Causa Formale Aristotelica: The Return.

Causa Efficiente in Arrivo in Stazione

Causa Efficiente in Arrivo in Stazione

La pausa natalizia e di fine anno ci permette a tutti, senza essere stressati, di riflettere con calma su alcuni principi aristotelici obliati per incomprensione dovuta alla poca comprensione filosofica dei moderni e dei contemporanei: vale la pena di discutere qualche esempio usando di concetti attuali per valutarne i limiti e le potenzialità. Su un blog possiamo solo stuzzicare l’appetito e a questo ci accingiamo e ci limitiamo.

Oggi vorrei parlarvi di causalità, soggetto vasto, complesso, trattato da migliaia di anni da pensatori e scientifici di altissimo calibro: oggi vorrei farlo in un modo che mostri come i concetti aristotelici di causalità sono quelli i più adatti per rendere conto di fenomeni prettamente quantistici. Quel che l’illuminismo e soprattutto il XIX secolo hanno voluto fare, e cioè scacciare la concezione della fisica aristotelica dall’orizzonte, ritorna per il rotto della cuffia e ritrova i suoi pieni diritti.

Abbiamo già illustrato, (al seguito della scuola di Ginevra con Jauch e Piron 1976, 1990 ben spiegato nel capitolo 3 di Aerts)  che la logica che sottende la fisica quantistica è perfettamente aristotelica in quanto soddisfacente al principio del tertium non datur: il primo assioma aristotelico ci dice che se un sistema evolve da uno stato in un altro allora si arricchisce di nuove proprietà ma ne perde altre al contempo: il secondo assioma aristotelico dice che per ogni proprietà fisica ne esiste un’altra che è il suo contrario. L’uso in fisica quantistica di una matematica di spazi di Hilbert ortonormali sono una rappresentazione matematica di tali proprietà aristoteliche. In un secondo articolo avevamo mostrato quel che differenzia intrinsecamente un sistema fisico classico da uno quantistico secondo la struttura del traliccio logico aristotelico considerato. Un articolo di Aerts del 1993 ben illustra queste strutture a traliccio [e anzi, costruisce come esempio, una struttura quantistica macroscopica, sottesa da una logica non booleana e isomorfa al traliccio logico di una fisica dello spin 1/2]: è lo stesso Aerts che già nel 1981, nel suo ”The one and the many”, aveva rigorosamente dimostrato che c’è contraddizione formale tra l’affermare (a) un sistema è separato in due sottosistemi e l’affermare (b) che le proprietà di tale sistema sono in perfetta corrispondenza [con i proiettori di uno spazio hilbertiano] con stati quantistici puri; il che risolveva alla grande l’intrinseca contraddizione della formulazione stessa del famoso paradosso del gatto [pseudoparadosso E.P.R.].

Questa volta cercheremo di illustrare come la fisica e la metafisica aristotelica spieghi con eleganza il fenomeno dell’entanglement usato ad esempio nelle esperienze di Aspect del 1981 e ciò senza ricorrere a nozioni di variabili nascoste: questo esempio ci aiuterà a meglio capire una nozione di causa aristotelica, quella formale, lasciata volontariamente in oblio e che, con questo esperimento ritorna alla grande.

Illustrazione dell’ “entanglement”

In cosa consiste quest’esperimento: nell’avere un sistema quantistico ( un atomo di calcio in questo caso particolare) che decade producendo due fotoni, che per ragioni di conservazione della quantità di moto, vanno in due direzioni opposte. Ognuno di questi fotoni porta poi con sé una proprietà chiamata polarizzazione, che per forza di cose, essendo l’atomo di calcio non polarizzato, vedrà la somma di queste polarizzazioni, una volta misurate sommare uguale a zero: tutto questo è chiaro nel caso di una fisica classica. Nel caso di una fisica quantistica la polarizzazione di ognuna di queste polarizzazioni non è perfettamente determinata ma è probabilistica e può solo essere definita con un’esperienza: l’apparente contraddizione viene dal fatto che se i due fotoni sono abbastanza lontani l’uno dall’altro e se si misura la polarizzazione d’uno dei due fotoni e contemporaneamente quello dell’altro non è possibile che i due fotoni, ognuno dei quali è probabilista, possano avere il “tempo” di scambiarsi l’informazione della misura avvenuta sull’altro alfine di “coordinare” risultati opposti, la differenza tra le  probabilità misurate a differenti angoli di polarizzazione per due fotoni indipendenti non quantistici ma teoricamente correlati secondo il “realismo newtoniano” di avere il risultato corretto e quello misurato dell’esperimento quantistico dovendo essere significativa [diseguaglianza di Bell].

Dal punto di vista della logica aristotelica questo non è sconcertante, in quanto, per l’appunto e come ricordato qui sopra citando Aerts, non si può dire al contempo che un sistema sia separato e avere perfetta corrispondenza con misure [proiettori] quantistiche come quelle della polarizzazione: bisogna scegliere. Lo shock di alcuni fisici di fronte a quest’esperienza viene dal fatto che si costringono a considerare, dopo il decadimento dell’atomo di calcio, “due” particelle, “come” due stati che evolvono indipendentemente mentre in realtà, finché un’interazione con tale sistema quantistico non sovviene, siamo in presenza di un solo stato quantistico, che può essere misurato in due luoghi spazio-temporali differenti, ma che sempre dello stesso stato quantistico si tratta.

Il fatto di voler ridurre, nella comprensione di questo decadimento e la conseguente emissione di due fotoni, alla produzione di due stati quantistici indipendenti conduce poi a paradossi visto che la logica che sottende tale riduzione non è corretta.

Messa in evidenza del problema causale

La diseguaglianza di Bell misura, in questo modo, la differenza che c’è tra uno stato quantistico in quanto tale e le sue (indebite) riduzioni a somma di stati quantistici indipendenti e realisti nel senso newtoniano: ma tutto ciò non è un problema di “realismo” (se non, appunto,  nella versione pervertita newtoniana che confonde realismo con prevedibilità, niente a che vedere con il realismo aristotelico) e non è neanche un problema di località nel senso che non fa senso di definire uno stato quantistico come dovendo essere e agire in modo puramente locale; non fa senso dire che la causalità efficiente del domino della foto che illustra il nostro post abbia agito da una particella “indipendente” su un’altra istantaneamente, in quanto non ci sono due particelle cioè due stati indipendenti con tutte le loro proprietà perfettamente definite,  fintanto che non sono state separate [disentangled] da una misura o da un’interazione con un sistema esterno.

La nozione di località è connessa colla nozione di particella, solo una particella esistendo in un punto preciso nello spazio-tempo: un’onda o un campo sono presenti dappertutto: una particella perfetta non si incontra mai nella natura, ma è una modellizzazione geometrico-matematica della nozione macroscopica di “corpo”, i quali corpi non sono in un punto definito ma solo in un volume che li contiene.

La causa efficiente agisce sempre per “contatto”: questa “scoperta” di Aristotele è sempre valida nella fisica odierna: ciò ha luogo sia quando due corpi entrano in contatto l’uno coll’altro come due palle di biliardo, sia attraverso un campo il quale cambia le proprietà dello spazio-tempo che è in contatto col corpo o il campo che si considera modificandone quindi il comportamento: l’esempio classico è quello della relatività generale che suppone lo spazio-tempo curvarsi per effetto della massa del sole, tale curvatura implicando che la terra che vi è immersa segue una traiettoria ellittica; nel caso dell’elettrodinamica, o della cromo-dinamica, le particelle agiscono tra di loro sempre mediante altre particelle o campi (fotoni, gluoni, etc) che si scambiano incessantemente.

Il problema che si pongono (alcuni) fisici è come spiegarsi che la misura su una particella abbia un effetto sulla misura di un’altra colla quale non c’è possibilità di “contatto” di qualunque ordine: cioè come ciò sia possibile in assenza di causa efficiente, la sola che la fisica illuminista newtoniana del XIX secolo abbia ben voluto considerare come oggetto di conoscenza scientifica! Certo, abbiamo visto che la domanda stessa, riferendosi a “due” particelle come se fossero realtà indipendenti, pre-esistenti nel caso dell’esperienza di Aspect, è una domanda logicamente in-sensata dello stesso tipo che chiedersi che tipo di poligono è un cerchio: rimane il fatto che, dopo aver interagito con il sistema sperimentale, ci si ritrova con due realtà ormai indipendenti.

Le cause aristoteliche

Ci ricordiamo tutti dai libri di scuola elementare o dell’asilo le quattro cause della fisica aristotelica: la causa materiale, che è quella di cui una realtà è composta, la causa efficiente, che agisce  per “contatto”[principio di località], la causa formale che è l’essenza stessa della cosa causata, e la causa finale che è il fine verso il quale tende una cosa.  Già da Descartes in poi (sarà stata colpa della cattiva qualità delle scuole dell’epoca?) si tendeva a confondere la nozione di materia con quella di corporeità, dimenticandosi che la materia è sola potenzialità, pura nel caso della materia prima, seconda quando già incorporante qualche elemento formale che permettono certe potenzialità ma ne precludono altre; la causa efficiente agiva quindi solo da corpo a corpo e non veniva più vista come quella realtà che fa passare da una potenza ad un atto e dall’atto alla potenza; la causa formale scomparve completamente dall’orizzonte scientifico anche dovuto al fatto che non potendo ridurre un’essenza a sole relazioni quantitative diventava difficile trattarne accuratamente nel campo di una scienza matematizzata data; la causa finale resse più a lungo, ma, la nozione di essenza ormai sconvolta, essa perdeva forza esplicativa. Tutto questo poteva andare bene finché si trattava di fisica classica, à la Newton e à la Laplace, ma ha incontrato il suo limite appunto colla meccanica quantistica dove, la fisica delle cause aristoteliche ritrova tutte le sue lettere di nobiltà.

Il chiedersi se ci sono due particelle nell’esperienza di Aspect o se l’una agisce sull’altra è sempre capito nel contesto di cause materiali identificate con (pseudo-) particelle “indipendenti” e con cause efficienti “inspiegabili” perché senza contatto (“località”), allora ecco le anatre “scientifiche” e amnesiche di buona filosofia starnazzare perché colle diseguaglianze di Bell verificate si deve allora perdere sia il “realismo” (non inteso in senso aristotelico ma in quello newtoniano) oppure la “località”.

Invece, guardiamo bene quel che succede utilizzando le categorie aristoteliche di causa: in primis, le cause materiali non sono né l’atomo di calcio che ha da disintegrarsi in quanto tale né i “due” (pseudo-) fotoni che sono stati generati dal suo decadimento, ma per l’aristotelico la causa materiale è proprio la potenzialità che ha l’atomo di decadere e di produrre una nuova potenzialità che potrà, passando dallo stato potenziale a quello attuale, essere misurata: qualcosa che è in potenza, anche se reale, non esiste ancora, potrà solo esistere se e quando la sua potenzialità si trasformerà in esistenza per effetto di una causa ad esso esterna, e quando passerà all’atto, quel che era precedentemente in atto ridiventerà potenza o scomparirà del tutto. La causa materiale è quindi la potenzialità, o le potenzialità, dello stato quantistico considerato (atomo di calcio che decade) : questa causa materiale non è materia prima, ma materia seconda nella misura in cui essa non può attuarsi in tutto quel che è possibile ma solo in un campo ristretto di attualità ( il blocco di marmo, causa solo seconda, può attuarsi in una statua o in una lastra, ma non in tessuto vaporoso per fazzoletti) , questa restrizione è descritta matematicamente dalle equazioni di moto quantistico [modellizzate ad esempio da Schrödinger  o da Dirac]  che restringono le possibili apparizioni di risultati misurabili futuri.

Nel caso considerato la causa efficiente dell’esperimento è solo il decadimento dell’atomo di calcio stesso: esso è “locale” ed è dal suo avvenimento che lo stato quantistico generale che descrive il sistema è cambiato. Non c’è nessuna altra causa efficiente e non ce ne sarà alcun altra fino all’interazione del nuovo stato quantistico con il suo ambiente. Formalmente il sistema è perfettamente definito tale e quale. Le equazioni della meccanica quantistica non descrivono l’evoluzione di entità reali “newtoniane” (di cui sopra), ma l’evoluzione nello spazio e nel tempo della relazione tra potenza e atto di un essere reale “aristotelico” (cioè unione di atto e potenza) che è il campo quantistico considerato. Quella è la causa formale del sistema prima della misura.

Quel che cambia colla misura (o qualunque interazione con un sistema esterno) è che vi è interazione tra il campo nel suo insieme con il sistema esterno: ormai la causa formale non è più il solo campo quantistico considerato dal momento del decadimento dell’atomo di calcio iniziale, ma è l’insieme stato quantistico e strumento. Da un punto di vista di causa efficiente, lo strumento può essere considerato tale, ma questo strumento fa passare lo stato quantistico da potenza ad atto cambiandone la causa formale: non c’è scambio di informazione lungo lo spazio ed il tempo, c’è solo un passaggio da una potenza ad un atto che esclude ormai l’attualizzazione di altre potenze; non c’è creazione di nuova informazione ma attualizzazione di informazione già in potenza: c’è eliminazione di informazione “possibile” a beneficio di una sola informazione in atto. Perché ci sia causa efficiente, bisognerebbe che i due “pseudo-” fotoni (o, in questo caso, le possibili “proprietà” ad essi associati)  fossero in atto, ma non lo erano: essi erano solo in potenza, come materia seconda secondo le costrizioni imposte dalle equazioni di moto quantistiche che dettano l’evoluzione dello stato della loro potenza.

La causa formale aristotelica non agisce per contatto spazio-temporale, ma come principio unico e unitivo tra potenza ed atto dell’essere di una data realtà: non c’è prima o dopo, avanti o indietro poiché una forma è a-temporale e a-spaziale; se guardo una statua non c’è un punto dove inizia la forma e dove finisce, il concetto di “statua di Davide” è indipendente da ogni specifica statua di Davide scolpita in tempi diversi; quando guardo un essere umano non c’è un punto del suo corpo dove inizia la sua forma di umano e un essere umano si realizza in qualunque tempo.

Bisogna anche dire che per l’aristotelico un forma è conoscibile per definizione, l’essenza di una cosa essendone la forma: fintanto che uno stato quantistico è (parzialmente) inconoscibile per sua propria natura, la sua forma proprio non esiste (completamente). In fin dei conti quella dell’interpretazione di Copenaghen è probabilmente la migliore che abbiamo a disposizione quando trattiamo operazionalmente di oggetti quantistici dal punto di vista del rasoio di Occam. Anche le teorie delle stringhe, che per ora sono (strettamente parlando in quanto oggi come oggi non si vede ancora come renderle falsificabili) solo fantascienza matematica, ridanno forza alla nozione di causa formale addirittura proprio in senso letterale!

Molto concretamente quando si guarda ad un  decadimento e si misurano i due fotoni emessi in quel caso specifico, allora si otterrà un solo risultato possibile che descriverà completamente lo stato quantistico misurato di quel decadimento. Quello stato quantistico sarà completamente in atto, le altre potenze ormai definitivamente inaccessibili.

Conclusione

Il concetto aristotelico di causa formale permette quindi di uscire con eleganza dalla problematica “realtà”(newtoniana) vs. “località” (della causa efficiente) che si pone solo quando si vogliono impiegare categorie meta-fisiche mal definite e limitarsi ad una concezione causale amputata. Il “disentanglement” è, semplicemente, il cambiamento della causa formale del sistema quantistico, come lo è anche qualunque misura o qualunque interazione con l’ambiente nel quale tale stato evolve: non c’è creazione di nuova informazione ma solo la sua attuazione. Il mondo fisico non lascia posto ad alcuna casualità ed è perfettamente causale anche quando non deterministico.

Coll’esperimento di Aspect per misurare le diseguaglianze di Bell, in fin dei conti, è stata messa in evidenza il modo di operare della causa formale aristotelica nel caso di una realtà non artificiale come quella dello scultore che produce una statua ma in un caso puramente naturale e si è mostrato sperimentalmente, cosa mai fatta prima in questo modo, la sua non identità colla causa materiale da un lato e la sua natura non temporale, non locale e non corporale dall’altro.

In Pace

 



Categories: Cortile dei Gentili, Filosofia, teologia e apologetica

28 replies

  1. Luciano De Crescenzo, regista e divulgatore della filosofia antica in pillole per gli inesperti, ci offri in un suo film, il punto di vista di un sofista, Protagora di Abdera, storicamente e filosoficamente precedente ad Aristotele. Tratta vagamente e in forma embrionale di essenza e forma e forse anche di potenza e atto, sulla “misura”, lasciando da parte la quantistica. Divertente e dissacratoio è una “pilloletta” per gli ignoranti come me.
    Spero possa divertirvi

    • 😉
      Guarda, caro Ubi, che hai capito il “sostantifico” midollo, cioè il fatto essenziale, della causa finale di questo mio post.
      E non scherzo né ti prendo in giro: parola!
      In Pace

  2. OT
    A proposito di pause natalizie propizie per le riflessioni (e ringraziandovi per gli ultimi approfondimenti pubblicati, graditissimi).

    Domanda….
    Ho ripensato, a causa di conversazione in occasione di classico incontro conviviale, alla questione posta dagli articoli di Minstrel su Veronesi/Male http://pellegrininellaverita.com/2014/11/18/dottor-veronesi-ascolti-se-il-male-esiste-dio-esiste-01/
    E mi chiedevo se potrei esporre il problema anche in termini leggermente diversi, cioè se sarebbe corretto esporlo come segue:

    Se noi, creature limitate, non avessimo il contrappunto del “male” (inteso come “privazione di bene”) saremmo in grado di percepire il bene stesso?
    Risposta: no.
    Risposta 2: solo Dio può “concepire” (essere, com-prendere) il Bene Assoluto in assenza di Male.

    Problema: allora il male diventerebbe addirittura necessario alla definizione del bene?

    Risposta. Purtroppo sì. Ma solo perché le creature limitate hanno voluto deliberatamente uscire dal Paradiso. Quindi: pretendendo di auto-definirsi hanno necessariamente definito il male – inteso come distacco da Dio. Distaccandoci, perdiamo parte di collegamento con Dio e il gap è lo spazio di definizione che abbiamo deliberatamente voluto sperimentare. Gap=male. Gap=la privazione di bene di cui parlava Minstrel.

    Soluzione. Cristo ricostituisce il “collegamento”. Però lo ricostituisce spiritualmente. E in sè stesso unitariamente, anche con la Carne. Però noi, finché siamo in questa dimensione spazio-temporale (e non essendo noi Gesù, ma solo potenziali “imitatori”) ci rimane “una parte fisica, carnea” contaminata dall’antico gap = peccato originale.

    Vi chiedo: il mio ragionamento fila (se dovessi esporlo a qualcuno digiuno di filosofia-teologia) ?
    In pratica volevo sapere se si può affermare che noi, nel nostro intelletto-carne ancora “vogliamo” (cioè ci tocca volere, causa Adamo) una certa auto-definizione (gap) con la quale, se cristiani, combattiamo per tutta la vita terrena.
    Alla fin fine, noi stessi “pretendiamo” l’esistenza del male per poter vedere il bene.
    (E Dio “permette” che noi “pretendiamo”. Dio permette la nostra “pretesa di male”. Solo in questo senso, allora, “Dio permette il male” – e questo non intacca il suo essere Dio ma solo il nostro essere creature.
    Anzi, andrei più in là e direi che era, forse, necessaria la “prova” temporale del distacco……quasi che fosse la “prova provata” che Dio davvero ci ha creati liberi, a sua immagine e somiglianza…. letteralmente la prova “del fuoco”)

    Una volta riuniti a Cristo, in Cristo, non ci servirà più (quella pretesa che ci divise da Dio).

    Vorrei sapere se il mio discorso casalingo-naïf rimane comunque corretto sotto l’aspetto filosofico e teologico……

    • Ciao Trinity! 😀
      Ahem…. non ci stò 😉
      Il male è proprio l’assenza di un bene costitutivo: un essere può essere finito e limitato ma se è quel che è, esperimenta e conosce il proprio bene. Se vede in qualcun altro che c’è un’assenza di bene rispetto a quel che l’altro è allora vi è male.

      Come dire, il bene non deve per forza essere come un oceano pacifico pieno d’acqua: basta essere un bicchierino colmo ed il bicchierino ha raggiunto il suo fine, è quello che è.
      Se uno è dotato per fare la musica e la fa, è bene anche se non è Mozart: Mozart è il paradigma del musicista per antonomasia: ma non essere bravo quanto Mozart non è un male. Non essere bravo quanto le proprie potenzialità lo permettono questo si che è male, in quanto si vuole o si è solo un bicchiere mezzo vuoto invece di essere pieno.

      Come vedi non c’è nessuna simmetria, anche per gli essere finiti tra il bene ed il male: il bene può essere e sussistere anche in loro senza nessuna presenza di male.
      Per noi cattolici, questo è poi ovvio meditando sulla figura della Santissima Vergine: è una creatura e nulla di più, ma in Lei non c’è nessun male e non ce n’è mai stato.

      Per riassumere: il male è assenza di bene, ma il bene non è assenza di male; il bene è, il male non è; il bene è essenziale a se stesso, il male è accidentale al bene e questo anche nelle creature che sono per definizione esseri finiti.

      Il cristiano può metaforicamente essere detto combattere: ma le sue armi sono la fede, la speranza e la carità, tutti doni dello Spirito Santo; cioè, in finis, chi davvero combatte è Dio; chi vince è Dio, chi perde è l’uomo.

      Cristo viene nella nostra assenza di bene e ci colma con quantità di bene straboccante: la definizione migliore stessa di Dio, della Sua infinità, non è l’essere esteso come una superficie infinita, ma l’essere straboccante come il cespuglio ardente che non si consuma, come l’olio e la farina della vedova di Nain che sempre straboccano, come la moltiplicazione dei pani e dei pesci, o il vino delle nozze di Cana. Il dono di Dio è non solo di fare di noi, per via del nostro peccato già bicchieri mezzi vuoti, dei bicchieri pieni come dovremmo essere, ma di fare di noi dei bicchieri straboccanti di Lui malgrado la nostra finitudine, tanto straboccanti da sempre riempirci quando ci vuotiamo e capaci di riempire chi ci è vicino di questa stessa natura straboccante divina. In questo siamo deiformi se Lo lasciamo fare: non diventando noi stessi un oceano pacifico straboccante, ma diventando straboccanti nella e dalla nostra finitezza.
      In Pace

      • Simon….riflettendo dopo la tua risposta, leggendo qua e là…teologie, dottrine, altri miei pensieri contraddittori, ecc…..apprendo con certa inquietudine che quel mio ragionamento in cui ero scivolata e che ti avevo sottoposto per valutazione …..in pratica era ed è…. un mezzo pensiero protestante!!?? Gasp, me ne sono resa conto solo diverse ore dopo!!
        Riappacificata con la mia testa (nella quale evidentemente convivono contrastanti teologie) riconosco la fondatezza di quel che dici e ora mi quadra tutto, dall’alto in basso, in verticale, in orizzontale, in tutti i sensi, a tutti i livelli – mentre la mia estrema ipotesi sul Bene/Male non era altrettanto convincente, oltre che essere in evidente contrasto con altre mie convinzioni…… ma comunque, è innegabile, avevo in qualche angolo inconscio una certa vagante idea della contaminazione invincibile …..aacccc….azzzzz…. porc vacc##**##!!! o_O 😀
        Ma quante altre mezze eresie c’avrò in testa? E che ne so?
        Stay tuned ! (cioè io sto tuned a studià!)

        In positivo invece, a volte rifletto da dove, da chi, ho appreso le basi per riconoscere il “sentire cattolico”. La mia formazione è stata un vero disastro da quel punto di vista: fin da piccola un’educazione Ubi-style (senza incolpare nessuno, i genitori fanno quel che possono) mista a superstizioni varie….poi da adolescente e per molti anni, finché me ne sono andata (in tutti i sensi), la mia parrocchia monopolizzata da neocatecumenali fondamentalisti urlanti con sacerdote al seguito…. E allora?? Mi sono chiesta spesso, dove ho imparato a riconoscere il cattolicesimo verace quando lo individuo in qualcuno (o lo leggo), data la mia infinita ignoranza?
        Beh, ad un certo punto mi sono risposta: ok sono battezzata e tutto il resto, però ho davvero avvertito personalmente una trasmissione, una trasfusione, una infusione di cattolicesimo nei miei pochi incontri da piccola, da adolescente e da ventenne con alcuni padri missionari. Bastava incontrarli, anche un paio di volte l’anno, per vedere e respirare (vero ossigeno!) persone che incarnavano il messaggio, in gesti, parole, coerenza. E poi, il “mio” Papa, fin da piccola, è stato San Giovanni Paolo II. Ok dai, basterebbe lui 😉 Qualsiasi contraddizione di strani cristianesimi potesse esserci nella mia testa, veniva risanata al solo vederlo….o ascoltando poche sue parole…. E poi la vita di San Francesco, e conoscere le vite di alcuni santi. E poi, qualche anno fa l’incontro con un ateo umano, troppo umano, anti-cattolico e così umano, meglio di un’apparizione soprannaturale ahaha…..ah se lo sapesse l’effetto che mi ha fatto 😀 ancora rido. Nient’altro….. nessun altro del quale possa dire “ok sono stata ben istruita sul cattolicesimo”. (addirittura a scuola ho avuto una suora come insegnante di religione che, dismesse le vesti, si è data alla politica e per diversi anni ho ricevuto a casa le propagande elettorali. Gente più contraddittoria di così proprio non potevo incontrare heheh)
        Davvero poca roba cattolica in tanti anni…eppure…..

        È per merito dei pochi cattolici che ho incontrato se io posso darti ragione quando mi correggi un pensiero e posso dire ok è corretto Simon, e ho sballato io 😉
        E qua si ritorna sugli ateisti o anche sull’ateismo pratico di tanti credenti: se non hai mai incontrato un credente in carne, ossa, gioia e spirito traboccante…..ma come fai a capire dove sta la Verità? Come fai a trarre verità da uno scritto, da un discorso, da una teoria? Ecco perché stiamo nel disastro spirituale attuale…..
        Riflessioni sparse…così.

        • Cara Trinity, ti ringrazio per questo gentile post e per la condivisione circa le tue esperienze.
          Credo che tu abbia già le risposte: colui che ti (ci) insegna è lo Spirito Santo che riceviamo il giorno del battesimo: questo l’ho potuto constatare anche con catecumeni adulti che volevano diventare cattolici e che lo sono diventati, ma non capivano granché prima del battesimo ma, miracolo, appena battezzati capiscono cose incredibili, a volte anche insegnandoci!

          La Chiesa riconosce questo sensus fidei che diventa sensus fidelium che addirittura istruisce il Magistero! Al soggetto proprio nel 2014 la Commissione Teologica Internazionale ha pubblicato una riflessione interessantissima alla quale ti rimando:
          http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html

          Eppoi c’è l’altra dimensione: non solo lo Spirito Santo che ci abita ma anche gli “altri”, la radicale alterità che incontriamo quotidianamente nelle persone e gli eventi che ci tangono: lì incontriamo davvero il Cristo, che è Cammino, Verità e Vita: e quel che ci racconti è che con l’avanzare nella vita t i rendi conto che Lui era sempre lì a formarti, a prepararti attraverso gli altri, per quanto improbabili cristiani essi possano a volta essere.

          Lo sai che questa è la definizione esatta di obbedienza? e quindi di amore?
          Grazie, ancora una volta, per la tua preziosissima testimonianza.
          Buon Anno

          In Pace

          • Bello il link sul sensus fidei. Una meraviglia.
            Grazie Simon!

            Continuo con OT personale. Per introdurre un argomento generale.
            Forse è utile anche ad altri lettori di passaggio che si fossero trovati in situazioni come la mia. Ovvero, con qualche idea incasinata nella testa.
            Magari un casino su temi abbastanza importanti e mezzi inquinati.

            Ho pensato ad un certo punto che…
            È come se mi avessero derubata di un pezzo di Bene……..
            Perché oscurare la mente e il cuore è un pò rubare, o comunque ostacolare l’accesso a ciò che spetta ad ogni essere umano: derubarlo del suo Bene – finché non è abbastanza adulto per riprenderselo….e se mai lo sarà, in certi casi.
            E chissà quanti altri sono stati derubati dei loro beni spirituali in questi anni disastrati…..

            In spietata autoanalisi da giorni, mi domandavo da dove potevo aver assorbito (e come ancora persistessero!??) certe idee sul bene/male in netta opposizione al mio essere, al mio sentire, al mio credere, al mio più intimo sapere…..eppure erano idee tirate fuori dalla mia testa!!
            Ero troppo basìta di ciò che avevo scritto io stessa….e allora ho continuato ad autoanalizzarmi, a scavare intestardita nella mia vita, a leggere, e rileggere delle cose…..e ho trovato che quelle idee non erano frutto di letture personali o fraintendimenti ma erano più attinenti ad un apprendimento “psicologico” e ad ascolto di dottrine esposte malamente, molto malamente, apprese inconsciamente fin dalla giovane età …..e poi anche in modo più conscio, insegnatemi da qualcuno che di certo non nominerò….. Anche perché questa era un’autoanalisi, mi interessava ciò che è accaduto in me e non la ricerca dei colpevoli. Le persone “implicate” mi interessano solo per capire me stessa – non per le loro responsabilità personali (io non posso stabilire se e come erano responsabili di ciò che dicevano/facevano).

            Ora so da chi provengono quelle idee contraddittorie (che poi espongo). Voglio ripetere: solo osservo, non incolpo. Ora so, molto più chiaramente di prima, che chi ritenevo affidabile, anche autorevole, non lo era…. e che il mio istinto, seppur di giovanissima, aveva così tanta ragione a diffidare di alcuni e a porre fiducia in altri (quelli che in post precedente definisco “pochi veri cattolici”, ma incontrati raramente)…..quante volte da adulta mi sono ritrovata a dire “il mio istinto aveva ragione!” e ora una volta in più….
            Chiamavo “istinto” (vago e incerto) quello che era pura e limpida ragione alla quale non volevo dar ragione. Quanti anni rubati….quanti lupi travestiti da pecore. Quanta gente ignorante ed arrogante tra i cattolici (che mi avviava sulla stessa strada dell’ignoranza)….. Quanto sono fragili i bambini, gli adolescenti…. E quanto gravi le nostre azioni quando li indirizziamo male.
            Quanta gente adulta che non può purtroppo dedicare oggi un minimo di tempo, come posso fare io in questo periodo, ad oziare-contemplare-studiare-rielaborare-ricostruire……
            (scusate ma è talmente facile studiare per chi ha il tempo di farlo che per me è un’attività che sfiora l’ozio, un ozio operativo benefico, ma è quasi ozio in confronto a chi deve lavorare duramente senza poter mai fermarsi a riflettere su ciò che gli succede……e se gli hanno rubato il Bene, forse gliel’hanno rubato per sempre….. Che Dio perdoni chi ruba le possibilità di Bene alle giovani vite e io sulla misericordia di Dio verso i “ladri” in questi casi ho sempre qualche dubbio….quindi piuttosto direi… che le giovani vite derubate del Bene possano perdonare i ladri di speranza…. e che Dio ci aiuti affinché non siamo mai complici di questo furto verso i più piccoli…..Perché ad alcuni possono anche sembrare semplici “idee nella testa” o innocuo oscuramento di qualche piccola verità, roba da filosofi, ma purtroppo non lo sono: si vanno ad influenzare le basi sulle quali poggia la vita più concreta e più personale).

            Riepilogo ora in breve alcune basi dell’istruzione esplicita ed implicita da me ricevuta da bambina e adolescente, anche da persone autorevoli – istruzione che in modo contraddittorio è convissuta con l’insegnamento cattolico vero, pur presente:

            – siamo peccatori, nel senso che siamo contaminati e mai liberati del tutto dal peccato (e non so bene come questo si accordasse col Battesimo, Penitenza, ecc.)
            – in qualche modo (??) quindi la grazia convive col peccato, contemporaneamente. In altre parole, sembra che non ci sia mai quella situazione definita “in grazia”. Infatti io non l’avevo mai intesa come la intendo ora….
            – più che “creature limitate e deboli” siamo delle vere schifezze (non è che “facciamo” delle schifezze peccaminose bensì lo siamo direttamente) ed è così che dobbiamo considerarci di fronte a Dio
            – gli sforzi di volontà che si possono fare per diminuire il proprio stato peccaminoso sono utili e necessari e pure obbligatori ma comunque puoi già mettere in conto che il peccato vincerà (non so bene come questo si potesse accordare col libero arbitrio. Inoltre se analizzate bene il concetto potete vedere il pericoloso effetto psicologico che va ad insinuarsi nella coscienza/inconscio)
            – in contraddizione con quanto appena detto, si affermava il seguente concetto: dobbiamo sforzarci di continuo a “fare” azioni e preghiere (come sacrifici) perché sono quelle che ci salvano. E sarebbe anche vero come principio per i cattolici….però in qualche modo passava l’idea, implicita, che “ci salviamo da soli”, quasi che Dio/Gesù stesso non potesse/ro far altro che il contabile dei nostri meriti e concederci legalmente il passaporto per il Paradiso. Si potrebbe anche dire che noi possiamo “obbligare” Dio! ….In questa visione, Gesù, il suo sacrificio è quasi ininfluente. Quello che faceva Gesù era stare lì sulla Croce e noi, dal basso verso l’alto, gli inviavamo “offese” da ricevere oppure “autosalvezze” da ratificare. Mi dà molto fastidio anche solo scriverlo…..perché detesto questa immagine.
            – ciliegina sulla torta: le contaminazioni peccaminose sono ovunque, qualsiasi cosa tu faccia, qualsiasi azione è già mezza peccaminosa in partenza, sembrava quasi che il “piacere” di respirare fosse mezzo peccaminoso o bere un bicchier d’acqua con gusto….perché c’è molto più male che bene nell’uomo….il bene è quasi o anche totalmente irraggiungibile.

            Ho trovato online una descrizione di quanto da me sopra-descritto. La provenienza delle idee, lo confermo, è quella indicata dall’autore dello scritto (che potrete tranquillamente reperire su google. Non lo cito qui espressamente per mantenere questo discorso solo sull’argomento trattato. Puntare il dito non figura tra i miei scopi. E tra l’altro chi segue il blog già ha capito a chi mi riferisco).
            Io comunque sono rimasta impressionata da come queste idee combaciassero perfettamente con quelle che ho ritrovato inaspettatamente ad inquinarmi la mente….
            “l’uomo non può fare il bene perché si è separato da Dio, perché ha peccato ed è rimasto radicalmente impotente e incapace, in balia dei demoni. È rimasto schiavo del Maligno. Il Maligno è il suo signore. Per questo non valgono né consigli, né sermoni esigenti. L’uomo non può fare il bene (…). Non puoi compiere la legge; la legge ti dice di amare, di non resistere al male, ma tu non puoi: tu fai quello che vuole il Maligno”. L’uomo «È profondamente tarato. È carnale. Non può fare a meno di rubare, di litigare, d’essere geloso, di invidiare, ecc., non può fare altrimenti. E non ne ha colpa…. Per questo, appunto, “non servono discorsi. Non serve dire: “Sacrificatevi, vogliatevi bene, amatevi”! E se qualcuno ci prova, si converte nel più gran fariseo…” — (….) in perfetta linea con Lutero, che ha lasciato scritto: «Acconsenti dunque a ciò che tu sei, angelo mancato, creatura abortita. Il tuo compito è di mal fare, perché il tuo essere è malvagio!» ”

            Riflessioni.
            》Penso che questo inquinamento (psicologico profondo) sia presente in molti cattolici che pur conoscono la corretta dottrina della Chiesa.
            》Penso che la provenienza di quelle idee sia antica da un lato (eresie appiccicose in seno alla Chiesa, genitori con tendenza a dottrine-Ubi) e moderna dall’altro (nel mio caso, sacerdote e relativa catechesi che ha sposato preciso movimento, che presenta evidentemente basi teologiche scarse).
            》Penso pure che tutto ciò, antico e moderno, sia causa di molti cattolici “inattivi” nella Chiesa e nel mondo (il messaggio subliminale è: tanto non si può fare niente contro la schifosissima natura umana!)
            》Penso anche che sia causa vera (non riconosciuta) di molti allontanamenti dalla fede cattolica: per alcuni o anche per molti, è quasi un fuggire alla ricerca di una Purezza, di un Bene che non gli vengono riconosciuti. Come se stare nella Chiesa significasse rimanere eterni sporchi peccatori. E poi, sappiamo come va a finire….a ricercare il bene per strade impervie, senza guide, senza Gesù…. è abbastanza difficile e pochi ci riescono.

            Questa è solo una parte, una piccola parte della mia esperienza di vita, tuttavia spero che possa essere utile non solo a me (che mi sto autoanalizzando e confrontando) ma anche a chi ha bisogno di capire meglio il cattolicesimo: gente “dentro” e gente “fuori”.

            E di nuovo grazie Simon per molte spiegazioni e chiarimenti che fornisci.
            Anche se sembra sviolinata chi se ne importa 😉
            È sincero ringraziamento.
            È “solo” scrittura su un blog. Però è molto, molto preziosa.
            Grazie ragazzi 🙂

            (Ok la prossima volta vi trovo un bel difetto, altrimenti vi montate la testa)

            (Segue post sulla definizione del “peccato cattolico”)

            • Bene, male, peccato, battesimo. Cattolici.
              Sto seguendo con interesse anche i recenti interventi di Roberto con Simon, molto utili. Vorrei però tornare un pò indietro, alle basi.

              Domanda banale:

              COME lo inquadro il peccato (dopo il sacrificio di Gesù) senza incappare in altri errori che mi facciano sforare in altre teologie/filosofie non cattoliche?
              Che cosa intendiamo, come cattolici, quando diciamo: “siamo tutti peccatori e non abbiamo alcun merito”?
              Detta così, l’affermazione potrebbe anche essere sovrapponibile a quella del protestante della “giustificazione per fede” (che all’incirca afferma: “dato che pecchiamo come respiriamo, e di meriti non ne abbiamo, non ci resta altro che farci giustificare tutti da Gesù e fine della storia. Quindi crediamo fortemente, pecchiamo fortemente, tanto peccare meno non conta, affermiamo semplicemente la fede-fiducia e allora siamo tutti salvi”).

              Mi puoi indicare gli errori teologici/filosofici che si possono rischiare se la giriamo dalla parte sbagliata? O se usiamo concetti erronei con qualcuno che ci ascolta (anche bambini, ragazzini) ?
              Ad esempio….posso trovarmi a leggere nel blog di un teologo cattolico “la grazia non soppianta la natura” http://www.theologhia.com/2014/12/sposarsi-divorzio-matrimonio-vedovanza-uomini-marte-donne-venere.html
              Al di là dell’argomento specifico, quella frase come va chiarita per non fraintenderla ?
              Per quanto mi riguarda continuerò a leggere oltre a documenti disponibili on-line anche qualche libro per ripulirmi da altre eventuali idee inconsciamente falsate….
              Nel frattempo mi puoi esporre la versione semplice più giusta da affermare per un cattolico?

              Io avrei trovato il seguente percorso.
              Buona base di partenza a me sembra questa, di Papa Paolo VI, bellissimo documento. Un Credo “allargato”.
              http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19680630_credo_it.html
              “Noi crediamo che in Adamo tutti hanno peccato: il che significa che la colpa originale da lui commessa ha fatto cadere la natura umana, comune a tutti gli uomini, in uno stato in cui essa porta le conseguenze di quella colpa, e che non è più lo stato in cui si trovava all’inizio nei nostri progenitori, costituiti nella santità e nella giustizia, e in cui l’uomo non conosceva né il male né la morte. È la natura umana così decaduta, spogliata della grazia che la rivestiva, ferita nelle sue proprie forze naturali e sottomessa al dominio della morte, che viene trasmessa a tutti gli uomini; ed è in tal senso che ciascun uomo nasce nel peccato. Noi dunque professiamo, col Concilio di Trento, che il peccato originale viene trasmesso con la natura umana, «non per imitazione, ma per propagazione», e che esso pertanto è «proprio a ciascuno» (Dz-Sch. 1513). Noi crediamo che nostro Signor Gesù Cristo mediante il Sacrificio della Croce ci ha riscattati dal peccato originale e da tutti i peccati personali commessi da ciascuno di noi, in maniera tale che – secondo la parola dell’Apostolo – «là dove aveva abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rom. 5, 20).”

              Poi:
              Fascicolo 9 di Don Ottaviano http://didaskaleion.murialdo.org/mi_fonda.htm
              Fondamenti del cristianesimo.
              Si legge:

              Per il cristiano il peccato è il rifiuto cosciente e volontario di seguire Gesù, così come lo conosce.
              Si noti che, secondo l’insegnamento cristiano, il peccato sta nel cuore dell’uomo, è una decisione interiore, non è l’atto esterno.
              DOCUMENTAZIONE
              Disse Gesù: «Non capite che tutto ciò che entra dall’esterno nell’uomo non può contaminarlo, poiché non entra nel suo cuore?… Ciò che esce dall’uomo, quello contamina l’uomo. Dall’interno infatti, dal cuore degli uomini escono i pensieri cattivi, fornicazioni, furti, uccisioni, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, lascivie, occhio cattivo, bestemmia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive escono dall’interno e contaminano l’uomo» (Mc 7,18-23).

              Ecco, se si interpretassero male le suddette parole, si potrebbe capire che la natura umana (anche dopo il Battesimo) è di per sè cattiva…. alla maniera protestante. Però non è così.

              Catechismo Chiesa Cattolica
              http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p3s2c2a9_it.htm
              2515 La « concupiscenza », nel senso etimologico, può designare ogni forma veemente di desiderio umano. La teologia cristiana ha dato a questa parola il significato specifico di moto dell’appetito sensibile che si oppone ai dettami della ragione umana. L’Apostolo san Paolo la identifica con l’opposizione della « carne » allo « spirito ». È conseguenza della disobbedienza del primo peccato. Ingenera disordine nelle facoltà morali dell’uomo e, senza essere in se stessa una colpa, inclina l’uomo a commettere il peccato. 

              2520 Il Battesimo conferisce a colui che lo riceve la grazia della purificazione da tutti i peccati. Ma il battezzato deve continuare a lottare contro la concupiscenza della carne e i desideri disordinati. Con la grazia di Dio giunge alla purezza del cuore […]

              Trovo un’utile prospettiva anche nel blog di Robert Cheaib.
              Battesimo come inizio delle nozze mistiche.
              http://www.theologhia.com/2015/01/il-battesimo-non-e-solo-un-lavaggio.html

              Riassumendo in termini “popolari” :

              Il cattolico ha fede che può impegnarsi a non peccare con l’aiuto di Dio.

              Il protestante ha fede che peccherà di sicuro e Dio lo salverà se il fedele s’impegna a credere molto.

              Che mi dici, Simon? Si può dire con parole migliori che distinguano ancora meglio le due posizioni ?
              Grazie.

            • Cara Trinity, quanta carne al fuoco!
              Parole migliori? Non te le prometto: posso solo compartire come io, alla luce del Magistero, medito questi apparenti paradossi. Però, secondo me, è proprio dalla meditazione di quel che insegna il Catechismo ufficiale della Chiesa Cattolica (CCC83) che troverai la miglior risposta.

              Una premessa ancora: nella nostra fede cattolica c’è sempre il Mistero di Dio ed il Mistero appare a noi essere finiti come due facce contemporanee di una stessa realtà e, in quanto cattolici, dobbiamo assolutamente prendere questi due aspetti al contempo e non scegliere l’uno o l’altro per ragioni di logica umana o di sentimentalità: quando si sceglie uno dei due termini a scapito dell’altro si compie un’eresia (che vuol dire appunto scelta).

              Già, bisogna capire cosa sia il peccato: è il rompere l’amicizia e il rapporto di finalità con Dio. Infatti l’amico fa quel che è giusto per il suo amico: e quel che è giusto inverso Dio è di compiere il fine per il quale siamo stati creati, cioè glorificarLo. Conosco un amico che mi ha detto che ogni volta che guarda sua moglie prova gioia intensa nel vederla esistere (e ne rende ovviamente grazie a Dio): questo è un piccolo esempio nel quadro della finitezza umana di cosa significa glorificare Dio per il Suo semplice fatto di esistere. Compiere il fine per il quale si è stati creati è essere nell’obbedienza.

              Il peccato originale è la rottura di questa relazione di amicizia tra l’uomo e Dio ed è caratterizzata appunto dalla disobbedienza, l’antico “Non Serviam”. Qui, se leggi il CCC, vedrai che si pone l’accento sul peccato originale in quanto coinvolgente solamente la specie umana: non dice niente circa il resto della natura anche se la lettura della Genesi dice qualcosa di più. Personalmente ( attenta: non è quindi dottrina della Chiesa ma non va contro la Sua dottrina) penso che tutta la natura, cioè tutto l’universo, è caduta con il peccato di Adamo e quello di Lucifero: cioè viviamo in un universo che non è “amico” di Dio, che non rende gloria a Dio come fine ultimo, ma che si condanna alla morte e alla violenza.

              Cioè il peccato non è solo quel che potrebbe sembrare un’astrazione (non essere più nel’amicizia con Dio) ma è una realtà tangibile: noi tutti sperimentiamo che questo mondo in qualche modo “non” funziona come “dovrebbe”. Ognuno viene poi con i suoi “dovrebbe” in assenza della risposta che Dio stesso ha dato a questa situazione. La nostra “natura” è quindi nell’impossibilità reale e concreta di raggiungere Dio di per se stessa.

              A questo si aggiungono i nostri peccati personali, i quali, all’immagine di quello “originale”, rompono, ma questa volta per scelta personale e reiterata, questa relazione di amicizia.

              Quindi sì, cara Trinity, siamo tutti peccatori e non possiamo farci niente colle nostre sole forze: questo lo dobbiamo ammettere e accettare in quanto non c’è via di scampo esattamente come per la morte, la quale ne è la manifestazione fisica per eccellenza (sic). Non ammettere che siamo peccatori per natura (corrotta) è come non voler ammettere che tutti moriremo: alcuni sperano nel trans-umanesimo come una via per scampare alla morte e, quindi, al peccato, ma lasciamoli nella loro illusione irrazionale.

              Dobbiamo davvero lasciarci impregnare dalla tragicità di questa situazione umana e universale se vogliamo davvero capire che “Vangelo” significa davvero “Buona Novella”: qualcosa di nuovo ci è offerto, un Cielo Nuovo ed una Terra Nuova e questo è possibile per la Grazia di Dio che si è Incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto Uomo per ristabilire quest’amicizia tra Dio e l’uomo e il Creato, dove finalmente tutti raggiungano il loro fine che è la Gloria di Dio ad opera dello Spirito Santo.

              Cambia la nostra natura corrotta? No. Ma qui risiede questo miracolo di cui la Transustanziazione sull’Altare è l’Icona perfetta: quel che vedi e tocchi è Pane e Vino di questo mondo con tutti i suoi difetti, eppure la Sostanza ne è il Cristo stesso: noi peccatori, con la venuta di Cristo in questo mondo, per via del battesimo diventiamo Corpo di Cristo eppure rimaniamo quella stessa pasta umana e quello stesso vinaccio di prima, ma ormai siamo Corpo di Cristo.

              Abbiamo un merito qualunque? Nessuno. Abbiamo una missione? Sì: quella di conformarci al massimo delle nostre capacità a questo Cristo che dà nuova Sostanza al nostro essere.

              Quindi, la “mia” parola migliore è di contemplare nella preghiera quel miracolo che avviene durante la Santa Eucaristia e paragonarti al volgare pezzo di pane e al liquido alcolizzato che pur sembrando rimanere tali nei loro accidenti sono trasfigurati nel Cristo.

              Perché questo è un mistero insondabile: è nel nostro stesso peccato e nella nostra stessa morte che Cristo ci salva. Per capirlo bisogna forse ricordare l’insegnamento di quel Venerabile Papa che era Albino Luciani, Giovanni Paolo I, che dette all’udienza generale del 6 settembre 1978 (sembrerebbe leggere Papa Francesco):

              “Mi limito a raccomandare una virtù, tanto cara al Signore: ha detto: imparate da me che sono mite e umile di cuore. Io rischio di dire uno sproposito, ma lo dico: il Signore tanto ama l’umiltà che, a volte, permette dei peccati gravi . Perché? perché quelli che li hanno commessi, questi peccati, dopo, pentiti, restino umili. Non vien voglia di credersi dei mezzi santi, dei mezzi angeli, quando si sa di aver commesso delle mancanze gravi. Il Signore ha tanto raccomandato: siate umili. Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili.”

              Con la Sua Croce, colla Sua Obbedienza alla Volontà del Padre, il Cristo Gesù ci ha mostrato come rigirare il peccato originale e personale contro se stesso, facendo del peccato e del successivo pentimento un cammino di umiltà e di rinnovata obbedienza.

              Quindi benvenuto peccato se esso mi permette poi di umiliarmi e di tornare nell’obbedienza e rendere grazie a Dio per la meraviglia del Suo perdono: ha usato la mia debolezza per farne una forza. Glorifichiamoci della nostra debolezza! Siamo tanto più forti quanto siamo più deboli!

              Ecco, non basta “credere”, ma bisogna davvero sempre rigirarsi verso il Cristo, lasciare lo Spirito Santo soffiare il noi la Lode del Padre per l’Obbedienza del Figlio, sempre davvero convertirsi e lasciarsi convertire da Lui.

              Vorrei ancora aggiungere un commento, una pista supplementare di meditazione: se è vero che guardandoci come siamo non c’è niente di tanto amabile in noi e quindi niente di cui glorificarci, Il Signore invece, ci ha insegnato che guardando gli altri proprio nelle loro infermità e i loro peccati lo troviamo LUI. Che mistero! Quel che ci fa brutti, rende belli gli altri!

              In Pace, cara Trinity

            • Ecco Trinity, è proprio da quella sottolineatura di Cheab che ho chiesto a Simon cosa intendesse in altro post sul “mondo non buono”
              http://pellegrininellaverita.com/2014/12/26/evoluzione-e-tomismo-aristotelico/comment-page-1/#comment-10502
              ovviamente un conto è la natura umana in sé, un’altro “il mondo”. Ma dipende da cosa si intenda con “il mondo”. Poi il discorso è andato scemando a causa del mio poco tempo. Forse questi tuoi lanci possono aiutare a chiarire meglio il suo discorso. 🙂 Ti ringrazio trinity!

              EDIT: Per l’appunto ecco Simon che risponde! “Personalmente ( attenta: non è quindi dottrina della Chiesa ma non va contro la Sua dottrina) penso che tutta la natura, cioè tutto l’universo, è caduta con il peccato di Adamo e quello di Lucifero: cioè viviamo in un universo che non è “amico” di Dio, che non rende gloria a Dio come fine ultimo, ma che si condanna alla morte e alla violenza.”
              Puro suo pensiero. Perfetto. Chiedevo perché ho trovato interpretazioni scostanti al riguardo e la sicurezza di Simon mi appariva davvero strana. Ma si collima con l’idea filosofica di quanto la scienza stessa “mitologizza” finora pertanto ci sta come intepretazione. Non la faccio mia, ma la tengo cara. 🙂

            • @ Minstrel
              Ci sono però segni nella Bibbia che indicano che la creazione non sia (più) buona dopo il peccato dell’angelo. Ad esempio Cristo stesso ci dice che Lucifero fu precipitato in terra come un fulmine; oppure che il Principe di questo Mondo è Satana; oppure nella Genesi quando per vivere nel dolore e nel sudore i progenitori sono cacciati sulla terra; oppure alla promessa di un Cielo e di una Terra Nuova in contrapposizione agli attuali. C’è una tradizione mistica in questo senso che ha quindi basi scritturarie.
              In Pace

            • Alt, allora forse ci siamo! Io quando parlo di “natura del mondo” intendo come “realtà integrale della creazione”, da un punto di vista ontologico, cioè da un punto di vista della creazione in sé. Mi spiego: ciò che ha Creato Dio può essere il MALE? No, il male è assenza di bene di cui Dio è l’assoluto! Male è ciò che è BENE perché creato da Dio, ma che – lasciato libero – sceglie (o viene portato) lontano da ciò per cui è stato creato, cioè Dio stesso.
              Dunque mi sta benissimo che oggi il mondo si stia allontanando da Dio, ma la creazione in sé, l’essenza dell’essere tomisticamente parlando, non può essere “male” proprio perché il “male” in sè non esiste ma è sempre realtivo ad un bene CHE E’ NELLA CREAZIONE. Può essere “non buona” proprio perché la creazione IN SE’ è BUONA perché viene da Dio e chiamata a Dio stesso!
              A questo punto tutto fila: il padrone del mondo non può demolire la bontà della creazione stessa del mondo, cioè la bontà dell’atto gratuito di DARE l’ESSERE alla sua creazione da parte di Dio. E non è male nemmeno la libertà che Dio lascia alla creazione stessa. E’ certamente “male” il non andare verso Dio, cioè è mancanza di quel bene che è la consapevolezza della propria “missione”.

              A tale proposito – forzando volutamente la mano con una frase che fa molto teologia contemporanea che è molto poesia e poco razionalità, e di questo mi scuso – mi sembra anche chiaro perchè il mondo, scientificamente parlando, vada verso l’entropia massima, verso la sua dissoluzione più rapida possibile: non ne può più di questo “padrone” e corre (letteralmente) verso casa! 😉

              Tutti tesi, tutti attesi!
              Appunto.

            • Qualunque esistente, per il fatto stesso di partecipare all’essere ha qualcosa di buono: il male assoluto non esiste, neanche Satana, suo malgrado è il male assoluto. A fortiori la creazione che è buona in quanto esiste anche se è corrotta, cioè non partecipa pienamente del bene per il quale è stata creata.

              La morte potrebbe ambire allo statuto di “male assoluto” in quanto è non essere (ma non è, quindi…) : ma anch’essa è stata vinta dalla Resurrezione di Cristo.

              Penso che diciamo la stessa cosa. 😉
              In Pace

  3. Altro OT. Comunque stiamo sempre in zona “dibattiti con i non credenti”.

    Stavo pensando, in seguito a discussione qui https://berlicche.wordpress.com/2014/12/16/la-strage-e-gli-innocenti/#comment-67844 se le esperienze chiamate “di pre-morte” possono essere argomenti validi e/o seri e/o opportuni per un cattolico da presentare agli atei e agli scettici. Ancora non saprei, come dicevo anche sul blog di Berlicche https://berlicche.wordpress.com/2014/12/16/la-strage-e-gli-innocenti/#comment-67915
    Comunque:

    Mi si è riproposto il tema perché qualche tempo fa ho visto la storia di una signora, Mary Neal, in tivù. Poi, a seguito di un’altra utente https://berlicche.wordpress.com/2014/12/16/la-strage-e-gli-innocenti/#comment-67854 che aveva nominato Gloria Polo sul blog di Berlicche, mi è tornata in mente la dott.ssa Neal.
    Dunque. Mary Neal è un medico. Era scettica. Classica scienziata scettica. Poi è “morta” per qualche minuto. È andata, è tornata. Lo racconta.
    E ci racconta il nuovo significato di Fede ora per lei.

    Quello che può disturbare noi italiani/europei è che poi gli americani (il mood mediatico e lo stile americano) tendono a farne un’americanata. Però lei, la dottoressa, era ed è persona seria e ha scritto un libro (prendendosi molto tempo per farlo, non sull’onda della notorietà, ed essendo occupata come medico e come madre di quattro figli) devolvendo gli incassi a varie associazioni benefiche.
    Comunque non serve acquistare il libro. C’è già tutto sul suo sito e ampia documentazione su youtube dei suoi interventi in pubblico.

    La dott.ssa Mary Neal ha visto/sentito Gesù e lo spiega anche nel link che metto qui Vedere la domanda “What did Jesus look like?”.
    Interessante anche la risposta alla domanda “Do you belong to a church? ”
    (risposta da cristiana, non cattolica, ma la trovo comunque una bella risposta considerato che non stava facendo un trattato teologico)

    http://drmaryneal.com/

    http://drmaryneal.com/faq.html

    I seguenti 2 video sono molto completi nell’esposizione dell’esperienza e nelle implicazioni per la fede secondo la dottoressa (attenzione nel secondo video c’è un pò di nero durante la pubblicità).
    L’inglese per fortuna risulta bello chiaro e scandito; l’ho compreso bene io che solitamente capisco ben poco gli americani.

    Parte 1 http://www.youtube.com/watch?v=DX473dF7ChY

    Parte 2 http://www.youtube.com/watch?v=ULsl92H-Noc

    (Un altro signore, pre-morto, che ho visto raccontare la sua esperienza in tivù diceva che mentre era morto ha visto la sua vita come se fosse vista dalle persone a cui aveva fatto del male mentre “in vita” lui trovava mille scuse, mille ipocrisie per giustificarsi….e lì capì che lui trovava solo scuse….e che era come se gli altri fossero lui e viceversa….E in “quel luogo” una Presenza gli diceva all’incirca “va tutto bene, è perché sei umano”, insomma una presenza lo “perdonava” ma lui , lui nella coscienza si sentiva una vera cacca nonostante le “rassicurazioni” e quando è “tornato” in vita ha cambiato di netto il suo punto di vista nei comportamenti con gli altri, comprendendo il significato di “ama il prossimo tuo come te stesso” e “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”.
    Quest’uomo, che non è famoso e non ha scritto libri, concludeva più o meno così: “non sempre è facile, ma come persona umana ora voglio arrivare, prima di morire, almeno alla sufficienza”. Questa storia che evidentemente descrive il “peccato” dell’uomo, viene riportata da diversi soggetti che hanno avuto esperienze di pre-morte, e il fatto è che….si tratta di esperienze di credenti e di non-credenti oppure di credenti che prima dell’esperienza giudicavano errate o esagerate certe dottrine cristiane…. Nel caso di Gloria Polo, so che ha “visto” anche la realtà dell’inferno. Terrificante. Infatti solitamente se seguo qualche racconto del genere seguo quelli del tipo Mary Neal)

    ” Before we return to Heaven, our real home, we have an incredible opportunity on Earth to face challenges that will help us learn, grow and to become more Christ-like in the fruits of our spirit. Our time is so short that we need to be about God’s business every day ”
    (Dr. Mary Neal)

    Mi piacerebbe ora sapere dagli atei, se passano di qua: a voi queste esperienze dicono qualcosa?

    E mi piacerebbe sapere da Simon, Minstrel, Claudio e frequentatori di Croce-via: ritenete che riportare il fenomeno delle numerose esperienze di pre-morte (oggi certificate seriamente) sia una strada valida/seria per fornire ai non credenti alcune delle famose “prove” o “tracce” dell’immortalità dell’anima ?
    (sono molti anni che alcuni medici/scienziati raccolgono queste prove e il pattern è sempre quello: principalmente il soggetto “morto” in genere trova “di là” le stesse “presenze” che riferiscono un pò tutti e inoltre, come dato costante, non vuole tornare indietro ma gli tocca suo malgrado, per vari motivi. E poi tutti ma dico tutti cambiano vita dopo quelle esperienze: la spiritualità diventa fulcro della loro vita, un fulcro gioioso – come sanno tutti i genuini credenti. Insomma per dirla con C.S. Lewis “sorpreso dalla gioia”).

    Oppure, secondo voi, è inopportuno/sbagliato in qualche modo citare queste esperienze quando si parla con un ateo?

    Sto cercando di capire che cosa per un ateo significa “prova”.
    Per me la vita stessa è una “prova”, molte esperienze personali quotidiane (normali) per me costituiscono “prova”….tutta la storia umana è una “prova”….un sacco di santi, umani e santi, sono “prove”….., gli argomenti che pubblicate di frequente su Croce-via sono “prove”… e non comprendo ancora bene le prove che vorrebbero i non credenti.
    Inoltre, come facevo notare da Berlicche, è il caso di andare di nuovo sull’aspetto emotivo, quando sappiamo che probabilmente l’ateo è proprio “emotivamente ateo” ? Oppure….magari è proprio la scossa emotiva che gli servirebbe?

    • Ci poni due problemi differenti: (1) cosa può convincere l’ateo che ci sia una vita spirituale oltre che quella sola materiale ; (2) queste esperienze di morte possono essere considerate come una “prova” sperimentale del “dopo-vita”?

      Altri sicuramente ti porteranno le loro opinioni. Quanto a me , me ne tengo al principio di realtà: un morto non ritorna alla vita. Conosco una sola eccezione di un morto che sia stato rianimato dopo essere stato tanto morto da puzzare il morto ed è la rianimazione di Lazzaro: altri sono stati rianimati da Gesù, o da grandi santi come San Pietro, però di nessun altro si danno abbastanza informazioni per sapere se erano davvero morti o semplicemente in coma, o vicini a morire ma non ancora morti. Lazzaro non ci ha raccontato niente di quell’esperienza della morte; niente ci è stato trasmesso.

      In quanto filosofo, so che quando vengo a morire tutte le funzione legate alla mia corporeità e materialità vengono a sparire: niente memoria, niente immagini, niente parole, niente simboli, niente ragionamenti logici, ma solo essere chi sono, sapere che sono nello stesso atto di essere e con una sola componente del mio essere, la volontà, ormai sia immutabilmente centrata su di me (auto-centrata) , sia immutabilmente centrata sull’Altro (etero-centrata) e identica al mio sapere il mio stesso atto di essere.

      Quindi, in quanto filosofo, se mi si parla di queste esperienze, ne deduco che chi le ha vissute aveva ancora una dimensione corporale, un’attività neurologica, forse parossistica, ma sempre nel materiale informato dal’anima e non ancora con un anima che non informa più un corpo che è la sola vera definizione di morte.

      In quanto credente ne so però un po’ d più del filosofo e cioè so che Dio non mi lascia essere quella monade totalmente e angosciosamente solitaria auto-centrata o etero-centrata, ma che Dio mi fa la grazia traboccante di fare si che ci siano altre idee e conoscenze che sono compartecipate con Lui, tanto più quanto io stesso al momento della mia morte sono etero-centrato su di Lui. Eppoi c’è la grande promessa, che già sappiamo verificatasi colla Sua Resurrezione, e cioè quella del ritrovare quando Lui vorrà, i nostri corpi e di nuovo l’accesso immediato e naturale alla propria memoria fisica e a tutti i nostri sentimenti e sensazioni.

      (In questo contesto anche l’inferno è una opera di carità magnifica rispetto a quel che il filosofo retto può capire in quanto non lascia colui che si è dannato in quanto monade assolutamente solitaria ma in quanto ancora capace di interazione, anche se, poi, quell’interazione, per sua natura con altre persone auto-centrate, non può essere buona: è risaputo che gente lasciata in prigione in totale isolamento e segregazione preferiscono addirittura essere torturate che vivere quell’esperienza di assoluta solitudine.)

      Quindi per rispondere alla tua domanda, non penso davvero che queste esperienze possano essere convincenti. Gesù stesso ne parlò colla parabola del povero Lazzaro e del ricco Epulone, mettendo nella bocca di questo esattamente questa domanda e cioè se fosse possibile mandare dei morti rianimati per convincere i familiari peccatori e ben conosciamo la risposta data da Dio in quella circostanza e che è che se non credono alla Bibbia ed ai profeti non crederanno neanche ad un morto rianimato.

      Questo mi serve di transizione per riportarmi alla tua prima domanda: ma allora che ci vuole per convincere un ateo?. Ci vuole che creda nei profeti. Ma come fare affinché creda nei profeti, mi chiederai? Ebbene, bisogna già che l’ateo incontri dei profeti.
      Ma dove ci sono profeti ai tempi nostri? Ebbene, ogni cristiano è Re, Sacerdote e Profeta. Cioè bisogna che l’ateo incontri un vero cristiano, che sia un vero profeta.

      Dal punto di vista della logica, della scienza e della filosofia tutto chiaramente mostra e dimostra l’esistenza di Dio: eppure non vogliono vederlo. E non vogliono vederlo perché si crogiolano nel loro peccato, originale e personale: tutto lì. È una scelta loro personale, niente li impedisce di conoscere in prima persona la Verità.

      La domanda è forse quindi un po’ differente: non è come convincere l’ateo a vedere il reale tale quale è, ma è cosa fare per fargli fare un’altra scelta che quella da lui fatta finora? È questo possibile solo intellettualmente, convincendo intellettualmente? si, ma solo in certi casi di persone che possiedono un grandissimo carattere e hanno una totale assenza di disonestà intellettuale; ma nella stragrande maggioranza dei casi abbiamo di fronte a noi gente mediocre la cui scelta avviene al puro livello della volontà ma quando la loro volontà è sottomessa a emozioni e passioni disordinate è loro umanamente difficile se non impossibile raddrizzarla; solo il Cristo può farlo e noi possiamo solo essere Suoi strumenti, cioè Profeti.

      Ma il profeta dell’antico testamento e Cristo stesso, non erano gente che solo parlava: erano persone che davano l’esempio in prima persona, che mimavano con gesti corporei quel che intendevano profetizzare: non erano filosofi che ragionavano su sottigliezze intellettuali ma persone che trascinavano nella loro carità coloro a chi si indirizzavano.

      Quindi se vuoi “convincere” un ateo, c’è un solo modo ( di certo non un blog) e cioè incontrarlo fisicamente e compartire con lui il soave odore di Cristo che abita in te: e non sarai tu a convincere chicchessia ma solo lo Spirito Santo che ci abita.
      In Pace

  4. ho letto ultima frase di Simon, mi piace assai partecipazione esempi dati dall’incontro con la Trinita’, gioco di parole Trinity, ci crean condi-visioni Divine, ciao tutti belli e belle

  5. @Simon e Minstrel
    Facendo seguito a conversazione sul peccato, vari post del 7 gennaio.

    Simon dice :
    “Cambia la nostra natura corrotta? No. Ma qui risiede questo miracolo di cui la Transustanziazione sull’Altare è l’Icona perfetta”

    Come dite voi “tertium non datur”. Però io a quella domanda azzarderei come risposta: “quasi sì”. Lo so, non si può fare.

    In qualche modo mi sembra “troppo” dire che la natura umana è di per sè corrotta. Proprio perchè
    – all’inizio è puro bene
    – poi viene corrotta dal male
    – poi con la Grazia possiamo impregnarci ancora (e non rivestirci semplicemente ) del bene, addirittura arrivando all’immagine della Transustanziazione

    Rileggendomi e rileggendovi più volte capisco che è anche questione di terminologia. Andando invece alla sostanza io un pò lamentavo che se non diamo abbastanza importanza al terzo passaggio (sacrificio di Cristo e Grazia) rischiamo di non far passare la Buona Novella – errore che, con le mie categorie grezze, definivo “protestante”. Per me in pratica il messaggio cristiano cattolico si differenzia proprio perché vede una via possibile di santità (infatti abbiamo i santi) – che altro non è che l’umanità che si riprende con forza, con la forza di Cristo, la propria natura.
    Poi certo, non è la forza presuntuosa e superba, ma la debolezza che si fa forza – tanta umiltà (grazie Papa Luciani, sì sì molto vicino a Francesco) che di certo non ci mancherà mai se guardiamo ai peccati commessi.
    In questo senso non accetto né un messaggio eretico antico che mi dice “pecca pure tanto non puoi fare altro e poi esteriormente credi che tranquilla ti salvi” – e tantomeno altri messaggi eretici moderni che risolvono tutto cancellando e depennando peccati vari.
    La conversione e il cambiamento con le armi (umili) di Cristo per me costituiscono la Buona Novella, la gioia del vangelo, la possibilità di collaborazione vera col mio prossimo – e quindi la possibilità di incidere davvero sul mondo. Possibilità che ravviso poco in altre filosofie ….e che dicevo…se scivoliamo pure noi (come cattolici) in quelle altre filosofie diventiamo cristiani sostanzialmente “inattivi”.
    (laddove “attività” non è necessariamente, anche se oggi auspicabilmente, “fare” – ma è proprio l’atteggiamento interiore)

    • Ciao Trinity,
      leggendoti penso che diciamo la stessa cosa eppure c’è come una sfumatura sulla quale non riesco a mettere la mano sopra.

      La natura corrotta non può, anche se “come” “transustanziata” dal dono di Cristo ridiventare incorrotta: qualcosa di rotto può essere riparato ma non ridiventa mai come prima, anzi, usualmente è meno bene di prima. Nel caso della Redenzione alla quale Cristo ci offre di partecipare, la natura è “riparata” in modo sovrannaturale, ed è addirittura meglio di quando non era corrotta (cioè di quando era nel “paradiso terrestre”), ma le “cicatrici” e le “debolezze” rimangono e possono riapparire.

      Interessante è vedere il Cristo dopo la Sua Resurrezione presentarsi in carne ed ossa, ma, malgrado tutto colle principali stigmate della Sua Passione: le stigmate rimangono e sono lì per glorificare l’Obbedienza di Cristo al Padre.

      In modo simile, i nostri peccati e difetti anche fisici sono (e saranno anche nei nostri corpi risorti, secondo me) sempre presenti, non completamente cancellati nelle loro conseguenze, ma trasfigurati in simboli (in senso etimologico) per cantare la Gloria della Misericordia di Dio che è venuto raddrizzare quel che era storto.

      San Paolo utilizza il termine “rivestirsi” del Cristo, facendo bene la differenza tra il peccatore in quanto tale e la Vita del Cristo che lo salva: alcune parabole di Gesù si riferiscono agli abiti di festa da portare anche se mendicanti e pezzenti quando invitati al festino. All’opposto c’è la nozione di sepolcro imbianchito, che “pare” bene m è solo corruzione dentro.

      Queste cose di contemplano e capiscono meglio nella preghiera.
      Grazie per la discussione interessantissima.
      In Pace

      • Concordo, anche se questo pensiero mi ha fatto sempre sorgere il dubbio sulle motivazioni per cui una natura benigna, creata da Dio e che conosca perfettamente Dio, abbia potuto allontanarsi da Dio con un peccato di tentazione.
        Mi spiego meglio.

        La domanda classica SBAGLIATA è: perché Dio non ci ha creati subito “migliori” di Adamo, offrendoci subito la natura “riparata da Cristo”, quella migliore? Risposta: a parte che non esiste “subito” o “dopo” in Dio per cui il fatto stesso che ci dia questa natura “nuova” avviene per così dire “SEMPRE SUBITO”, questa è una domanda che presuppone un errore di valutazione di Dio su quel che è bene per una sua creatura.
        Cretinata clamorosa.
        Se Dio è Dio allora lui sa perfettamente quale sia il bene migliore per OGNI SUA creatura.
        Allora la domanda FORSE un poco più giusta è: come è possibile che Dio abbia “cambiato idea” circa la natura dell’uomo, innalzando quel che Adamo FORSE NON AVREBBE MAI POTUTO ESSERE? E’ questo che non comprendo da un punto di vista razionale della celebre felix culpa agostiniano visto che naturalmente Dio “non cambia idea” per definizione…

        • Eh Eh 😉

          (1) Non rimaniamo nell’antropomorfismo, ma mettiamoci ( 😉 ) al posto di Dio: c’è più Gloria per Lui creare un essere già in tutto perfetto naturalmente o un essere che Lui rende “piuccheperfetto” in modo sovrannaturale?

          (2) La nozione di perfezione tale quale l’esponi tu, sarebbe quella dell’essere così perfetto dal non poter sbagliare: mi sembra una comprensione un po’ mondana della perfezione. E se la perfezione consistesse piuttosto nell’assoluta libertà di scelta e non nel non sbagliare? Cioè un essere che può scegliere e si sbaglia volontariamente (Adamo, Lucifero) è più perfetto di un essere che è “meccanicamente” sempre come dovrebbe essere (mondo minerale, vegetale e animale).
          Perfetto è l’Amore e l’Amore ha senso solamente in quanto atto di Obbedienza assolutamente libero.
          Il “tuo” Adamo “perfetto” sarebbe quindi incapace di amore.

          (3) Ci ricordiamo tutti quelle pseudo contraddizioni che vorrebbero opporsi al concetto stesso di Dio, in particolare l’onnipotenza e la sua relazione con l’onniscienza. Ovvio che la natura stessa di Dio non potendo essere contraddittoria (essere e non essere al tempo stesso, amare o non amare al contempo, sapere e non sapere, essere libero e non esserlo, etc) e solo una creatura finita potendo esercitare questo tipo di scelta, la creazione dell’uomo a Sua immagine offre questo sviluppo possibile del Divino in particolare nel Cristo.

          Gesù Cristo è la sola e giusta chiave di lettura a queste domande.
          In Pace

          • Eccoci qui. Il mio concetto di perfezione era completamente imperfetto.
            Grazie Simon! 🙂

            • Figurati! Sono invece ottime domande, perché è così che la gente se le pone.
              Era quindi una riflessione … perfetta!
              In Pace

          • Perfetta perché libera (di sbagliare)? Sarò schiavo della mia visione errata (o della natura dell’uomo) ma preferirei definirla “perfettibile”. 😀

            • Perfetta perché libera di obbedire, cioè di amare. 😛
              Ovviamente ciò implica la possibilità di sbagliare, cioè di scegliere di non obbedire e di non amare.
              Cioè, è come in fisica: se hai certe proprietà non puoi avere al contempo quelle che sono ortogonali fra di loro, ma se hai davvero la scelta, l’altra possibilità deve davvero esistere, sennò scelta non sarebbe. Quindi chi sceglie di sbagliare garantisce in realtà l’effettiva libertà e la perfezione di chi sceglie di obbedire: grazie a chi è inferno, il paradiso vale qualcosa! Per questo c’è anche qualcosa di buono nell’inferno: esso fa sì che il Paradiso sia davvero Perfetto!
              😛
              In Pace

              • Questo discorso sulla libertà e la perfezione sembra proprio adatto al post programmato per oggi. Proseguiremo lì. 😀

            • Simon ore 13.33

              Era quello che volevo dire qui http://pellegrininellaverita.com/2014/12/28/causa-formale-aristotelica-the-return/comment-page-1/#comment-10516 dicendolo troppo ma troppo male, talmente male che mi sono chiesta “ma che cavolo penso?!?” 😀 😉

            • Minstrel ore 13.59
              Ottimo!

            • Spostato a domani trinity, come ovvio che sia vista l’attualità.

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