come preghiamo, come crediamo e come viviamo e neppure tra cosa preghiamo , cosa crediamo e cosa viviamo.
    per esempio non possiamo pregare “liberaci dal male” , credere che esista un male, ma poi negare nella vita concreta il peccato o vivere come se non esistesse . Non possiamo dire “siamo tutti salvati, siamo tutti perdonati di default ” quando preghiamo, “rimetti a noi i nostri debiti” e crediamo che Dio darà a ciascuno , in perfetta misericordia ma anche in perfetta giustizia, il suo perdono.
    la re-integraziio vuol dire non dissociare la dottrina dalla pastorale, la verità dalla carità, la misericordia dalla giustizia. Altrimenti non si è più equilibrati ma squilibrati in un senso ( tutti misericordia senza giustizia, tutti carità senza verità) o nell’altro (tutti giustizia senza misericordia).
    Come ha detto LidiaB con la bellissima preghiera del Confiteor che un tempo si recitava due volte nella Santa MESSA all’inzio e prima della Comunione, il fedele confessa i suoi peccati e chiede il perdono non solo a Dio , ma alla Beata Vergine Maria, a san Michele Arcangelo, a san Giovanni Battista, ai santissimi Apostoli Pietro e Paolo, a tutti i santi: chiede la re-integratio nella comunità dei santi, al quale il peccatore chiede perdono e preghiere.
    Oggi il Confiteor non si dice quai mai. E gli effetti si vedono. LEX orandi, lex credendi lex vivendi.

    • Caro Giacomo,

      (a) non so dove tu viva, comunque dalle parti mie, cioè Ginevra che non è il sommo del tradizionalismo elvetico, il Confiteor (in francese) è sempre recitato ad ogni messa

      (b) Nel V.O. il secondo confiteor prima di comunicarsi non era universale ma dipendeva dai luoghi. In certi posti si diceva, in altri non c’era questa pia pratica

      (c) Non voglio svelare troppo della mia vita spirituale, ma, personalmente, dico sempre, privatamente. il Confiteor una seconda volta prima di comunicarmi. Niente lo impedisce: non posso che incitarti a fare lo stesso anche se non è esplicitamente previsto.

      Un altro luogo magnifico per il confiteor è ovviamente alla confessione: personalmente ne dico la prima metà fino al mea culpa, poi confesso i miei peccati e chiudo colla seconda metà prima di ascoltare le ammonizioni del sacerdote.

      In Pace

  9. Integrati, re-integrati, disintegrati… magari fossimo almeno un poco grati (a Dio s’intende…)

    Genesi 17,1
    Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse:
    «Io sono Dio onnipotente:
    cammina davanti a me
    e sii integro.

    2Cronache 19,9
    Egli comandò loro: «Voi agirete nel timore del Signore, con fedeltà e con cuore integro.

    Salmi 118,80
    Sia il mio cuore integro nei tuoi precetti,
    perché non resti confuso.

    Più che di essere integrati o re-integrati, credo sia questione di essere *integri” ed esserlo in Cristo e in Cristo l’Uomo trova anche l’integrità perduta o sconosciuta.
    L’ntegrità con la Chiesa, nella Chiesa e della Chiesa ne sarà diretta conseguenza e c’è poco da spiegare termini o terminologie.

    Quell’integrita che è anche del corpo fisico nostro, nonché del Corpo Mistico di Cristo…
    “E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito.

  10. Familiaris Consortio, Giovanni Paolo II

    44. Il compito sociale della famiglia non può certo fermarsi all’opera procreativa ed educativa, anche se trova in essa la sua prima ed insostituibile forma di espressione. Le famiglie, sia singole che associate, possono e devono pertanto dedicarsi a molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri, e comunque di tutte quelle persone e situazioni che l’organizzazione previdenziale ed assistenziale delle pubbliche autorità non riesce a raggiungere. Il contributo sociale della famiglia ha una sua originalità, che domanda di essere meglio conosciuta e più decisamente favorita, soprattutto man mano che i figli crescono, coinvolgendo di fatto il più possibile tutti i membri (cfr. «Apostolicam Actuositatem», 11). In particolare è da rilevare l’importanza sempre più grande che nella nostra società assume l’ospitalità, in tutte le sue forme, dall’aprire la porta della propria casa e ancor più del proprio cuore alle richieste dei fratelli, all’impegno concreto di assicurare ad ogni famiglia la sua casa, come ambiente naturale che la conserva e la fa crescere. Soprattutto la famiglia cristiana è chiamata ad ascoltare la raccomandazione dell’apostolo: «Siate… premurosi nell’ospitalità» (Rm 12,13), e quindi ad attuare, imitando l’esempio e condividendo la carità di Cristo, l’accoglienza del fratello bisognoso: «Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42).

    48. Di fronte alla dimensione mondiale che oggi caratterizza i vari problemi sociali, la famiglia vede allargarsi in modo del tutto nuovo il suo compito verso lo sviluppo della società: si tratta di cooperare anche ad un nuovo ordine internazionale, perché solo nella solidarietà mondiale si possono affrontare e risolvere gli enormi e drammatici problemi della giustizia nel mondo, della libertà dei popoli, della pace dell’umanità. La comunione spirituale delle famiglie cristiane, radicate nella fede e speranza comuni e vivificate dalla carità, costituisce un’interiore energia che origina, diffonde e sviluppa giustizia, riconciliazione, fraternità e pace tra gli uomini. In quanto «piccola Chiesa», la famiglia cristiana è chiamata, a somiglianza della «grande Chiesa», ad essere segno di unità per il mondo e ad esercitare in tal modo il suo ruolo profetico testimoniando il Regno e la pace di Cristo, verso cui il mondo intero è in cammino. Le famiglie cristiane potranno far questo sia mediante la loro opera educativa, offrendo cioè ai figli un modello di vita fondato sui valori della verità, della libertà, della giustizia e dell’amore, sia con un attivo e responsabile impegno pe r la crescita autenticamente umana della società e delle sue istituzioni, sia col sostenere in vario modo le associazioni specificamente dedicate ai problemi dell’ordine internazionale.

    Scoprire in ogni fratello l’immagine di Dio
    64. Animata e sostenuta dal comandamento nuovo dell’amore, la famiglia cristiana vive l’accoglienza, il rispetto, il servizio verso ogni uomo, considerato sempre nella sua dignità di persona e di figlio di Dio. Ciò deve avvenire, anzitutto, all’interno e a favore della coppia e della famiglia, mediante il quotidiano impegno a promuovere un’autentica comunità di persone, fondata e alimentata dall’interiore comunione di amore. Ciò deve poi svilupparsi entro la più vasta cerchia della comunità ecclesiale, entro cui la famiglia cristiana è inserita: grazie alla carità della famiglia, la Chiesa può e deve assumere una dimensione più domestica, cioè più familiare, adottando uno stile più umano e fraterno di rapporti.
    La carità va oltre i propri fratelli di fede, perché «ogni uomo è mio fratello»; in ciascuno, soprattutto se povero, debole, sofferente e ingiustamente trattato, la carità sa scoprire il volto di Cristo e un fratello da amare e da servire. Perché il servizio dell’uomo sia vissuto dalla famiglia secondo lo stile evangelico, occorrerà attuare con premura quanto scrive il Concilio Vaticano II: «Affinché tale esercizio di carità possa essere al di sopra di ogni sospetto e manifestarsi tale, si consideri nel prossimo l’immagine di Dio secondo cui è stato creato, e Cristo Signore al quale veramente è donato quanto si dà al bisognoso» («Apostolicam Actuositatem», 8)
    La famiglia cristiana, mentre nella carità edifica la Chiesa, si pone al servizio dell’uomo e del mondo, attuando veramente quella «promozione umana», il cui contenuto è stato sintetizzato nel Messaggio del Sinodo alle famiglie: «Un altro compito della famiglia è quello di formare gli uomini all’amore e di praticare l’amore in ogni rapporto con gli altri, cosicché essa non si chiuda in se stessa, bensì rimanga aperta alla comunità, essendo mossa dal senso della giustizia e dalla sollecitudine verso gli altri, nonché dal dovere della propria responsabilità verso la società intera» (Messaggio del VI Sinodo dei Vescovi alle Famiglie cristiane nel mondo contemporaneo, 12 [24 Ottobre 1980]).

    • Familiaris Consortio
      85[…]
      Grandi settori dell’umanità vivono in condizioni di enorme povertà, in cui la promiscuità, la carenza di abitazioni, l’irregolarità ed instabilità dei rapporti, l’estrema mancanza di cultura non consentono praticamente di poter parlare di vera famiglia. Ci sono altre persone che, per motivi diversi, sono rimaste sole al mondo. Eppure per tutti costoro esiste un «buon annunzio della famiglia».

      In favore di quanti vivono in estrema povertà, già ho parlato dell’urgente necessità di lavorare coraggiosamente per trovare soluzioni, anche a livello politico, che consentano di aiutarli a superare questa inumana condizione di prostrazione.

      E’ un compito che incombe, solidarmente, all’intera società, ma in maniera speciale alle autorità in forza della loro carica e delle conseguenti responsabilità, nonché alle famiglie, che devono dimostrare grande comprensione e volontà di aiuto.

      A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi» (cfr. Mt 11,28).

      • Familiaris Consortio
        Separati e divorziati non risposati
        83. Motivi diversi, quali incomprensioni reciproche, incapacità di aprirsi a rapporti interpersonali, ecc. possono dolorosamente condurre il matrimonio valido a una frattura spesso irreparabile. Ovviamente la separazione deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano. La solitudine e altre difficoltà sono spesso retaggio del coniuge separato, specialmente se innocente.
        In tal caso la comunità ecclesiale deve più che mai sostenerlo; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto in modo che gli sia possibile conservarela fedeltà anche nella difficile situazione in cui si trova; aiutarlo a coltivare l’esigenza del perdono propria dell’amore cristiano e la disponibilità all’eventuale ripresa della vita coniugale anteriore.
        Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che – ben conoscendo l’indissolubilità del vincolo matrimoniale valido -non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell’adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un’azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l’ammissione ai sacramenti.

        • Familiaris Consortio
          I divorziati risposati
          84. L’esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev’essere affrontato con premura indilazionabile. I Padri Sinodali l’hanno espressamente studiato.
          La Chiesa, infatti, istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale -hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza.
          Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido.
          Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
          Insieme col Sinodo, esorto caldamente i pastori e l’intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita.
          Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio.
          La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza.

          La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia.

          C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.

          La riconciliazione nel sacramento della penitenza -che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di ave r violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli -non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia pe r la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082).

  11. “La riconciliazione nel sacramento della penitenza -che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di ave r violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. ”

    Sta proprio qui il nodo centrale di tutta la questione: la contraddizione. tra ciò che si crede e ciò che si è disposti a vivere .Essere intenzionati a continuare a vivere in contraddizione con la verità cristiana (l’indissolubilità del matrimonio) avendo rotto il vincolo matrimoniale cristiano ed essendosi risposati civilmente, e voler continuare a vivere così ma voler anche avere la comunione, è possibile? la Chiesa per misericordia può ammetterlo? E se lo ammette per i divorziati risposati perchè non ammetterlo anche per altri? Sono tanti i peccatori che non hanno nessuna intenzione di cambiare le loro abitudini di vita!
    Se il la prossimo Sinodo ammettesse i divorziati e i conviventi alla comunione si cambierebbe in un colpo solo la definizione dottrinaria di ben tre sacramenti: il matrimonio,la confessione e l’eucarestia, come hanno spiegato in tutte le salse sia il Card. Muller , prefetto per la Dottrina della fede, siail Card. Caffarra sia molti altri.
    Può la chiesa fare un simile cambiamento DOTTRINALE ? Si può farle sulla base di un questionario sottoposto ai fedeli ? Si può fare a colpi di “maggioranza”? Oppure se la maggioranza non ci fosse è può un papa , ha l’autorità un papa di imporre un simile cambiamento?Ripeto DOTTRINALE
    E cco perchè è inutile continuare a ripetere che non si vuol cambiare la dottrina se poi nei fatti ci si propone di cambiarla in modo sostanziale!

    • Noi non vogliamo cambiare la dottrina, continuano a ripetere coloro come Kasper, Mons. Paglia ed altri che sono per la linea aperturista. Mons. paglia ha trovato l’interessante concetto che la dottrina non si cambia ma viene “capita più profondamente”.
      a parte il fatto della superbia di pensare che noi, uomini del secolo più materialista ed ateo, saremmo capaci di capire più” profondamente” la dottrina cristiana sui sacramenti del matrimonio, della riconciliazione e dell’ eucarestia dei nostri antenati, della sfilza di uomini e donne santi e devoti che ci hanno preceduto e la cui vita è stata totalmente in sintonia con i valori cristiani mentre la nostra di vita non lo è affatto, a parte dicevo questa superbia assurda, ammesso e non concesso che noi si sappia
      capire più “profondamente” la dottrina, che noi si sia più misericordiosi, più buoni, più santi, il fatto che il matrimonio sia indissolubile è una di quelle cose che si può approfondire teologicamente solo
      portando sempre nuovi lumisulla bellezza e santità dell’indissolubilità, sulla sua profonda saggezza, anche psicologica, sul suo profondo valore anche sociale ed umano, sulle profonde ripercussioni che ha per la società umana la famiglia cristiana, non certo la si approfondisce “alleggerendola”.
      Ma per la nostra epoca certe leggi sono ormai insostenibili, dicono altri, per la nostra epoca vivere castamente è impossibile, per la nostra epoca è chiedere troppo, dobbiamo venire incontro agli uomini della nostraepoca, non chiedere loro l’impossibile.
      L’epoca in cui Gesù predicò il suo Vangelo era peggio della nostra: presso i romani pagani il divorzio, il libertinaggio, le orge,l’omosessualità, l’infanticidio e ogni sorta di licenza era perfettamente ammessa.
      Gesù si è forse premurato di venire incontro al modo di vivere dei pagani, o di porgere il suo insegnamento in maniera “accettabile” o di scusare e chiudere un occhio ?

  12. In prossimità della Pasqua e meditando su quanto si va discutendo in seguito a questo post mi è venuta in mente la “Felix culpa” e ho trovato questo interessante commento di Benedetto XVI ancora Papa (2012), interessante anche il commento al commento.
    Buona Domenica a tutti
    https://isegnideitempi.wordpress.com/2012/06/11/felix-culpa-anche-per-i-divorziati-risposati-altro-che-corvi-e-scandalucci-mondani-a-milano-lannuncio-scandalos

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