Confutato l’argomento epicureo è giunto il momento di approfondire il problema del male e il suo rapporto con Dio; per farlo occorre, come è ovvio, comprendere cosa si intende con Male e cosa si intende con Dio.
Per quest’ultimo, come abbiamo visto, l’argomento epicureo ci fa scartare in modo assoluto che possa esistere un Dio con caratteristiche simili a quelle creaturali e se c’è un modo analogico il più corretto possibile per pensare Dio credo sia solo questo: “Essere per sé sussistente”. E sarà proprio questa la definizione che useremo d’ora in poi.
Occorre ora capire cosa si intenda con “male”. E’ sicuro che ora i lettori penseranno a molti esempi su cosa possa essere male e passeranno in rassegna qualsiasi male possibile: dall’omicidio all’offesa, dalla malattia al terremoto fino alla morte. I più accorti magari cercheranno di dividere in due tronconi questi esempi di male: il male che l’uomo crea e il male che l’uomo subisce (sia esso subito ad opera di altro uomo o della natura). Ma questo non significa propriamente DEFINIRE cosa sia IL MALE, quanto esemplificarlo! Noi ora dobbiamo DEFINIRE e gli esempi non bastano affatto per definire. In logica infatti prima si DEFINISCE una cosa e quindi la si può esemplificare! Tant’è che dopo averla definita non servono molti esempi, ne basta uno il quale chiarisce completamente tutto.
LA NATURA DEL MALE
Dunque: cosa è il Male? E questo “Male” esiste? Beh, certamente esiste, il fatto che ognuno di noi senta che esiste e possa fornire esempi di cosa si intenda per male è una prova inconfutabile di questa esistenza. Ma quale è la NATURA del male?
La prima constatazione che sovviene è che il male io lo posso definire SOLO e SOLTANTO in rapporto a ciò che io definisco essere IL BENE! Il male è dunque qualcosa che ha rapporto stretto con il bene e più precisamente è l’ASSENZA del bene stesso. E’ privazione di bene dunque.
Ma attenzione: può distinguere un soggetto cosa sia il bene e dunque percepirne la sua assenza, se tale soggetto non è conformato per conoscere cosa sia il proprio bene? Può cioè comprendere cosa è “male” una persona che non è DEDITA al bene?
No, naturalmente.
E la motivazione è subito spiegata con un esempio: può qualcosa che non possiede occhi avere il male della cecità? No! Una cattedra ad esempio non ha occhi e per cui nessuno si sogna di addolorarsi del fatto che questa non ha la vista. La cattedra cioè non è DEDITA alla VISTA.
L’uomo invece è nato con gli occhi, se porta gli occhiali è quindi mancante di ciò che per sua propria natura dovrebbe avere, poiché l’uomo è dedito alla vista! Dunque in questo caso l’uomo soffre di una privazione di un BENE DOVUTO ed è dovuto proprio perché quel soggetto è DEDITO a quel BENE che gli è dovuto, nel nostro caso la vista.
Questo è il male.
Dunque l’approfondimento finora fatto porta a due conclusioni:
- Il Male è per ora definibile come: Privazione di bene dovuto in un soggetto dedito al bene
- L’uomo è quindi fatto per il bene, per cercarlo, conseguirlo, bramarlo, viverlo.
Queste due conclusioni portano alla comprensione che non c’è male senza
- un soggetto proprio su cui il male agisce
- una “deditazione” del soggetto al bene stesso
Restando sull’esempio precedente: un’eventuale cecità presuppone gli occhi!
Ne consegue ovviamente che il male NON E’ ASSOLUTO, ma assolutamente relativo, poiché per esistere dipende da qualcosa e da qualcuno; più precisamente il male è strutturalmente, per sua ontologia, dipendente dal soggetto!
Tanto che se il male corrompesse totalmente il soggetto, corromperebbe anche sé stesso.
Ad esempio la cecità annulla gli occhi? Se la cecità significasse l’annullamento degli occhi, l’annullamento nel soggetto di essere quindi dedito alla vista, ci sarebbe ancora cecità? No. C’è la cecità come privazione della vista solo se ci sono gli occhi. Dunque a quale condizione c’è quel male che è la cecità? Che ci siano gli occhi.
A quale condizione c’è il male? Che ci sia il soggetto dedito.
Se la malattia è mortale, con morte del malato non c’è forse più né il malato né tanto meno la malattia?Il male dunque presuppone il soggetto e presuppone che questo soggetto non venga annientato poiché significherebbe che il male si annienta completamente. Ma questo non avviene perché, come si diceva all’inizio, il male c’è, eccome! Dunque se c’è il male è perché il bene può essere toccato, il soggetto cioè può essere privato di un bene che gli è dovuto, ma il male non potrà MAI consumare tutto il bene, pena la dissoluzione del male stesso. Dissoluzione che non esiste.
Si comprende meglio ora il motivo per cui, in generale, il soggetto deve essere dedito al buono, al bene. Se fosse chiamato al male, dedito al male, questo male a cui sarebbe dedito sarebbe relativo ad un altro soggetto che necessariamente deve essere dedito al bene poiché, come si è visto, se non trova un soggetto dedito al bene, il male non può esistere e questo in modo assoluto.
Questo ci porta ad una definizione più completa circa la natura del male: Privazione di un bene dovuto ad un soggetto dedito al bene che è buono!
Dunque la conclusione finale circa la natura del male: se c’è il male esiste necessariamente il BENE. Punto.
E IL CONTRARIO?!
Si può dunque sostenere con la forza della ragione logica che se c’è il male necessariamente c’è il bene. Inequivocabilmente.
Non può esistere SOLO il male poiché il male è SEMPRE relativo al bene.
E il contrario? Se c’è il bene, c’è necessariamente il male?
La risposta è: boh!
Qualcuno infatti, intelligentemente, potrebbe domandarsi: ma esiste invece il bene senza il male? Cioè perché devo far assolutamente dipendere il male dal bene e non posso giocare al contrario e far dipendere assolutamente il bene dal male e quindi ribaltare tutto il discorso? Lecita la domanda, il problema è che la risposta non può assolutamente essere fornita con le armi della logica filosofica. Uno che sta ai fatti non può assolutamente dedurre dal fatto inconfutabile della dipendenza del male dal bene che se il male è totalmente e assolutamente dipendente dal bene allora ne deriva necessariamente che il bene è totalmente e assolutamente dipendente dal male!
Sarebbe infatti una deduzione gratuita che sorpassa la logica e punta diritto alla fede. Ad esempio: se c’è il sole, sono certo che c’è la luce! Ma se c’è luce e non vedo il sole, come posso essere sicuro che questa luce arrivi dal sole? Io so che se c’è il sole, c’è la luce e questo senza se e senza ma. Ma se c’è la luce NON POSSO dire con sicurezza che c’è il sole! Non lo so. Potrebbe esserci, ma potrebbe anche non esserci. Non so se esistono altre fonti e non posso escluderlo. Tutto quindi diventa indecidibile in termini di logica rigorosa. Non lo so quindi se dato il bene debba essere per forza escluso il male, non lo so!
Dio è bene assoluto. Posso escludere che dall’esistenza del sommo bene che è Dio debba necessariamente non esistere il male? No, non posso escluderlo. Devo dedurre al contrario che deve necessariamente esistere il male? No, non posso dedurlo. Dall’esistenza di Dio sommo bene io non posso dedurre né che ci sia il male né che non ci possa essere.
Ammettendo l’esistenza del sommo bene so che esiste Dio (sommo bene) ed esiste anche il male. Quindi, dai fatti, l’esistenza del male non è in contrasto con l’esistenza di Dio. Non capisco fino in fondo come siano insieme, ma non posso escludere che possano essere insieme.
L’uno, cioè, non esclude assolutamente l’altro. Anzi!
L’ARGOMENTO PIU’ FORTE
Ed eccoci arrivati a Sant’Agostino che, contro tutti gli argomenti cacologici (relativi alla scienza del male), scrive in un suo trattato di teodicea: “Si malum est, Deus est!”
Eh si, perché se il male implica il bene, cioè se il male ha bisogno necessariamente del bene per esistere, l’esistenza del male dimostra incontestabilmente l’esistenza del bene. Ma del bene assoluto? Eh no, parziale!
Il male implica un bene, ma non dimostra che esista il bene assoluto.
Tutt’altro, dimostra che esiste il bene PARZIALE poiché se il bene fosse assoluto, il male potrebbe forse intaccarlo? Si può eliminare un bene assoluto che per definizione è ineliminabile? No. Il Male può attaccare la vista perché la vista è un bene parziale, perché la vista è cedevole.
Il male tocca sempre un bene, non può distruggerlo, ma se lo tocca significa anche che quel bene non è il bene assoluto, ma un bene relativo.
Beh, ma questo bene è relativo a che cosa?
Se rispondo che è relativo al male cado in contraddizione perché abbiamo detto che se c’è il male, c’è il bene, ma se c’è il bene non posso dedurre che ci debba essere il male o escludere che debba essere. Il bene toccato dal male, che è relativo, non può essere relativo al male, ma dovrà necessariamente essere relativo ad un altro bene. E quest’altro bene, se a sua volta è relativo, sarà relativo a? Si, necessariamente ad un altro bene! E cosi via.
Ma se tutto è relativo, nulla è relativo! Se tutto si “riferisce a…” e non c’è un “a cui” si riferisce, decade l’essere “riferito a…” di quel tutto! Se tutti i beni sono relativi, nessun bene è relativo dunque il male non potrebbe attaccarlo e quindi non dovrebbe esistere. Ma il male esiste!
Il male si riferisce al bene e tocca questo bene perché è relativo.
Ma questo bene è relativo necessariamente ad un altro bene.
E questo ultimo bene non dovrà essere relativo a nulla, per fare in modo che possa essere il soggetto “a cui” gli altri “bene” si riferiscono. Dovrà essere un bene assoluto.
E questo bene assoluto si chiama Dio.
Se c’è il male, c’è il bene relativo.
Se c’è il bene relativo, c’è il bene assoluto.
Se c’è il bene assoluto, c’è Dio.
Dunque se c’è il male, c’è Dio.
Categories: Filosofia, teologia e apologetica
Grazie carissimo per questa dimostrazione “morale” e perfettamente logica dell’esistenza di Dio.
Essa è analogica a quella in campo ontologico dove il fatto che esistono essere finiti (cioè con un limite che li circorscive) allora ci deve per forza essere un ente che sia senza limiti.
Oppure, ripendendo Gödel, che la possibilità che la perfezione esista implica che questa esista per forza.
Misticamente/ontologicamente ci si potrebbe porre anche questa domanda: se sono stato creato finito e perfetto nella mia natura allora per forza la mia finitezza è un’assenza di perfezione senza limite e quindi questa non può essere la mia situazione ontologica definitiva, in quanto, in certo qual modo, esprimente un “male”: non essere Dio non è perfetto.
Chi mi ha creato, creandomi perfetto secondo la mia natura, deve dunque per forza darmi modo di accedere ad una perfezione senza limite, ovviamente non secondo la mia natura ma secondo la sua.
E dato che la perfezione senza limite consiste nella scelta assolutamente libera di questa stessa perfezione senza limite, questa possibilità di scelta deve, per forza stessa dell’atto di creazione della creatura finita, essere insita nella stessa natura della creatura finita.
Il movimento che va dalla constatazione della propria non-assenza di limite alla perfezione alla scelta della perfezione senza limite intrinsecamente offerta dal Creatore è l’atto morale per eccellenza e nel caso degli esseri materiali umani è il senso stesso di tutta la loro storia individuale e collettiva iscritta nel tempo.
A presto
In Pace
ok la questione a questo punto è che Dio permette il male;
è terrificante anche solo pensare che dobbiamo ringraziare anche del male, in quanto necessario ad una maggior gloria futura.
Ma perchè allora lui ha il cancro e non io? Perchè il terremoto ha colpito là e non lì?
Mi viene in mente Giobbe e i padri del deserto che dicono di lasciar fare al Signore.
Puoi spingere il tuo ragionamento fino in fondo: la morte, cioè la perdita del proprio essere, è il male per antonomasia visto che vi si perde fino alle ultime vestigie di quel che costituisce il nostro essere umano, eppure, per via della stessa dimostrazione agostiniana presentata da Minstrel, quel momento è possibile se e solo se Dio esiste anzi, ancora più in là, in quel momento la Deità stessa, Perfezione assoluta, si fa evidente in tutta chiarezza, visto che il male della morte non può essere che la negazione di quel che è.
Secondo me, i terremoti, le malattie e tutti i malori della vita ci dovrebbero dare la nostalgia di Dio.
In Pace
Dire “permette” il male a mio avviso è una forzatura, per lo meno da un punto di vista logico.
Nella pura logica bisognerebbe dire: se tu percepisci il male non solo non significa che il bene non esista, ma necessariamente che DEVE esistere.
C’è il male che è necessariamente legato ad un bene che rimanda ad un bene assoluto.
Se c’è il male E LO SI COGLIE COME TALE, allora necessariamente SI COGLIE PER INTUIZIONE l’esistenza del bene assoluto.
Il bene assoluto dunque, come dice Simon, si (di)mostra nel male (cioè nella privazione totale o parziale del nostro bene dovuto relativo!) in modo più forte rispetto al paragone ad un bene “minore”, per così dire.
Questo carissimo Aléudin non significa asciugare le lacrime di un addolorato. La pura logica non asciuga nulla e non conforta in nulla. La pietà, dono dello Spirito Santo, non viene da questo. Ed infatti non per questo ho ripreso questi articoli che, come dicevo, sono UNA delle moltissime risposte possibili. Altre ad esempio – simili, ma mai uguali – sono reperibili in ogni dove sul web.
La pietà nasce dal pianto corale. Esattamente come dice Barzaghi nel nostro segnalibro.
http://pellegrininellaverita.com/2014/03/22/pietas-un-segnalibro-targato-croce-via/
Piange
Intensamente
E
Teneramente
Abbraccia.
Nel silenzio. Per questo mi son permesso di dire che tutte le parole, mie e fin’anche di Veronesi, non valgono un secondo di un abbraccio silenzioso.
Buon cammino!
Mi viene in mente la parabola dei vignaioli. Il padrone chiama vignaioli a differenti ore al lavoro e poi da a tutti la stessa paga a fine giornata. Alla rimostranza dei primi per lo stesso trattamento economico dice: con voi ho pattuito un soldo e se voglio dare lo stesso soldo anche agli altri ho forse fatto un torto a voi, essendo io il padrone che posso disporre come voglio? Discutibile la risposta oggi con le rivendicazioni sindacali, ma chiaro il messaggio evangelico. Dio dispone come crede senza fare torto a nessuno secondo piani a noi sconosciuti. Come l’episodio della guarigione del paralitico: costui è così, non per colpa dei genitori, ma perché si manifesti la gloria di Dio. Credo che voglia dire sia la possibilità della guarigione come una malattia che viene data da Dio per un bene superiore. Indovino? Se ne deduce che il male fisico come psicologico non in senso morale può essere un bene. Si direbbe: non tutti i mali vengono per nuocere….
@Aleudin. Non voglio anticipare il prossimo post. Ma è sbagliatissimo pensare che Dio permette il male preso in senso letterale. O meglio lo permette nel senso che nella libertà umana vi è anche la possibilità di arrecare danno o male agli altri. In quelli naturali sono frutto di ignoranza e limiti di conoscenza scientifica, diversamente potremmo evitarli. Noi stessi sentiamo la nostra insufficienza a tutti i livelli e soffriamo di infelicità di ogni tipo , se non sorretti da forte fede. Cristo è morto in croce il male peggiore forse perché lo ha permesso il Padre? No. Allora il Male ci viene dato solo per il nostro bene naturalmente spirituale. Non siamo masochisti, mai, tuttavia occorre convincersi che ogni male ci viene dato è solo per il nostro bene, sempre. Diversamente non avrebbe senso e sarebbe contrario all’essere Dio Padre. Il male per amore e nostra felicità, come i dolori per il parto, la fatica del lavoratore o dello studente ecc. Un apparente assurdo: se Dio ci vuole bene ci invia tanto dolore…il problema è accettarlo e farne tesoro. Singolare la frase di qul o quella santa che dice a Gesù: voglimi meno bene così soffro di meno…è così che tratti i tuoi amici?
Un po’ come qua?
http://preghierecorte.wordpress.com/2014/10/24/quando-scambio-i-castighi-per-punizioni/
si!. Sembra incredibile, ma il sacrificio dell’innocente, ad esempio, salva molti. Troppo raramente pensiamo al Corpo Mistico inteso come unione degli uomini in Cristo e al travaso di bene spirituale che è possibile.
Questo paragrafo di Carlo Carretto mi ha sempre interrogato:
“Mi ricordo ora di aver Inteso qualcuno dire: la sofferenza è la prova che Dio non esiste.
È impossibile per un Dio che è padre sopportare il dolore del figlio!
Stasera ho netta l’impressione del contrario.
Proprio perché esiste… Lui ha inventato il dolore per inseguirmi.
L’amore ha una logica inesorabile e…
Io so che mi ama molto.
Il suo amore lo spinge ad avvelenarmi la fuga. Non vuole che io resti lontano da lui, non può sopportare un simile pensiero.
Mi ha lasciato libero di partire ma ha organizzato le cose in modo tale da obbligarmi a tornare.
Se io amassi, amassi veramente farei lo stesso.
Dobbiamo avere compassione per chi ama.
Forse è l’unica compassione che possiamo avere di Dio!
Per chi ama, la separazione è il male estremo specie se può diventare eterna.
Il dolore fisico è una bazzecola in confronto.
Che importa soffrire un po’?
Ciò che conta è tornare e restare assieme per sempre.
Interrogate chi sa amare, chi non è più capace di vivere dopo la separazione da suo figlio, chi è spezzato in due per la scomparsa della mamma, chi si butta giù da un ponte dopo la morte della fidanzata, chi è capace di attendere tutta la sua vita il ritorno del marito esiliato, imprigionato.
Domandate a costoro… se volete capire cosa sia l’amore e cosa sia l’angoscia provocata da tale amore quando esso viene deluso, separato, spezzato!
E che cos’ è tutto questo a paragone dell’ amore di Dio?
Lui che per amore ha consegnato suo figlio alla morte per salvare noi dalla morte?”
La teologia moderna… quel modo di far poesia e mistica insieme cercando di regolare le parole in modo da compiere meno errori teologici possibili (che avvengono ogni due per tre).
Io sono per uno stacco netto: o teologia (molto rigorosa) oppure mistica (molto poetica). Il melting pot porta inevitabilmente a pensare che quanto redatto in poesia possa essere rigoroso o che una somma aritmetica possa innalzare a Dio. Naturalmente è mia pura opinione personale: forse è solo un limite mio.
Grazie comunque per queste righe che ci hai donato! 🙂
Hai perfettamente ragione: e’ un difficile equilibrio.
Essere formale è necessario per essere rigoroso?
E il senso di un linguaggio di osservazione deve per forza essere invariante come alcuni sperano nel linguaggio teorico? E quest’ultimo non è sempre una metafora che evolve?
😉
In Pace
Certo che lo è carissimo Simon, ma il problema è la comprensione altrui. Non deve essere per forza invariante la cosidetta “rigorosità”, ma è necessaria una precisa introduzione al proprio metodo personale di ricerca (teologica o filosofica o mistica che dir si voglia). Introduzione che non trovo quasi mai. No, si parte a raffica e si mischiano le carte in tavola, ricorrendo spesso all’altissimo linguaggio poetico quando non si sa cosa dire (che come tale è con-fuso, cioè fonde in metafore integrali molte cose e pertanto è meno rigoroso in senso classico); poi quello che uno capisce, capisce.
Ad esempio dire “Dio ha inventato il dolore per inseguirmi” è pura poesia mistica. Meraviglioso se letto in modalità “dall’uomo verso Dio”. Trasportato nel verso “da Dio verso l’uomo” sembra che Dio non possa seguire l’uomo da solo (pertanto non è semplicissimo quindi non è Dio). E figurati se questa frase la diamo in pasto a due Atei: come minimo ci fanno due risate sopra e hai voglia di dire che sono ignoranti. No, è che c’è una rigorosità che anche loro capirebbero ma che se non viene sfruttata, pare che quel Dio parli solo e soltanto per metafore confuse (o confusionarie ai loro occhi).
Se Dio è Dio parla anche attraverso questo rigore che è certamente limite, ma è anche terreno comune.
Per questo bisognerebbe a mio avviso sia tornare all’apologetica che immettere ad ogni libro un percorso di metodo con il quale leggerlo.
Non voglio dire che i libri lasciati allo sbaraglio sono pericolosi, eh.
Ma che sono pericolosissimi, si. 😀
Concordo con te sul fondo: il dialogo vero e serio necessita rigore sennò si finisce come i molti “poveracci ateisti” nella più nera confusione.
Ma è un’esclamazione mistica strumento di dialogo oppure semplicemente monologo, nel senso che è comunicazione di un’esperienza e in quanto tale fuori dalle categorie giudiziali di vero o falso ma solo esprimente un fatto vissuto in prima persona e da essere accettato tale e quale?
In Pace
Bravo, la domanda è quella.
Il problema ora è : affermare che bisogna accettare una altrui esperienza personale tale e quale, senza possibilità di comprensione “dialogante” solida, non è un condannarci al soggettivismo? Quello che sento diventa incomunicabile, ogni linguaggio tenta l’impossibile ed è fonte di soli fraintendimenti. La comunicazione è illusione.
Addio arti.
Ovviamente questo porterebbe all’assurda situazione per la quale un uomo che pensa su sé stesso in realtà non fa che fraintendersi.
Che sia una baggianata è palese.
Ma denuncia una domanda ermeneutica comunque: l’uomo si permette “il monologo” perché sa che esso è “pubblico” (per sé stesso E per gli altri) o perché ne sente l’esigenza e l’urgenza SOLO personale (pertanto la sua esplicitazione come scrittura non è nemmeno necessaria)?
Ma se fosse il secondo caso: cosa ci fa quell’esigenza SCRITTA su un libro PUBBLICO che presuppone quanto meno un rigore sintatico/grammaticale e un formalismo di redazione?
In questi giorni appariranno aforismi particolari su queste pagine. Li ho voluti ben sapendo che non sono né rigorosi né precisi. Proprio per questo anzi verranno pubblicati! Ma l’esigenza è diversa e soprattutto la metodologia è chiara fin da subito. Si dice: è pura musica, è pura poesia. Si accetta il “metodo” implicito e si vivono queste esperienze artistiche, non si discutono. Non si dialoga su una poesia, la si vive.
E pure io ora qui mi accorgo di fare poesia… la purezza… che vor dì?! AH, dove ci siamo addentrati! 😀
L’esperienziale non è comunicabile in quanto tale, ma solo la lettura che se ne fa: quel che provo guardando un paesaggio magnifico non potrà mai essere comunicabile, ma posso comunicarne la descrizione che ne faccio che già è altro che quell’esperienza.
Non c’è davvero spazio per discutere della relazione tra lo sperimentato e la sua descrizione, nessun’altro a parte il soggetto che lo ha sperimentato, potendo giudicarne.
Però c’è spazio per discutere se l’interpretazione data fa senso nel contesto culturale nel quale si situa: quicerto c’è possibilità di dialogo che permette anche al soggetto di raffinare la descrizione monologa che dà del suo vissuto sperimentale.
In Pace
Bellezza,
lo sentiamo che sei al mondo.
Qualche transitiva forma ci illudiamo ti sorprenda…
http://pellegrininellaverita.com/2014/11/08/mario-luzi-trascendentali/
tout se tient! 😉
Che conoscenza ci da una metafora? È vera conoscenza o una segnaletica indicante la direzione di una nuova scoperta?
😉
In Pace
Un’altra risposta al dott. Veronesi sulla stessa linea di minstrel, più ulteriori spunti http://vaticaninsider.lastampa.it/documenti/dettaglio-articolo/articolo/cheaib-veronesi-37633/
Poi metto qui un OT con articolo di Padre Ariel che fa piazza pulita di spiritualità mal intesa, mistici asessuati, ecc.
http://isoladipatmos.com/theologica-lamento-per-la-verginita-perduta/
Condivido assolutamente l’esrdio dell’articolo di don Ariel, ho scorso poi velocemente con l’intento di tornarci con calma.
(Però…m’è caduto l’occhio su un errore di stumpa 😉 thanatos si scrive col theta e non col tau)
http://www.ilsussidiario.net/News/Editoriale/2014/11/22/Perche-il-male-esiste-/557492/ qui un altro contributo: se Dio togliesse il male…
OT, forse non tanto.
E’ uscito nelle sale cinematografiche un film “These Final Hours”.
Dal trailer e dalla recensione che racconta un poco la storia, sembra sia interessante e ponga una domanda interessante, oltre che sviluppare temi che in fondo hanno un senso “metafisico”.
Chi lo sa, vederlo e, se interessante, farci un articolo non sarebbe male.
Grazie Ubi! Anche il mondo di Jonas non è male per questo, se non fosse per qualche ingenuità di troppo. Meglio i libri comunque, as usual. Final hour eh? Vedo di vederlo fra una serietv e un interstellar! 🙂 night night
Buongiorno, sono un lettore silenzioso del blog da un po’ di tempo. Intervengo perché mi ha colpito la preoccupazione di voler circoscrivere l’affermazione che Dio permetta il male. A me pare evidente che Dio ‘permette’ il male, come ha scritto Alèudin, salvo doverne certo spiegare le ragioni. Così si esprime il Cardinale Journet nel suo saggio “Il male”, appunto: ‘Dio permette il male: è possibile determinare meglio il senso di questa formula che l’insegnamento cristiano fa sua?’ per poi dedicare pagine di spiegazione a riguardo.
Anche limitarsi a derubricare i mali cosiddetti “naturali” che colpiscono l’uomo a una insufficiente conoscenza scientifica non mi sembra molto corretto, un po’ perché è logico riconoscere che in realtà ci sarà sempre una ‘quota’ di male naturale che l’uomo non sarà mai capace di sottomettere, e soprattutto perché a rigore noi esseri umani non siamo mai soggetti a “male di natura” ma, a ragione del peccato originale, colpiti da male della pena e/o della colpa, il che include qualsiasi male provocato dallo scatenamento di fenomeni naturali. E poi perché non sarebbe corretto affermare che NSGC è morto in croce perché il Padre lo ha permesso? Ho la sensazione che non ci sia chiarezza nell’uso del vocabolo “permettere”.
Veramente il discorso che Dio permetta il male è fare del tatto, perché bisognerebbe scrivere che Deus vult.
Innanzitutto dire che il male è un bene relativo ( chiaramente non avendo realtà propria, tecnicamente non avendola proprio, ma si deve sire così altrimenti la Materia Prima limiterebbe Dio , un altro esempio di tatto ma in realtà di contraddizione ) significa solo poter dire , vantandosi, che ogni cosa è possibile di quelle che doveva venir posta in esistere.
Scientificamente si nega la reversibilità del tempo, si dichiara il sincronismo dinamicamente adattivo permettendo il libero arbitrio e la soggettività a chi è transeunte ed il controllo al permanente, chiaramente in possesso della realtà di ogni cosa a Lui dipendente.
Dovete affermare questo perché dite che inferno e paradiso sono eterni. Lo dovete dire perché dichiarate che non esiste ascensione attorno alla luce dell’Agnello, ogni natura si contenti dell’ Infinito che può godere dimentichi che la rinuncia fine a sé stessa non serve a niente giacché in Dio non si rinuncia a nulla di quel che diviene , si mira invece al sapore di quel che non potrà mai accadere.
A me non sembra che il creato venga così sminuito, e dunque neanche il dolore.
Negare che Dio voglia il male è come negare ad un depravato di godere in una cerchia angelica di un fariseo che opportunamente si trovi in un basso girone infernale.
Cos’è male? Cos’è bene?
La regola: se sei secondo Dio, male è punizione e premura, bene è premio o pena. Ugualmente se ti volgi alle seduzioni di satana.
Wow. Però con un po’ di impegno, a mio parere, si potrebbe essere anche un po’ più criptici… 😉
“Dio lo vuole” così inteso: Dio vuole permettere il male. Dio non può mai volere il male per sé, ma solo in quanto Egli può riordinarlo a un bene maggiore. Il male però è e resta sempre male. Perciò, il male non può essere considerato mai un bene minore o relativo ma, come esposto nel post, una privazione di bene. Per il resto, non ho capito un tubo.
Daouda è da sempre criptico, probabilmente ci gode a farci tentare la comprensione, quando poi basterebbe che ci dicesse a quali letture si rifà oltre a Guenon, che ritrovo spesso, e Platone, raramente. Ma magari sono solo reminiscenze personali. Tant’è che sul finale richiama in un certo senso pure l’idea di inferno di Barzaghi, quasi sicuramente a sua insaputa.
Resta inteso: il male qui è inteso come privazione di bene dovuto. Partiamo da lì e rivediamo eventuali nuove riflessioni. Nel frattempo ne approfitto per darti il benvenuto nella parte attiva del blog, Roberto, felice della tua prima sortita in quel di Croce-via! 🙂
Che “Dio permette il male” si potrebbe intendere anche in altro modo.
Io lo intenderei che “Dio ha permesso che l’uomo avesse la scelta di poter ergersi a Dio, il quale ha potere sul male” quindi “Dio ha permesso che noi avessimo diretta relazione col male, perché noi piccoli uomini abbiamo preteso quella diretta relazione”. Abbiamo scelto noi di “provare a fare Dio”, abbiamo scelto di “provare ad avere potere”.
Dunque ora stiamo verificando se siamo in grado di gestire il male: ebbene, lo riconosciamo ma non lo gestiamo. Senza Dio e senza la Via e la Verità non possiamo sottomettere il male. Dio può sottometterlo, come e quanto e quando vuole. Tramite Gesù Cristo possiamo anche noi. Se ancora continuiamo a scegliere di non farlo, di non seguire l’insegnamento di Gesù Cristo, Dio continua a permettere la nostra scelta…..con infinito amore.
Trattandosi dell’intera umanità (e non del singolo uomo) il processo è complicato, almeno ai nostri occhi. Gran parte dei mali che conosciamo (interiori ed esteriori) e la loro possibilità di eliminazione dal mondo sono infatti intuiti da molti singoli uomini….ma il problema è che si tratta dell’intera umanità in dinamica relazione con sè stessa e con gli eventi…..
Anche considerando i più terribili eventi naturali, le più terribili malattie, le più esecrabili azioni umane, è chiaro che molto si potrebbe fare per evitarli del tutto: il problema è che l’uomo spesso si dà ai sollazzi personali e circoli viziosi (in tutti i sensi) invece di dare avvio a circoli virtuosi planetari che sconfiggerebbero una volta per tutte quei mali. Pensiamo anche solo a piccolissime azioni o accorgimenti fattibilissimi, alla nostra portata, che eviterebbero tanti disastri naturali, malattie e guerre. E per il male interiore, intrinseco, da duemila anni abbiamo le armi che ci ha dato Gesù Cristo.
Dunque per me Dio non permette il male. Dio permette che noi, umanità tutta, continuiamo a scegliere, purtroppo anche il male. E ci attende alla fine del percorso per riassumere in Sè tutto il Potere che ora è concesso, in parte, all’umanità.
Che poi è una leggermente diversa angolazione di ciò che ha detto Simon nel primo commento al topic.
@minstrel: grazie per l’accoglienza.
@trinity: ebbene, ma affermare che Dio permette all’umanità di scegliere il male non è altro che dire che Dio permette il male, facendo seguire tale affermazione a una spiegazione sul “perché” lo permetta. Poi ci torno, ma ho la sensazione che una certa ostilità al vocabolo ‘permettere’ discenda soprattutto da ragioni di ordine semantico. Usare il verbo “permettere” dà la sensazione di proiettare l’immagine di un Dio che nutra una certa indifferenza per il creato, e perciò si è restii a usarlo.
Non è così, però: ‘permettere’ è l’unica scelta logica, a mio parere, per risolvere il dilemma classico: Dio buono + presenza del male. Dio non è buono, oppure non è onnipotente?
Se Dio volesse attivamente il male, allora non sarebbe buono. Se Dio non tollerasse il male e lo volesse del tutto espunto dal creato, ma la creatura (qualsiasi creatura) potesse fare il male, allora la creatura prevarrebbe sulla volontà divina e Dio non sarebbe più onnipotente. Dunque la sola espressione lecita resta quella della permissione divina.
Inoltre, il male non si limita al solo male che ruota attorno all’uomo, anche se è di certo quello che interessa di più. Anche il leone che si mangia un’altra bestia fa un “male”, che Dio permette. Anche l’Angelo che si ribella a Dio fa un male che Dio permette.
Penso Roberto che la possibilità (N.B. la “possibilità”, non il male stesso) del male è cosa buona in sé, bontà che trova la sua radice nella vera libertà nell’amare che è cosa buona in sé.
Il male però , per essere male, deve davvero essere male: attenuazioni al soggetto sono edulcorazioni linguistiche.
Bisogna anche rendersi conto che l’universo stesso è segnato dal male: non è “buono” come avrebbe dovuto essere il “buon” selvaggio illuminista….
In Pace
A questo punto il termine ” permettere” si può riferire solo al libero arbitrio della creatura uomo o angelo. Ma la natura angelica dotata di libero arbitrio è stata giudicata subito dividendo gli angeli dai demoni. Il destino dell’uomo ha subito una sorte diversa. Il creato materiale o universo e l’uomo sono stati legati inscindibilmente se S.Paolo dice ” anche la natura geme” Come era il paradiso terrestre universo e uomo? Gesù per il cieco nato dice che non è colpa dei suoi genitori, allora perché la caduta del primo uomo ha portato il male con la morte all’umanità?. Perchè si manifestasse la gloria di Dio, certo, in che senso e come?
Barzagli? Semmai Origene, visione che dichiara la perpetuità dell’inferno invece che la sua eternità, e che sottende l’impiego di tutto il tempo necessario affinché ogni arbitrio riconosca liberamente i suoi falli nella purificazione/guarigione, visione che non fu condannata nel 553 ma nel 543, in un sinodo particolare.
Non mi pare poi una visione guénoniana, che non nega l’inferno, anzi questa non si è mai capito se determini la scomposizione non dell’anima quanto della sua coscienza.
Bene dovuto, male come sua privazione…bene maggiore…come il Bene possa essere maggiore o minore , migliore o peggiore, da Dio per Dio, scritto così rende Dio imperfetto.
Non che il discorso non ci stia tutto, ma non rende l’importanza del tema, e la stupefacente bontà divina.
Infatti voi crederete che io ritenga l’emanazionismo valido oppure dichiari che le creature siano un modo di Dio per conoscersi/essersi tale. Lo specchiamento può pure aversi, in una beatitudine smisurata ed illimitata, nell’epictasi , perché divenuti Uno attraverso, con e nel Figlio, la divina Triunità è dinamica nelle sue relazioni operanti.
Sopra di Esse, l’infinità totale della Deitas eckhartiana, del sovraEssere di Dionigi. Essendo tale, accettando de Chardin sl Cristo cosmico, il corpo non è negato affatto.
Ma poter dire che Dio ha potere sul male è un non senso!
Ringraziate chi vi tenta, col cavolo che andavate in paradiso sennò!
dipende da quale male! Sa anche fare i miracoli o no?
boh
Il problema di chi è criptico è che avrà sempre difficoltà nel trovare un interlocutore, nel senso che per discutere e dialogare bisogna essere il contrario di criptico ma, anzi, giocare la carta della chiarezza e del coraggio delle proprie opinioni anche a rischio di prendersi sberle.
Vabbè.
In Pace
Un Centogamme disse: – Stammatina,
ner contamme li piedi, me so’ accorto
che ce n’ho solamente una trentina!
Io nun capisco come
me so’ fatto ‘sto nome
se er conto de le gambe nun combina…
– E nun te fa’ sentì, brutt’imbecille!
– je disse sottovoce un Millepiedi –
Pur’io so’ conosciuto: ma te credi
che li piedi che ciò so’ proprio mille?
Macché! So’ centottanta o giù de lì;
io, però, che lo so, nun dico gnente:
che me n’importa? C’è un fottìo de gente
ch’è diventata celebre così…
Diciamo che Dio permette il male come è stato detto solo per tatto e perché ci pare che il male non possa venire da Dio. Vogliamo difendere Dio o l’immagine che vogliamo avere di Lui, che chiamiamo Padre. Il male come assenza di bene, come risultato dei limiti umani, come conseguenza del libero arbitrio, ecc. Tutti parziali tentativi di spiegazione…umana, anche utili se vogliamo. Dimentichiamo che Dio è Giustizia, realtà che non comprenderemo mai. L’uomo decaduto ha dovuto essere addirittura redento dal Figlio di Dio! Cosa per noi incredibile ed esagerata! Potenza del peccato e della misericordia di Dio! Che responsabilità!
Dio Padre e basta non suona tanto bene
Infatti un Padre non solo perdona se pentiti!
@Roberto
@Tutti
Sì, è vero, anche la mia versione non esula dal pieno significato del verbo “permettere”. Tuttavia la ricerca di una spiegazione del “perché” e “in che modo” la trovo importante per fare delle distinzioni tra il “nostro” Dio e quello di altri, tra la nostra e le altrui visioni religiose.
Ad esempio, alcune descrizioni (cristiane) del “come Dio permette” assomigliano a quelle di certe filosofie orientali….e possono anche arrivare a sottintendere la non-distinzione Bene/Male. In effetti, so che non intendeva farlo, ma la versione di Vincenzo mi ha ricordato in certi passaggi la visione delle culture orientali/buddiste. (cmq ho capito che non intendevi introdurci il buddismo, Vincenzo)
C’è da dire che per alcuni versi quelle visioni del mondo possono anche andare d’accordo con la nostra.
Poi poni il problema della violenza “naturale”. Senza andare al leone e gazzella, anche noi per mangiare (se non siamo vegani) uccidiamo animali. La violenza dei processi naturali che constatiamo si renda “necessaria” alla vita della natura e dell’uomo….. fa sempre parte del problema del Male ? (chiedo)
A me pare di sì…..e mi chiedo: l’accettazione di quel male (quello minimo indispensabile) da parte nostra che significati ha? Che cosa dobbiamo comprendere?
Grazie di nuovo per le risposte. 🙂
Ora, non reputo di certo di poter dare una spiegazione esauriente del problema del male in poche righe, perché sarebbe parecchio presuntuoso da parte mia. Il mio intervento è nato da quella mia perplessità relativamente alla reticenza rispetto alla locuzione permettere. Questo, perché la cosa in assoluto più soddisfacente che mi è mai capitato di leggere sull’enigma del male in prospettiva cattolica è il saggio che citavo del Cardinal Journet, che fa del concetto di permissione divina del male uno dei perni sul quale sviluppa poi gran parte della sua esposizione.
@Simon: sono quasi d’accordo. Io direi che non è tanto la possibilità del male a essere un bene, quanto semmai che, affiché certi beni possano venire chiamati all’esistenza, richiedono per accidente (per accidens) la presenza di un male a loro relativo. Mi pare che fosse San Tommaso a dire, per esempio, che il bene del martirio richiede la presenza del male di un tiranno. Sono restio a riconoscere che la possibilità del male sia un bene in sé. Se fosse un bene per se stesso, allora non se ne dovrebbe forse trovare traccia in Dio stesso? Ma ciò è assolutamente inaccettabile. Sarebbe inoltre un ‘bene’ a cui verrebbe negata la possibilità di esprimersi, in qualsiasi forma, nel Paradiso.
@Trinity: anche la violenza naturale, il cosiddetto “male di natura”, rientra nella logica del bene che può esistere solo concedendo la presenza di un male a esso relativo. Si fa proprio l’esempio del carnivoro: Dio può rinunciare a creare qualsiasi tipo di carnivoro, ma se decide di prevederne l’esistenza nel creato, ecco che esso è un bene (la creatura: leone) che può esistere solo se Dio permette che questi faccia il male di uccidere (privare del bene della vita) un’altra bestia per poter a sua volta vivere e prosperare. Anche questo genere di male non è voluto da Dio, non è desiderato in alcun modo, ma solo permesso, per accidente. L’unico modo per negare a questo male la possibilità di manifestarsi, sarebbe quello di rinunciare al bene di creare qualsiasi creatura definibile “carnivora”.
E così via: si può applicare con un po’ di fantasia a tutte le creature irrazionali e anche inanimate. (almeno così l’ho capita 😛 )
Per sbarazzarsi di un tale genere di male, Dio avrebbe dovuto fare il creato in un modo profondamente diverso da come noi lo conosciamo, il che Gli sarebbe senz’altro stato possibile, ma non è ciò che Egli ha voluto.
E in fondo la domanda di tutti i Veronesi del mondo è questa: Dio avrebbe potuto fare un creato senza il benché minimo male? Rispondo sommessamente: “sì”. Questa risposta viene intuita, per quanto confusamente, e la contemplazione del male suscita perciò una rivolta radicale, assoluta, da parte della creatura, che non ha a che fare con un piano razionale e speculativo, e che perciò nessuna argomentazione razionale riuscirà mai a “vincere”.
[Per sbarazzarsi di un tale genere di male, Dio avrebbe dovuto fare il creato in un modo profondamente diverso da come noi lo conosciamo, il che Gli sarebbe senz’altro stato possibile, ma non è ciò che Egli ha voluto.
E in fondo la domanda di tutti i Veronesi del mondo è questa: Dio avrebbe potuto fare un creato senza il benché minimo male? Rispondo sommessamente: “sì”. Questa risposta viene intuita, per quanto confusamente, e la contemplazione del male suscita perciò una rivolta radicale, assoluta, da parte della creatura, che non ha a che fare con un piano razionale e speculativo, e che perciò nessuna argomentazione razionale riuscirà mai a “vincere” ]
In effetti per questo “male naturale” si adatterebbe bene la visione buddista che il piano razionale lo fornisce per altra via: dicendo che è solo la prospettiva umana limitata a vedere bene/male laddove è necessaria dinamica naturale, e più si è “illuminati” e più la si vede con mente razionale e la si accetta.
Però….. però il buddismo non mi spiega bene il perché io me ne accorga, perché proprio io: perché io essere umano vedo un male laddove il leone/gatto/cane non lo vede?
E se io lo vedo, domanda: devo semplicemente farne esperienza, accettarlo oppure devo attivamente fare qualcosa per cambiare la situazione?
Ad esempio: dovremmo diventare tutti vegani ?
A molti umani il veganesimo puro fa malissimo alla salute (checché ne dicano i sostenitori di questa dieta, è pieno di dati contrari). Ma lo stesso, anche se ci fa male, potremmo scegliere questa dieta in quanto noi possiamo scegliere come creatura più forte di lasciar vivere una creatura più debole: una specie di sacrificio, anzi un vero sacrificio nel caso in cui la persona stia malissimo ad alimentarsi con soli farinacei e verdura senza proteine animali.
Sarebbe, in piccolo, quello che fa Dio con noi in grande: rinuncia a farci del male “diretto personale” e il male lo subisce lui – l’abbiamo constatato con Gesù.
Noi non siamo certo Dio, ma essendo “una via di mezzo” (scusatemi l’espressione) riusciamo a fare una certa distinzione bene/male e quanto più siamo vicini a Lui tanto più riusciremo ad astenerci (forse) anche da “mali naturali”, subendo noi il male (o meglio, il sacrificio) derivante dall’astensione del compierlo.
Nel momento in cui arriva Gesù, Figlio di Dio, e si immola per noi, avviene un ulteriore passaggio: ci libera completamente come creature “limitate” anche da quel giogo…..tuttavia quando vogliamo essere più vicini a Lui, quando vogliamo essere co-redentori (grazie Simon) abbiamo sempre la possibilità di offrirgli i nostri sacrifici.
(trovandoci ancora noi nella dimensione temporale il giogo lo avvertiamo, pur essendone stati liberati offrendoci Gesù un “giogo leggero” – ovvero delle prescrizioni molto leggere rispetto ad un mondo senza il sacrificio di Cristo)
(P.s. spero di non aver stravolto in un colpo solo filosofia e teologia cattolica e chissà che altro…..nel caso correggetemi per favore)
Pur non essendo pratico di buddismo, mi pare che la prospettiva sia invece assai diversa da quella cattolica: se il buddismo afferma che è il punto di vista umano a vedere bene/male laddove non c’è, questo non corrisponde al vero, perché una creatura che esiste è veramente un bene, e privare una creatura del bene della sua vita è veramente un male. Solo una creatura razionale però può percepire tale distinzione: distinzione che però sussisterebbe anche se non vi fosse nessuno in grado di discernerla.
Inoltre, se io mangio lo faccio per un mio bene: il bene che voglio è la mia sopravvivenza e salute fisica (nonché quella di coloro che mi sono eventualmente affidati), e il male che non voglio, che ammetto solo per accidente, è la morte della creatura consumando la quale mi nutro. Poiché Dio mi consente e mi invita a far questo, anche perché la vita umama è un bene maggiore di quella di un animale irrazionale (o di un vegetale) allora non solo non c’è nulla a cui sia obbligato a rinunciare, ma potrei addirittura arrivare a fare il male comportandomi diversamente.
Altro è invece se facessi il male a una creatura inferiore per il piacere crudele di privare di un bene una creatura verso la quale ho una potestà: mancando di rispetto per il creato, sicuramente allora lì sì che compierei un male morale.
Senza mai dimenticare, naturalmente, che la gola è uno dei sette peccati capitali 😉
Ciao carissimo Roberto, mi fa piacere trovarti qui. Spero che d’ora in poi tu voglia intervenire spesso; sarebbe un punto di vista prezioso il tuo. Sai che anche Bariom bazzica da queste parti ogni tanto? Be’… ti saluto. E porta i miei saluti a tutti gli amici, vicini e lontani, del blog di Costanza.
A proposito, ho saputo di tuo padre. Mi dispiace. Però sono sicuro che sei sereno. Ciao.
Ciao Giancarlo, è un piacere reincrociarti; tutto bene? Ho visto alcuni interventi di Bariom, sì.
Ti ringrazio. Sapevamo il decorso (non ho bisogno dei massmedia per sapere come va a finire il mesotelioma), e certo avrei desiderato vedergli prendere i Sacramenti, ma ho mendicato più preghiere possibile, e il prete un paio di volte gliel’ho messo alle costole, perciò… spero!
Un commento brevissimo: il male morale (per quel che ne so, S. Agostino lo distingue dal male ontologico, che come tale non esiste, e dalla sofferenza che è conseguenza del peccato originale) deriva dal libero arbitrio, ossia dalla libera scelta dell’uomo che capovolge l’ordine delle cose create, anteponendo beni minori al bene maggiore.
Perché esiste?
Dio ha voluto amare/essere amato da esseri liberi, a sua immagine e somiglianza, e ci ha amato come esseri liberi fino ad accettare di consegnarsi inerme alla nostra libertà.
Per amore, solo per amore. L’allora giovane professor Ratzinger lo dice splendidamente nella sua “Introduzione al Cristianesimo” (e certamente l’avrà detto anche dopo, ma al momento non mi sovviene).
Grazie Roberto e grazie Dernhelm per questi contributi.
Molto interessanti.
Quel libro di Ratzi… sono 5 anni almeno che mi sfugge in ogni modo, ma ora non più!
E’ in biblioteca in attesa di essere da me ritirato.
DOMANI! 😀
Sembra che qui sia in discussione l’A-mors di Dio quando si dice solo che da Perfezione non si dà imperfezione.
Insomma, il fatto che si sia imperfetti rientra nella necessità del caso affinché si potesse essere separati e consensualmente liberi. Nessuno di noi è imperfetto in realtà, se si comprendesse l’apokatastasi e l’epictasi oltre che il “Cristo cosmico”.
Si capirebbe realmente l’importanza della Trinità oltretutto, e l’importanza dell’Unità nello Spirito Santo, quando infondo il rapporto nei vangeli è presentato come un’endiade.
Solo che se uno ne parla è platonista o guénoniano…mentre basterebbe smetterla di fare melenso ecumenismo e guardare cosa dice la stessa chiesa ortodossa ( parecchie cose in realtà, và pur scritto ).
A questo punto il termine ” permettere” si può riferire solo al libero arbitrio della creatura uomo o angelo. Ma la natura angelica dotata di libero arbitrio è stata giudicata subito dividendo gli angeli dai demoni. Il destino dell’uomo ha subito una sorte diversa. Il creato materiale o universo e l’uomo sono stati legati inscindibilmente se S.Paolo dice ” anche la natura geme” Come era il paradiso terrestre universo e uomo? Gesù per il cieco nato dice che non è colpa dei suoi genitori, allora perché la caduta del primo uomo ha portato il male con la morte all’umanità?. Perchè si manifestasse la gloria di Dio, certo, in che senso e come?
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Ma il male per te pensi sia il male per Dio, che non ha male? Il paradiso terrestre non poteva che decadere, per il semplice fatto che è decaduto.
Dove sarebbe poi questo male? Pensi che esisteresti se esso non ci fosse stato? Sei dunque un ripiego per quanto Dio abbia dimostrato di dare Tutto per te ( risposta: grazie al cazzo, è Dio! )?
Non c’è nessuna gloria che Dio possa manifestare. Non vale nulla rispetto all’invisibile. La sua bontà consiste nel renderci Figli in Cristo, e da lì guardare quel e può essere mirato, senza smettere di godere del corporeo ( e non tanto del corpo di per sé ) per il semplice fatto che nell’Assoluto non esistono discontinuità.
Tra il Tutto ed il limitato c’è la Trinità dinamica. Nessuno gnosticismo od identità suprema, nessuna adorazione di un Dio che morendo ci sarebbe venuti a donare solo il paradiso.