Metafisica for Dummies! – Lezione 5: Ente (II)

Cosa è Ente? In Germania è l'anatra...

Cosa è Ente? In Germania è…

METAFISICA FOR DUMMIES!

– Ontologia –

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03: Sul significato nozionale di Ens (Parte II)

Continuiamo la nostra disamina sul termine “Ente”. Seguendo i dettami della logica aristotelica sappiamo che ogni termine  può essere comprenso mediante definizione che è la delimitazione degli attributi concettuali che possono essere dati a quella tale parola. La medesima logica divide diverse specie di definizioni:

  • Definizione nominale. È quella che stabilisce l’uso di un vocabolo. Essa non è una definizione propriamente detta, poiché non dice ciò che la cosa è in se stessa. La definizione nominale fa appello, sia ad una parola più chiara che la definisce (“il cloruro di sodio non è altro che il sale da cucina”), sia all’etimologia (“la filosofia è l’amore della sapienza”).
  • Definizione reale. È quella che esprime la natura della cosa stessa e può essere “Essenziale”, “Descrittiva” e “Casuale”.
    (cfr. Jolivet, Regis. Trattato di filosofia sistematica – logica. Pag. 60 e segg.)

Abbiamo nella precedente lezione esaminato la parola sotto l’aspetto grammaticale, cioè l’aspetto nominale sopra riportato, notando che sotto questa determinazione è possibile creare due quadri speculativi a contatto fra di loro, ma con caratteristiche opposte:

  1. l’Ontologia primaria che abbiamo chiamato “originaria” dove la nozione di Ens si esprime nel suo minimo sapere espressivo, nel massimo della sua rigorizzazione.
  2. l’Ontologia secondaria o “originata” dove la nozione Ens si esprime nel suo massimo sapere espressivo e nel minimo della sua rigorizzazione.

In questa lezione esamineremo il termine sotto la lente della filosofia, cioè sotto l’aspetto della semantica profonda della parola, correlandola quindi al reale concreto esperibile.

ENTE SOTTO LA DETERMINAZIONE FILOSOFICA

Studiare la parola Ente secondo l’uso che se ne fa nel rapporto con la realtà e secondo la sua capacità evocativa e di conoscenza significa studiarla sotto la sua determinazione filosofica.

Confrontando e scontrandosi per così dire con il reale ora ci accorgiamo che il termine in questione diviene talmente generale, con-fuso, da non poter più soggiacere ad una definizione possibile. In due parole: sotto l’aspetto filosofico, la parola Ens non è logicamente definibile. Quanto meno, se ci riferiamo alla specificazione del Jolivet, non è definibile sotto il suo aspetto “essenziale”.

Il perché è subito esplicato: in logica aristotelica la “definizione” è la sintesi del significato reale (cioè correlata al reale) di una parola espressa con due termini precisi:

  • Genere prossimo: è il genere immediatamente più esteso del definiendum, che supera la nozione, contenendola completamente
  • Differenza specifica: che è la caratteristica specifica che si utilizza per individuare il definiendum

Esempi di definizioni sono:
Uomo = Animale (genere prossimo) razionale (differenza specifica)
Animale = Vivente (genere prossimo) senziente (differenza specifica)

Ma come è possibile definire “Ente” se questo termine non rientra in alcun genere? Pensateci: se rientrasse in un genere capace di raccogliere la nozione completa di ente, cosa sarebbe questo genere? Un ente! Necessiteremmo di una nozione capace di superare la nozione definibile di Ente dunque.
C’è “qualche cosa” che oltrepassa l’ente?
La risposta è no. O meglio la risposta alla domanda “cosa oltrepassa la nozione di Ens?” è niente!
Dunque la nozione in esame non rientra in alcun genere, dunque non è definibile realmente nel suo aspetto “essenziale”, ma è solo descrivibile poiché è una nozione metaspecifica, metacategoriale.. Questo significa che non è possibile tracciare in due parole (letteralmente…) la parola “ente” nel reale, ma solo enumerare le proprietà o i caratteri esteriori più caratteristici dello stesso, per permettere di distinguerla da tutto ciò che non è possibile considerare ente nella realtà. E’ nella moltiplicazione delle parole che inquadreremo l’ente nel reale senza mai veramente precisarcelo.

Dunque partiamo da questa consapevolezza e chiediamoci: ben sapendo che ciò che non è possibile considerare “ens” è niente, è nulla, e quindi tutto è ente, come descrivere al meglio questa parola così generale?

 Ciò che è in qualunque modo

E’ questa la descrizione filosofica dalla quale è possibile tracciare tutte le nuove espressioni che utilizziamo nella realtà. Ora è necessario analizzare questa descrizione generalissima, per risoluzione dell’ente nelle sue parti componenti sul piano concettuale. Vediamo.

 ID QUOD EST QUODAMMODO

La descrizione ha diverse parti e ognuna sviluppa un aspetto preciso.

ID QUOD (Ciò che) – è il soggetto che è agito, è il subjectum già definito e implicito all’essenza stessa

EST (è) – distinto in due formalità logiche rispettivamente derivate dalla specificazione grammaticale come participio del verbo essere già trattata:

  1. UT NOMEN: Ciò che è TALE, cioè è l’essenza (essentia), che E’ essere PER questo, che è DA questo. “Est” in questo caso è considerato quale principio strutturante, che è tale in forza di questa essenza che esula dall’attualità stessa dell’ente in esame. Ad esempio l’umanità in generale è ciò per la quale Andy Wachowski è uomo. In una parola: essenza.
  2. UT PARTICIPIUM: Ciò che è ESISTENTE, cioè è l’essere o Atto d’Essere (esse ut actus essendi), che HA l’essere. “Est” in questo caso è considerato quale principio attuante, che è tale in forza di questa essenza che esula dall’attualità stessa dell’ente in esame. Ad esempio è principio per cui Lana Wachowski esiste. In una parola: essere

QUODAMMODO (in qualunque modo) – cioè studiato sotto qualunque rapporto si specifichino le tre relazioni sopra riportate: soggetto, essenza ed essere. Rientra così, in questa parte della descrizione, la distinzione fra ontologia originaria ed originata.

  1. Nell’originaria i rapporti sono univoci, cioè sono sostanzialmente uniti nella stessa sostanza. Soggetto, essenza e essere sono la stessa cosa. C’è identità reale fra queste componenti e dunque la distizione è solamente nozionale, cioè coincidono realmente, ma le trattiamo distintamente per poterne parlare. E’ l’essere a sé stante, aseità. Questa caratteristica è uno dei tanti attributi dell’ente chiamato comunemente Dio.
  2. Nell’originata i rapporti sono distinti, cioè sono idealmente uniti nello stesso ente, ma realmente sono distinti. Soggetto, essenza ed essere configurano cose diverse in relazione fra loro. Cioè l’ente ha l’essere, non è essere! Cioè partecipa dell’essere che riceve da un altro. E’ essere per partecipazione, ab alio, abalietà. Questa caratteristica è uno dei tanti attributi dell’ente chiamato comunemente Creatura.
    All’interno di questo quadro speculativo prendono posto  i due modi di essere delle creature che verranno sviluppati poi: la sostanza e gli accidenti.

Per ora ci basti comprendere bene cosa si intenda tomisticamente fra Essenza e Atto d’Essere. Questa distizione è infatti importante e va chiarita find a subito. Utilizzo per questo arduo compito il trattato di metafisica del già citato Régis Jolivet.

L’essenza (essentia, quidditas) è l’oggetto della prima operazione dello spirito. Sennonché, come tale, abbiamo già detto, essa non significa che una semplice attitudine all’esistenza, cioè all’essere (esse) propriamente detto: è sempre in funzione di questo esse che la misura e la definisce, essendo propriamente un’autentica essenza «ciò che può esistere», mentre una essenza contraddittoria in se stessa (cerchio quadrato; pietra pensante; Dio ingiusto) non è che un nulla d’essenza, una essenza «che non può esistere».
L’esistenza, o atto di essere (actus essendi) è dunque il termine del pensiero, l’oggetto verso il quale si orienta primamente e per sé l’intelligenza. Per questo appunto san Tommaso afferma che nella seconda operazione dello spirito (giudizio) si compie propriamente l’apprensione dell’essere, perché mediante il giudizio appunto l’esistenza è colta, non più soltanto come significata o indicata allo spirito (ciò che è il caso del concetto), ma come esercitata in atto o esercitabile in potenza da un soggetto. Così si deve dire che la conoscenza si compie nel giudizio, in quanto essa è orientata a cogliere l’essere.
Jolivet, Régis, Trattato di filosofia sistematica – Metafisica. pag. 130

E’ dall’implicazione reciproca fra Essenza ed Essere, chiara nella conoscenza metafisica, che raggiungiamo la descrizione sopra citata della quale il Jolivet dà conto con queste parole:

L’ente comune (ens) significa in primo luogo e di per sé, come abbiamo già visto, l’atto di esistere (actus essendi), – allo stesso modo che studente, participio del verbo studiare, significa l’atto di studiare – ma esercitato in atto o esercitabile in potenza, da un soggetto (o essenza). il quale è dunque colto indirettamente con l’esse. L’ente comune si definirà dunque come ciò che è (quod est), cioè «una cosa avente l’esistenza» (res habens esse). (Cfr. S. Tommaso, In Perih., I, lect. 5, ed. Leonina, n. 20).
Jolivet, Régis, id. pag. 131

Per ora, come si è visto, si da per scontata questa analogia dell’essere in atto per opera ed inferenza dell’Essere per sé. Al punto in cui siamo, l’analogia dell’essere si applica unicamente nella sfera della nostra esperienza. Non potremmo estenderla all’Essere divino senza petizione di principio. Così se io sposto un foglio il quale ha potenza di essere spostato, io sono causa dello spostamento del foglio e non degli foglio stesso. Così estendere il ragionamento fra causa ed effetto ai soli moti è esplicare la causa increata dello spostamento e non dell’essere stesso dei moti. Ma questo non implica l’infondatezza di questa via verso l’esistenza di Dio, ma un allungamento di percorso.
Si chiama infatti “Via Lunga”.

Jolivet scrive quindi delle righe splendide le quali concludono perfettamente a mio avviso la trattazione dell’Ente quale termine interno alla definzione di Ontologia di cui alle prime lezioni.

Tutto ciò che ci viene imposto fin d’ora dall’intelligibilità dell’essere, colto a partire dagli enti diversi, gli uni mobili, gli altri relativamente permanenti, gli uni esistenti in sé e per sé (sostanze), gli altri esistenti solo in un altro e mediante un altro (accidenti), è che l’essere risponde tanto più alle esigenze del suo tipo intelligibile quanto più si avvicina a un ente o essere che sia veramente essere, cioè esistente pienamente in sé e per sé, non sottomesso alle deficienze del divenire e alla servitù dell’inerenza.
Ciò indica san Tommaso, quando scrive che «l’essere si dice in molti modi, ma – che – ogni ente si significa in rapporto a un essere primo» (In IV Metaphys., lect. 1).
Così tutta l’ampiezza del reale è aperta, fin dalla nostra prima intuizione, all’analogia dell’essere, ma in un modo che resta indeterminato e confuso fino alle chiarificazioni della teologia naturale.
Jolivet, Régis, id. pag. 132

Proseguiremo la disamina analizzando le cosidette leggi a cui questo ente, così descritto, risponde.
Siamo giunti insomma al punto in cui si dovrà trattare del Principio di non contraddizione.



Categories: Filosofia, teologia e apologetica

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1 reply

  1. In realtà anche la parola stessa ci dà la definizione di quel che và a riferire.

    Inoltre usare il termine “reale” per una definizione dei 3 tipi elencati , pur volendo prendere per buono il fatto che il vocabolo e relativo etimo ( ed anche volendo la sua immagine simbolica mista al computo del suo valore numerico ) non riguardino l’essenza della cosa in sé, ciònondimeno costituiscono un certo tipo di realtà per giunta validissimo perché base di ogni comunicazione.

    Io preferirei invertire il significato tra subjectum ed essere.

    Inoltre dire che l’Essere è Ciò che è in qualunque modo implica una divisione interna all’Essere stesso, e dimentica tutto quello che di per sé non ha modo di per sé, che si cerca di tener presente asserendo che in Esso tutto sia coincidente.

    Anche scrivere che Dio è semplice Essere ( non ente ) è comunque riduttivo e più corretto sarebbe tornare a definirlo Uno, primitivamente.

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