O Tempora, O Mores !

Tempo o Costumi?

Esiste?

O Tempora, O Mores!
Senatus haec intellegit, consul videt; hic tamen vivit. Vivit?

 (Cicero, Catilinaria)

Un anno fa pubblicai su questo stesso blog il mio punto di vista su quel che l’uomo della strada e l’ateista medio considera “scienza” come commento ad una serie di articoli dell’eccellente  Prof. Giorgio Masiero su Critica Scientifica dove illustravo l’intimo del mio pensiero al soggetto: la “scienza” nella sua accezione contemporanea è un discorso “mitico” che non può essere contrapposto al discorso metafisico che è un discorso “logico” e vi concludevo che vedevo soprattutto una tensione tra discorso mitico ( scientifico) e discorso logico ( metafisico), il primo concentrandosi sull’efficacia sociale del proprio discorso il secondo sulla contemplazione del reale in quanto tale.

Il mythos ed il logos nella cultura greca semanticamente significano ambo un discorso, una storia, un resoconto. Ambo ci svelano un velo sul mondo che ci circonda; ambo partono da fatti, da deduzioni, da esperienze vissute. Il logos le racconta con uno sguardo universale, che si vuole oggettivo, cioè guidato dall’oggetto che descrive. Il mythos invece ne da un resoconto più personale, soggettivo, piuttosto dal punto di vista dell’osservatore che di quello dell’osservato. Infatti la logica, in quanto capitolo della metafisica, cerca le relazioni tra gli enti stessi dal loro punto di vista e non da quello dell’osservatore: se in una realtà A->B e B->C e allora A->C, questo sarà sempre vero in quella realtà indipendentemente da quel che ne pensa un teorico osservatore esterno. Il mythos invece si lascia portare dal discorso, il discorso dell’osservatore sul reale diventa più importante che il reale stesso, per questo il mythos è spesso poetico e commuove chi lo recita e chi lo ascolta: la sua connessione con il reale oggettivo diventa secondaria, quel che conta è la coerenza del discorso e la sua bellezza.

Il discorso scientifico moderno è un discorso mitologico, le “leggi” della natura sono degli eroi che ci raccontano una storia, una storia che deve funzionare nella coerenza del proprio discorso, nell’iperbole di quel che significa e nell’uso che se ne può fare. Non importa niente a nessuno se ci sono 26 dimensioni o dieci o 4 o tre nelle descrizione matematiche della teorie delle stringhe: nessuno le vedrà mai, ma non importa, sono funzionali allo sguardo poetico, portato dal linguaggio del fisico, sul mondo. Questa società ne ha bisogno e quindi questa società questo ascolta e le domande poste al mondo reale, quel che chiamiamo esperimenti, sono domande specifiche di questa nostra società e che portano a risposte che potranno essere interpretate solo nel quadro di quella poesia che è coesiva per il nostro mondo.

Prendiamo la nozione di tempo: oggi addirittura il tempo ha, nelle scienze, lo stesso statuto epistemologico che quello delle tre dimensioni spaziali. Chi non è convinto che il tempo, in quanto tale non esista? Nessuno. Eppure nessuno lo ha mai visto il tempo: vediamo il moto delle cose, il loro cambiamento di stato, ma nessuno ha mai visto il tempo in quanto tale. Fino a qualche secolo fa, infatti, a nessuno sarebbe venuto in mente di dare uno statuto di oggetto di conoscenza scientifica al tempo stesso: al moto degli oggetti sì, al loro passare da potenza ad atto e viceversa sì, ma ad un  tempo in quanto ricettacolo del reale, no.  Leggendomi, caro lettore, sarai scioccato, perché non puoi più pensare il reale senza tempo come dimensione: eppure! Guardi il sole alzarsi ogni mattina e coricarsi ogni sera, lo sperimenti quotidianamente: eppure non lo vedi più così, lo vedi come la terra che gira su stessa e lui, il sole fisso. Quali domande porrai alle tue esperienze fisiche nel primo caso? E quali nel secondo caso? Che tipo di risposta otterrai? Sei alla ricerca dell’oggettività del discorso logico oppure sei nella soggettività del discorso mitico?

Certo, al tempo di San Tommaso il tempo era semplicemente una misura del moto, una proprietà degli esseri finiti, non una realtà nella quale essi erano immersi. Andava bene nella società agricola e commerciale di allora: per questo, d’altronde, che la questione di sapere se il mondo fosse sempre esistito oppure no, non era importante e ancor meno vitale, sul sapere se Dio esiste oppure no: bah visto che la Bibbia diceva che c’era un inizio perché non crederla? Tanto non cambiava niente da un punto di vista logico.

Con Newton, Laplace invece sovviene la rivoluzione industriale, il tempo diventa una realtà economica che si può utilizzare: una realtà senza tempo non era una realtà manipolabile; al contempo bisognava cercare di capire come ottimizzare il lavoro umano in un tempo dato e un approccio meccanicistico andava bene, bisognava che il mondo sia deterministico, che sia causalmente effettivo, l’essere umano non aveva da essere chi è ma diventare un elemento del gran ingranaggio economico, la fisica era lì per giustificare questo sguardo sul mondo, dimenticare le cause materiali, le cause formali e le cause finali. Il tempo, assoluto, che contiene tutto era stato inventato: il suo mythos raccontava una bella storia coerente, il regno della causa efficiente si installò.

Ma ecco che la globalizzazione sovviene: quella delle guerre, ovviamente. I sistemi diventavano complessi da gestire, le equazioni matematiche non erano più sufficienti per descrivere un universo determinista, il tempo non poteva più essere concepito in modo così rigido, le equazioni non potevano più essere sempre integrate, allora si dette al tempo una nozione relativa e una dimensione di incertezza: si cominciò a guardare il reale sotto questo aspetto. Un mondo relativista ed incerto, un tempo che tutto contiene e tutto relativizza al “contempo”: ed ecco apparire le teorie fisiche che gestiscono il relativismo osservazionale, l’indecidibilità dei sistemi, l’imprevedibilità della complessità. Nuovo sguardo sul reale, nuova poesia espressa nel linguaggio perfetto degli elfi, la matematica.

Però, sul lato pratico bisognava rispondere a domande precise e l’invenzione dell’informatica coi suoi uno e zero aiutava a simulare questo reale relativo, indecidibile e complessissimo: il tempo da continuo diventò composto di micro-unità dalle dimensioni piccolissime, il tempo di Planck. Ma ora di nuovo, c’è unità tra la società che tutto taglia a pezzettini e il tempo. Di nuovo possiamo porre domande al reale che ci dia risposte che convergano con i nostri bisogni societali: il mythos si rinnova, come sempre e come sempre funzionale e poetico.

E ora, cosa ci aspetta? Ora, siamo in una società schiavizzata dall’occidente all’oriente, che pulsa all’unisono dall’artico all’antartico, a cui non gliene importa più tanto sapere del ieri e neanche del domani. Ormai, non abbiamo più tanto bisogno di tempo: è una nozione che non è più così tanto efficiente in un universo sociale dove tutto è contemporaneo: allora si inventa una poesia che ci racconta le gesta di realtà che non potranno mai essere verificate sperimentalmente, che si nascondono in decine di dimensioni nel quale il tempo è affogato e in oblivione, ridicolizzato, insignificante.

Il Big Bang andava bene finché c’era da costruire un mondo migliore: ormai siamo in un mondo migliore, allora improbabili “Branes” si scontrano da tutt’eternità per generale mitologici mondi e mitologici Big Bangs in altre dimensioni fuori dal tempo e dallo spazio: empirei novelli e sacri intoccabili olimpi.

Anzi, molto meglio, c’è chi, ricercatore molto serio (Rovelli, De Witt, Connes, etc) riscrive le equazioni di moto, la dinamica classica e quantistica senza il parametro tempo: senza quella dimensione che ci sembra così fondamentale che è il Tempo”: ne hanno bisogno per spiegare cosa succede all’orizzonte di un buco nero dove non c’è più tempo come lo intendiamo, ce n’è bisogno all’inizio del big bang; lo si può dedurre come un fenomeno statistico legato all’entropia, ma nulla di essenziale all’essere: ce ne sarà bisogno nella nostra società se questa nuova poesia si rivela efficiente come sembra essere il caso visto il bisogno che la società ha di entrare in un’era intemporale, senza concezione, senza agonia, senza passato da ricordare e senza futuro da sperare . In un certo senso, siamo tornati a prima del Medio-Evo: il mondo esiste, il moto esiste, il tempo in quanto tale no, è un’illusione o un’assenza di informazione.

Nel mio post precedente, prendevo in giro gli ateisti che credono nelle Leggi Naturali, Immense, Eterne, Onniscienti e Onnipotenti: ma queste loro leggi sono solo discorsi mitici, validi, certo, soprattutto efficaci per schiavizzare l’essere umano e farne un quantum atemporale nel gran schema delle cose. Gli ateisti credono in miti per schiavi.

Noi, cattolici romani, invece, ci interessiamo ai discorsi logici, dal punto di vista dell’essere, cioè alla filosofia e alla metafisica aristotelica e tomista.

In Pace



Categories: Cortile dei Gentili, Filosofia, teologia e apologetica, Sproloqui

23 replies

  1. Pur se in mostruoso ritardo buon Anno 2015 a tutti.
    Detto questo, confesso di avere -per svogliatezza- scorso e letto velocemente e a tratti l’articolo di Simon. Per un limite mio intrinseco non ci ho capito una mazza (non è polemica con Simon, ripeto, limite mio intrinseco + svogliatezza nel cercare di capire).
    Finale letto con calma e condivido “Noi, cattolici romani, invece, ci interessiamo ai discorsi logici, dal punto di vista dell’essere” (“filosofia e alla metafisica aristotelica e tomista” NO, ma a motivo del limite mio intrinseco, cioè ‘gnuranza” invincibile).
    Sempre giusto per dire, non in tono polemico con l’autore -per carità- ma giusto per raccontare una mia “percezione” delle cose: non appena accenno alla logica o a un discorso logico, le maggiori (e peggiori, dal punto di vista logico…) da chi ti arrivano? Dai ” cattolici romani”!
    Buon anno (è il 2015 ragazzi,i buoni propositi mi sono durati lo spazio di ieri, e oggi io sono sempre gli stesso…).

    • Concordo con te per dire che non c’è bisogno di essere aristotelici e tomisti per essere cattolici romani. Ma l’aristotelismo e il tomismo sono per il cattolico due ottime stampelle, che non cambiano e non aggiungono nulla alla sua natura di cattolico romano, ma che lo aiutano a percorrere sfiatandosi meno, e dandogli la possibilità di portare cariche e obblighi spirituali ed intellettuali supplementari, le strade del nostro viaggiare qui giù per andare lassù atleticamente.
      In Pace

  2. Il presente post di Simon è una vera bomba perché presentauna delle peculiarità del reale e ne mostra i limiti quando questa viene lettasotto un solo aspetto e su quell’aspetto unico si costruisce un retro pensiero metafisico implicito.
    meriterebbe una gran bella discussione e spero di trovare il tempo per farla. per ora di nuovo buon anno a tutti e grazie Simon!

    • Effettivamente, Minstrel, questo post è volutamente e assolutamente iconoclasta: ti ringrazio di averlo notato.
      Buon anno ancora una volta!
      In Pace

  3. il neo-modernismo sta attaccando A FONDO il tomismo.
    per chi non se ne fosse ancora accorto suggerisco la lettura
    http://rorate-caeli.blogspot.com/2015/01/a-christmastide-gift-for-our-readers.html

    Quanto poi di neomodernismo e quanto di tomismo sopravviva nella teologia del attuale vertice della Chiesa, Kasper, Forte and co non sta a me dirlo, ma certo nei seminari di tutta Italia la fa da padrone il neomodernismo.
    Forse per questo sono (quasi) vuoti??

    • Ti ringrazio, giacomo, per l’articolo propostoci che vale davvero la pena di essere letto, in quanto tanti sono gli spunti di riflessione, food for thought, che vi si trovano per il lettore avvertito.

      Non so per Minstrel, Claudio e Law, ma per quanto mi concerne il tomismo, in quanto versione cristiana dell’aristotelismo, ha per me l’insigne qualità di attenersi al reale e solo al reale: chi si oppone al reale con ideologie o dottrine prima o dopo viene scalzato via per forza di cose, in quanto solo il reale esiste.

      Nella Chiesa pre-conciliare erano poco preparati alla sferzante deriva societale e culturale del XIX e del XX secolo: opposero, alle nuove ideologie, strutture anch’esse ideologiche basate su certi aspetti formali del tomismo, ma traditrici di quel che il tomismo in verità è: apertura al reale in quanto tale, prima di ogni idea costruita. Il tomismo è in primis uno sguardo di verità (aletico) sul reale: la costruzione teorica avviene solo dopo. Per questo il vero tomismo non è ideologico e non ha paura della realtà, qualunque essa sia: per lui la realtà è davvero conoscibile e non ha bisogno di un ersatz ideologico per essere capita.

      Da un lato sono contento di vedere che le preoccupazioni del nostro blog in questo passaggio dal 2014 al 2015 siano condivise su altri blogs di altra sensibilità, ma devo dire che sono un poco deluso nel vedere che chi pretende difendere il tomismo si chiuda in un’ideologia che si arroga, tale un ossimoro, il titolo di tomista.

      Lasciamo le ideologie ai progressisti o a chi non ha capito il tomismo: noi restiamo, molto tomisticamente, sempre meravigliati dalla realtà.

      Buon Anno 2015, caro giacomo.
      In Pace

  4. Mi permetto un brevissimo commento, sperando di tornare appena ho due minuti e sperando che questi pochi che spendo per scrivere non creino misunderstanding.
    Ho compreso l’idea iconoclasta dell’articolo e comprendo anche l’idea mitologica di scienza come da te proposta Simon. L’unica cosa che mi appare forzata è la lettura sociologica-culturale che dai alle interpretazioni scientifiche delle osservabili. Mi pare che ognuno possa tentare di sperimentare ad esempio la cosidetta relatività del tempo di Einstein. La modalità degli assunti della teoria generale infatti permette di creare degli esperimenti e quindi sperimentare realmente questa relatività. Non può essere invece il contrario? La rivoluzione einsteniana è talmente potente da plasmare l’idea stessa di realtà nella società POST. Ecco, in questo vedo la forzatura: pensare che necessariamente Einstein vada bene per una società e pertanto questa la scelga, anche solo implicitamente e in modo non palesemente conosciuto, perché “gli piace”. Sto semplificando molto, lo so e spero che tu ne tenga conto.
    E questo ben sapendo che in primis andrebbe chiarita la differenza fra teoria e esperimento che per i positivisti era marcatissima e netta e ora, post Kuhn, non può essere che fonte di problemi epistemologici.
    A tale proposito vorrò scirvere anche io qualcosina appena mi è possibile, proprio su quest’ultimo discorso che quindi lascio in sospeso.
    In breve: non mi farei ingannare dalle ultime baggianate teologiche di pur eminenti scienziati che si credono, direbbe Eccles, “profeti” e cercherei di approfondire il discorso sociologico in modo “plurivoco”, come un continuo interscambio.

    • Carissimo Minstrel, come ben dici ognuno può tentare di esperimentare la relatività ristretta di Einstein, ad esempio paragonando il tasso di decadimento dei muoni al riposo con quelli accelerati ad una velocità vicina alla luce. Un’esperienza fisica nella misura in cui è trasparente, valida e affidabile esprime un aspetto incontrovertibile del reale.

      Ma c’è una gran differenza tra fare un’esperienza e darne l’interpretazione scientifica: quest’ultima è, per definizione, espressa nel quadro di una teoria che, praticamente e se fatta bene, è come una sintassi tra vari fatti sperimentali. L’esperienza, poi, in quanto “osservabile” cioè domanda posta alla natura è essa stessa costruita su altre ipotesi e altre esperienze e altre interpretazioni: se guardi in un cannocchiale in direzione di Marte, supponi che quel che vedi è un ingrandimento di Marte in quanto hai un modello geometrico matematico della teoria delle lenti che ti fa supporre così; se poi ci vedi canali se non hai un altro modello che ti spiega gli effetti ottici crederai aver scoperto una nuova civilizzazione extraterrestre.

      Che ci sia un dialogo continuo tra la società, l’economia e il discorso scientifico non mi sembra che sia difficile da osservare: ad esempio l’idea che la terra fosse tonda, già Eratostene l’aveva misurata 200 anni a.C., è diventata una struttura paradigmatica socialmente parlando soltanto quando economia e società trovarono proficuo fare il giro della terra per andare nelle Indie andando direttamente ad ovest invece di passare per il Capo di Buona Esperanza.

      Per questo do sempre l’esempio del sole che si alza ogni mattina che è l’esperienza la più sicura, la più valida e la più affidabile che io conosca: eppure non la si vede più in quanto tale ma come un effetto della terra che gira su stessa da quando i viaggi transoceanici sono diventati di rigore, che i venti che gonfiano le vele per andarci sempre soffiano nel senso contrario a quello dell’orologio nel nostro emisfero e all’opposto in quello australe.

      Guardando i “miei” muoni decadere in quantità differenti asseconda della loro velocità, non implica per forza che io abbia bisogno del tempo in quanto dimensione essenziale della natura, ma semplicemente come uno dei tanti parametri che misurano certe ciclicità proprie degli spazi di fase: ma quando storicamente il tempo in quanto tale è diventato sempre più importante, non solo esprimendo una ciclicità generica di ora prima, terza, sesta e nona, ma al minuto, al secondo, al decimo di secondo? Quando sorge l’industrializzazione e, guarda caso, è proprio in quel momento che il tempo anche in scienza assume un’importanza tale da diventare una dimensione alla stessa stregua che le altre tre, malgrado, anche concettualmente, manchi di molte proprietà proprie alle dimensioni fisiche, come la sua asimmetria a favore di una direzione particolare chiamata volgarmente il futuro.

      Un San Tommaso , discepolo di Aristotele e di Sant’Alberto Magno, dava grandissima importanza al fatto sperimentale e al suo processo induttivo, eppure tutti gli scolastici dopo di lui si interessarono principalmente all’aspetto deduttivo: questo perché la società non poteva ancora finanziare né trovava particolare interesse a sperimentazioni altre che quelle alchemiche per produrre oro. Quando si capì che era possibile fare oro altrimenti, cioè con l’invenzione umana, si trovarono i fondi per investire in scienza sperimentale di tipo moderno.

      Oggi ti raccontano che colla teoria della relatività asseconda dove ti situi puoi vedere il futuro di qualcosa o il suo passato e quindi che il futuro ed il passato già sono definiti ed esistono: ma questa è già una sovra-interpretazione ideologica di quel che ci dice la relatività, la quale ci insegna, in realtà, che sempre e solo guardiamo il nostro passato, questo è il fatto sperimentale: anche quanto si guarda l’alluce del proprio piede si vede solo il proprio passato, di qualche milionesimo di secondo, ma sempre passato è; il cosiddetto futuro della cosa che guardiamo in certe condizioni è sempre nel nostro passato e il nostro futuro nessuno lo vede, lo vedranno solo (molto) dopo che lo avremo noi stessi sorpassato. Ma fa comodo culturalmente e socialmente far credere che il futuro sia già deciso in quanto quadra con una visione meccanicista necessaria alla pace sociale e allo sfruttamento popolare: ognuno vivendo nel proprio karma e non potendo uscirne, schiavizzato induista versione XXI secolo.

      Ne riparliamo.
      A presto!
      In Pace

      P.S.: Una curiosità che apprezzerai: tutto quel che conosciamo è nel nostro passato, anche il lasso di tempo che necessita un neurone per mandare un segnale ad un altro neurone implica che il nostro stesso cervello è … nel nostro passato, infinitesimalmente, ma pur sempre significativamente in quanto ben più lungo del tempo di Planck. 😉

      P.P.S.: A livello microscopico, De Witt ha mostrato che è possibile fare fisica quantistica senza … tempo, inteso nel senso post-newtoniano. Noi in quanto aristotelici non ne siamo sconvolti. Sai cosa: stranamente, solo la metafisica, in quanto ricerca aletica, è capace di descrivere il reale quale è in modo oggettivo cioè logico e non mitico, mica per niente i secoli ed i millenni passano ma Aristotele è sempre valido per capire filosoficamente l’essere, il vero, il bello, il giusto.

      • Ne riparliamo si, qui siamo al succo della tua visione epistemica e serve chiarezza per “debellare” eventuali accuse di idealismo o di kantismo per cui il reale in quanto tale non è raggiungibile. Da un lato infatti mi pare che la tua visione mitologica della scienza possa avvicinarsi a queste riflessioni, dall’altro il tuo primato della metafisica, chiamiamolo così, ti pone lontanissimo dalle stesse. io credo di avere compreso quanto vai asserendo ma la chiarezza credo sia necessaria e per gli altri lettori. Grazie per questi spunti. A breve avrò più tempo. 🙂

        • 😉

          Guarda che per me il mito, un mito, qualunque mito non è una menzogna: è un soggettivare una realtà, è un rendere accessibile questa realtà ad una cultura, ad un osservatore.

          Ad esempio, se leggi un poema, ascolti un canto o un pezzo di musica, essi sono tutti analogie, metafore e metonimie: nessuna si riferisce in modo sintagmatico, o solo molto raramente, all’oggetto di cui si desidera compartire una conoscenza. Eppure quel che si compartisce ha un senso: non in senso stretto logico o aletico, ma sempre di una certa conoscenza si tratta, anche se paradigmatica o apofatica.

          Un’ Odissea racconta fatti storici e mitici intrecciati, ma mi presenta anzitutto una riflessione sull’umanità, sul viaggio (la metafora per antonomasia): davvero una conoscenza soggettiva dell’oggetto descritto che posso rendere presente al mio spirito con tanti qualia che mi sono propri.

          Il discorso scientifico è sì un discorso mitico, ma che mi parla del reale nella soggettività della mia cultura, della mia società e della mia educazione e che mi fa veramente incontrare un aspetto del reale, esattamente come una poesia del sabato del villaggio mi fa incontrare quella donzelletta che vien dalla campagna in sul calar del sole, col suo fascio d’erba.

          Prova a tradurre questi versi di Leopardi nella mia lingua, o nella mia cultura o in tedesco o in russo: il risultato sarà catastrofico, nessuno dei qualia che provi leggendoli o ascoltandoli saranno lì. Quell’esperienza che posso compartire con un italiano nel quadro della sua cultura sarà incomunicabile.

          Così ne va della nozione di tempo e di quark e di meccanica quantistica e di scienza: dicono verità udibili solo in un contesto storico culturale dato.

          Il mito non è quindi un velo che nasconde il reale, ma è un sipario che si alza per una cultura: il mito è conoscenza non nascondiglio.

          Ma la metafisica è ben altro: è il lampo dell’intelligenza che coglie l’essere direttamente nella sua sostanza, che si identifica coll’oggetto conosciuto che non ha più da adattarsi mitologicamente a chi lo osserva ma diventa uno con chi lo osserva, è la logica che è essere e essere che è logica. É semplice anche se ha da essere sviluppata in discorsi per via del nostro essere finiti, ma coglie il reale in quanto tale, è senso comune impregnato di ricerca aletica; è aldilà delle culture particolari: giudica del discorso mitico ma non può essere giudicata da esso.

          Vabbè…. Ne riparliamo.
          In Pace

          • Lascio una massima degli antichi che sentii per la prima volta da Giovanni Reale e mi sembra una bella chiusa in attesa di riprendere il discorso: “il mito è ciò che non è mai stato, ma che è sempre”. 🙂

            • Vi seguo e m’interessa molto. Finora comprendo (mi pare).

              Mi avete fatto venire in mente (un aspetto particolare) che anche il discorso scientifico medico rimane sempre mitico. In questi giorni parlava in tivù il dott. Veronesi e, come ormai si sa, diceva che una percentuale discreta (qualche tempo fa impensabile!) di tumori è dovuta a virus/batteri, mentre un’altra bella fetta ad alimentazione scorretta, un’altra percentuale ad inquinamenti e fumi vari. Quindi: quello che qualche anno fa era malattia predestinata-ineluttabile-fatale (mito di ieri) oggi diventa evitabilissima evitando certi virus, cibi e fumi (mito di oggi).
              Ok la metto giù banale. Comunque cambia tutta la visione della malattia e delle sue cause…. Questo per le cause esterne.
              Ma poi la visione mitica cambierebbe di nuovo considerando che un soggetto nelle stesse condizioni di vita di un altro sviluppa una malattia, mentre l’altro rimane sano. Quindi dovremmo considerare anche altri fattori soggettivi e non solo cause esterne (come i virus, ecc). Per qualche teoria estrema si gioca tutto sul piano psicologico. Per altre teorie tutte le malattie sono dovute a squilibri acido-base. Ecc ecc ecc.
              Alla fine ….sono tutti discorsi mitici e sebbene la medicina ufficiale sia molto avanzata…sempre “miti” si ritrova a costruire di volta in volta, scoperta dopo scoperta – anche considerando che scopre quel che cerca, scopre solo quello che indaga – e si indaga oggi ciò che conviene ai malati (e all’economia) dei paesi ricchi, e via così.
              Pensiamo anche a tutte le malattie che non sono malattie….o viceversa. Ad esempio pensiamo alla psichiatria e all’antipsichiatria…. ecc ecc ecc.

            • Questo sulla medicina è straordinariamente interessante e a proposito: permette di esprimere con concetti più accessibili che quelli della fisica e della matematica questa nozione di mito che non mente, ma non esaurisce i concetti che utilizza da un lato e, dall’altro, la dipendenza culturale di tali concetti salta immediatamente agli occhi.
              Grazie.
              In Pace

  5. Un pò OT, un pò IT.

    Miti e conseguenze reali…..

    http://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/Rivista41.nsf/servnavig/15
    Recensione del libro
    Moral Blindness.The Loss of Sensitivity in Liquid ModernityCambridge – Zygmunt Bauman, Leonidas Donskis. Polity books, 2013 , pp. 224 – euro 25,30

    “In un mondo dai ritmi scanditi da guerre sanguinose e guadagni insaziabili, dove i comuni mortali si mettono in fila, preoccupati di non riuscire ad avere l’ultimo gadget e si compiacciono dei pettegolezzi televisivi, si vive un’esistenza frenetica dove non rimane alcuno spazio per cose che abbiano vera importanza”

    “Così dal male, costituito e alimentato dall’indifferenza elevata a sistema di vita, si giunge a negare il male stesso, soffocandolo in una spaventosa normalità che diviene tanto più orrenda quanto più accettata da gente considerata pienamente sana”

    “Così la perdita di sensibilità progredisce senza freno nella società moderna, fra la paura di alcuni e l’indifferenza di altri, mentre si smarrisce la memoria e il concetto dei criteri a cui l’umanità era abituata, fin dai tempi biblici, per distinguere il male dal bene. In questo decadimento morale si fanno strada nuovi concetti e nuove idee che cercano di dare un senso alle cose senza significato e senza basi ideologiche di alcun tipo”

  6. Devo ammettere di non trovare particolarmente brillante, né in ultima istanza accettabile, il tentativo di rendere la scienza un sapere mitico e non legato in modo epistemologicamente forte al concetto di verità.
    La cosa curiosa è che sono cattolico, o quantomeno mi sono sempre considerato tale. Ed un’altra cosa curiosa è che trovo che sia proprio questa mossa a rendere impossibile qualsiasi tentativo di una risposta seria, profonda, fondata e convincente ai sostenitori dell’ateismo forte della domenica (se vogliamo includere in una etichetta di comodo gli atei mainstream che tentano di indurre nell’opinione pubblica l’idea che la scienza di oggi renda Dio una ipotesi implausibile – “it’s science bitch” ).

    Lo specifico perché l’articolo tiene molto a situare in un contesto socioculturale qualunque posizione di una tesi (salvando però da tale metodo e contestualizzazione – quasi con un colpo di bacchetta magica – la logica aristotelica, annessi e connessi, ovvio…): dunque perché non partire da questo anche noi, dovendoci esprimere in merito?

    E, continuando sul tema: ovvio che la scienza sia un sapere connesso ad un certo tipo di pratiche sociali. Ovvio che riceva continuamente da esse un feedback. Ma questo è valido a rigore per QUALSIASI forma di sapere. La logica aristotelica, per esempio, è sostanzialmente fondata su una grammatica che mette al centro il rapporto tra soggetto e predicato. Altre lingue, altre strutture mentali, probabilmente avrebbero posto un’enfasi maggiore ad altri tipi di rapporti.

    Questo la rende forse un discorso “mitico”? Niente affatto.
    Perché dunque dovrebbe esserlo la scienza? Essa presuppone, è chiaro, un insieme di valori e di metodi non fondabili all’interno della scienza stessa. Questo è valido, lo ripetiamo, per qualunque altro sapere. Più specificamente, però, il valore fondante della scienza è l’attaccamento alla verità. O, se vogliamo essere meno decisi e fare un’affermazione meno forte – fondante è l’idea che vi sia un riferimento oggettivo con cui la scienza debba misurarsi, a cui ogni affermazione scientifica debba ADEGUARSI. Il punto di vista per cui le previsioni di Galileo fossero un semplice schema con nessun valore oggettivo è precisamente ciò che Galileo non accettò di sottoscrivere.
    Nota bene: anche la logica classica ha come suo riferimento fondamentale il concetto di verità (Aristotele riteneva pertinenti alla logica solo le affermazioni intorno alle quali si potesse parlare di vero e di falso); eppure non può fondarlo, deve presupporlo.

    Sono dunque entrambe MITI, perché presuppongono dei valori pratico-sociali a cui ritengono di dover rispondere, pur non potendoli trarre da sé stesse?
    A mio avviso, vi è del mito in entrambe. Ogni conoscenza umana si misura con uno sfondo che non può fondare da sola. Ma non per questo troverei legittimo regalare ogni conoscenza al puro soggettivismo, o farle discendere nella loro interezza da diktat sociali.

    Coloro a cui questa tesi è cara sono, del resto, tutt’altro che cattolici. La sostengono alcuni dadaisti postmoderni (Feyerabend vi dice nulla?); ed il tentativo di identificare la scienza con il parto di un insieme di rapporti economico-sociali mi ricorda piuttosto la Scuola di Francoforte che il tomismo. Da un punto di vista pratico, se regaliamo (ed è quello che cerca di fare – letteralmente – chi ha scritto l’articolo) la scienza al mito, cioé ad un insieme di valori non-oggettivi ma solo estetici o economici, dobbiamo per la stessa ragione regalare allo stesso tipo di motivazioni solo soggettive la fede, quasi tutta la filosofia, persino la logica.

    Il logos, peraltro, è anche etimologicamente pensiero, parola, connessione. Non vi è nulla di più sublimamente e radicalmente soggettivo di questo. La logica , a meno che non si voglia abbracciare la francamente insostenibile posizione hegeliana, o presupporre il Logos con la L maiuscola come “pensiero” oggettivo e fondante di Dio (cosa che non siamo AFFATTO autorizzati a fare in prima istanza ed in questa sede), è difatti lo studio del pensiero. Anzi, delle leggi generali del pensiero. Ma il pensiero è sempre UN certo specifico pensiero, il pensiero è sempre pensiero di qualcuno – in altre parole il pensiero è situato in un determinato ambiente sociale e risponde a dei valori specifici. Se questo basta, come chi scrive l’articolo vuole far intendere, per relegare un sapere alla sfera del mito – allora la logica è il sapere più mitico di tutti. Non a caso innumerevoli pensatori hanno, per ragioni simili, condannato in blocco la ragione occidentale. Tali pensatori erano tutt’altro che cristiani. E tali pensatori sono stati abbastanza accorti da comprendere che la scienza poteva, sì, essere trasformata in mito: ma SOLO a patto di attaccare l’intera ragione occidentale, il suo riferimento connaturato e originario alla verità, ad una X oltre Noi con cui il pensiero deve misurarsi; ciò che, appunto, definisce la logica ma anche, indiscutibilmente, la tensione originaria degli uomini di scienza.

    Io ritengo che tale presupposto sia fallace. C’è una parte “mitica” nella scienza ed in ogni altro sapere. Questo non può legittimamente portarci a ritenere che “la sua connessione con il reale oggettivo diventa secondaria, quel che conta è la coerenza del discorso e la sua bellezza.”

    Certo, le leggi di natura sono degli schemi. Sono schemi fatti da umani PER gli umani. Anche la teologia però è uno schema fatto da uomini, PER uomini che è senz’altro riduttiva rispetto al reale che vuole scandagliare e di cui vorrebbe illuminare qualche brano. Così anche la logica – non vi è una logica ONNICOMPRENSIVA, totale, che possa abbracciare tutto e possa rispecchiare perfettamente il reale; vi sono piuttosto delle regole senza le quali la comprensione della realtà diviene impossibile; ma tali regole non possono esaurirla, sono piuttosto delle impalcature intorno alle quali avviene la nostra esperienza. Delle condizioni di possibilità. Soggettive, ED AL CONTEMPO oggettive.

    Così è anche la scienza. Un utile schema, certo; anzi uno schema che deve essere utile (finalità sociale). Ma deve essere anche vero, o perlomeno deve tendere alla verità. Non è un caso che si sia parlato di falsificazionismo. Non è un caso se uno dei miti degli scienziati sia l’experimentum crucis: a rigore impossibile, eppure sempre ricercato. Perché tali schemi aspirano ad essere confrontati con il reale (non con Il Reale con la erre maiuscola e con la sua interezza: piuttosto con ciò che del reale la scienza può cogliere: parziale ma non arbitrario). Tali schemi possono, in alcuni casi, essere FALSIFICATI dalla realtà. O possono essere resi ragionevolmente insostenibili, ma sempre IN RIFERIMENTO a quell’X che per lo scienziato è la realtà oggettiva.

    Questa tensione fondante verso il reale, l’oggettivo, l’irriducibile al soggetto è sicuramente un mito, nel senso di un valore più pratico che teoretico e non fondabile scientificamente. Ma nemmeno filosoficamente: esso è il metro di ogni discorso filosofico ovviamente – eppure perché lo scettico o il nichilista dovrebbe tacere di fronte ad una confutazione? Per chi non presupponesse il valore della verità come decisivo, nessuna confutazione ha importanza. Gli si può mostrare che senza il rapporto al vero i suoi discorsi sono nonsensi – eppure perché mai chi non considerasse la sensatezza come un valore dovrebbe fermarsi di fronte a questo? Perché il senso piuttosto che il nonsenso? Questa è una scelta etica, non logica. E’ ciò che fonda la razionalità, ciò che la razionalità deve presupporre.

    All’interno di questo “mito”, di questo ultra-razionale, sublime e fondante atto che è la volontà di comprendere, però, tanto la scienza quanto la metafisica possono (in ambiti, con metodi e secondo prospettive diverse) ritenersi oggettive, o quantomeno dichiarare entrambe a buon titolo di ASPIRARE all’oggettività come il loro orizzonte.

    E senza questa prospettiva tutto è lecito, nulla è definitivo, nulla può essere ad alcuno dimostrato o argomentato. Non dallo scienziato, certo – ma neppure dal teologo o dal metafisico.

    • Gentile Aaron,
      ti ringrazio di esserti dato la pena di scrivere questo lunghissimo intervento su questo blogpost.
      Mi spiace che non lo trovi brillante, ma, a mio scarico, non aveva l’intenzione di esserlo: giusto un’osservazione del legame che uniscono il concetto di tempo in fisica, eppure reputata la scienza la “più” vicina alla “realtà” ed il terriccio socio-eco-culturale nel quale si sviluppa.
      In questo articoletto non mi sono dato la briga di distinguere e definire cosa sia un mito o cosa sia un discorso logico: è quindi normale che sollevi tante questioni.

      Vi è un punto di contatto tra tutti i discorsi mitici di stampo “scientifico” e l’ontologia ed è la logica aristotelica che li sottende ambo: non c’è discorso scientifico che possa fare a meno della logica aristotelica, neanche la logica matematica booleana che ne è un modello ben incompleto, come abbiamo dimostrato in lungo ed in largo lungo vari posts.

      In finis la ricerca della verità presuppone l’adequazione tra la cosa conosciuta e la cosa pensata: questo obiettivo è proprio del discorso filosofico quando contempla l’ontologia e la logica che
      ne descrive la “dinamica” ma non è per niente il fine del discorso scientifico che procede, invece, per modelli e crederlo sarebbe intellettualmente ingenuo.

      Sul come abbiamo definito la differenza tra logos e mythos, puoi forse riferirti ai seguenti blogposts:
      http://pellegrininellaverita.com/2013/11/25/anima-quarta-puntata/
      http://pellegrininellaverita.com/2013/12/10/anima-ottava-ed-ultima-puntata/

      Uno sviluppo qui che giustifica il tuo punto di critica centrale (i.e. perché se la scienza è un mito tale non sarebbe la filosofia)
      http://pellegrininellaverita.com/2014/01/11/discorsi-scientifici/

      Sulle problematiche relative alla logica abbiamo fatto un paio di interventi qui:
      http://pellegrininellaverita.com/2014/03/27/logica-della-fisica-classica-e-quantistica-per-filosofi-e-tuttiquanti/
      http://pellegrininellaverita.com/2014/03/23/esiste-una-metafisica-quantistica-si-in-quanto-basata-sulla-logica-aristotelica/
      http://pellegrininellaverita.com/2014/12/28/causa-formale-aristotelica-the-return/
      http://pellegrininellaverita.com/2015/01/16/logika-2/

      Grazie ancora e a presto
      In Pace

    • Ringrazio anche io Aaron per questo commento, dettagliato e competente, su uno dei post più controversi presenti su questo blog.
      Come già scritto sul blog dell’amico che abbiamo in comune (phme.it) l’articolo di Simon non è una presa di coscienza che il tempo “non esiste”, bensì la chiarificazione di cosa sia il tempo visto con gli occhi della scienza che, per la sua epistemologia personale, non è che “un mito (inteso in senso aristotelico, greco, non contemporaneo. ndr) la cui validità non è basata sulla ricerca del vero o del falso ma dell’operazionale oppure no nel quadro di una cultura data”. Il tempo dunque, osservato e studiato sotto il solo punto di vista scientifico-matematico, è un concetto cangiante, come è cangiante il fatto di essere “utile” nella cultura del periodo.
      E questo non significa che quello che la scienza osserva e studia non risponda affatto a quello che è il reale indagato sotto quell’aspetto, certamente si! Ma questo perché il reale risponde sempre in modo completo a precise domande. Poi queste risposte vengono rilette sotto la luce precisa del metodo scelto, rendendo tali risposte “relative”.
      Ma questo non succede di fronte a domande di tipo “logico”, di logos (sempre intenso in senso antico).
      In questo post semplicemente mette in fila alcune concezioni scientifiche di tempo e non ne “sceglie” nemmeno una, questo perché interessato – come il sottoscritto – alla ricerca del reale dal punto di vista logico, cioè “dal punto di vista dell’essere, cioè alla filosofia e alla metafisica aristotelica e tomista.”
      E sotto questo punto di vista, integrale, filosofico, la nozione di tempo non può restringersi a quel che per la scienza per periodo pare essere una descrizione valida sotto il suo punto di vista.

    • Possibile che non trovi il commento di Andrea nemmeno nello spam?! 0_0

      In breve Andrea diceva: “Beh e la risposta di Aaron mi sembra chiarissima nel declinare tale che vedere la scienza come “un mito (inteso in senso aristotelico, greco, non contemporaneo. ndr) la cui validità non è basata sulla ricerca del vero o del falso ma dell’operazionale oppure no nel quadro di una cultura data” non e’ accettabile sotto nessun punto di vista.”

      E dichiarava che la confutazione di Aaron è definitiva.

      Due cose.
      Primo, di definitivo nell’uomo c’è solo la morte (forse!).
      Secondo, in base a quale logica Andrea dichiara che una epistemologia è confutata? Ma la logica per Andrea non è forse relativa poiché non ne esiste una sola, ma – essendo puramente matematica – infinite?

      A mio avviso Aaron dovrebbe leggersi quanto linkato da Simon oltre a questo che credo proprio sia il primo che legge a tale riguardo. Successivamente sono sicuro che la sua competenza ci permetterà di affrontare il quadro epistemologico in campo in modo davvero avvincente.

      • LOL
        Guarda Minstrel che Andrea è totalmente indesiderato sui miei blogposts, in quanto personaggio maleducato, cafone e pallone gonfiato notorio (vedansi a comprova anche i suoi commenti sull’eccellente blog di Pennetta e Masiero), il quale dimostra essere forse un buon tecnico del campo fisico che tratta, ma sicuramente non un fisico la cui maturità mostrerebbe capacità di riflessione seria e ciò lo rende simile ad un troll.
        E lo mostra il pezzo di intervento suo che hai copiato incollato: siamo a livelli piû bassi addirittura di quello di certi lefebrviani quando criticano per crticare senza riflettere e procedono per affermazioni apodittiche.
        Sono stato quindi io a cancellarne l’intervento, il quale, per giunta era come suo solito infarcito di offese che tu hai purgato con saggezza.
        Se ti va di riscrivere ogni suo debile argomento purgandone le offese e le insite stupidità, fai pure 😉
        In Pace

  7. Sulle polemiche personali spendo una sola parola. Non sempre sono d’accordo con Andrea anche se abbiamo vari punti di accordo; ci siamo conosciuti anzi in una situazione di estremo disaccordo su un certo tema (rimasta peraltro tale a distanza di anni); ma la sua serietà nel cercare la verità non può essere messa in discussione, anche se ovviamente simpatie e antipatie possono determinare una differenza di modi a seconda degli interlocutori, non credo tradirebbe mai quel suo slancio, e questo a mio avviso lo rende comunque una voce di cui io, se avessi un blog, non vorrei fare a meno, anche solo in “opposizione”.

    Detto questo, visto che non credo siamo qui per discutere di simpatie e antipatie: siamo d’accordo che non si possa fare a meno della logica aristotelica (anzi di una parte di essa, visto che certamente non è TUTTA esente da errori né tutta indispensabile) per conoscere razionalmente il mondo. Come ho detto, pur essendo lo studio delle impalcature del pensiero, la logica costituisce DA UN PUNTO DI VISTA PRATICO la condizione di possibilità dello studio dell’esperienza. Ma il desiderio di conoscere RAZIONALMENTE l’esperienza è pur sempre una scelta pratica determinata da un insieme di valori non ulteriormente fondabili grazie alla logica stessa. La scelta di pensare logicamente, piuttosto che accettare il nonsenso, è una scelta precisa e riposa su uno sfondo culturale e sociale determinato. In altre parole: il considerare la verità come un valore è un mito, proprio nel senso in cui lo intendete voi. E’ scegliere di avere un punto di vista piuttosto che essere “come le piante”. La scienza è certamente il rispondere a domande DETERMINATE e non assolute: ma le domande che l’uomo fa sono SEMPRE E SOLO domande determinate. Il guardare al mondo in termini di vero/falso è pur sempre UN CERTO, determinato tipo di domanda. Con ciò non voglio affatto renderla arbitraria, tutto l’opposto: ritengo che 1) ci sono ottime ragioni per ritenere la sfera della verità, che poi è sempre in qualche modo ontologica e logica, prioritaria. Ma sono ragioni pratiche ed etiche; lo stesso Aristotele per difendere confutando il principio di non contraddizione fa ricorso, alla fine, ad un simile tipo di ragioni. E ritengo anche che 2) la scienza si collochi NEL SOLCO di una tradizione che fa della verità il suo valore. Ho già citato esempi che mostrano come, anche concretamente, per la scienza tale criterio sia vitale. Se la storia effettiva non vi basta, tutto ciò che possiamo fare a questo punto è fare una indagine statistica all’interno della comunità scientifica, perché non saprei come altro convincervi. Le domande scientifiche sono modelli, sono domande specifiche e determinate da valori (ma anche LA domanda sulla verità lo è, abbiamo mostrato); ma il metro di paragone di tali modelli costituisce sempre quanto bene si adeguino alla realtà. Devo ripetermi: se si parla tanto di FALSIficazionismo non penso sia un caso: sempre nell’ambito della domanda sul vero e sul falso ci si trova.

    • Gentile Aaron,
      mi sento un poco disarcionato leggendoti, in quanto mi sembra (ma forse ho torto) che non ti sei dato la pena di andare a leggere i links che avevo suggerito: in questo caso la tua critica, che riconosco voler esser costruttiva, si sarebbe concentrata sui punti che secondo me regolano esattamente queste tue osservazioni, mentre così mi sembra che quel di cui parli non mi riguardi più di tanto.

      Dato che non mi va di riscrivere il tutto, non perché mi prenda per Paganini, ma perché sarebbe una mancanza di rispetto inverso gli inventori di Internet, mi permetto solo di porre in rilievo due tue osservazioni:

      (a) ” La scelta di pensare logicamente, piuttosto che accettare il nonsenso, è una scelta precisa e riposa su uno sfondo culturale e sociale determinato.” : in realtà questa affermazione non è tipicamente A/T. Infatti il discorso A/T comincia con l’assumere il senso comune come fondamento e punto di partenza: il senso comune permette all’infante di capire che la mamma non è lui dopo qualche mese che la tetta e che capisce che il seno materno non è una sua estensione; il principio di non contraddizione e del tertium non datur sono quindi un’esperienza primoridale che non è sottoposto a scelta libera. Cioè non c’è chi si sia convinto di essere il seno della propria madre dopo qualche mese di esistenza e ciò indipendentemente da qualunque cultura.
      Il definire la verità come adequazione della cosa all’intelletto è appunto una definizione che viene dopo: possiamo immaginare persone che affermano che la verità sia la non adequazione della cosa all’intelletto, cioè che tutto quello che è sbagliato e falso è la verità, ma tutto questo cozza con il senso comune, perché vorrebbe dire che sarebbe vero che il seno della madre è il bambino che lo tetta. Ma perché no? Viviamo dopottutto un’epoca abbastanza sballata e totalmente irrazionale che crede addirittura che due persone dello stesso sesso possano… sposarsi!

      (b) “la scienza si collochi NEL SOLCO di una tradizione che fa della verità il suo valore.”: concordo ed è questo che credono, ingenuamente, ancora molti “scienziati”. Ma, dopo ispezione, non è un discorso che sia ancora sostenibile al di fuori di una “Fisica” intesa come filosofia della natura. Ne abbiamo discusso in lungo ed in largo.

      Grazie per il tuo interesse.
      In Pace

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