For Men Only: la Giustizia Paterna Fonda la Misericordia

La Giustizia del Padre

La Giustizia del Padre

La settimana scorsa è stata letta la parabola del Figliol Prodigo: forse la più meravigliosa della parabole raccontate da N.S. Gesù Cristo. Tanto è stato scritto e detto circa questa parabola da 2000 anni che la Chiesa la tramanda, non ultime le meravigliose omelie dell’allora Papa Benedetto XVI, che sembra quasi impossibile poter dirne qualcosa di nuovo.

In questi pezzi di For Men Only, come ben sapete, non faccio teologia né filosofia: solo comparto con voi, cari amici, come il mio sguardo personale, e quindi virile nel mio caso,  legga spiritualmente questa magnifica parabola e cosa ne trae. Spero sia utile a tutti e fonte di dibattito vigoroso e spirituale.

Debbo dire che quando leggo questa parabola, all’opposto della glossa comunemente insegnata in questi ultimi secoli, non vi vedo un messaggio di Misericordia in quanto “fine”, ma, invece, un bellissimo inno alla Giustizia, che sconfinando nella Misericordia, diventa ancora ancora più perfettamente Giustizia: ricordatevi che lo leggo in quanto uomo, colla pregnanza maschile che mi costituisce.

Tanto per cominciare ricordiamoci, aldilà del significato letterale della detta parabola, che tutta questa storia è una storia tra uomini, for men only: un padre e due figli. Chiaramente è la figura del Cristo che domina: il figliol prodigo stesso non è altro che il Figlio di Dio che va a “sperperare” i Beni della Santissima Trinità con i peccatori, le prostitute e finisce come morto e dimenticato dagli uomini, in mezzo ai porci, agli stranieri impuri, prima di tornare dal Padre, riammesso nella Società Divina. La seconda figura del Cristo, è anche il Padre, Colui che accoglie chiunque si penta, si converta e chieda la Misericordia di Dio, ottenuta per i meriti stessi di N.S. Gesù Cristo. La terza figura di Cristo è quella del fratello fedele: la Sua fedeltà al Padre fa sì che chi vede Lui vede il Padre, chi Lo conosce, conosce il Padre, tutto quello che è del Padre appartiene a questo Figlio, e tutto quello che appartiene a questo Figlio è al Padre.

Questa parabola non è tanto una parabola sulla Misericordia di Dio, quanto della Sua infinita Giustizia: essa inizia in effetti con un atto di giustizia umanamente perfetto, quando alla richiesta del figlio il Padre spartisce i beni in due. Siamo appieno nella psicologia umana e maschile: “Padre, debbo lasciare padre e madre come Dio comanda e andare via nel mio deserto fare il mio giardino, ti prego di darmi la mia parte”. E il padre aiuta, con profonda giustizia, il figlio a compiere il proprio destino di uomo anche se questi gli gira di fatto le spalle.

L’altro figlio diventa il solo proprietario, assieme al Padre, di tutti i beni rimanenti: la sua scelta è quella di fare fruttificare il bene paterno, siamo appieno nella parabola dei talenti. Nell’ultima scena della parabola, la Giustizia del Padre è riaffermata in modo grandioso ma spesso dimenticato nelle omelie da parrocchia: nulla sarà tolto al figlio fedele, tutto quello che è del Padre rimarrà suo!

Anche la generosità del Padre verso il figliol prodigo diventa quindi generosità condivisa dal figlio fedele: la Giustizia del Padre è quindi perfettamente perfezionata, e non negata!, dalla Misericordia che accoglie il fratello prodigo.

Ma, guardiamo bene, adesso, come ragiona il figliol prodigo stesso: tutto è molto mascolino nel suo modo di pensare, infatti prima vuole godersi i beni ricevuti sperperandoli irragionevolmente, poi, quando riflette su sé stesso, paragona la sua situazione personale a quella che avrebbe dal Padre, e considera che starebbe meglio schiavo dal Padre che presso gli stranieri. Non c’è a nessun momento un chiaro rimorso per la malvagità degli atti che ha compiuto nel suo sperperare, ma solo un constatare che la sua situazione attuale è davvero pessima: quindi riparte dal Padre per chiedergli perdono.

Ma qui rientra un elemento della dimensione paterna: il continuarsi nella propria figliolanza. Il ritorno del figliol prodigo è visto dal Padre come un riconoscersi suo figlio, in un certo qual modo a sua immagine: il ritorno è quindi l’accettare questo legame, che è dell’ordine dell’essere e non più dell’avere, tra padre e figlio. E il Padre riconosce, da lontano addirittura, suo figlio! Il figlio compie, tornando, un sommo atto di giustizia rispetto al Padre: gli ridà quella continuità e quel futuro nella lunga successione della sua stirpe. L’atto di accoglimento del Padre è quindi, certo un atto di Misericordia, ma che tira dritto a ristabilire la Giustizia che era stata lesa dall’iniziale girare le spalle al genitore da parte del figliol prodigo.

L’immagine che ho scelto per illustrare questa parabola, mostra tutta questa virilità: il figliol prodigo si fa rivestire dal Padre e sono assieme, il Padre ed il figlio fedele, che lo rivestono, la carità paterna facendone compartecipe quest’ultimo per via dell’unione dei beni che si ripartiscono perfettamente. La Giustizia che diventa ancora più giusta dando pienamente il suo più intimo significato alla Misericordia paterna nella perfetta e virile Magnanimità paterna. Allora noi tutti cerchiamo in questi giorni di risolvere il massimo numero di ingiustizie di cui siamo stati causa o oggetto e risolviamole tutte con virile magnanimità, sapendo che i nostri atti di misericordia concorreranno ad una giustizia più grande.

Questa parabola è magnifica in quanto illustra e ci fa capire molto concretamente, a noi uomini, il messaggio essenziale della Buona Novella di Cristo: la Misericordia di Dio è lì per perfezionare l’assoluta e amorevole Giustizia di Dio. Solo così si può davvero capire il perché del Sacrificio sulla Croce di Cristo, atto di Misericordia perfetto di Dio, ma che ristabilisce perfettamente la Giustizia tra l’umanità peccatrice e la Santità divina.

In Pace



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9 replies

  1. Ok però manca un commento sull’altro fratello che sempre molto virilmente si inca**a e non le manda a dire. “…a me non mi hai dato neppure un capretto per far festa!!”

    • Giusto, ma questo è solo strumentale per mettere ancora più in risalto la somma giustizia del Padre, sulla quale si chiude la parabola.
      In Pace

    • Al riguardo mi piace sempre richiamare l’attenzione su come il secondo figlio abbia sempre letto la relazione con il padre in modo distorto, da servo e non da figlio.
      importante in questo senso che il figlio ritornato non dica più “trattati come uno dei tuoi servi” in opposizione al fratello che dice seccato “ecco, io ti servo da tanti anni…”.
      E il padre, paziente, che lo ripiglia: “figlio mio!”

      Grandissima parabola. Grazie Simon della tua riflessione e… bentornato. 🙂

      • Penso che i due figli sono l’illustrazione di due concezioni della figliolanza al Padre che è sbagliata e ambo ledono la paternità del loro genitore.
        Il più famoso dei due crede che diventare un adulto è “emanciparsi” dal Padre mentre il secondo crede, come tu ben dici, che diventare adulto sia essere in una relazione servile di tipo devozionale. Tutti e due gli approcci non hanno la nozione di “fedeltà” verso il Padre che è la sola davvero adulta: essere se stessi e agire con libertà ma sempre fedeli. Sono come i due estremi.
        Il Padre risolve con la Sua Giustizia i paradossi dei due fratelli opposti nel loro modo infantile di capire la relazione padre-figlio.
        La sintesi è magnifica: è proprio un trattato di educazione paterna.
        In Pace

        • Il tuo prezioso appunto Simon, mi permette una piccola rettifica. A me pare che non sia il figlio ritornato che volutamente non dice più “trattami come uno dei tuoi servi”, bensì è il padre che non gli permette di finire la frase! Esattamente come tu fai intendere, è il padre che pare fermare sul nascere una nuova deriva del figlio: diventare servile come il fratello.
          Fossimo tutti padri così lungimiranti… Dio dammi l’intelligenza per esserlo almeno un poco.

  2. Grazie Simon, bella riflessione.
    Una preghiera per tutti quei figlioli prodighi; quelli appena usciti dalla casa del Padre, quelli che sperperano le ricchezze loro donate, quelli sulla via del ritorno. Possano tutti prima o poi ritrovare la casa del Padre.
    Preghiamo per chi non prega.

    • Preghiamo anche per quelli che concepiscono il loro papà come un tiranno.
      Ma preghiamo ancora di più per quei papà che si comportano da tiranni, volendo un comportamento servile dai loro figli, oppure per quei papà menefreghisti che si sentono sconnessi dalla loro figliolanza: queste due categorie mancano totalmente di senso della giustizia.
      In Pace

  3. Ringrazio Simon dell’articolo e ripropongo alcune riflessione, che avevo pubblicato altrove, tempo addietro.
    Lc 15,11-32 è parabola che si legge spesso equivocata e decontestualizzata
    [non la sola pagina scritturistica a subirne gli effetti: cfr. ciò che perlopiù si scrive sul “vino nuovo”, hanno pure fatto un blog, finalizzato a perpetuare gli equivoci interpretativi…].
    Qui non parlo del contesto della disputa generale tra popolo eletto e genti.
    Parlo delle dinamiche relazionali del testo, che si sottovalutano, spesso con effetto finale di “c’è-posta-per-te”.
    In breve.
    In 11, lo “stato iniziale”, l’unità relazionale di padre e figli.
    In 12, lo strappo rivendicativo del figlio minore, l’uscita da sé (cioè da 11), la folle volontà di potere su di sé e per sé.
    In 13-16, il fatale esplodere dell’illusorietà dell’auto-nomia e il fatale implodere del rango.
    In 17-20°, il rientro in sé (col riconoscere di aver disperso eredità, identità e rango) ed il conseguente cammino di rientro nella relazione col padre, con la presa d’atto (18-19 + 21) di non avere più diritto alcuno da rivendicare.
    Di qui in poi, l’intervento del padre misericordioso.
    In 20b, reintegra CON ATTO DI GRAZIA (nulla gli si doveva, giuridicamente parlando) il figlio nella relazione.
    In 22-23, reintegra SEMPRE CON ATTO DI GRAZIA il figlio nel suo rango.
    E, in 24, da non trascurare (cosa che si fa quasi sempre), pronuncia il suo giudizio sulla vicenda (12-16, sono DISPERDIMENTO e MORTE, nulla di meno…), CHE NON REVOCHERÀ (32).
    In 25-28a +29-30, il figlio maggiore mostra di condividere (se non per il mutamento di segno…) col minore
    sia l’approccio rivendicativo nei confronti del Padre (29 vs. 12),
    sia la stessa visione meccanicamente retributiva della pena (30 vs. 19).
    Infine, in 28b + 31-32, la correzione paterna del figlio maggiore, non priva di una sorta di investitura/investimento.
    In 28b, il padre scende ad incontrare ANCHE il figlio maggiore (ironica inversione di situazione: in 20b, il minore non è poi così lontano; in 25, il maggiore non è poi così vicino).
    INCONTRA, NON CERTO DISCONFERMA (cosa che si tralascia quasi sempre).
    Come in 22, il padre opera con ATTO DI GRAZIA il REINTEGRO SOLENNE del minore nell’identità e nel rango di figlio,
    in 31, opera la CONFERMA INTIMA del maggiore (tentato com’è – cfr. 29 –di cercare surrogati di conferma) nel suo “essere” e nel suo “essere/avere”.
    È un’intima INVESTITURA, ma anche una sorta di intimo INVESTIMENTO.
    Infatti, mentre ribadisce (a futura bimillenaria memoria) che 12-16 sono disperdimento e morte, il padre non rinnega 22, tutt’altro.
    D’ora in avanti, “essere” ed “essere/avere” del figlio maggiore dovrà di necessità implicare
    lo “stare dentro” e il “comprendere” (ma anche l’esercitare in comunione col padre) quell’ ATTO SOLENNE DI GRAZIA.
    Cosa che dovrà valere, a suo modo, anche per il minore.
    Ecco, contestualizzata nella dinamica della relazione padre-figli, si torna ad assaporare la miracolosa fragranza della parabola, troppo spesso inquinata dalla melassa buonista.

  4. Caro Simon, quello che mi pare di poter dire, dopo aver letto il tuo post e gli interessanti commenti che sono seguiti, è che questa parabola mette in risalto una caratteristica naturale nelle relazioni tra persone: il rapporto gerarchico fondato sulla fedeltà, che è alla base di ogni relazione (autentica) tra persone.

    Nello svolgersi della storia, emerge con chiarezza la non parità tra padre e figli. Questa non parità è un dato oggettivo, assolutamente incontestabile: il padre è colui che governa la casa, provvede a produrre ed amministrare le ricchezze, decide sulle richieste dei figli. Ebbene, come giustamente tu fai notare, questo rapporto gerarchico finisce per generare conflitti tra il padre ed i figli: uno sceglie la via dell’emancipazione (potremmo dire della ribellione), l’altro sceglie il servilismo (potremmo dire l’idolatria). Il padre rispetta le scelte sbagliate dei figli, ma non rinuncia ad essere padre, al ruolo che gli compete. Questo è fondamentale ed irrinunciabile da capire: Dio non ci permette di metterci al suo pari, ci ha creati figli e saremo figli per sempre rispetto a Lui. Non ci nega quello che “ci spetta”, ma non rinuncia al suo ruolo paterno.
    Quando poi i figli sono costretti a fare i conti con la loro “natura” di figli, cioè con i loro limiti, non resta loro che tornare dal padre per continuare a vivere. In fondo anche il figlio servo, quello (solo apparentemente) fedele, è costretto a riconoscere di aver bisogno delle ricchezze del padre, per fare festa con gli amici. Ed ecco, di fronte al ritorno dei figli, la misericordia del padre che, in realtà, è solo fedeltà al suo ruolo. Misericordia come ristabilimento della verità e della giustizia.

    Insomma, un Padre misericordioso, certo. Ma un Padre esigente, che non rinuncia a regolare secondo verità e giustizia la relazione con i suoi figli. Anzi, prima vuole vedere riaffermate la verità e la giustizia, poi concede la misericordia, che va ben oltre le aspettative dei figli.

    Gerarchia, giustizia, verità, misericordia. Tutto questo fondato sulla fedeltà.

    Ancora una volta, è la fede(ltà) la base di tutto.

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